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Autore: Vagabonda    07/03/2009    10 recensioni
Stanca di abitare sotto lo stesso detto dell'odiata matrigna, Bella decide di scappare di casa, andando a vivere con la cugina a Parigi. Qui le due ragazze trovano lavoro presso una pasticceria nella quale un giorno entrerà un ragazzo che cambierà dolcemente la vita di Bella...chi sarà mai? Vi do un indizio: bellissimo, capelli ramati, occhi color ambra...
Edward: In un batter d’occhio fui steso sul letto, il fiato corto per l’eccitazione. Solo ora mi rendevo conto degli avvenimenti di quella mattina. Tornai a osservare il soffitto, immerso in pensieri nuovi. Infatti ora tra le pieghe del legno mi sembravano lunghi capelli castani e al centro vedevo chiaramente un paio di grandi occhi color cioccolato.
Bella: Avevo le farfalle nello stomaco, la testa mi girava e mi sembrava di avere la febbre. Quel giorno mi ero presa una malattia tremenda e incurabile. Eh sì, mi ero proprio innamorata!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia è nata da un'idea che avevamo avuto io e mia cugina: un'estate parigina, all'insegna dello shopping, dei musei e...ovviamente di Parigi!
Ho pensato di inserire in questo contesto i nostri amati Edward e Bella...dopotutto, quale luogo è più adatto a far sbocciare l'amore se non la città degli innamorati?

Buona lettura ;)






La sveglia continuava a suonare. Mi girai a pancia in giù e coprii le orecchie con il cuscino. Quella mattina proprio non ce la facevo ad alzarmi. Finalmente il fastidioso suono si interruppe. Mi rilassai, pronta a ricadere in uno stato di beata incoscienza. Qualcuno mi buttò giù dal letto.
-Alzati pelandrona o arriveremo in ritardo!- mi gridò mia cugina.
-Sì sì, ancora cinque minuti…- bofonchiai cercando di riappropriarmi delle coperte.
Un cuscino mi si abbatté in faccia, rimandandomi lunga distesa al suolo.
-Macchè cinque minuti! Il negozio non si apre mica da solo!-
Brontolando, socchiusi gli occhi. Ci misi qualche secondo per mettere a fuoco le cose. Arianna era seduta sul mio letto, le gambe conserte e mi fissava ridendo.
-Che hai da ridere?- chiesi irritata. Non solo mi aveva scaraventata per terra, ora rideva pure di me!
-Scusa ma sei così buffa Bella! Sembri un pulcino con tutte le piume arruffate!-
Mi alzai di scatto e corsi allo specchio. Una ragazza dallo sguardo assonnato ricambiò la mia occhiata di disgusto. I capelli erano un nodo unico e il colorito della mia pelle, se possibile, appariva ancora più pallido del solito. Dovevo fare qualcosa per migliorare la situazione. Optai per una doccia, mi spogliai e mi infilai sotto l’acqua gelida. Dopo un po’ uscii, battendo i denti. Non c’era niente di meglio di una doccia ghiacciata per svegliarsi la mattina!
-Sei pronta? È tardissimo!- mi gridò Arianna dalla camera da letto. Mi abbassai per scrollarmi i capelli fradici e, quando mi tirai su, me la ritrovai davanti. Era vestita di tutto punto, un grazioso abito bianco e rosa aderiva perfettamente al suo corpo magro ed era abbinato a un fiocco che tratteneva i lungi ricci biondi. Un ombretto rosato valorizzava i suoi splendidi occhi azzurri mentre la bocca, truccata con un leggero strato di rossetto, era appena curvata in basso, in quella che doveva essere una smorfia d’irritazione.
-Ma sei ancora tutta bagnata! Ti do dieci minuti per asciugarti, intanto vada di là a prepararti i vestiti!-
-Non ce n’è bisogno …- cercai di dirle ma era già corsa via.
Non avevo mai capito cosa ci trovasse di così esaltante nella moda. Era proprio per quello che aveva deciso di trasferirsi a Parigi, la capitale delle sfilate. E io l’avevo seguita, stufa di vivere in una casa comandata dalla mia matrigna.
Da quando, cinque anni fa, mia madre era morta, mio padre non era più stato lo stesso. Non rideva più, non scherzava più, con mamma era scomparso anche l’uomo che conoscevo. Poi, circa un anno addietro, aveva conosciuto questa Linda che l’aveva fatto rinascere. “Con lei mi sento felice, capisci Bella?” mi aveva detto. No che non capivo, Linda era una più vecchia di lui, odiosa e maniaca dell’ordine. Non comprendevo cosa ci trovasse di così apprezzabile in lei. Ma avrei fatto qualsiasi cosa purché papà tornasse a sorridere. Così, dopo che si erano sposati, Linda era venuta a vivere da noi.
Abitavamo in una grande villa in città, potevamo permettercela poiché mamma proveniva da una famiglia agiata. Dopo la sua morte aveva lasciato una grande eredità che papà però usava solo per pagare le spese di mantenimento della casa. Per il resto, vivevamo di ciò che il suo modesto stipendio da professore poteva offrire. Ma, con l’arrivo di quella donna, molte cose erano cambiate: i soldi andavano via come il pane, spesi per costosi prodotti di bellezza o usati per acquistare vestiti firmati. Linda, infatti, amava indossare abiti succinti, che mettessero in risalto l’abbondante decoltè e aderissero al corpo ancora tonico. Per la sua età era una bella donna, anche se sospettavo che gran parte del merito andasse alle numerose creme che si applicava ogni sera, prima di andare a dormire. Ma di questo non mi importava, poteva anche stare con mio padre, bastava che lasciasse in pace me. Così fu, almeno per i primi tempi. Dopo che si fu ambientata però cominciò a lamentarsi del mio modo di vestirmi e del disordine della mia stanza. Pretendeva di comprarmi lei gli abiti che avrei dovuto indossare e mi obbligava a riordinare le mie cose. Io obbedivo senza protestare, piegavo i vestiti, appendevo i pantaloni, mettevo nella scarpiera le scarpe. Ma non bastava. Secondo lei avrei dovuto anche stirare ogni sera le magliette e disporre in ordine cromatico i capi di vestiario. Avevo resistito per sei mesi, poi non ce l’avevo più fatta. Una mattina, dopo una sua sfuriata perché avevo lasciato annodati i lacci delle scarpe, preparai una valigia con le cose essenziali e me ne andai. Prima però lasciai un biglietto a mio padre, dicendogli di non preoccuparsi e che sarei andata ad abitare con Arianna, la figlia di sua sorella, che proprio in quei giorni si stava trasferendo a Parigi. Pochi giorni prima mi aveva chiamata, chiedendomi se conoscevo qualcuno che avrebbe voluto dividere con lei l’appartamento preso in affitto nei pressi di Montmartre. Ora aveva trovato la sua coinquilina.
In poco tempo l’avevo raggiunta e ora lavoravamo entrambe in una pasticceria vicino alla famosa piazza.
Terminai di asciugarmi i capelli, spensi il phon e mi guardai allo specchio. I capelli castani mi cadevano sulle spalle in morbidi boccoli, incorniciando il pallido viso dove spiccavano due grandi occhi color cioccolato.
“Mm, così può andare” pensai soddisfatta. Non ero certamente bella come mia cugina, ma non ero nemmeno da buttar via!
In camera trovai i vestiti sul letto, pronti da indossare. Abitare con Arianna aveva i suoi vantaggi, era sempre allegra e insieme ci divertivamo un mondo ma la sua fissazione per la moda era maniacale. Al contrario della mia matrigna però, lei mi lasciava scegliere cosa mettere, o al massimo abbinava i vari capi. In ogni caso avevamo gli stessi gusti, ci piacevano gli abiti eleganti ma sobri e quando andavamo a fare compere ci capitava spesso di litigare per un vestito che piaceva ad entrambe. Per fortuna portavamo la stessa taglia, così potevamo scambiarci gli acquisti! Quel giorno aveva abbinato una camicetta bianca, una gonna blu e delle ballerine. La gonna era forse un po’ troppo striminzita, in quanto lasciava ben poco all’immaginazione, ma per il resto andava bene. Mi legai i capelli con un nastro blu, poi decisi di lasciar perdere. Sciolti cadevano dolcemente sulle spalle, emanando il buon profumo del mio shampoo all’arancia e frutto della passione.
Passione…proprio quello che sarebbe servito a me. Erano da anni che non stavo più con un ragazzo. L’ultimo risaliva al liceo, ma la nostra storia era finita ancor prima di iniziare. Il giorno dopo esserci messi insieme l’avevo sorpreso con un’altra e da allora non mi ero più voluta legare a nessuno. Non che avessi tanti ammiratori! Certo, qualcuno che aveva provato a farmi la corte c’era stato, ma era sempre rimasto deluso. Arianna, invece, riscuoteva molto più successo di me. Ovunque andassimo, attirava lo sguardo dei maschi, ammaliandoli con la sua camminata disinvolta e sensuale.
Sospirai, magari fossi stata spensierata come lei! Da quando me n’ero andata di casa non avevo più ricevuto notizie di mio padre. Non che non sapesse badare a se stesso, ma non mi fidavo a lasciarlo da solo con quella strega…
-Bella!- gridò mia cugina. Era già sulla soglia di casa.
-Arrivo!- risposi, presi la borsetta e feci appena in tempo a uscire dalla porta, prima che lei la richiudesse con un tonfo.
-La prossima volta che ci metti così tanto ti obbligo a servire i clienti!- disse mentre correvamo.
Gemetti. Il mio compito nella pasticceria era occuparmi della cassa, oltre al fatto che ero sempre stata brava con i calcoli si aggiungeva la mia perenne timidezza nei confronti delle persone. Perciò era Arianna, molto più loquace, a stare dietro al bancone.
-Sto scherzando fifona!- aggiunse, ridendo della mia espressione.
Arrivammo senza fiato al negozio, c’era già la solita fila di clienti all’ingresso e Eveline, il nostro capo, stava correndo da una parte all’altra.
-Finalmente siete arrivate! Dovrei detrarvi il ritardo dallo stipendio!- disse col fiatone, poi, vedendo le nostre facce sconsolate, sorrise -Dai sciocchine, prendete i grembiuli e cominciate a lavorare, una buona volta!-
Ricambiammo il sorriso. Anche se era il nostro capo Eveline era soprattutto una nostra grande amica.
Mi infilai la divisa che consisteva in un grazioso grembiule lilla accompagnato da una cuffietta, poi mi diressi verso la cassa.
Una signora cicciotella si avvicinò.
-Buongiorno Doroty, come sta oggi? Ha ancora quei dolori alla schiena?- chiesi gentile.
-Oh no cara, oggi ho un tremendo raffreddore- disse starnutendo.
Le sorrisi poi presi la treccia alla nutella che mi stava porgendo.
-Sono tre euro- dissi, ma mi stava già allungando una banconota da cinque.
Le diedi il resto e mi salutò calorosamente.
Passai al cliente successivo che pagò una brioche con un biglietto da cento. Sospirai, impaziente che anche quella giornata di lavoro finisse.




   
 
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