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Autore: RandomWriter    19/12/2015    12 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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54.
SALVATE IL SOLDATO LEVINE

 
 
Nonostante i toni noir e il repentino cambio di scene, i sussulti di Kentin non erano relazionati alla tensione ricreata nel film. Accanto a lui, ben più suscettibile all’horror, sedeva Iris, impettita e marmorea come una statua. Le dita sottili stringevano nervosamente l’orlo della canottiera, tali da mettere in risalto le venature che solcavano il dorso delle sue mani. In quel bungalow, nessuno dei presenti condivideva il suo terrore, quindi si vedeva costretta a celarlo il più possibile Era inevitabile tuttavia che le sfuggisse qualche scatto nervoso, il quale la portava a sfiorare accidentalmente Kentin, seduto vicino a lei. Quei contatti, sporadici e improvvisi, erano la causa dei brividi del ragazzo, che lo attraversavano da parte a parte. A metà film si era creata poi una situazione di grande disagio, quando lei aveva istintivamente affossato la testa nella spalla del cadetto: il moro si era irrigidito al punto da strappare un ghigno divertito a Castiel.
« Scusa Kentin » aveva mugolato Iris a disagio, sottraendosi furtiva da quell’imbarazzante posizione. Consapevole della sua incapacità di continuare a seguire il film, la ragazza pensò ad una strategia alternativa, così chiuse gli occhi e finse di dormire.
Accanto a lei invece, la sua amica Erin era di tutt’altra pasta; la mora infatti appariva tranquilla e rilassata. Si stava godendo ogni istante di quell’atmosfera serena ed intima insieme ad alcuni dei suoi amici più cari. Guardò Rosalya, teneramente abbracciata al suo Nathaniel, che le accarezzava distrattamente il braccio, come se in quel gesto automatico vi fosse qualcosa di irrinunciabile. C’era poi l’impacciata Iris, seduta accanto a lei che nella prima ora di film aveva continuato a muoversi nervosamente, trasmettendo la sua ansia a Kentin, un amico d’infanzia che Erin aveva ritrovato al liceo. Ed infine c’era lui, Castiel, il centro delle domande e delle risposte della mora. Il rosso era il fulcro delle sue certezze e dei suoi dubbi. Doveva sforzarsi di guardare lo schermo e non quella figura pigramente distesa sulla poltrona. Intravedeva ogni tanto il ciondolare delle sue gambe, lasciate a penzoli oltre i braccioli. Non c’era un minimo di grazia e compostezza nella posa del ragazzo ma essa contribuiva a sottolineare il clima di profonda familiarità che si respirava quella notte, in quella stanza. Il film non sortiva alcun effetto su di lui, il cui viso non trasmetteva alcuna emozione che non fosse l’apatia.
Poco prima che l’attore protagonista pronunciasse l’ultima battuta, Kentin sentì un peso morto crollare sulla sua spalla e, nuovamente, sussultò: Iris si era definitivamente addormentata. Mosse nervosamente il braccio, attirando l’attenzione di Erin, che gli sussurrò complice:
« Dorme? »
Il cadetto annuì, dopo aver esitato qualche secondo. Aveva sbirciato di traverso la rossa appoggiata su di lui, soffermandosi sulle labbra vermiglie e leggermente dischiuse. Era la prima volta che i due erano così vicini, tanto che potè notare il naso punteggiato di delicate e simpatiche lentiggini.
« Iris ha il sonno pesante » commentò Rosalya e, rivolgendosi al cadetto dichiarò: « la porti a dormire tu, Kentin? »
« I-io? » ripetè lui in difficoltà, indicando se stesso, mentre il battito cardiaco prendeva velocità.
« Pesa troppo per me » sorrise la stilista « io non riesco a sollevarla e di certo non voglio svegliarla »
Castiel a quel punto intervenne, ma solo per zittire quello scambio di battute che gli stava rovinando il finale del film.
« Vengo ad aiutarti » si offrì Erin, alzandosi dal divano. Kentin a sua volta la imitò, chinandosi poi verso Iris e prendendola di peso tra le braccia. Il suo corpo era decisamente leggero, specie per lui che durante l’addestramento militare aveva sollevato più volte i suoi compagni di oltre settantacinque chili. Seguì Erin lungo il corridoio dell’anticamera arrivando nella stanza delle tre ragazze.
« Questo è il suo letto » bisbigliò la ragazza indicando il singolo e, con una tenera premura, Kentin adagiò sulle lenzuola il fardello che aveva in custodia. Erin si curvò a slacciarle le scarpe e, mentre le sfilava dai piedi, spiegò:
« Iris non la svegli neanche con le cannonate. In gita quest’anno eravamo in stanza insieme e non si è accorta minimamente dello scherzo che io e Rosalya abbiamo giocato ad Ambra »
« Quello del rospo? »
« Esatto » sorrise lei, chiudendosi la porta della camera alle spalle, e tornando in salotto.
« Fatico quasi a crederci che tu abbia fatto una cosa del genere, Erin »
« Beh, diciamo che quando sono arrivata al liceo ero una persona un po’ diversa da ora » ammise l’altra divertita.
Quando tornarono davanti alla TV, i titoli di coda si stavano susseguendo in successione, su uno sfondo nero. Rosalya si stiracchiò verso l’alto, voltandosi verso il suo ragazzo. Gli appoggiò amorevolmente una mano sul petto, annunciandogli:
« Vado a nanna pure io, sto crollando di sonno »
Nathaniel le rispose con un bacio leggero, dopo averle augurato la buona notte. Mentre la stilista si allontanava con passo sinuoso, il rosso richiamò l’attenzione dell’ultima ragazza rimasta:
« E tu non hai sonno? »
Nonostante il tono neutro, quella domanda indispettì la ragazza, che borbottò:
« Mi stai cacciando per caso? Questa è casa mia, dopotutto »
Castiel sollevò per un attimo gli occhi al cielo e poi trangugiò quanto gli restava della sua birra in lattina.
« Non fare la polemica, altrimenti sembri la tua amichetta Rosalya…  non diventare come lei, sai? »
« E’ anche amica tua » obiettò Erin.
« Si rabbonirà ora che c’è qui Nathaniel… a proposito Nate, avete programmi per domani? » esclamò il ragazzo, saltando di palo in frasca. Si era messo seduto, recuperando un po’ di quella compostezza di cui era stato manchevole nelle ultime due ore e fissava con complicità il suo più caro amico:
« A me piacerebbe andare a fare un giro in centro! » si destò Erin, solleticata da quella domanda. Aveva uno sguardo eccitato, risvegliato dalla curiosità di esplorare quella capitale sconosciuta. Castiel però la ignorò, aspettando la risposta del biondo, replica che era destinata a deluderlo:
« Pensavo anche io di visitare un po’ la capitale » rispose tranquillamente Nathaniel, raccogliendo le lattine di birra rovesciate sul tavolino, impilandole ordinatamente. Era molto scrupoloso nel disporre quei recipienti di latta a formare un triangolo, come dei birilli in una pista da bowling.
« Niente mare? » domandò Castiel, palesemente contrariato.
« Stiamo qui una settimana, avremo diverse occasioni per stare in spiaggia » osservò Erin. Castiel tornò ad abbandonare pesantemente la schiena contro il divano e si estraniò dal gruppo, finchè Nathaniel, ignorando le lattine, commentò con un ghigno divertito:
« Conosco quello sguardo… »
« Io no » ammise Erin « che intendi? »
« Che a costo di andare al mare da solo, domani Castiel non verrà con noi » spiegò il biondo con un sorriso arrendevole.
« Naa, non sarà mica così asociale » obiettò la mora, cercando conferma nell’amico che, in tutta risposta mormorò:
« Non ti si può nascondere niente, Nate »
Tra i due amici ci fu uno scambio reciproco di sguardi, accompagnati da una smorfia complice. Entrambi sentivano la nostalgia di quei momenti, ma la distanza geografica imposta dall’esperienza in California del biondo aveva influito nel rallentare il loro processo di riappacificazione:
« E’ da sfigati andare in spiaggia da soli » s’intromise Kentin.
« Infatti pensavo venissi con me, Barbie » rispose placidamente Castiel, alzandosi pigramente dal divano. Quell’uscita lo colse impreparato, non aspettandosi una simile constatazione. Rimase inebetito nel fissare il rosso, mentre Erin interveniva:
« Vi prendo a calci tutti e due se non verrete con noi! E poi c’è la Spring Craft Beer Festival! »
« Che sarebbe? » s’interessò Castiel.
« Non so, ho solo visto il poster venendo qui dall’aeroporto… ma deve essere qualcosa di interessante »
« A te non piace bere… » obiettò il rosso « sei praticamente astemia »
« Questo non significa che non regga l’alcol »
« Sì, come quella sera al conc- » stava per rimbeccare l’altro, ma fu costretto a zittirsi. Non voleva rinvangare quanto accaduto l’ultima notte che aveva trascorso al liceo prima della sua partenza per Berlino. Era troppo imbarazzante per lui guardare in faccia la ragazza che aveva baciato e che nemmeno ricordava quell’episodio.
« Domani il tempo sarà nuvoloso » mediò Nathaniel « vi conviene venire con noi, e dopo domani torneremo tutti in spiaggia »
Castiel piegò di lato il collo indolenzito, distenendo i muscoli assopiti e si rassegnò ad accettare quella proposta. Discutere con Erin e Nathaniel era sempre stata una causa persa.
 
Il mattino successivo, Iris si alzò per prima, quando il sole stava ancora albeggiando. Una luce tenue rischiarava l’interno della stanza, colpendo il viso addormentato di Rosalya che, istintivamente, rotolò sull’altro fianco. Cercando di non svegliare le compagne di stanza, la rossa uscì furtiva, dirigendosi verso la cucina. Aveva riposato incredibilmente bene in quel letto sconosciuto, tuttavia non riusciva a ricordare come l’avesse raggiunto. Il suo ultimo ricordo della sera precedente, risaliva infatti alla visione del film, seduta accanto ad Erin e Kentin.
Per tutto il giorno, non aveva quasi parlato con il cadetto, in compenso aveva trascorso gran parte del pomeriggio in spiaggia con Dakota. La compagnia del surfista era piacevole, avendo scoperto in lui un fidato amico. Questo almeno era quanto pensava prima che i loro visi si trovassero pericolosamente vicini, mentre erano in acqua. Si reputava una ragazza ingenua, ma non al punto da non accorgersi che, se non fosse stato per l’arrivo di Nathaniel, lei non avrebbe avuto pretesti per sottrarsi a un innegabile bacio. Rivide davanti ai suoi occhi le labbra del ragazzo, così invitanti da mettere in dubbio la sua reazione: forse aveva reagito nel modo sbagliato.
Dakota era importante per lei, ma non riusciva a capire fino a che punto. Ripensò per l’ennesima volta alle sue amiche Erin e Rosalya e a come i loro occhi splendessero di una strana luce ogni volta che parlavano dei ragazzi di cui erano innamorate. Non riusciva a capire se quel trepidante bagliore si accendesse anche in lei e se i sentimenti che la legavano al bel surfista non fossero altro che l’anticamera di quello che poteva diventare un rapporto molto più profondo.
Avvertì un rumore sordo e si voltò di scatto verso la veranda. L’orologio a muro segnava le cinque e dieci del mattino, un orario decisamente inopportuno per una visita. Oltre la porta d’entrata, sentì dei passi furtivi, sospettosamente cadenzati. Pensò a uno scherzo dei ragazzi, così inspirò profondamente e si avvicinò titubante all’uscita, pronta a rimproverarli a dovere.
Quando però si trovò di fronte Kim, non riuscì a modulare il tono di voce per la sorpresa:
« KIM! »
« Shhh! » la rimproverò lei, mettendosi l’indice davanti alle labbra « sveglierai le altre! » le sussurrò.
La velocista si fece strada, entrando nell’open space con la stessa cautela con cui si era mossa all’esterno. I capelli erano in disordine, così come la sua t-shirt che era particolarmente sgualcita. Nel suo passo, solitamente sicuro e fiero, c’era qualcosa di malfermo e indeciso, che non poteva esser giustificato nemmeno dall’intento di non voler disturbare le coinquiline. Non aveva quasi degnato la rossa di uno sguardo, e continuava a intercedere insicura.
« Si può sapere dove sei stata? » le sussurrò Iris, confusa.
La vide irrigidire la schiena, come se una scarica elettrica l’avesse attraversata da parte a parte.
« D-da nessuna parte » borbottò, in preda all’imbarazzo più totale. Nonostante fosse scattata sulla difensiva, Kim non aveva l’espressione di qualcuno che cerca di nascondersi e celare la propria privacy; anziché rifugiarsi in camera, sostò in mezzo al salotto, come in attesa. Quel suo aspettare una controbattuta da parte di Iris testimoniava il suo desiderio recondito di incontrare qualcuno con cui condividere il turbinio di emozioni che le vorticavano nello stomaco.
« Sei stata fuori tutta la notte con Dajan! » concluse infine Iris, la cui voce uscì più acuta e stridula. Ricordava che i due avevano annunciato di fare una passeggiata dopo cena ma era sicura di non aver visto rientrare la compagna di classe.
« Shhh! » tornò a ripetere l’altra, questa volta tappando direttamente le labbra alla sua compagna di classe « non urlarlo ai quattro venti! »
Si trovò così due occhi increduli che la fissavano, aggravando ancora di più la sua disagevole posizione. Intuiva perfettamente i pensieri della sua interlocutrice, ma formularli ad alta voce si stava rivelando un’impresa ben più imbarazzante del previsto.
 
Iris si guardò attorno, cercando un viso familiare tra quella ventina di teste che rappresentavano i suoi nuovi compagni di classe. I suoi occhi superarono un gruppetto di ragazze dall’aria poco simpatica, capeggiate dall’inconfondibile Ambra Daniels e Charlotte Lucky che, disgraziatamente, erano sue compagne di classe sin dalle medie. Sperava che con il passaggio al liceo, le loro strade si dividessero, invece il destino aveva voluto tenerle ancora unite. I maschi apparivano indistintamente chiassosi e immaturi, specie quel Trevor, che teneva i piedi appoggiati sul banco, istruendo i presenti sulla tecnica migliore per rollare le sigarette.
Seduta in disparte, sul davanzale della finestra, era appollaiata una ragazza dall’atteggiamento composto e altero. Aveva dei lunghi capelli lisci, neri come la pece ma che al tocco apparivano morbidi. Non degnava di uno sguardo quanto la circondava, anche se nemmeno all’esterno sembra esserci qualcosa di interessante da osservare:
« Phoenix, è vero che sei la ragazza di Trevor? » le domandò un ragazzo con un tremendo sfogo di brufoli in faccia e i denti sporgenti.
La ragazza si voltò meccanicamente, come una bambola e, dopo aver lanciato un’occhiata glaciale al gruppetto, tornò a fissare l’esterno in silenzio.
« Eddai Kim! » la richiamò Trevor « reggimi il gioco! »
Lei continuò ad ignorarlo, così come i commenti che seguirono. Aveva altro per la testa, o meglio, in testa: i capelli. Erano fastidiosamente lunghi. Quella mattina a colazione l’aveva fatto notare a sua madre, che in risposta aveva replicato:
« E cosa vorresti fare? Tagliarli? »
Kim aveva scrollato le spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo ma la donna aveva cinguettato:
« Non se ne parla. I capelli sono parte del fascino di una donna. Sei più femminile con i capelli così, tesoro »
« Allora li taglio » mormorò Kim tra sé e sé.
« Come scusa? »
Si ridestò, accorgendosi della presenza di una sagoma accanto a lei. Si era lasciata sfuggire quel commento a voce alta, che era stato intercettato da Iris Levine, la sua nuova compagna di classe. La rossa la fissava con i suoi occhi chiari, colmi di curiosità e accoglienza.
« Non ho capito, scusami » ripetè Iris, convinta che la mora le avesse parlato.
Kim la squadrò da capo a piedi, senza muovere un muscolo del collo.
« Che vuoi? » esternò, dopo una sommaria analisi. Non intendeva risultare scorbutica, ma la dolcezza non era mai entrata nel suo vocabolario. Inoltre, non poteva negare che la presenza della ragazza fosse un’intrusione nella sua cerchia della felicità, ossia lo spazio vitale che si era costruita attorno a sé, al di fuori del quale dovevano sostare gli altri. Non sopportava di dover perdersi in inutili chiacchiere, specie con le ragazze, tipicamente frivole e subdole. Preferiva sì l’amicizia dei maschi ma, a parte Trevor, non poteva nemmeno vantare un nutrito gruppo di amici neanche tra gli esponenti del genere maschile.
« N-niente » balbettò Iris « ti avevo vista in disparte e pensavo… cioè… volevo presentarmi! »
« Iris Levine. So chi sei, c’è stato l’appello alla prima ora » replicò Kim, scivolando giù dal davanzale. Atterrò sulle punte, per poi mettersi eretta. Sovrastava la compagna di svariati centimetri, svettando con la sua longilinea figura.
« E tu sei Angela…? » cercò di ricordare la ragazza, aggrottando la fronte nello sforzo di indovinare.
Kim emise un suono metallico, come se fossero in un quiz televisivo e sentenziò:
« Risposta sbagliata. Kim »
« Ah scusa » ridacchiò Iris, seguendo la ragazza che si stava incamminando fino al suo banco.
Quest’ultima sospirò spazientita e sbottò:
« Intendi seguirmi tutto il giorno? »
Iris boccheggiò, ma ogni suo tentativo di replica venne interrotto dall’arrivo del professore. Con la coda tra le gambe, battè in ritirata, mentre Kim la fissava chiedendosi che problema avesse quella petulante ragazza.
 
Al cambio dell’ora successivo, Iris si impose di ignorare la compagna, mettendo a tacere l’istinto che le suggeriva di farle compagnia. Nessuna ragazza si avvicinava alla mora, che come nelle precedenti occasioni, non si era sforzata minimamente di interagire con gli altri. Iris non si considerava una persona particolarmente socievole o esuberante, eppure non sopportava di vedere le persone in solitudine. A seguito della deludente esperienza con Kim, tuttavia, fu costretta a soffocare questo suo istinto, anche se anni più tardi sarebbe tornato utile a quella che era destinata a diventare una delle sue più care amiche, Erin Travis.
Alla fine della terza ora, Ambra e Charlotte, seguito da un trio che a distanza di poche settimane si sarebbe estinto, si avvicinarono con un sorriso mellifluo alla mora.
« Ehi Phoenix » la salutò Ambra « hai dei capelli fa-vo-lo-si » squittì.
« Oggi li taglio di netto »
Quella battuta gelò le due che, nonostante la schietta onestà della ragazza, la interpretarono come un affronto.
« E’ proprio vero quello che si dice… sei solo una bisbetica asociale » malignò Ambra, allontanandosi indispettita, mentre Charlotte la seguiva.
Kim sgranò gli occhi, arrossendo confusa. La scena si era svolta in pochi secondi, senza quasi darle il tempo di metabolizzarla. Tutti avevano sentito l’ultima battuta di Ambra, poiché un inopportuno silenzio era calato proprio in quel momento. Sentì gli occhi di tutti focalizzarsi su di lei e, infastidita, scattò in piedi. Abbandonò l’aula senza emettere alcun suono, mentre attorno a lei il vocio si faceva più pressante.
Iris la guardò con apprensione e, dopo un attimo di indecisione, si risolse a seguirla. Ben presto si accorse di quanto fosse complicata la faccenda: la ragazza aveva una falcata veloce e scattante, tanto che la rossa dovette iniziare a correre per i corridoi per recuperare la distanza.
Per la fretta, sbattè contro un ragazzo che si rivelò uno di seconda F.
« Scusami, vado di fretta. Hai visto passare una ragazza di qui? » domandò Iris, senza prendere fiato.
« No, non mi pare » rispose l’altro guardando poi l’amico di colore accanto a lui « tu hai visto qualcuno, amico? »
« Forse è quella scheggia che andava verso la palestra » replicò il moro, con le mani affondate nelle tasche della felpa con la scritta NBA.
« Schianto? Che strano sentirti parlare così, Dajan! » esclamò l’amico sorpreso.
« Ho detto scheggia Liam! Scheggia! » scandì, arrossendo lievemente. Sorvolò sul fatto che, dopo averne incrociato per un attimo lo sguardo assassino, si era quasi spaventato. Quella matricola del primo anno doveva essere una tosta. Mentre i due discutevano, Iris li abbandonò e si precipitò verso la palestra. A causa del cambio dell’ora, il locale era deserto, così per la rossa fu ancora più facile notare che la porta aggettante verso la pista esterna fosse spalancata. Uscì con il fiatone e iniziò a guardarsi attorno. Perlustrò il cortile esterno ma, fatta eccezione per un paio di ragazzi intenti a fumare di nascosto, non trovò Kim. Si rassegnò così a tornare in classe ma, proprio mentre passava davanti al bagno, ne uscì la sua compagna di classe.
« Toh, guarda chi c’è » commentò la mora, tra il divertito e l’irritato.
« Dov’eri? » chiese stupidamente Iris, indagandone l’espressione.
« A fare la pipì? » replicò l’altra, deridendo la domanda che le era stata posta « dovevo aspettarti per farla insieme, per caso? »
Per la seconda volta, Iris si trovò a boccheggiare confusa, senza emettere un fonema distinto. Si sentì stupida per essersi preoccupata per lei che, per altro, si stava facendo beffe di lei.
« Pensavo che dopo quello che ti ha detto Ambra… » tentò.
« … fossi scoppiata in lacrime in qualche angolo? » completò Kim ridacchiando « si vede che non mi conosci bella, quel genere di tragedie di femminuccia non fanno per me » e si avviò per tornare in classe, lasciando la povera ragazza a fissarla in silenzio.
No, decisamente i melodrammi adolescenziali non facevano per lei. Detestava quel tipo di comportamenti e, per contro, ammirava quella capacità tipicamente maschile di sminuire e ridimensionare questioni che per le donne erano altrimenti importanti. Non sentì i passi della rossa, ma non volle voltarsi. Aveva un sorrisetto lusinghiero stampato in faccia e non riusciva a toglierselo. In fondo l’aveva intenerita la premura di quella stramba ragazza.
« Comunque Levine… » la chiamò dopo qualche passo « non devi preoccuparti per me. Sono fatta così, e non intendo cambiare… »
Quelle parole mortificarono Iris che si sentì ancora più fuori luogo e inopportuna, finchè Kim completò, con un sorriso gentile:
« … in ogni caso, grazie »
 
Dopo quel primo giorno di scuola, anche se le due ragazze non potevano definirsi amiche, si era instaurato un bel rapporto tra di loro. Iris era l’unico individuo di sesso femminile con cui Kim chiacchierasse volentieri, anche se gli interessi comuni erano davvero pochi. Tra questi, il totale disinteresse per i ragazzi, che nella velocista sforava in autentica insofferenza quando, a causa dei suoi successi sportivi e del suo aspetto, iniziò ad attirare l’attenzione di qualche studente. Non si faceva alcun riguardo a declinare brutalmente le avances e i relativi corteggiatori, assolutamente incapace di comprendere i sentimenti che spingevano a tanto.
« Non dico che l’amore non esiste… semplicemente che non farà mai per me »
 
« Avete dormito… insieme? » tentennò la rossa, avvicinandosi alla mora.
La notizia che stesse con Dajan aveva scosso le certezze di Iris che, nella velocista, aveva sempre visto il baluardo dell’indipendenza e del cinismo romantico. Kim stessa un giorno si era definita “la tomba dell’amore”.
Tuttavia, Iris ci aveva messo meno del previsto ad assimilare quella novità, imputandola al notevole cambiamento della compagna di classe negli ultimi mesi. Kim infatti era più sorridente, socievole e decisamente più felice. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, si notava un piccolo mutamento anche in fatto di look, altrimenti rappresentato solo da felpe e t-shirt. Cominciava quindi a mettere anche qualche maglioncino attillato, pantaloni che non fossero della tuta e persino un paio di stivaletti scamosciati bassi avevano calzato i piedi dell’atleta. Stare con Dajan l’aveva trasformata in meglio ma nessuno avrebbe mai immaginato fino a quel punto.
Seppur Kim la superasse di oltre sette centimetri, in quel momento la mora appariva piccina e indifesa, incurvata com’era nelle spalle. Continuava a evadere lo sguardo di Iris, mentre le labbra si imbiancavano per quanto le stringesse. Iris bofonchiò qualche sillaba sconnessa, infine esternò:
« E’ una cosa bellissima, Kim… sei diventata una donna »
A seguito di quella constatazione, riuscì a notare un accenno di sorriso sul volto della ragazza, i cui occhi si velarono di dolcezza:
« E’ stato così… tenero, Iris » mormorò, in imbarazzo.
In lei s’intuiva una lotta interiore tra l’urgenza di condividere con qualcuno la sua felicità e il senso del pudore che poneva un freno alla narrazione dei dettagli. Del resto, era un momento suo e di Dajan, qualcosa di estremamente personale e privato e non voleva banalizzarlo raccontandolo come un pettegolezzo succoso.
Erano usciti dall’acqua, rivestendosi in silenzio e senza guardarsi in faccia come due estranei. Da lontano, lui aveva notato le luci accese nei tre bungalow, deducendo l’impossibilità di avere quella privacy che desideravano così tanto. Si erano così seduti sul bordo di una barca arenata sulla spiaggia, ma dopo il loro bagno in mare, nessuno dei due era molto loquace quella sera. Kim si sentiva percorsa da brividi, ma non poteva imputare quelle sensazioni al freddo, poiché non ne sentiva affatto.
« E’ un posto fantastico » aveva commentato lui, rompendo il silenzio.
« Qualunque posto è fantastico, se ci sei tu » aveva mormorato lei. Quella frase era bastata per scatenare qualcosa nel suo ragazzo che, dapprima aveva cercato le sue labbra, poi le sue mani avevano iniziato a esplorare il suo corpo al di sotto della maglietta. Tra di loro c’era stato un fugace scambio di parole e sguardi che li aveva portati ad sedersi all’interno dell’imbarcazione, che quella notte sarebbe diventata il loro nido d’amore. Non c’era nessuno in spiaggia, solo loro due, distesi sul fondo e troppo presi l’uno dall’altra persino per preoccuparsi di eventuali spettatori. Dajan l’aveva aiutata a spogliarsi e quando la pelle nuda di Kim era entrata in contatto con il legno liscio della barca, aveva avvertito dei granelli di sabbia sfregare contro il suo corpo. Tuttavia, quella sensazione, altrimenti sgradevole, aveva incrementato il suo sadico piacere, soffiando sul fuoco che sentiva dentro.
Si era lasciata guidare da lui, che con qualche imbarazzo e molta premura, si era sincerato che lei non avesse cambiato idea. Era bastato un cenno, seguito da un tenero sorriso, e la ragazza che c’era prima aveva lasciato il posto ad una splendida donna.
« Kim? » la richiamò Iris.
La velocista sbattè le palpebre, tornando alla realtà. Non era più sulla spiaggia, abbracciata al suo ragazzo, addormentati sotto una luna luminosa. Era nella cucina del suo alloggio, con Iris che la fissava preoccupata:
« C’è qualcosa che non va? » domandò la rossa « mi sembri pensierosa… » e senza lasciare il tempo alla mora di giustificarsi, aggiunse « come se fossi… pentita »
Quell’osservazione la stupì, al punto da strapparle un sorriso confuso:
« Pentita? No, ma come ti viene in mente? »
« E’ che te ne stai zitta… stai con Dajan da sole due settimane, mi era venuto il dubbio che, sì insomma... avessi avuto dei ripensamenti »
Era vero. Lei e il capitano della Atlantic High School stavano insieme da appena due settimane, ma si amavano da molto più tempo.
Di poche cose Kim Phoenix era sicura in campo sentimentale, ed una di queste, era che non avrebbe mai amato un ragazzo più quanto amasse Dajan Brooks.
Iris continuava a fissarla in silenzio e Kim sapeva di non poter lasciare cadere quella conversazione senza averle spiegato realmente il suo punto di vista:
« Non rimpiango mai una cosa se quando l’ho fatta ero felice… e ieri è stata la notte più felice della mia vita »
Riprese a camminare, ma prima di appoggiare la mano sulla maniglia, Iris tornò a reclamare la sua attenzione:
« Kim, aspetta »
Appena si voltò, notò subito il leggero rossore alle gote della presidentessa del club di giardinaggio, mentre lei ora si sentiva più rilassata e serena. Aver raccontato a qualcuno l’accaduto di quella notte, l’aveva reso ancora più tangibile e reale e, ne era sempre più convinta, non avrebbe mai rimpianto nulla. Era come se, rispetto a pochi minuti prima, le parti si fossero invertite e ora fosse Iris a recitare il ruolo del personaggio in difficoltà.
« Posso chiederti una cosa? » proseguì la rossa, torturando nervosamente un lembo del pigiama.
Di fronte al cenno affermativo della velocista, proseguì:
« Come si fa a capire quando si è innamorati? »
C’era un che di surreale in quella situazione; mai in vita sua Iris avrebbe pensato di chiedere una simile spiegazione a Kim Phoenix. Quella domanda però, era la dimostrazione di quanto entrambe fosse cambiate, di quanto stessero crescendo e maturando.
Kim sbattè le palpebre in silenzio, grattandosi poi la tempia destra in difficoltà:
« Mah, non è difficile capirlo… »
« Tu come l’hai capito? Cioè, come hai capito che ti piaceva veramente Dajan? »
« Beh, il fatto che mi venisse una tachicardia assurda ogni volta che era nei paraggi era un indizio piuttosto ovvio »
« Tachicardia? »
« I battiti mi partivano a mille… e sì che io ho un cuore ben allenato. In realtà ancora adesso ci metto un po’ a normalizzarlo quando sono con lui » ridacchiò imbarazzata, grattandosi la nuca.
Aveva gli occhi lucidi e brillanti.
Iris aveva sempre pensato che Kim fosse bellissima, ma mai come quella mattina in cui vide in lei una dolcezza e tenerezza che non pensava le appartenessero.
La mora abbandonò la stanza, lasciando Iris ancora spiazzata a guardare quella compagna di classe in cui, a stento, riusciva a scorgere la miglior velocista del liceo, asociale e schiva.
 
« Erin! Andiamo in quella boutique! »
Rosalya strattonò violentemente l’amica verso una vetrina di vestiti anni cinquanta, senza lasciarle il tempo di protestare o esprimere una qualche preferenza. Nonostante le sue speranze, il gruppo di amici si era diviso molto prima, data l’impossibilità di accontentare le richieste di tutti.
Avevano scoperto che il festival della birra si sarebbe svolto in una data diversa da quella ricordata da Erin, costringendo tutti a cambiare programmi. Fu così che lei si era sacrificata come compagna di shopping per la stilista, che nemmeno in Nathaniel aveva trovato un appoggio.
« Da quant’è che non facciamo compere insieme, io e te? » aveva squittito.
« Dallo scorso weekend » aveva risposto la mora con scarso entusiasmo.
 
« Per fortuna che c’eri anche tu, Kentin… altrimenti sarei dovuto venire da solo qui »
Il cadetto rimase in silenzio, mentre Nathaniel passava al quadro successivo.
Quando il biondo aveva proposto la visita al National Art Gallery dell’isola, la squadra di basket si era dileguata all’istante, muovendosi come una mandria di bisonti. Trevor aveva prima tentato di barattare la proposta per il museo dei pirati, ma di fronte alla ferma intenzione dell’ex segretario del liceo di intrattenersi con una visita artistica, i ragazzi si erano mobilitati in massa verso il Pirates of Nassau Museum. Rosalya aveva arricciato il naso, sbuffando per l’iniziativa proposta dal suo ragazzo e, senza tante cerimonie, gli aveva annunciato la sua intenzione di cercare altre attività ben più ludiche e frivole.
« Adoro Rosalya, ma lo shopping con lei è devastante » aveva sorriso Nathaniel, che ricordava un pomeriggio trascorso insieme e San Francisco qualche settimana prima.
Kentin replicò con un sorriso incerto. Il ragazzo era molto spontaneo nel suo modo di atteggiarsi, come se fossero amici da sempre. Riusciva a farlo sentire a suo agio e, soprattutto, accettato.
Entrarono in una stanza con pareti tinteggiate di azzurro cielo e adornate di quadri ricchi di colore:
« Questo tipo di arte rappresenta la personalità del suo popolo » aveva commentato il militare, esaminando con attenzione i dettagli di un’opera policromatica « hai notato che usano spesso colori brillanti, vivaci e originali? »
Nathaniel annuì, soddisfatto di aver finalmente trovato un compagno con cui disquisire di una sua grande passione, l’arte. Senza accorgersene, iniziarono una conversazione che li accompagnò per tutte le sale. Dall’arte passarono a confrontarsi sulle loro esperienze, l’uno nel campus californiano, l’altro all’accademia militare. Nathaniel aveva un atteggiamento molto cortese e diplomatico nel porsi, che se da un lato ricordavano a Kentin lo stile di Lysandre, dall’altro era molto più spontaneo e meno artificioso. Scherzarono insieme, risero l’uno alla battuta dell’altro, trovando tra gli argomenti di conversazione, la loro comune conoscenza con Castiel:
« Se non altro non è andato in spiaggia da solo »
« Già » sospirò Nathaniel « ma a volte è così testardo che ero convinto che l’avrebbe fatto. Eppure, anche se in generale ha un carattere scontroso, ho sempre invidiato la facilità con cui si relaziona agli altri »
Kentin sorrise, superando una statua in bronzo che non degnò di uno sguardo.
« Capisco cosa intendi. Lui ha un modo molto diretto di rivolgersi agli altri. All’inizio ti spiazza, ma quando impari a conoscerlo lo apprezzi proprio per la sua schiettezza. In qualche modo porta le persone a fidarsi di lui »
Il biondo ghignò soddisfatto e, sorpassandolo, commentò:
« Certo che con tutto quello che litigate voi due, non avrei mai sospettato che avessi una simile opinione di lui »
Kentin rimase spiazzato e in imbarazzo, incapace di replicare. Si era lasciato trasportare dalla stima che nel profondo covava per il rosso, ma che non aveva mai pensato di condividere con qualcuno.
« Comunque tranquillo… non glielo dirò… anche perché conoscendolo, si gonfierebbe come un tacchino » scherzò il biondo, con un sorriso complice.
 
« Ti stai annoiando? »
Iris sgranò gli occhi, intercettando l’occhiata premurosa di Dakota. Aveva ancora la mano davanti alla bocca in un tentativo mal celato di nascondere uno sbadiglio, ma era stata colta in flagrante.
« N-no » mentì, sporgendosi ad osservare con recitato interesse delle tavole da surf tirate a lucido. Dakota sorrise comprensivo e, spingendola dolcemente via dal negozio, esclamò:
« Scusami. E’ che quando si parla di surf non ci capisco più nulla. Andiamo a mangiare qualcosa? »
La rossa sorrise di rimando, sollevata di aver guadagnato il permesso di uscire.
« Ho proprio voglia di pizza »
 
Kim si distese sul letto, inarcando poi la schiena come un gatto. Il bungalow era rimasto deserto, dopo che lei aveva esortato le compagne a lasciarla riposare. In quella barca dove avevano trascorso la notte lei e Dajan, il ragazzo era crollato quasi subito nel sonno, mentre lei aveva passato buona parte del tempo a fissare il cielo, avvolta nell’abbraccio del ragazzo.
Nonostante il sonno arretrato, non si sentiva stanca, quando piuttosto indolenzita. Si mise in piedi, avvertendo un dolore all’inguine, ennesima riprova che poche ore prima aveva davvero donato tutta se stessa al ragazzo che amava. Essendo la sua prima volta, l’ansia le aveva impedito di godersi appieno quel momento, ma la dolcezza e la premura con cui Dajan si muoveva su di lei, le avevano scaldato il cuore. L’aveva risvegliato quando il sole aveva iniziato ad albeggiare e insieme avevano deciso di tornare ai rispettivi dormitori, approfittando di un orario in cui non avrebbero incrociato nessuno dei loro amici. Tuttavia, Kim si era imbattuta in Iris che non aveva celato la sorpresa nell’apprendere quanto fosse accaduto. Doveva contare sulla sua discrezione, e sperare che non andasse a spiattellarlo alle sue amiche, ma conosceva abbastanza la rossa da sapere di essersi confidata con la persona giusta. Si spostò in cucina, quando intravide dalla finestra una sagoma familiare. Sorrise, aprendo la porta ancora in pigiama:
« ‘Giorno » le sorrise Dajan.
A sua volta le labbra della velocista si piegarono in un sorriso candido, mentre lui si chinava a spegnerlo con un bacio.
« Sapevo che non saresti andata con gli altri » commentò entrando nell’open space.
« Nemmeno tu, a quanto pare »
Dajan si portò accanto ai fornelli e aprì una delle mensole poste in alto.
« Caffè? » le domandò.
La mora annuì e, con la naturalezza di chi si conosce da sempre, iniziarono a chiacchierare e allestire una ricca colazione. Anche se nessuno dei due l’aveva esplicitamente ammesso, quanto era accaduto quella notte aveva portato la loro relazione su un altro piano, molto più intimo e solido.
 
« Uno spettacolo pirotecnico? » farfugliò Wes con la bocca piena.
« Sì! » esclamò Paula, esibendo il volantino che le era stato consegnato mentre passeggiava per la città con Steve.
« Sarebbe il giorno prima della partenza » osservò Kentin.
« Allora è perfetto! » squittì Erin « è un’attività tranquilla »
« Io volevo ubriacarmi » si lagnò Wes, la cui lamentela però non venne accolta dai presenti.
« Andiamo fuori a bere questa sera e domani, direi che è più che sufficiente » asserì Rosalya, le cui parole erano legge, specie per il cestista.
Dopo aver trascorso la mattinata frammentati in varie zone dell’isola, i ragazzi si erano tutti riuniti per cena, questa volta nel bungalow di Dajan e gli altri. Avevano in programma di uscire dopo le dieci, per esplorare la vita notturna della città, che si preannunciava dinamica e movimentata.
« Dov’è che lo fanno? » s’incuriosì Nathaniel, allungando verso di sé il volantino.
« Sulla spiaggia, vicino a quella foresta che abbiamo visto ieri quando siamo andati a fare due passi » illustrò Paula, indicando un punto imprecisato dietro le spalle del biondo.
« Ok andata » tagliò corto Castiel trangugiando d’un fiato quello che restava della lattina che dondolava tra le mani « invece chi è che viene domani a fare l’immersione? »
A quelle parole gli occhi di Rosalya si sgranarono:
« Quella con gli squali? » chiese retorica « è fuori discussione! È da incoscienti »
« Il fatto che tu sia una cagasotto, non significa che lo stiamo tutti » la schernì il rosso, con un sorriso beffardo. Quella proposta era scaturita da un’idea di Dakota, che aveva aderito a quel viaggio promettendosi di vivere una simile esperienza.
« Allora vai pure, Cas, spero che la gabbia si rompa. Anche se compiango quel povero squalo che dovrà digerirti… sei piuttosto indigesto » velenò Rosalya, incrociando le braccia al petto.
Erin sollevò gli occhi al cielo divertita e s’intromise:
« Comunque io vengo »
Castiel rimase di sasso mentre l’amica scattò allarmata:
« Cosa? No, no, Cip! Assolutamente no! Non ti mando a nuotare con gli squali! »
La mora tenne per sé il commento, per quanto esagerato, che piuttosto di replicare un’altra devastante giornata di shopping, avrebbe preferito accarezzare uno di quei predatori.
« Coraggiosa la ragazza » commentò Trevor con ammirazione « verrò pure io »
« Allora quanti siamo? » riepilogò Dakota, contento di non essere lasciato solo a vivere quell’esperienza « io, Castiel, Erin, Trevor »
Si alzarono anche le mani di Wes e Nathaniel. Rosalya impallidì, afferrando il braccio del biondo.
« Stai scherzando, spero… »
Nathaniel scosse leggermente il capo, in segno di diniego.
« Eddai Rosa, sei una pigna in culo! » sbottò Castiel « sarà pur libero di fare quello che gli pare »
La stilista gonfiò le guance, inarcando le sopracciglia, furiosa. Il suo ragazzo non intervenne in sua difesa, lasciandole implicitamente intendere che la pensasse come il suo migliore amico.
« Fate come volete, vorrà dire che io ed Iris ce ne andremo in spiaggia da sole »
« Veramente… » titubò la rossa, mentre Rosalya si voltava di scatto. Gli occhi le si erano ridotti a due fessure, ma Iris proseguì, completando la frase con l’ovvia conclusione « pensavo di andare anche io »
Castiel sorrise vittorioso, mentre la stilista arricciava il naso.
Le due coppie del gruppo si sarebbe isolate per conto loro e lei di certo non intendeva fare da terzo incomodo, specie perché non aveva gran affinità con quei quattro. Le restava Kentin come unica opzione e quella constatazione la fece deglutire sconfitta.
Si alzò irritata, sbuffando come una bambina.
« Dove vai? » chiesero in coro Erin ed Iris.
« Sicuramente non a farmi sbranare da uno squalo, state pacifiche » sputò l’altra, camminando via indispettita. Nathaniel scosse il capo sorridendo rassegnato, ma proprio quando stava per alzarsi, Erin lo bloccò:
« Aspetta Nath, deve andare Castiel a parlarci »
Tutti si voltarono verso il rosso che, basito, sbottò:
« E io che c’entro? » farfugliò con la bocca piena di salatini.
« Sei tu che hai buttato benzina sul fuoco, perciò andrai a scusarti con lei » asserì Erin, perentoria.
« Non è colpa mia se Rosa è un’isterica di prima… e comunque, non ho nulla di cui scusarmi » precisò, deglutendo vistostamente.
La mora socchiuse gli occhi, ricordando per un istante il gelo che l’amica stilista evocava attorno a sé nei suoi momenti peggiori. Puntò i palmi sul tavolo, inclinando il busto verso il rosso:
« Lo sapevo: non sei abbastanza uomo da abbassarti a chiedere scusa ad una donna »
« Vuoi scommettere? » replicò l’altro di rimando, scattando a sua volta in piedi.
Abbandonò la stanza, uscendo sulla veranda e scendendo distrattamente gli scalini di legno.
Erin tornò a sedersi soddisfatta, mentre Trevor  ghignò, iniziando a sparecchiare la tavola:
« Black è rimasto il solito sempliciotto »
 
Rosalya continuava a camminare sulla sabbia, accelerando il passo man mano che sentiva avvicinarsi il suo inseguitore:
« Se sei venuto per parlarmi, non è aria, Nath »
« Fosse per me ne farei volentieri a meno » commentò invece la voce del rosso, che finalmente era riuscito ad accorciare la distanza. Sorpresa da quell’inconfondibile timbro, la stilista si voltò, trovandosi davanti l’espressione accigliata di Castiel.
« E tu che vuoi? Sei qui per scusarti? »
Quell’atteggiamento fiero lo urtò particolarmente, finendo per rimangiarsi la parola appena data:
« Col cazzo. Semmai sei tu quella che dovrebbe ammettere di essere una pazza infantile. Come faccia Nate a sopportarti proprio non lo capisco »
 
« Sei sicura che sia una buona idea mandare Castiel? » domandò Iris preoccupata « non è esattamente una persona diplomatica e paziente »
« Non preoccuparti, alla fine, per quanto si insultino, quei due fanno solo finta di odiarsi » esclamò Erin, versandosi un bicchiere di acqua frizzante.
 
« Non tutte le ragazze sono delle sante come la tua Erin… » lo rimbeccò Rosalya, mentre Castiel ignorava il tono derisorio con cui era stato pronunciato l’aggettivo possessivo « …e non che tu sia un gentleman, comunque » rincarnò la dose.
Il sopracciglio di Castiel vibrò visibilmente ma sapeva che se avesse perso definitivamente la pazienza, Erin non gliel’avrebbe perdonata facilmente.
« Senti White, tregua? Smettila di tenere il muso e torna di là con gli altri, altrimenti rovini la serata a tutti »
Ne guadagnò solo uno sguardo truce e una replica stizzita:
« E da quando in qua ti do retta, Black? »
Rosalya riprese a dirigersi verso il proprio bungalow, mentre Castiel cacciando un sospiro profondo, si rassegnò a seguirla.
« Ma che hai stasera? E poi sarei io la pigna in culo? » lo rimproverò lei. Il rosso allora emise un grugno spazientito e sbottò:
« Ok, ok, scusa va bene? »
La stilista tornò a voltarsi e questa volta lui vide sul suo bel visino un ghigno vittorioso e malizioso:
« Cos’era quella? Una sentita richiesta di perdono? » squittì, scivolando civettuola verso di lui.
La sua irritazione sembrava essersi volatilizzata all’istante, rimpiazzata da un inspiegabile buon umore. Per quanto il ragazzo fosse abituato agli atteggiamenti lunatici della stilista e delle sue repentine alterazioni d’animo, la scrutò con diffidenza e perplessità, indeciso se la sua missione si fosse realmente compiuta.
« E’ quello che ti pare, basta che domani vieni e la smetti di rompere le palle agli altri » grugnì.
Rosalya recuperò un’espressione seria e sentenziò:
« Te lo ripeto: non mi immergerò mai con gli squali, ma visto che ci tenete tanto, andate pure. Vorrà dire che farò da terzo incomodo alle due coppiette che rimarranno qui »
« Ti ricordo che c’è anche Affleck che rimane » puntualizzò Castiel.
Vide la stilista roteare gli occhi, sull’orlo di perdere nuovamente la pazienza. Il giorno successivo, Dakota ed Iris avrebbero trascorso la giornata insieme, mentre quell’altro babbeo non avrebbe mosso un dito. Non sapeva come interpretare quella scelta e l’unica motivazione che era disposta a perdonargli era una paura per gli squali, analoga alla propria.
« Solo una cosa, Black » asserì infine la stilista, portandosi le mani sui fianchi e guardando l’interlocutore dritto negli occhi « se succede qualcosa ad Erin, sappi che ti darò in pasto a quei pescioni »
Inizialmente perplesso per quell’uscita, il rosso replicò infine con un sorriso complice e, senza rendersi conto di quanto potessero essere compromettenti le sue parole, asserì:
« Come se permettessi a qualcuno di farle del male »
Questa volta toccò a Rosalya restarsene di stucco, mentre il ragazzo si allontanava soddisfatto. Non aveva ottenuto un bel niente da quella discussione, ma l’attaccamento e l’affetto che l’amica nutriva per la mora era sufficiente a ricordargli che, in fondo, Rosalya era pur sempre una ragazza in gamba.
 
Contro ogni previsione, Wes quella sera aveva fatto centro: era lui il ragazzo all’angolo del pub, impegnato a limonare con una perfetta sconosciuta. Parlando di centro, Dajan, Trevor, Steve e Kentin stavano giocando a freccette, gioco in cui l’ala grande si stava rivelando un vero e proprio asso:
« Questi sono dieci decimi su dieci di vista! » si pavoneggiava Trevor, inchinandosi teatralmente ad ogni vittoria. La sua vanità era tale che, più volte, gli amici erano stati sul punto di usarlo come bersaglio.
« Come mai Dajan non va domani? » stava chiedendo Paula a Kim.
« Mi ha detto che non gli interessano questo genere di cose… ma in realtà credo lo faccia per non escludermi. Calarmi in una gabbia in mezzo agli squali? E’ l’ultimo posto dove vorrei trovarmi »
« Per fortuna che in questo gruppo c’è gente sana di mente » commentò Rosalya, sorseggiando il suo cocktail. Quella frecciatina venne colta all’istante dalle sue due amiche, che si affrettarono a giustificarsi:
« Smettila Rosa, è un’attività che viene fatta in tutta sicurezza » esclamò Iris.
« E in ogni caso, non serve che ci insulti per celare la tua preoccupazione » la punzecchiò Erin.
La stilista, colta in flagrante, sorrise leggermente, rassegnandosi a lasciar cadere l’argomento. Svuotò il bicchiere e si affrettò a procurarsene un altro pronto sul tavolino. Quella sera ci stava andando giù pesante, ma del resto era sempre stata una buona bevitrice.
« Nathaniel e l’altro scemo dove sono? » domandò, districando un nodo sulle punte dei suoi lunghi capelli.
« Fuori a fumare, credo » ipotizzò Paula, sporgendosi a guardare all’esterno. Rosalya sollevò gli occhi al cielo, per poi sbuffare:
« Nath fuma troppo. Devo trovare un modo per farlo smettere »
« Lascialo fare, Rosa » patteggiò Erin « la salute è la sua »
L’amica la guardò poco convinta e, avvicinandosi a lei, le sussurrò in un orecchio:
« Vuoi farmi credere che non ti importi nulla del fatto che Castiel fumi come un turco? Non ti preoccupa che possa sviluppare un tumore al polmone? »
Erin aggrottò la fronte, incerta, mentre l’amica tornava a trangugiare alcol. Iris nel frattempo si stava guardando attorno, come in allerta:
« Che ti prende? » s’incuriosì Kim.
« Non vedo Dake. Era andato in bagno ma è da un po’ che è sparito… vado a cercarlo » si risolse, alzandosi dai divanetti in cui si erano accomodate. Quello fu solo il primo pretesto che portò allo scioglimento del gruppo: Dajan e Steve coinvolsero le rispettive ragazze a unirsi alla competizione di freccette, mentre Erin e Rosalya uscirono all’esterno. Quest’ultima aveva perso il conto di quanti cocktail avesse bevuto e aveva un sorriso ebete stampato in viso:
« Stai esagerando con l’alcol » la ammonì l’amica, che in passato aveva avuto modo di vederla ubriaca.
« Siamo qui apposta per bene, no? » si difese Rosalya, reclinando la testa all’indietro, in una grassa e inopportuna risata. Erin allora le strappò il bicchiere dalle mani e lo trangugiò d’un fiato. Era tremendamente forte, sentì la gola in fiamme e deglutì nello sforzo di attenuarne l’effetto.
« Ehi, quello era miooo » miagolò l’altra, in modo piuttosto infantile.
« Muoviti che usciamo » tagliò corto l’altra, spingendola via.
Quando uscirono però, trovarono un paio di ragazze impegnate a chiacchierare con i loro amici. Una aveva una cascata bellissima di capelli ricci e rossi, mentre l’altra ricordava vagamente Charlotte, la compagna di classe di Erin.
« Così siete del New Jersey » stava commentando la prima, arrotolando una ciocca attorno all’indice « noi della California »
« E allora tornateci di corsa »
Si voltarono tutti e quattro all’unisono, mentre Erin tratteneva l’amica per un braccio:
« E tu che vuoi? » sbottò la rossa.
« Calma Rosa, stanno solo parlando » cercò di sedarla la mora, ma l’altra sbottò:
« Si dà il caso che sia la sua ragazza, stupida oca »
La rivale si indispettì ma proprio quando stava per montare su tutte le furie, Erin intervenne nuovamente:
« Scusala, ma è solo ubriaca… però che sia la sua ragazza è vero » precisò, indicando Nathaniel.
« Andiamocene, Brittany » la tirò via l’altra « non ne vale la pena »
Mentre le sue si allontanavano, Castiel si irritò con la stilista:
« Sei sempre la solita, Rosalya. Ti incazzi con niente »
« Ha solo bevuto troppo » convenne Nathaniel, portandosi accanto a lei.
« Tu stammi lontano, fedifrago »
« E’ stupefacente come si arricchisca il tuo vocabolario, quando alzi il gomito » le sorrise divertito e, dopo aver gettato il mozzicone di sigaretta, aggiunse « noi due torniamo dentro, voi che fate? »
« Andate, vi raggiungiamo dopo » rispose il rosso, includendo anche Erin.
Rimasti soli, calò il silenzio.
Erin sembrava assorta nei suoi pensieri, ma il suo sguardo era fisso sulla fiammella ardente del cilindro di tabacco.
« Sei loquace stasera » scherzò l’amico.
« Stavo pensando » mormorò con disincanto.
« A cosa? »
« Al fatto che dovresti smettere di fumare. Ti fa male »
Lui ghignò compiaciuto e replicò:
« Sono lusingato di essere al centro delle tue preoccupazioni, ma non sarai certo tu a dirmi cosa fare »
« Io però mi preoccupo »
« E allora preoccupati » semplificò l’altro, espirando una boccata di fumo.
Erin aggrottò la fronte, senza staccare lo sguardo dalla sigaretta. Rosalya aveva ragione, Castiel fumava troppo e la cosa iniziava a metterle una certa apprensione. In aggiunta, l’amico si faceva beffe della sua premura, aggiungendo alla sua ansia anche una crescente irritazione.
Fu per tale motivo che, improvvisamente, gli strappò il cilindro dalle labbra e se lo portò sulle proprie. Inspirò l’aroma, mentre lui rimaneva sconcertato da quel gesto:
« Ma che fai? »
« Fumo »
Un sorriso tirato allungò la bocca del ragazzo che esclamò:
« Questo lo vedo da solo… si può sapere che diavolo ti è preso? »
« Ho deciso che visto che ti piace tanto fumare, inizierò a farlo anche io »
« Stai scherzando… spero »
Il tono perentorio e la punta di allarme della sua voce confermarono a Erin di aver centrato il bersaglio. In aggiunta, ricevette quell’indiretta e gratificante conferma che l’amico, per quanto incurante della propria salute, si preoccupasse della sua.
« Perché? Non sarai certo tu a dirmi cosa fare » facendogli il verso per la sua recente battuta.
« Comunque quella è mia… » tentò di strappargliela l’altro.
« Allora te ne scrocco una nuova » replicò l’altra con candore, continuando ad aspirare il sapore di tabacco. Era solo la terza volta in vita sua che le capitava di fare qualche tiro, ma la naturalezza con cui compiva ogni gesto la faceva apparire un’esperta. Le sue iridi scintillavano vittoriose, nel contemplare la tangibile sconfitta del ragazzo.
Improvvisamente si sentì strappare il cilindro dalle labbra ma, anziché riportarselo in bocca, il rosso lo schiacciò contro il posacenere:
« Quanto ti ci metti, sei peggio di Rosa »
Erin ignorò quell’offesa, felice di aver vinto quella piccola battaglia in nome del bene dell’amico.
Lo seguì all’interno del locale, trotterellando soddisfatta.
 
« Sei sicura che non vuoi rientrare? » domandò Dakota, appoggiandosi al muro esterno.
Iris fece segno di diniego, sorridendo. Aveva trovato il ragazzo intento a leggere il regolamento per una gara di surf che si sarebbe tenuta due giorni dopo la loro partenza. Era talmente assorto nella lettura, che non l’aveva sentita quando lei l’aveva chiamato, cercando di attirare la sua attenzione.
« Quindi ci sarebbe questa gara di surf? »
« Già » confermò il ragazzo, gettando un’ultima occhiata al poster « è un grosso evento, richiamerà sicuramente alcuni dei migliori surfisti al mondo »
« Tipo questo Tom Curren? »
« Cosa? » quasi strillò Dakota, attirando l’attenzione di un paio di ragazzi « dove… »
« E’ scritto qui » indicò Iris « special guest: Tom Curren »
« Ci sarà Curren… » boccheggiò Dakota « non ci credo… »
Era la prima volta che Iris lo vedeva così entusiasta e contento. Quell’immagine la fece sorridere e anche arrossire.
Era un ragazzo molto carino, pieno di vita ed energia. Si trovò a chiedersi se, quella strana sensazione che sentiva in sua compagnia fosse sintomo che qualcosa stava scattando in lei.
« E’ mezz’ora che fissi questo poster, e non hai notato un simile dettaglio? » lo schernì.
Dakota però non si unì al suo entusiasmo e sospirò:
« E’ una gran figata, peccato che non potrò esserci »
Fu così che anche la gioia di Iris si spense. Aveva scordato il primo dettaglio di cui l’aveva messa al corrente il ragazzo: non poteva partecipare, poiché il giorno della gara era fissato dopo la loro dipartita.
« Ma Dake… è una manifestazione importante… e se… restassi qui un paio di giorni? »
« E il biglietto per il ritorno chi me lo paga? » chiese amaramente l’altro « se solo… » e in quel momento il ragazzo fu attraversato da un lampo.
« Noel… »
« Chi? »
« Noel! Avevo scordato che l’anno scorso ho conosciuto un ragazzo in California. Lui però vive qui e mi aveva invitato a stare da lui! Potrei contattarlo e sentire se può aiutarmi! »
« Oddio, sarebbe fantastico! » squittì Iris, applaudendo felice.
Il giovane surfista ispirò leggermente. In lui era appena germinata la speranza di realizzare uno dei suoi sogni: partecipare ad una gara importante di surf. Proprio quando si era rassegnato all’impossibilità di assecondare quell’occasione, era spuntata la possibile risposta al suo problema. A rendere il tutto ancora più magico, c’era la presenza di quella ragazza accanto a lui, con la sua dolcezza e tenerezza:
« Sapessi quanto mi piacerebbe saperti lì a fare il tifo per me » le sussurrò, guardando il poster.
Iris arrossì, abbassando lo sguardo.
Non poteva retrocedere ancora, doveva iniziare a fronteggiare le sue emozioni se voleva imparare ad interpretarle.
« Piacerebbe anche a me sostenerti » borbottò.
Nel suo campo visivo, oltre al suolo, entrò una mano abbronzata, che scivolò lungo il suo braccio. Sentì un brivido percorrerla da parte a parte e proprio quando stava per rialzare gli occhi, si sentì chiamare:
« Iris, io riaccompagno a casa Rosalya… è messa ma- »
Erin fu costretta a interrompersi, disorientata dall’impassibilità di Dakota. Il ragazzo infatti aveva uno sguardo freddo, al punto da insidiare in lei il dubbio di aver interrotto qualcosa, ma non riuscì a capire cosa pensasse Iris di quella sua intromissione.
« Che ha? » chiese la rossa.
« Ha bevuto troppo e ha finito per vomitare in bagno. Gli altri vogliono restare ancora »
« Tornate a casa da sole? » domandò Dakota.
« No, ci accompagnano Castiel, Nathaniel e Ken »
« Kentin? » puntualizzò Iris.
Erin vide chiaramente le sopracciglia bionde del surfista accigliarsi, scrutando di sfuggita la rossa.
« Sì, viene anche lui » mormorò Erin, sentendosi inspiegabilmente a disagio. Una piega amara delineò le labbra di Iris mentre osservava la sua amica.
« Capisco » commentò semplicemente « allora non avete bisogno di me, immagino »
La mora si chiese se avesse in qualche modo fatto un torto all’amica, ma non riuscì a darsi una risposta valida. Preferì non indagare ulteriormente, spinta principalmente dall’urgenza di soccorrere Rosalya, così salutò la coppia e si congedò.
Poco dopo passò loro davanti, trascinando via la stilista che, con passo barcollante, emetteva versi lamentosi. Dietro di loro, facevano seguito i tre ragazzi, impegnati in una conversazione. Nathaniel e Castiel salutarono Iris e Dakota con un cenno, mentre Kentin li degnò appena di un’occhiata.
Da quanto Erin li aveva interrotti, tra la rossa e il biondo non vi era stato alcuno scambio di battute, soppiantato da un disagevole silenzio. Iris infatti sembrava assorta nei suoi pensieri e proprio quando il ragazzo si stava convincendo che non l’avrebbe spezzato, lei mormorò:
« Secondo te, a Kentin piace Erin? »
Era un chiodo fisso. Per quante smentite le sembrasse di aver ricevuto, non riusciva a sradicare quel tarlo dalla sua mente. Erin era una bella ragazza, determinata ma anche gentile e sensibile. Per Iris era naturale interpretare la conflittualità nel rapporto di Kentin e Castiel come una sorta di rivalità per la mora. Non che lei fosse convinta che il rosso ne fosse innamorato, ma aveva saputo che alle medie il cadetto si era invaghito dell’amica; quando quel genere di osservazioni occupavano la sua mente, si sentiva improvvisamente triste e, per quanto bene volesse ad Erin, non riusciva a non detestarla un pochino. Si odiava per quei cattivi pensieri, ma erano più forti di lei.
« E se anche fosse? » rispose Dakota.
Notando il turbamento della ragazza, il suo sguardo si infastidì ulteriormente:
« Probabilmente è così visto che Erin mi sembra decisamente il suo tipo »
 
« M-ma io ero convinta che fossi tu a non ricordarti di me » commentò Iris, presa in contropiede.
Dentro di sé sentiva crescere un’eccessiva gioia, mista a sollievo: non aveva rimosso il loro primo incontro dalla sua memoria. Anche il ragazzo era rimasto alquanto sbigottito da quella confessione.

« Beh » convenne lui con un sorriso dolcissimo « non sei una che si dimentica facilmente » e, dopo aver pronunciato quella verità, si fece prendere dall’imbarazzo e accelerò il passo; decisamente, si era spinto oltre l’audacia consentitagli dalla sua personalità.
 
Lei gli aveva pure creduto, ingenua qual era. Eppure, Kentin non aveva fatto altro che manifestare un moderato interesse verso di lei, quando invece con Erin sembrava aver instaurato un rapporto ben più profondo, fatto di complicità e allegria, come il pomeriggio precedente in spiaggia. Ogni volta che Iris si convinceva di aver fatto qualche progresso, bastava un’inezia a farle dubitare di sé.
Dakota stesso le stava confermando i suoi timori.
« Torniamo dagli altri »
Il ragazzo si era avviato verso l’interno del locale, dandole le spalle. A quel punto Iris non poteva più fingere di non vedere le attenzioni di Dakota, la sua dolcezza nel relazionarsi a lei. Quell’atteggiamento, che prima la metteva a disagio, iniziava a lusingarla, facendola sentire apprezzata come mai prima. Era confusa, tra la natura delle sensazioni che provava accanto a lui e la capacità che aveva Kentin, con la sua sola presenza, di mettere in discussione ogni sua vacillante certezza.
Si limitò a seguire il surfista, sentendosi tanto in colpa quanto incapace di rimediare.
 
Dopo aver messo a letto Rosalya e salutato Erin, i tre ragazzi si avviarono verso il loro bungalow.
Mentre Kentin era sotto la doccia, Castiel si trovò a rispondere ad una mail di Ace, che non sentiva da un paio di settimane. Il chitarrista dei Tenia era sicuramente il membro della band con cui aveva legato di più, un po’ per il suo carattere socievole e solare, un po’ per la disgrazia di aver condiviso la stanza in quei due mesi e mezzo a Berlino. A volte, il rosso sentiva la nostalgia dei discorsi insensati del ragazzo, che ritardavano il suo addormentarsi, così come avrebbe voluto ascoltare nuovamente la voce chiassosa di Chester, il silenzio di Jun e i borbottii infastiditi di Damien.
« Me li presenterai un giorno, questi Tenia? » gli domandò Nathaniel sedendosi pesantemente sul letto.
« Un giorno » ripetè il ragazzo « ora sono troppi presi dall’album »
« Ace ti ha raccontato qualcosa di particolare? »
« A parte mandarmi a cagare perché me ne sono andato lasciandogli un sacco di canzoni e quindi un botto di lavoro, no… »
L’amico sorrise, intuendo dietro quel tono piatto, un sentimentalismo celato. Stava per chiedergli appunto se sentisse la mancanza di quel periodo trascorso in Germania, quando Castiel esclamò:
« Comunque c’è una cosa di cui volevo parlarti di persona, Nate »
Il rosso aveva messo da parte il cellulare e si era appoggiato contro lo schienale del letto a castello:
« Si tratta della sorella di Erin »
Nathaniel sbattè le palpebre sorpreso dalla piega che aveva preso la conversazione e si allungò in avanti:
« Sophia? »
« Sì. Sai che mio padre l’ha operata a Natale, no? »
Il biondo annuì. Lui stesso aveva accompagnato Ambra in ospedale il giorno dell’intervento, una delicatissima operazione chirurgica.
« Quando Sophia si è voluta trasferire in California, mio padre le ha dato il contatto di un suo collega che lavora lì, a San Francisco, in modo che lei venga monitorata regolarmente, come previsto dalla prassi. Mi pare abbia detto dottor Chander o qualcosa del genere. Lui ha il compito di inoltrare a mio padre l’esito di ogni visita di controllo con Sophia, che viene fatta ogni settimana. Tuttavia, è da un mese che Sophia non si presenta allo studio del dottor Chander »
« Che cosa? » s’indispose il biondo.
« Così mio padre, che è tornato in Inghilterra mi ha chiesto di parlare con Erin, in modo che faccia ragionare sua sorella »
« Allora perché lo stai dicendo a me? »
« Perché Erin e sua sorella sono ai ferri corti e non ho nessuna intenzione di farla angosciare, più di quanto già non lo sia. Lei cerca di non darlo a vedere, ma sta soffrendo molto per questa situazione di stallo » dichiarò Castiel, incrociando le braccia al petto.
Appariva molto serio ma tranquillo, fino a quando Nathaniel non commentò:
« Allora dovrebbe mettere da parte l’orgoglio e cercare una riappacificazione con Sophia »
« Perché dovrebbe scusa? » si scaldò il rosso « sua sorella non le sta dicendo un cazzo di quello che sta combinando, pretende che Erin e la sua famiglia non si preoccupino ed Erin dovrebbe pure andarle incontro? »
Quasi rischiò di battere la testa contro la testiera del letto che lo sovrastava, tanto si era alterato.
« Magari Sophia ha le sue buone ragioni per tenerla fuori da questa storia » ipotizzò il biondo, fissandolo con determinazione. Castiel allora si alzò in piedi, avvicinandosi all’amico e fissandolo furente:
« Nate… tu sai qualcosa? »
Quello era uno scontro tra due personalità forti e autoritarie. Nessuno dei due sembrava vacillare, anzi, con il proseguire della discussione, si animavano sempre di più, scoprendo dei contrasti nei loro punti di vista che soffiavano su una crescente insofferenza e tensione.
« Le ho promesso che non ne avrei parlato con nessuno » puntualizzò Nathaniel, alzandosi a sua volta e camminando verso la finestra.
« Che cosa?! » s’infuriò ancora di più Castiel, alzando la voce.
« Calmati… »
« Col cazzo che mi calmo! C’è Erin che da mesi non sa dove sbattere la testa per capire cos’abbia sua sorella e tu te ne stai qui seduto, pacifico, a tutelare una verità che quella stronza vuole nascondere?! »
Quell’insulto fece scattare il biondo come una molla, trovandosi a pochi centimetri dal viso dell’amico:
« Modera i termini, Castiel. Non la conosci nemmeno! » gli alitò in faccia.
Rivide davanti ai suoi occhi quella ragazza ipocritamente forte e imprevedibilmente fragile, seduta sulla spiaggia. Seppur inizialmente anche lui ne avesse criticato l’atteggiamento, aveva imparato a rispettare i suoi spazi e i suoi tristi sorrisi:
 
« Allora perché non le racconti tutto? » puntualizzò Nathaniel confuso:
« Perché ora come ora, la paura di vederla soffrire, mi paralizza »
 
La mascella di Nathaniel era serrata e i muscoli in evidente contrazione. C’erano troppe cose che non sapeva, ma aveva comunque deciso di schierarsi dalla parte della rossa. Un po’ per solidarietà verso sua sorella Ambra, grande amica di Sophia e un po’ perché mosso da un cavalleresco senso del dovere, in quanto la ragazza era sola a combattere una battaglia di cui nessuno conosceva il nemico.
Per quanto si conoscessero da una vita però, Castiel non riusciva a capire la posizione del suo migliore amico. Per lui Erin era una priorità assoluta e chiunque potesse farla soffrire, meritava come minimo il suo disprezzo. Per questo motivo gli capitava di provare astio anche per sé stesso, quando con il suo atteggiamento acido cercava di allontanarla. Nathaniel lo fissava duro, senza battere ciglio, con una determinazione e rivalità che non gli leggeva in faccia da mesi:
« Non ti stai scaldando troppo per una ragazza con cui non stai neanche insieme? » lo provocò il rosso.
« Ironico, potrei dire lo stesso di te » smorzò la tensione Nathaniel con un ghigno beffardo e si allontanò, aumentando la loro distanza. Si avvicinò al comodino, dove impugnò un pacchetto di sigarette:
« Sophia è una ragazza estremamente fragile Cas, se la vedessi capiresti che non posso lasciarla sola… diventa sempre più vulnerabile giorno dopo giorno. Lei mi ha raccontato solo una minima parte della faccenda, quasi insignificante per la vostra ricerca. Le ho dato la mia parola che non ne avrei parlato con nessuno quindi, mi dispiace, ma devo rispettarla. Ho deciso di aiutarla perché se raggiungerà il suo obiettivo, potrà tornare da sua sorella »
« Allora dille che non è scontato che troverà Erin ad accoglierla a braccia aperte » tagliò corto il rosso e abbandonò la stanza, per non riversare nuovamente la sua frustrazione su quell’amicizia che ancora zoppicava a tornare salda come un tempo.
 
« Vuoi abbassarti, idiota? Non dovresti essere un esperto di mimetismo militare? »
« Se è per questo sono pure esperto di armi da fuoco, White… ne vuoi un assaggio? »
Rosalya sbuffò, raccogliendo una ciocca chiara che era sfuggita dal suo berretto da tennis. Kentin si sistemò gli occhiali da sole, accavallandoseli meglio sul naso.
« E comunque, io non ci volevo venire sia chiaro » sottolineò il cadetto.
« Sì sì certo » borbottò la stilista con non curanza « quindi in questo momento non ti interessa che Dake stia mettendo la mano sul culo di Iris? »
Lo sguardo del moro scattò guardingo in un punto più avanti, dove un gruppetto familiare stava attendendo l’ingresso all’acquario. Iris non era in compagnia di Dake, bensì di Erin e il surfista era impegnato a parlare con Castiel.
Notò accanto a sé il ghigno divertito di Rosalya e, nel tentare di cambiare argomento, domandò:
« Io comunque non ho capito perché li hai voluti seguire »
« Ancora lo chiedi? E per fortuna che sei lo studente con i voti più alti in 4^ C! Sono preoccupata Affleck, p-r-e-o-c-c-u-p-a-t-a » scandì infine.
« Ma se ti ho già detto che viene fatto tutto in sicurezza… »
« Lo sai quanto è grosso uno squalo bianco? »
« No, quanto? » ammise candidamente. Rosalya per un attimo esitò, poi riconobbe:
« Beh, in realtà nemmeno io, ma immagino sia proprio grosso! E ha dei denti paurosamente grandi! Il mese scorso una coppia che si era immersa con la gabbia è stata attaccata da uno di quei bestioni! »
« Dici sul serio? » sgranò gli occhi lui, credulone qual’era. La stilista si era inventata la notizia su due piedi, avendo la faccia tosta di riportargliela come autentica. Sperava che bastasse per farlo scattare e richiamare Iris a sé. Tuttavia il cadetto non prese alcuna iniziativa e, quando il gruppo di Erin e i suoi amici stava sparendo dalla loro vista, seguendo un addetto, domandò con ironia:
« E ora che si fa, comandante? La missione di spionaggio si interrompe qui? »
Una volta entrati nell’acquario, il gruppo avrebbe raggiunto una sezione esterna dove avrebbero trovata ormeggiata una barca predisposta per le immersioni. A bordo sarebbero saliti quindi solo gli interessati a quell’esperienza e il personale autorizzato.
« Non possiamo salire sulla barca » ragionò la stilista, corrucciando le labbra.
«Quindi tutto questo sforzo di camuffamento è stato inutile? »
« Ho sempre voluto cimentarmi in un inseguimento di nascosto! » squittì lei, levandosi il cappello e lasciando ricadere i lunghi capelli. Si era sinceramente divertita a seguire gli amici senza farsi scoprire, anche se il costante borbottio lagnoso del militare le aveva fatto perdere le staffe in più occasioni.
« E se anche ci salissimo di nascosto, sarebbe comunque inutile, perché non potremo fare nulla » osservò il militare.
« Come no? » lo contraddisse lei « se uno squalo attaccasse la gabbia di Nathaniel, Erin o Iris, ti butti in mare per fare da esca »
« Ah-ah simpatica »
Rosalya però non battè ciglio:
« Capito… vorrà dire che ti butterò dentro io con la forza »
 
Dopo aver indossato con difficoltà la muta da sub, Erin sentiva l’eccitazione a fior di pelle. Era persino riuscita a dimenticare l’atteggiamento silenzioso di Iris con cui quella mattina aveva faticato non poco ad instaurare un dialogo. Quel giorno poi, la sua amica non era l’unica strana, anche Castiel, Nathaniel e Dake sembravano insolitamente taciturni. I primi due si parlavano a stento, mentre il surfista era molto più schivo verso la rossa.
Uscì dallo spogliatoio, ciabattando verso il punto di attracco della barca. Iris era dietro di lei e si guardava attorno circospetta. La sua insicurezza intenerì l’amica, che si portò al suo fianco, sfiorandole il braccio:
« Ehi Iris, pronta? » le domandò con un sorriso incoraggiante.
Non sapeva cosa avesse la sua amica, ma non per questo l’avrebbe abbandonata. Dal canto suo, Iris non poteva tenere il muso ad Erin. Del resto la mora non aveva nessuna colpa di quella situazione e nemmeno Kentin, che era libero di innamorarsi di chi voleva. Era lei, Iris, a sbagliare, con le sue manie e insicurezze. Per tale motivo, annuì, mentre Erin proseguiva:
« Scendiamo insieme, ti va? »
« Ho detto a Dake che sarei scesa con lui »
« Oh… » commentò semplicemente Erin dispiaciuta. L’amica non aggiunse altro, nessuna parola di scusa o dispiacere, creando una fastidiosa tensione ed imbarazzo tra di loro. A salvarle, fu il chiassoso arrivo dei ragazzi che balzarono eccitati sull’imbarcazione predisposta.
Una volta assicuratisi di essere tutti presenti, i motori vennero accesi e il gruppo venne portato a svariati chilometri dalla costa. Dopo parecchi minuti in mare, durante i quali vennero illustrate le misure di sicurezza da adottare, la barca si fermò.
Era un punto in cui era nota la presenza di squali e per incrementare le possibilità di incontrare dei temibili predatori, vennero lanciate in mare delle esche.
Dakota, l’ideatore di quell’iniziativa, si propose come primo ad immergersi e, di conseguenza, Iris fu costretta a seguirlo.
Mentre la coppia era intenta a sistemarsi i boccagli e l’ossigeno, Erin sentì una figura portarsi accanto a lei- alzò lo sguardo e quando Castiel, quasi casualmente, borbottò:
« Ci immergiamo insieme, Cip », lei sussultò felice.
Quella sarebbe stata un’esperienza unica.
 
La gabbia d’acciaio era dotata di spesse ringhiere, inviolabili da qualsiasi forza vivente, per quanto brutale. Venne immersa in acqua, lasciando la parte superiore a pelo con la superficie dell’acqua. La grata soprastante venne aperta e tutti vennero invitati ad allontanarsi, eccetto i due prescelti. Dakota entrò con agilità, aiutando Iris nell’impresa. Le afferrò la mano, avvertendo un brivido attraversarlo da parte a parte. Iris era troppo tesa per gustarsi quel piccolo contatto: aveva il cuore in gola, ma era troppo tardi per tirarsi indietro. Se l’avesse fatto, se ne sarebbe pentita per tutta la vita.
Entrò completamente in acqua e, mentre i suoi piedi atterravano sul bordo inferiore della cella metallica, avvertì il tonfo sordo della grata che si chiudeva sopra le loro teste. La gabbia venne calata per circa tre metri sotto la superficie dell’acqua e, da quel momento, vennero cronometrati dieci minuti.
 
« E’ inutile che restiamo qui, Rosa » bofonchiava Kentin, seduto pigramente sul marciapiede « tanto vale che ce ne torniamo in spiaggia con Dajan e gli altri »
« Starei troppo in pena. Voglio essere qui appena tornano » ripetè l’altra, guardando con ansia l’entrata dell’acquario.
« Ok, allora io vado »
Si era curvato in avanti per alzarsi quando si sentì strattonare un braccio:
« E mi lasci qui da sola? Una ragazza affascinante e facile preda dell’interesse maschile come me? »
« Oh, ti basterà aprire bocca per allontanare ogni ragazzo »
Nonostante i buoni riflessi, Kentin non vide nemmeno il pugno che gli arrivò in testa. Oltre che acida, Rosalya era pure insospettabilmente forzuta.
 
Quando Iris si tolse la maschera, era bianca come un cencio. Le gambe le tremavano ma Erin, troppo eccitata, non se ne accorse e le andò incontro squittendo di trepidazione:
« Allora?! Come è andata? »
« Sì è spaventata » sorrise Dakota e, solo allora, la mora notò che il braccio del ragazzo cingeva le spalle della rossa. Era così protettivo quel gesto che persino lei ricevette parte di quel calore solo a guardarlo.
« Datti una mossa, Erin » la esortò Castiel, distraendola.
Finalmente era giunto il loro turno.
Diversamente da Iris, che aveva impiegato svariati secondi a calarsi nella gabbia, la mora si tuffò a peso morto, facendo sorridere i presenti per la sua audacia.
« Il boccaglio, stupida! » le urlò Castiel dalla barca. Lei infatti riemerse poco dopo ridendo, mentre il responsabile della sicurezza la rimproverava ed esortava il rosso a sbrigarsi in modo da chiudere la cella. Sembrava una bambina, tale era la sua impazienza, come se non avesse realizzato la pericolosità potenziale di quell’esperienza.
Si trovarono quindi immersi completamente in acqua mentre la gabbia scendeva più in profondità.
Una volta dischiuse le palpebre, Erin si trovò davanti una distesa celeste irrealmente uniforme, che la avvolgeva totalmente. Ne scaturì una splendida sensazione di leggerezza e pace, del tutto estranea al frastuono a cui era abituata dalla vita di tutti i giorni. Il mare blu, visto da sotto come lo vedevano i pesci suoi abitanti, era maestosamente immenso ed infinito.
Aveva persino dimenticato la presenza del suo migliore amico dietro di sé, tanto era estasiata da quell’esperienza. Era rimasta immobile, ad ammirare uno scenario che per qualche minuto non accennava a mutarsi.
Poi finalmente una sagoma lontana.
Contrariamente all’istinto di sopravvivenza, Erin si staccò dal centro della gabbia, per avvicinarsi alle grate e poter vedere meglio.
Con il passare dei secondi, i dettagli divennero sempre più distinti. L’animale aveva una corazza grigia sul dorso che si imbiancava nell’addome, giustificando l’origine del suo nome. Un’enorme pinna, terrore dei bagnati in superficie, svettava sulla groppa, mentre con le due laterali calibrava gli spostamenti.
Il mostro marino, diversamente dall’immaginario popolare fornito da certi film horror, sembrava incurante della presenza dei due spettatori e nuotava talmente tranquillo che Erin ne rimase affascinata. Non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quel magnifico esemplare di oltre cinque metri, così come non riusciva a staccare le mani saldamente ancorate alla ringhiera in acciaio.
Sobbalzò spaventata solo quando sentì una presa improvvisa trascinarla indietro e solo allora realizzò di non essere sola in quella gabbia. Oltre la maschera vide un’espressione accigliata, seguita da un gesticolare che, per quanto era concitato, risultava buffo. Vide Castiel indicarle lo squalo e poi mimare il gesto di un paio di pericolose fauci. Erin fece spallucce e tornò a fissare estasiata l’animale, portandosi nuovamente alla periferia della gabbia. Non le faceva paura, per quanto fosse irrazionale riconoscerlo. L’esemplare non manifestava alcun segno di irritazione o fastidio, nulla che lasciasse presagire un pericolo.
Era semplicemente magnifico osservarlo.
Si voltò verso Castiel, facendogli segno di avvicinarsi anche lui alle sbarre ma, evidentemente tra i due, in quella situazione lei era la più coraggiosa ed incosciente.
Perse la cognizione del tempo, immersa in quel silenzio assordante e con lo sguardo focalizzato sull’animale.
Ad un certo punto però, lo squalo si voltò verso di loro, puntando verso la gabbia.
Solo allora Erin si staccò da essa, indietreggiando di qualche passo. La belva era a pochi centimetri dalla gabbia e quando si scostò, Erin fissò quel paio d’occhi vitrei e neri. Le sembrava quasi che il suo sguardo annegasse in quei bulbi privi di fondo, come se le spaventose zanne o la mole impressionante fossero secondarie rispetto a quegli occhi agghiaccianti e spietati. Gli occhi di un predatore in cima alla catena alimentare.
Proprio quando si era convinta che l’eccitazione fosse stata rimpiazzata dalla paura, la gabbia venne sollevata, distraendola dall’animale che aveva catturato sua attenzione negli ultimi dieci minuti.
Una volta fuori dall’acqua, il suo corpo acquistò nuovamente peso ma, prima che gli addetti si assicurassero che fosse tutto a posto, sentì Castiel aggredirla:
« SEI UN’INCOSCIENTE! Cosa ti è venuto in mente di attaccarti così alla gabbia? »
Afferrò in malo modo l’asciugamano che gli stava allungando uno degli addetti e si allontanò verso la prua della barca, di pessimo umore.
Erin lo fissò stordita, ancora troppo emozionata da quanto aveva visto sott’acqua per metabolizzare la reazione del rosso. Anche i presenti erano rimasti alquanto spiazzati da quell’uscita, ma preferirono non immischiarsi.
mCosì, Mentre Trevor e Wes si preparavano per la loro immersione, lei lo raggiunse titubante, strizzando via l’acqua dai suoi lunghi capelli.
« Si può sapere che ti è preso? Non è successo nulla… » esordì. Lui si girò di scatto e sbottò nuovamente:
« Ti rendi conto che quello era uno squalo?! »
« Che spirito di osservazione, Cas » cercò di minimizzare lei.
« Non scherzare! Sto parlando seriamente! »
« Eravamo protetti dalla gabbia e comunque mi sono solo avvicinata alla grata, mica sono uscita »
« E ti dovrei fare un applauso quindi? »
Davvero non riusciva a capirlo. Eppure era tanto entusiasta quanto lei di quell’iniziativa.
« Ma si può sapere perché ti arrabbi così? Non ci ho mica messi in pericolo… »
« Lo sai quanto sono rapidi e scattanti sott’acqua quei bestioni? E tu ti vai a mettere con le mani fuori dalle sbarre? Ero preoccupato per te, stupida! »
Erin boccheggiò come un pesce, stupita, mentre lui sbuffava, grattandosi il capo in difficoltà. Tutta colpa di Rosalya che era riuscita a condizionarlo trasmettendogli parte delle sue paure. Appena aveva visto Erin sporgersi così tanto, un’inquietudine irrefrenabile l’aveva pervaso, ma il suo debole tentativo di metterla al sicuro era fallito miseramente.
Ora che era più lucido, si rese conto che, effettivamente, la mora aveva ragione e non aveva in alcun modo messo a repentaglio la sua incolumità. Forse, ciò che in fondo in fondo gli bruciava davvero, era ammettere che quella ragazza, sott’acqua, non avesse avuto bisogno di lui. Diversamente da Iris, non solo la mora non si era lasciata intimorire dallo squalo, ma ne aveva pure sfidato la possanza. Per quanto fosse patetico ammetterlo, avrebbe preferito vederla spaventata e alla ricerca della sua confortante presenza, in un abbraccio che non le avrebbe mai negato. Sarebbe stato un ottimo pretesto per stringerla a sé, senza compromettersi. Quell’amicizia tra di loro gli concedeva sì dei privilegi ma c’erano limiti oltre il quale non poteva sporgersi senza risultare ambiguo. Se di giocare a carte scoperte non se ne parlava, doveva rassegnarsi alle conseguenze della sua codardia in amore.
Sbuffò, infastidito dalle sue stesse riflessioni e si staccò dal bordo della barca. Si sarebbe riunito al resto di gruppo, dissimulando la sua preoccupazione e sdrammatizzando la sfrontata incoscienza di Erin.
Lei però non si era mossa di un passo, ancora colpita da quanto le aveva detto. Si era preoccupato per lei e l’aveva ammesso esplicitamente. Gliel’aveva praticamente urlato in faccia, trasmettendole quanto le fosse affezionato. Sapeva che, in quanto suo amico, quella premura poteva essere considerata normale, ma l’imbarazzo con cui un orgoglioso Castiel l’aveva ammesso, l’aveva lusingata.
Lo fissò avanzare di qualche passo poi, sorridendo, lo richiamò:
« Castiel, sai perché ero così tranquilla? »
Il rosso si voltò per un attimo, il tempo di vedere la tenerezza con cui lei concluse:
« Perché in quella gabbia c’eri tu con me »
E lui ci ricascava.
Era sempre così che finiva.
Per frasi del genere, lui si sentiva morire e rinascere allo stesso tempo e lei era l’unica ragazza che riuscisse a spiazzarlo con parole così dolcemente violenti.
 
Una volta tornati al punto di attracco, i ragazzi trovarono Rosalya e Kentin ad attenderli. La stilista gettò le braccia al collo di Erin ed Iris, sospirando sollevata. Ne monopolizzò l’attenzione, ignorando platealmente il suo ragazzo che, una volta tanto, protestò:
« Così impari a farmi preoccupare, scemo » lo liquidò lei, tornando a rivolgersi alle due.
Erin accettò di buon grado l’esuberanza dell’amica, poiché dopo la loro immersione, Castiel era diventato evasivo e laconico. Iris non aveva cambiato atteggiamento e di quel silenzio la mora iniziava ad infastidirsi. Se non fosse stato per Nathaniel, Trevor e Wes, il viaggio di ritorno sarebbe stato all’insegna del più completo disagio.
« Stasera restiamo a casa? » propose Rosalya « da quant’è che non ci facciamo una bella chiacchierata noi tre da sole? Come ai vecchi tempi? »
La mora sorrise. Un pigiama party era esattamente ciò di cui aveva bisogno per chiarire la situazione con Iris.
 
« Mica ho capito perché stamattina sei venuto anche tu a prenderci » esclamò Castiel, cambiandosi la maglietta.
« Rosalya quando ci si mette è un martello pneumatico. E’ venuta a buttarmi giù dal letto poco dopo che eravate partiti » si giustificò il cadetto, beatamente disteso sul letto. La brutalità con cui la stilista aveva fatto irruzione nella sua stanza l’avevano fatto sobbalzare. Inoltre lei non aveva manifestato alcun senso del pudore nel vederlo in boxer, commentando che là sotto non c’era nulla che non avesse già visto nel suo ragazzo.
Con l’arrivo di Nathaniel c’era stata una ridistribuzione delle stanze, che aveva fatto sì che il trio di amici si trovasse una camera con un letto a castello e un singolo. Tirando a sorte, quest’ultimo era toccato al biondo, Castiel il letto sotto e Kentin quello sopra.
« Comunque Black, perché è tutto il giorno che non parli con Erin, che ti ha fatto? »
« L’ho notato pure io » s’intromise Nathaniel, sfogliando distrattamente un libro.
Castiel si sdraiò più comodamente sul suo giaciglio, portando le mani dietro la nuca:
« Niente, sarà una vostra impressione »
Dall’alto gli arrivò una cuscinata violenta, a cui rispose calciando la rete del letto soprastante. Kentin sobbalzò, colto alla sprovvista, mentre il biondo sorrideva:
« Sembrate due ragazzini ad un campus estivo »
« Non contare balle, Castiel » tornava a riprenderlo il cadetto. Castiel si voltò di lato e si trovò davanti la testa del ragazzo che, come un pipistrello, era sottosopra.
« Sporgiti un altro po’, Affleck, così pianti il naso per terra… »
« Per tua informazione, ho un ottimo senso dell’equilibrio »
Quella boriosa constatazione era un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne. Castiel infatti si mosse di scatto, strattonando l’amico che iniziò a dondolare pericolosamente. Aggrappandosi al materasso, riuscì a restare sul proprio letto ma la paura che l’aveva pervaso lo fece andare su tutte le furie. Il rosso era scoppiato in una grassa risata, mentre Nathaniel, per la prima volta in vita sua, realizzò di aver perso quell’esclusività di cui era così fiero nel suo rapporto di amicizia con Castiel.
Il suo amico era cambiato, pur restando superficialmente scontroso e apparentemente arrogante: c’era qualcosa di diverso nel suo modo di comportarsi con gli altri, come se si fosse finalmente accorto di avere anche lui delle qualità che potevano essere apprezzate.
Prima tra tutte, quella capacità, che da sempre gli aveva invidiato, di crearsi delle amicizie con una naturalezza che rendevano quasi casuale l’instaurarsi di quei rapporti. Come quando aveva incrociato la prima volta Alexy nei corridoi, oppure quando era intervenuto a difendere Rosalya dal bulletto del secondo anno. Castiel era così: si dimostrava egocentrico e menefreghista, ma tra tutti i suoi amici, Nathaniel non avrebbe saputo trovarne uno più attento agli altri e leale di lui.
Il rosso non l’avrebbe mai ammesso ma, con il passare dei giorni, aveva intuito in Kentin una sorta di timida richiesta d’amicizia, ma per l’orgoglio di entrambe le parti, era più facile fingere di non sopportarsi e continuare a stuzzicarsi.  
 
Solo quando fu sicura che la spazzola avesse sciolto anche l’ultimo nodo, Rosalya intrecciò i lunghi capelli in una comoda treccia. Erin finì di spalmarsi la sua crema corpo preferita, mentre Iris si scioglieva i capelli:
« Io davvero Iris non capisco perché ti ostini ad intrecciare quei capelli » commentò Rosalya « stai benissimo con i capelli sciolti »
« Sono troppo abituata ad averceli sempre legati di giorno » fu la debole difesa della rossa « non mi ci vedo se li lascio andare dove vogliono »
La stilista scosse il capo, per nulla convinta:
« L’ultima sera, quando andremo allo spettacolo di fuochi d’artificio, li terrai sciolti. Non si discute »
« Lascia che faccia come crede, Rosa » intervenne Erin con accondiscendenza. Cercò lo sguardo dell’amica, che sorrise solo leggermente, come a disagio.
« Ora basta! » sbottò Rosalya « si può sapere che ti prende? » si arrabbiò con la rossa « è tutto il giorno che sei schiva con Erin! Che ti ha fatto? »
« N-niente » mentì, sentendosi avvampare.
« Iris, sul serio » mediò Erin, sedendosi sul letto della ragazza « se ti ho fatto qualcosa, dimmelo, giuro che qualsiasi cosa sia, non mi sono resa conto di averti offesa »
L’amica sospirò, sentendosi in colpa. La mora non meritava di restare in pena e l’unico modo per liberarsi di quella spiacevole situazione era ammettere quale fosse il problema:
« Non so, in questi giorni mi sento tutta sottosopra. Un attimo sono felice, quello dopo irritata. Non è colpa tua Erin, davvero. Sono io ad avere qualcosa che non va. Mi basta una sciocchezza, e mi sento infastidita »
« E qual è stata la sciocchezza di ieri? Perché è cambiato tutto da quando sono venuta a dirti che portavo a casa Rosalya »
Iris si grattò la fronte, in difficoltà. Doveva tirare in ballo Kentin, ma temeva che la stilista ne approfittasse per trarre conclusioni affrettate. Non era sicura di niente, visto che Dakota non le era assolutamente indifferente.
« Ieri Kentin ti ha accompagnata a casa » tentennò.
« Insieme a Castiel e Nathaniel… e comunque c’era anche Rosa » la corresse la mora. La stilista però sorrise teneramente e spiegò:
« No, Erin. Non hai capito: il punto è proprio Kentin »
La cestista aggrottò la fronte, mentre Iris abbassava il capo:
« Sei gelosa? M-ma Iris, non ne hai motivo! Sai che a me piace… » e dopo essere partita in quarta con la sua arringa difensiva, il tono di voce di Erin si abbassò drasticamente, imporporandole le guance « sì, insomma… tu sai chi »
« Infatti io credo che sia Kentin ad essere innamorato di te » le confessò la rossa.
Sentirono un tonfo e quando si voltarono verso Rosalya, la videro prendere a testate la parete in cartongesso.
« Seriamente, ma voi due avete fatto un corso in rimbambitologia per essere così tarde? Kentin innamorato di Erin? Ma scherziamo? Iris, sveglia! Tu piaci a Kentin! » esternò, battendo le mani.
« Non dire assurdità, Rosa » borbottò l’altra con convinzione.
Vide allora la sagoma della ragazza avvicinarsi minacciosa, incutendo un certo timore:
« Con Erin ci sto rinunciando perché è un caso perso, ma non abbandonerò anche te, Iris. Si vede lontano un miglio che siete fatti l’uno per l’altra »
« Ma se quasi non mi parla! Tranne alcuni casi, in cui non ha altra scelta, ma quando siamo insieme agli altri preferisce sempre evitarmi »
« Perché è timido! »
« Kentin non è timido » replicò la rossa.
« Invece sì, ma si da le arie da spocchioso per camuffarlo »
« Ragazze, abbassate i toni, Kim e Paula staranno dormendo » s’intromise Erin.
Iris incrociò le gambe sul letto, sbuffando:
« Mi dispiace Rosa, ma non riuscirai mai a convincermi di questo. E poi non sono sicura che a me piaccia lui »
Era la prima volta che le sue amiche la vedevano così risoluta e determinata. Quella situazione doveva premerle parecchio per essere così convinta della sua posizione.
« E allora genio, come spieghi il fatto che tu sia gelosa di Erin? » la stuzzicò beffarda Rosalya, incrociando vittorisoa le braccia al petto.
« Con il fatto che non lo sono più e che comunque Dake è dieci volte meglio di quel militare da strapazzo »
concluse l’altra. Era consapevole della debolezza di quelle ultime dichiarazioni, ma riusciva a palesare un atteggiamento fiero e combattivo.
« Oggi sei davvero sconclusionata, Iris » borbottò Rosalya con evidente perplessità.
Fu allora che Erin decise di mettere a tacere la discussione:
« Sentite, non vorrei litigare, l’unica cosa importante è che tu Iris non mi tenga il muso per una cosa non vera, a prescindere dal fatto che ti piaccia o meno Ken » e, prima che l’amica potesse replicare, aggiunse « e adesso, perché non ci racconti cosa è successo nella gabbia con Dake? »
 
I giorni successivi passarono senza evidenti scossoni.
Dajan e Kim iniziarono a staccarsi un po’, consapevoli di dover passare del tempo anche con i loro amici, mentre la coppia formata da Steve e Paula era molto più morbosa e appiccicosa. Le giornate al mare regalarono ai ragazzi delle invidiabili abbronzature, tranne Kentin, Iris e Rosalya, il cui fototipo era troppo basso per permettersi una dorata tintarella. Il cadetto inoltre, incapace di chiedere aiuto per mettersi la crema sulle spalle, ne aveva ricavato un’evidente scottatura, che solo a guardarla, faceva male. Per questo, in spiaggia teneva la maglietta solo fino al momento prima di fare il bagno. Erin, l’unica tra le ragazze che si sarebbe volentieri offerta per mettergli un po’ di protezione solare, si guardava bene dal farlo, nel timore di urtare Iris, anche se si era definita disinteressata al cadetto. Quest’ultima, aveva ripreso a parlarle come prima, anche perché si era convinta che con il moro avesse preso solo una grossa cantonata. Sì, le piacevano i ragazzi intellettuali, ma non nella misura di quanto odiasse i militari. Kentin inoltre non era premuroso come Dakota, che giorno dopo giorno la faceva sentire speciale, come Nathaniel con la sua Rosalya.
Esplorarono l’isola, concedendosi un giro in barca compreso nel loro pacchetto viaggio e visitarono l’arcipelago, soffermandosi sulle principali isole. Il gruppo era ormai affiatato e unito, radicando in tutti la consapevolezza che avrebbero ricordato quella parentesi alle Bahamas come una delle vacanze più belle ed emozionanti della loro vita.
 
Arrivò così l’ultima sera, tra la stanchezza che cominciava a farsi sentire e la trepidazione di godersi per l’ultima volta il cielo stellato di Nassau.
Dopo aver consumato una cena frugale, i ragazzi si erano recati in spiaggia, dove si sarebbero cimentati nell’accensione di un piccolo falò. Le ragazze si sarebbero volentieri unite, se non fosse stato per l’insistenza con cui Rosalya aveva praticamente imposto loro di seguirla in camera. Nonostante fosse in inferiorità numerica, la stilista era riuscita ad imporsi sulla volontà delle altre quattro, determinata a curare il loro look per quella sera. Non era stato facile convincere Kim a farsi truccare, ma facendo leva sul suo carattere autoritario, Rosalya era riuscita a spuntarla anche su di lei.
Erin rideva sotto i baffi, mentre le due ragazze più restie al restyling, Iris e Kim, sbuffavano sotto la mano esperta di Rosalya:
« Kim, tieni chiusi gli occhi, sennò non riesco a metterti l’eyeliner! »
« Ma se ti ho detto che non lo voglio! »
La stilista si fermò, sostando con il pennellino a mezz’aria e scrutando attentamente il visode alla sua modella:
« Hai ragione, anziché questo blu ti metterò un nero classico » replicò l’altra, travisando le parole della sua vittima « ehi Iris! Molla quell’elastico! Stasera niente treccia! » abbaiò poi, mentre la poverina abbassava titubante il suo fedele alleato.
« Rosa non dà tregua » ridacchiò Paula, sedendosi accanto ad Erin.
« Io ci sono già passata e so che in questi casi devi solo assecondarla »
L’eccessiva tranquillità della mora però sembrò urtare l’amica che si voltò di scatto.
« E tu che fai in pigiama? » la additò inorridita.
Erin abbassò lo sguardo verso il suo maglioncino grigio morbido.
« Io sono pronta, Rosa »
La vide alzare le mani al cielo, spazientita e dirigersi verso l’armadio. Tirò fuori un vestitino bianco dalla stoffa leggera, con una fantasia astratta. Arrivava fino alle ginocchia ed era senza spalline.
« Metti questo » le ordinò.
« Ma se si vede tutto sotto! » protestò Erin, passando una mano sotto la stoffa.
« Infatti cambiati quell’intimo osceno che starai sicuramente indossando, e metti il perizoma che ti ho regalato a Novembre »
« Stai scherzando… »
Rosalya abbandonò per la seconda volta la postazione di make up e si avvicinò minacciosa ad Erin:
« Seriamente, ho la faccia di una che scherza? »
 
Quando Kim individuò Dajan, lo trovò seduto attorno ad un fuoco che i ragazzi erano riusciti ad accendere poco prima. Si sentiva estremamente a disagio poiché sapeva che, così in tiro, lui non l’aveva mai vista. Sua madre l’aveva convinta a portarsi in vacanza i capi acquistati nel negozio della madre di Dajan e per quella sera, Kim aveva indossato lo stesso capo che il ragazzo le aveva visto addosso in camerino. I suoi occhi, già chiarissimi rispetto alla carnagione cioccolato, risaltavano ancora di più con l’uso sapiente del trucco operato da Rosalya.
« Ti hanno abbandonato a fare il guardiano del fuoco? » commentò lei con un sorrisetto nervoso. Il capitano della Atlantic fece per voltarsi divertito, ma quando fissò la sua ragazza, ogni parola gli morì in gola.
Kim quella sera era semplicemente bellissima.
 
Erin continuava a lisciarsi nervosamente l’abito, sperando in qualche modo di allungarne l’orlo. Borbottava frasi sconnesse, che Rosalya ignorava apertamente.
« Se lo tiri un altro po’, lo strapperai »
« Perché non posso metterci sotto un paio di leggins? E poi ho freddo! » protestò, gettando un’occhiata di traverso all’amica che, per quanto assurdo, era vestita ancora meno di lei.
« Ti ho concesso quel foulard, anche se non si abbina granchè »
« Allora, lo tolgo, contenta? Che altro vuoi adesso? » mugugnò, sfilandosi via dal collo quel fastidioso ed inutile drappo di stoffa. Non sapendo dove metterlo però, finì per annodarselo al polso, come fosse un vistosa bracciale.
«Tirarti una sberla se non chiudi quella bocca » sorrise cattiva Rosalya, mentre individuava il suo ragazzo « io vado da Nathaniel… è laggiù con Steve e Ken »
In quel momento Erin non potè far altro che rimpiangere il periodo, coincidente al suo arrivo al liceo, in cui vestiva con le larghe e informi felpe della sorella. Desiderò l’anonimato che quei capi potevano garantirle, oltre alla sicurezza di passare inosservata.
La stoffa leggiadra del vestito si gonfiava ad ogni passo, accarezzandole le gambe nude e lisce. Pur avanzando sulla sabbia, aveva un incedere elegante, tipico di un ex ballerina. Fu proprio per il candore dell’abito e il passo sicuro che Castiel, Trevor e Wes la notarono in lontananza, prima che lei potesse accorgersi dei loro sguardi:
« Ah però, hai capito la nostra tweener… » emise un fischio di apprezzamento l’ala grande. Il rosso invece era ammutolito, con la birra abbandonata lungo il fianco.
Quando la ragazza li raggiunse, nemmeno Wes fece mistero del suo gradimento, e rincarnò la dose:
« Perché Erin non vieni a fare gli allenamenti con questo vestito? »
«Ah-ah, simpatico » sdrammatizzò lei, mal celando l’imbarazzo. Gettò un’occhiata fugace a Castiel che, fatta eccezione per la giornata dell’immersione con gli squali, nei giorni a seguire era tornato a comportarsi normalmente.
Quella notte però aveva un’espressione indecifrabile, che lei non si prese la briga di interpretare, poiché intervenne la voce di Steve a distrarli.
« Cazzo! »
Videro il loro centro in mare, in perlustrazione del fondale. Era ad un paio di metri dalla battigia, sulla quale si trovava Paula.
« Che succede? » domandò Trevor.
« Stava facendo una foto al panorama, quando il cellulare gli è scivolato in acqua » spiegò la fidanzata.
« Non si vede un tubo con questo buio! » borbottò Steve in difficoltà.
« Deve essere lì dove ti è caduto, mica ha le pinne… » lo schernì Trevor.
« Perché non fai meno lo spiritoso e vieni ad aiutarmi? » lo rimbeccò il pivot. L’ala si guardò i jeans lunghi fino alle caviglie e sbuffò contrariato:
« Facile parlare per te che sei in bermuda: io poi dovrei andare a cambiarmi »
Anche Erin gettò un’occhiata fugace ai presenti: era l’unica con le gambe scoperte e, pertanto, la sola a poter soccorrere il compagno di squadra senza protestare. Si tolse le infradito, lasciandole sulla sabbia e accese la torcia del suo smartphone:
« Vengo ad aiutarti io, Ste! »
Zampettò prontamente in acqua, sotto lo sguardo divertito dei presenti, che sulla sua disponibilità potevano sempre contare.
« Ormai sarà bello che andato quel telefono… figurati se funziona ancora! » ragionò Wes, alzando la voce per farsi sentire dai due bagnanti.
« E’ un Nokia indistruttibile » replicò Steve fiducioso.
« Invece spero che non funzioni più, così finalmente te ne compri uno decente come tutte le persone normali! » quasi lo rimproverò Paula che, a causa del modello datato del suo ragazzo, non poteva usare applicazioni come Whatsapp per mettersi in contatto con lui.
« Lasciali perdere, Ste » sorrise Erin, rabbrividendo al contatto con l’acqua « ti è caduto qui? »
« Sì, ma anche se continuo a tastare il terreno, non sento nulla »
Lei fece sorvolare la luce proiettata dal suo telefono per illuminare il fondale, ma la vista confermò quanto il tatto aveva già esplorato.
« Forse le onde l’hanno spostato verso destra… » ipotizzò la mora, osservando la direzione del moto ondoso. Si spostò quindi lateralmente ma sentì subito qualcosa di viscido strofinarsi contro le sue gambe. Cacciò un urlo spaventato, che fece sobbalzare tutti:
« Che succede? » urlò Wes, mentre Erin, barcollando pericolosamente, perdeva l’equilibrio e si trovava con il sedere in acqua. Aveva avuto se non altro la prontezza di tendere verso l’alto il suo cellulare, impedendogli di bagnarsi.
Vide la sagoma di quello che sembrava un grosso pesce allontanarsi e scoppiò a ridere sollevata:
« Un pesce! Tutto ok » rispose alzandosi. La parte inferiore del vestito era zuppa d’acqua e quando Steve la aiutò a rialzarsi, avvertì quanto la stoffa si fosse appesantita. Nello spostare il piede sinistro, venne in contatto con un oggetto duro e squadrato, così ricacciò la mano in acqua ed esultò vittoriosa:
« Trovato! »
Steve uscì per primo, ansioso di verificare il funzionamento del suo cellulare, tra i sospiri di Paula che sperava di non vederlo accendersi mai più. Erin invece raggiunse Castiel e gli altri, strizzando la gonna dell’abito, che aderiva alla sua pelle in modo fastidioso.
Era strano che nessuno dei tre ragazzi esternasse alcun commento, specie considerata la caduta accidentale in mare.
« Vado a cambiarmi » annunciò, tra il mutismo dei presenti.
Con il senno di poi, Erin avrebbe solo dovuto sperare che quel silenzio si perpetuasse, ma ci pensò Trevor a interromperlo:
« Che peccato… » commentò deluso.
La mora aggrottò la fronte, voltandosi a guardarli e incrociò le occhiate maliziose del compagno di squadra che, unite a quelle di Wes, guardavano un punto più in basso rispetto al suo viso:
« Erin » spiegò estasiato quest’ultimo, che pareva quasi ipnotizzato tale era la fissità del suo sguardo « ti si vede il culo che è uno spettacolo per gli occhi »
Erin allora si voltò di scatto, notando quanto la trasparenza della stoffa fosse stata esaltata, mettendo chiaramente in risalto le sue forme. Il suo viso prese fuoco, mentre cercava di distogliere l’attenzione generale dal suo fondoschiena. Recuperò il foulard che aveva annodato attorno al polso e se lo avvolse attorno alla vita, assicurandosi che non scivolasse.
« Grazie Erin! » le urlò da distante Steve, che non aveva assistito allo scambio di battute « funziona ancora! »
Lei intanto si avviò verso i bungalow, che distavano un paio di chilometri dal punto di ritrovo. Se non altro quell’incidente le offriva l’occasione per cambiare outfit, optando per qualcosa che la facesse sentire più a suo agio. Inoltre, Rosalya non era riuscita ad imporsi nella scelta dell’intimo, altrimenti la sua situazione sarebbe stata ancora più imbarazzante. Così, al posto di un sexy perizoma, Erin si era tenuta le sue rassicuranti mutandine con una stampa infantile:
« Cip, aspetta, vengo con te » la richiamò una voce alle sue spalle.
Si voltò, e vide soggiungere Castiel, evidentemente infastidito.
« Guarda che posso tornare da sola »
« Riusciresti a cacciarti nei guai anche facendo tre passi… » borbottò l’altro.
Ancora a disagio per la scena di cui era stata da poco protagonista, Erin accelerò il passo, ansiosa di cambiarsi.
« Perché corri adesso? »
« Ho freddo e fretta »
Una felpa le arrivò da dietro, scompigliandole i capelli che con cura Rosalya le aveva messo in piega.
« Metti questa allora »
Afferrò l’indumento che il rosso le aveva lanciato, guardandolo confusa.
« La posso mettere? » domandò incredula.
« No, facci un origami… » replicò sarcastico.
Era parecchio scocciato, come se la figuraccia di poco prima fosse stato lui a farla. Erin invece pareva essersi già lasciata alle spalle parte dell’imbarazzo, arrossendo per la premura dell’amico.
« Grazie » gli sorrise, beandosi del tepore che le suscitò quella stoffa calda. Era troppo larga per lei, ma le piacque pensare che quello fosse una sorta di abbraccio da parte del rosso.
« Perché diavolo ti sei vestita così poco? » esclamò lui d’un tratto.
« Ordini superiori: mettersi contro Rosa in fatto di stile è un atto suicida »
Castiel scosse il capo, irritato e sbottò:
« Quindi preferisci beccarti un raffreddore, piuttosto che contraddirla »
« Prima di cadere in acqua non avevo freddo » mentì, solo per non dargliela vinta. Per quanto lei avesse cercato di ignorare il suo ingiustificato malumore, il ragazzo continuava a tenerle il muso:
« Tzè… non parliamone » farfugliò a denti stretti.
« Perché? Non ti sei mica fatto tu la figura di merda » sbottò lei a quel punto.
« Sta’ pur certa che per gli altri è stato un bello spettacolo, altro che figura di merda »
Erin arricciò le labbra.
Per gli altri.
Se prima si era imbarazzata per aver messo in evidenza le sue forme, in quel momento urtò la sua sensibilità il fatto che Castiel non si includesse nel gruppo.
« Mi scuso se per te non è stato un bel vedere » lo rimbeccò.
« Manco so cosa ci fosse da vedere… stavo guardando da tutt’altra parte e di certo non mi interessano le ragazzine »
La mora rispose con un dito medio alzato e, indispettita, aumentò ulteriormente la velocità. Quel genere di battute di Castiel la facevano sentire insicura e demolivano quel po’ di autostima che negli ultimi mesi stava cercando di edificare. D’accordo, sapeva di non essere una bomba sexy come Rosalya, ma un briciolo di apprezzamento estetico da parte del ragazzo che le piaceva così tanto, le avrebbe regalato un sorriso in più.
 
Nathaniel ravvivò il fuoco, spostando qualche legno e favorendone la combustione. Le scintille si levavano leggiadre nell’aria, stagliandosi contro il cielo ancora nero, senza stelle. Sembravano inseguirsi a vicenda, in una sorta di danza che le portava ad estinguersi.
Si erano tutti riuniti a scaldarsi un po’, visto che quella sera tirava un venticello leggero. Dakota aveva prestato ad Iris il suo giubbetto, così come Dajan con Kim. L’unica che resisteva stoicamente al freddo, era l’artefice di quella scelta di stile, Rosalya, che però era anche la più vicina al fuoco.
« Castiel ed Erin? » domandò Kentin.
« Dovrebbero arrivare a momenti, è da mezz’ora che sono spariti » calcolò Paula.
« Magari non tornano neanche più » malignò Wes, che era solito fare allusioni alla sfera sessuale.
« Tzè, magari… » esalò tra sé e sé la stilista, rassegnata all’impossibilità di quell’eventualità.
Dopo qualche minuto infatti la coppia si presentò all’appello. Erin teneva tra le mani alcune felpe, che distribuì alle sue amiche, trovando solo un po’ di resistenza in Rosalya.
Seduti attorno a quel confortante falò, il gruppo iniziò a chiacchierare e scherzare, ricordando le esperienze vissute in quei giorni, di cui già iniziavano ad avvertire la mancanza.
Le lattine di birra finirono ben presto, costringendo Steve e Dajan a tornare ai bungalow per fare rifornimento. Iris si era seduta accanto a Dakota ed Erin ma, seppur impegnata a parlare con loro, quella sera il suo sguardo cadeva inevitabilmente su Kentin, dalla parte opposta del cerchio che avevano formato. La luce del fuoco colorava la sua pelle conferendole una tonalità aranciata e calda, sulla quale talvolta si illuminava un sorriso tenero, quando era Nathaniel a interagire con lui. Viceversa, gli interventi di Castiel ne smorzavano la dolcezza, tirando fuori nel cadetto un carattere più deciso e chiassoso. C’era una bella complicità tra i tre, che sembrava essersi instaurata d’un tratto, nell’arco di quei cinque giorni lontano da casa. Si trovò a fissarlo con incantata tenerezza, mentre un leggero sorriso le distendeva le labbra.
« Iris? »
La rossa si ridestò, accorgendosi del tentativo del surfista di attirare la sua attenzione.
« Sì, scusa? Hai detto qualcosa? »
Dakota però spostò lo sguardo davanti a sé, inasprendolo non appena riuscì a mettere a fuoco la figura di Kentin.
« Che ne diresti se io e te andassimo a guardare il cielo da un’altra parte? » le propose.
« Dove? »
« Laggiù » indicò il biondo, in un punto alle spalle della ragazza, costringendola a voltarsi « ieri ho trovato una radura in mezzo a quegli alberi, rialzata di qualche metro. E’ un ottimo punto di osservazione »
« Non sarà pericoloso allontanarsi dagli altri? »
« Ci sono io con te » la rassicurò. Vide il cadetto guardare dalla sua parte, ma appena i loro occhi si incrociarono, Kentin spostò l’attenzione su Erin.
Quel gesto la urtò, così esclamò impulsivamente:
« D’accordo Dake, andiamo »
Vedendoli alzarsi, Rosalya domandò allarmata:
« E voi dove state andando? »
« A fare due passi » spiegò Dakota.
« Ma lo spettacolo inizierà a minuti » protestò Erin.
« Per vederlo ci basterà alzare la testa, no? »
« Ok… » farfugliò la ragazza, indugiando l’attenzione su Iris.
La sua amica, in quei giorni, era davvero strana.
 
Erano passati una ventina di minuti quando il primo botto annunciò l’inizio dello spettacolo pirotecnico. I fuochi d’artificio iniziarono a susseguirsi, in una danza di luci e scintille che incollarono i nasi degli spettatori al cielo. Fontane di brillanti stelle, fugaci apparizioni nella notte mantata di nero.
Su quella spiaggia non erano gli unici ad assistere a quell’affascinante intrattenimento. Coppie, famiglie, gruppi di amici: in molti avevano deciso di restare in spiaggia per apprezzare quell’evento.
Talvolta il boato era assordante ma alla vista, quello spettacolo era qualcosa di incredibilmente meraviglioso, la conclusione perfetta di una vacanza indimenticabile.
 
« Sei sicuro di ricordare il posto? Mi sembra una vita che camminiamo ed io mi sono già persa » disse Iris con apprensione. Si voltò indietro, osservando con titubanza le sagome nere degli alberi. Solo la luce della luna e dei fuochi che talvolta illuminavano il cielo le impedivano di inciampare negli arbusti.
« Tranquilla » la rassicurò Dakota « siamo quasi arrivati »
« Lo stai dicendo da dieci minuti » lo contraddisse lei, leggermente infastidita.
La nota di recriminazione infatti non sfuggì al surfista, che fu costretto a fermarsi.
« Ok, allora ci fermiamo qui? »
La rossa lo fissò perplessa, mentre lui tornava sui suoi passi, portandosi a pochi centimetri da lei.
« Non far finta di non capire… anche se mi piace quando fai l’ingenua »
Le accarezzò una guancia, mentre lei rabbrividiva. Eppure, riparata dalla felpa che le aveva portato Erin, non sentiva freddo.
« A-aspetta Dake, io voglio solo vedere i fuochi »
« Te li mostro io… i fuochi » le sussurrò lui, accarezzandole la schiena.
Quando sentì la sua mano abbassarsi fino al fondoschiena, la rossa lo spinse via.
« Ma che ti prende? »
« Non fare la preziosa, Iris! E’ tutta la settimana che mi provochi » insistette, riavvicinandosi a lei e azzerando la distanza. Nel suo alito, lei percepì un fastidioso odore di birra: ne aveva bevuta più del solito e lei non se ne era accorta.
« Cosa stai dicendo? » sbiancò lei « non è vero! Io… »
« Siamo venuti qui per stare un po’ da soli, no? E’ la nostra ultima sera a Nassau, non fare finta di non sapere come si concluderà la serata »
Iris indietreggiò, sconvolta.
In quello sguardo malizioso e astuto non riusciva più a riconoscere il ragazzo gentile e premuroso che in quei giorni le era stato accanto. Il Dake che aveva abbracciato non appena lo squalo si era portato a pochi centimetri dalla gabbia. Dov’era quella stupenda sensazione di protezione che aveva provato in quei logoranti dieci minuti sott’acqua? E perché solo allora realizzò di essersi tranquillizzata solo quando aveva finto che, in quella cella ci fosse qualcun altro ad abbracciarla? Il suo cervello l’aveva forzata a dimenticare che era con l’immagine di un paio di occhi smeraldo e dei capelli castani che aveva iniziato a sentirsi davvero al sicuro.
« Da un’ingenua come Erin potrei anche aspettarmelo, ma tu dovresti essere più sveglia, Iris. Finiamola con questo tira e molla » e le afferrò il braccio, tirandola a sé.
La baciò con forza, come desiderava fare da mesi, ma appena la sentì divincolarsi, si staccò, quel tanto che bastò alla rossa per assestargli una sberla in pieno viso.
« Che ti è preso? » lo accusò, mentre un senso di schiacciante impotenza si impadroniva di lei.
Si sentì improvvisamente sciocca, sbagliata, stupida, ingenua.
Aveva capito che Dakota fosse interessato a lei, ma l’aggressività con cui si era approcciato a lei non apparteneva al ragazzo che le ispirava quei teneri sentimenti.
Improvvisamente le sembrò di esser vissuta all’interno di una bolla di sapone, che filtrava ogni emozione in chiave infantile e disincantata. Ma tutta quell’innocenza che lei associava al suo rapporto con Dakota non esisteva, erano una ragazza e un ragazzo, da soli, in mezzo alla foresta e quest’ultimo non intendeva accontentarsi di un innocente bacio.
Ripensò a Kim, alla dolce espressione che aveva la mattina in cui le raccontò della sua prima volta con il ragazzo che amava. Anche Iris voleva sentirsi addosso quel sorriso, voleva che quel momento fosse speciale, che quando avesse deciso di fare il grande passo, nessun dubbio fosse legato ai suoi sentimenti per il compagno scelto.
Ma Dakota non era il ragazzo giusto.
Avrebbe dovuto capirlo prima, visto che ora le sembrava tutto così evidente e scontato.
Non lo era mai stato, lo sapeva sin dall’inizio ma con il tempo si era lasciata abbindolare dalla sua gentilezza. Ci era cascata, un po’ come Erin quando si era convinta di essere innamorata di Nathaniel.
Certo, per la sua debole autostima, i complimenti del surfista avevano fatto miracoli, facendola sentire così bene da confondere quel piacere con del romantico interesse.
No, non era Dakota il ragazzo che tormentava il suo cuore e quasi lo odiò per averle confuso ancora di più le idee con la sua solarità e gentilezza.
Dal canto suo, l’espressione del biondo cambiava di secondo in secondo, inasprendosi sempre di più tutti quei mesi a farle il filo per poi essere così sgarbatamente rifiutato.
Si sentì preso in giro, ingannato senza riuscire a capire se alla base vi fosse una certa civetteria o solo tanta ingenuità.
« Sei solo una ragazzina » sputò infine, ferito nell’orgoglio « non vali neanche una scopata »
Quell’ultima frase la mandò in pezzi.
Le lacrime a quel punto furono irrefrenabili ma, per non scoppiare a piangere davanti a lui, iniziò a correre via. Lui si pentì all’istante della sua ultima uscita, sapendo che a parlare era stata solo la rabbia così si affrettò a seguirla.
Ben presto però la perse di vista in quella radura buia e solitaria. Non sentiva neanche più il fruscio dei cespugli, e comunque il rumore dei fuochi d’artificio avrebbe coperto qualsiasi altro suono.
Iris era sparita.
 
« Che spettacolo bellissimo » commentò Erin, mentre Castiel e Kentin litigavano su come spegnere il fuoco.
« Buttiamoci sopra della sabbia, facciamo prima » sosteneva il rosso.
« L’acqua spegne il fuoco, non te l’hanno insegnato alle elementari? O pensavi solo ai pinguini? »
L’aneddoto della fissa del musicista per quegli uccelli era stato solo uno degli argomenti di conversazione della serata. I ragazzi avevano condiviso frammenti del loro passato, racconti che li avevano ulteriormente avvicinati gli uni agli altri. Era così emersa la fobia di Rosalya per gli squali, poiché da piccola aveva voluto vedere il film “Lo squalo” di Spielberg che l’aveva traumatizzata, oppure Trevor e il suo rapporto conflittuale con le cimici.
Seguì un boato ma, quando alzarono il capo, nessuno spettacolo di luci si materializzò alla loro vista.
« Sta arrivando un temporale » osservò Dajan, sbrigandosi a gettare un secchio d’acqua sulle braci ormai sopite.
« Iris e Dakota non sono ancora tornati » notò Erin, in ansia. Nell’ultima mezz’ora aveva continuato a guardarsi le spalle nel tentativo di vedere comparire la coppia. Aveva anche provato a scriverle un messaggio, ma non aveva ottenuto nessuna risposta. Rosalya le aveva detto di stare tranquilla e che probabilmente si stavano divertendo da qualche parte. Quella spiegazione però la metteva di pessimo umore, visto che non riusciva a capire quali pensieri balenassero nella mente della rossa, mentre Erin faticava a credere che un tipo pudico come Iris si lasciasse andare così facilmente.
Per entrambe, era inconcepibile che Iris si buttasse così facilmente tra le braccia di un ragazzo con cui non stava ancora insieme, ma di fronte alla durezza con cui avevano parlato del suo rapporto con Dakota, avevano deciso di rispettare le sue scelte. Così come non potevano imporle di stare con Kentin, non potevano tenerla lontana da Dakota.
Un fulmino accecante attraversò il cielo, seguito da un boato:
« Sbrighiamoci, altrimenti ci prenderemo una lavata » farfugliò Kentin.
Sin da quando Iris si era allontanata, era stata dura per lui non manifestare la sua tristezza. Era convinto che, se al posto suo ci fosse stato Castiel, non avrebbe mai permesso ad Erin di allontanarsi da sola con un altro. Ma lui non era Castiel, era solo un povero babbeo che ancora si lasciava condizionare dalle insicurezze del suo passato. Poteva essere cresciuto in altezza e aver messo su più massa muscolare, ma il cuore era rimasto lo stesso di qualche anno prima.
Il cuore di un codardo.
 
Dakota continuò a camminare, usando il cellulare come torcia. Era stato un’impresa orientarsi in quella radura e quando finalmente ne uscì, era fradicio di pioggia e sudore. Di Iris non c’era traccia e pregò che fosse stata più fortunata di lui, riuscendo a raggiungere i bungalow e mettersi al riparo.
Il suo cellulare vibrò ma quando lesse il messaggio sullo schermo, le sue speranze vennero infrante:
 
Da: Trevor
 
Dove siete finiti?

 
A quello ne seguirono altri tre, di Castiel, Rosalya e un terzo che non c’entrava nulla con il suo gruppo di amici. Era da parte di Noel, ma non era il momento per leggerlo. Iris non era ancora rientrata, il messaggio del cestista risaliva a pochi minuti prima.
Nella foresta i cellulari non prendevano e quindi anche la rossa era irraggiungibile.
Corse a perdifiato verso i bungalow, notando la luce accesa in quello delle ragazze.
Spalancò la porta, trovandovi all’interno Erin, Rosalya, Castiel, Nathaniel e Kentin.
« DAKE! » scattò la mora « finalmente! Eravamo preoccupati! »
Dopo appena un secondo però, si accorse di qualcosa che non andava: il ragazzo era fradicio, sporco di fango ai piedi e, soprattutto, Iris non era con lui.
Fu Rosalya quindi ad anticipare la domanda che richiedeva la risposta più urgente:
« Iris dov’è? »
Il biondo cercò di prendere fiato dopo la corsa sulla sabbia, piegando il busto in avanti:
« L’ho persa… » ansimò.
Avvertì il rumore di un movimento rapido, seguito da una forza che lo afferrava per il bavero della maglia e lo costringeva e rimettersi eretto. Si trovò di fronte lo sguardo inferocito di Kentin, quasi animalesco, che digrignò:
« CHE CAZZO VUOL DIRE?! DOV’È?! »
« N-nella foresta… eravamo insieme e… »
Si vergognava troppo ad ammettere cosa fosse accaduto. Aveva sbagliato, si era comportato da stronzo ma ormai era sull’orlo dell’esasperazione. La ragazza gli piaceva sul serio e il suo rifiuto, dopo che lui si era illuso di averla ormai conquistata, era stato un colpo troppo indigesto. Troppo duro da incassare.
« E!? » lo incalzò Kentin, strattonandolo.
« E’ scappata »
« COME SCAPPATA?! » scattò Rosalya, portandosi accanto al cadetto « CHE CAZZO LE HAI FATTO, DAKE? »
Lui distolse lo sguardo mentre il cadetto sentì la rabbia ribollirgli nelle vene. Allargò il gomito, rischiando quasi di colpire anche l’amica e gli sferrò un gancio destro in pieno addome, portandolo bocconi. Dakota tossicchiò, mentre Castiel e Nathaniel intervennero di scatto per frenare la furia del moro:
« CHE CAZZO LE HAI FATTO? » gli urlò Kentin, mentre Dakota si asciugava un rivolo di saliva.
Erin era terrorizzata: era notte inoltrata ed Iris era da sola, in una foresta sconosciuta ed enorme.
Erano in una zona tropicale, poteva imbattersi in qualche animale velenoso, senza poter contare su un tempestivo intervento medico.
« Dobbiamo avvertire la polizia per cercarla! » strillò Rosalya, in preda all’agitazione.
« NON CI SAREBBERO D’AIUTO! » esclamò Nathaniel. Persino lui, notoriamente calmo e posato, si stava lasciando dominare dal nervosismo « prima di ventiquattr’ore dalla scomparsa non possono avviare la ricerca! »
« M-ma è assurdo! E poi domani pomeriggio dobbiamo partire! » scattò Erin, impallidendo.
« Ehi calmatevi! »
Quell’ultima voce, autoritaria e decisa, riuscì a zittire l’ambiente.
Si voltarono verso l’unica persona che fino a quel momento non aveva aperto bocca. Castiel si era portato tra Kentin e Dakota, ma osservava negli occhi uno ad uno i presenti:
« Siamo in sette, andremo a cercarla subito »
« Qui siamo in sei… » contò Erin.
« Non stavo includendo voi due » chiarì il rosso, indicando la mora e Rosalya « chiamiamo Dajan, Trevor, Steve e Wes. Andremo noi ragazzi a cercarla. Voi restate qui »
« Che cosa? » protestarono in coro le due escluse.
Castiel però le ignorò e, per allontanare Kentin dal rivale, lo esortò ad avvertire gli altri compagni, assieme a Nathaniel. Mentre i due uscivano, Erin tornò ad insistere:
« Veniamo anche noi! »
« Ci sareste solo d’impiccio »
« I soliti discorsi da maschilista! » protestò.
A quel punto però Castiel rispose con l’occhiata più severa che gli avesse mai visto. Persino quando Erin aveva insultato Debrah, tempo addietro, la sua espressione non era stata tanto scura.
Rosalya stessa rimase senza parola, impietrita dall’autorità di Castiel, deglutendo nervosamente. Notò una ferita sulla caviglia di Dakota e la usò come pretesto per allontanarsi con lui dalla stanza.
Era una delle poche volte in vita sua in cui aveva paura a discutere con il rosso.
Erin invece no.
Non era il genere di situazione in cui farsi da parte. Non avrebbe abbassato lo sguardo davanti a lui.
« Non puoi darmi ordini, Cas. Iris è una mia amica » dichiarò risoluta.
Lui non fece una piega, ma dentro di sé lottava tra l’ammirazione per la sua determinazione e la paura di saperla in quella foresta. Era buio e lui non poteva garantirle di essere al sicuro da ogni pericolo. Se l’avesse morsa un qualche serpente tropicale o insetto velenoso, lui non avrebbe potuto fare nulla. Poteva anche dargli del maschilista retrogrado, ma per niente al mondo avrebbe messo a repentaglio la sua incolumità.
« Ho tutto il diritto di preoccuparmi per lei » continuò Erin, senza alcuna esitazione.
« Lo so » convenne lui con fermezza « ma non so più come farti capire che sei una fonte costante di preoccupazione »
« Smettila di trattarmi come una ragazzina! »
« NON È PER QUELLO, ERIN! » le urlò contro, esasperato dalla sua ottusità.
Un altro po’ e si sarebbe tradito.  
Lei dapprima boccheggiò, incapace di replicare, ma quando la domanda più ovvia stava per affiorare dalle sue labbra, la porta venne spalancata con violenza:
« Cas, noi siamo pronti, come ci organizziamo? » li interruppe Dajan.
Castiel lasciò Erin al centro della stanza, ancora disorientata ed uscì nella veranda.
« Ci divideremo in tre gruppi. Ci diamo un’ora di tempo, poi ci troveremo tutti qui. I cellulari non prendono là dentro, l’abbiamo visto l’altro giorno io e Kentin, quindi non abbiamo alternative »
Anche Kim e Paula erano accorse, in ansia.
« Cercate di muovervi facendo rumore, così da spaventare gli animali »
« Io non ci sto a stare qui » protestò la velocista, cercando il suo ragazzo. Dajan sapeva che il suo orgoglio le avrebbe impedito di accettare il ruolo della ragazza indifesa.
« Allora vieni con me » replicò semplicemente, tradendo un certo nervosismo.
« Siamo in otto quindi » tagliò corto Castiel e, prima che Erin potesse aggiungersi, ordinò « ci divideremo a coppie… tu Affleck dovresti avere un buon senso dell’orientamento, immagino »
Il cadetto annuì, così, quasi in coro, Castiel e Rosalya esclamarono:
« Allora prenditi Nathaniel »
In altre circostanze, quella sincronia nella risposta avrebbe strappato una risatina, ma la situazione era talmente seria che nessuno si sentì abbastanza leggero da concedersi un simile lusso. Il biondo si limitò a corrugare le labbra, senza protestare. Se si fossero affidati a lui, le persone da cercare in quella foresta sarebbero state due.
 
« Eddai Erin, smettila di tenere il muso »
Rosalya osservò con tenerezza l’amica, accovacciata sul divano come una bambina capricciosa. Aveva le gambe sotto il mento e guardava pensierosa il cellulare sul tavolino. Lo schermo tuttavia, non si era ancora acceso.
Nessuna notifica.
Nessuna novità.
« Odio Castiel quando fa così » mugolò la mora « non lo capisco proprio. Pare si diverta a farmi stare male »
Per una volta la stilista pazientò sull’incapacità dell’amica di vedere le cose dalla giusta prospettiva. Cercando quindi di risultare diplomatica, le spiegò:
« Non è così, fidati. A contrario, è molto protettivo verso di te »
« Mi fa sentire una bambina! » incalzò Erin.
« No… » la contraddisse Rosalya con dolcezza « ti fa sentire importante »
 
Trevor controllò l’ora sul cellulare. Era da venti minuti che camminavano nella foresta, continuando ad urlare il nome di Iris sotto la pioggia. Wes arrancava dietro di lui, cercando di farsi strada nella radura.
« E se le fosse successo qualcosa? » ansimò.
« Non ci voglio neanche pensare » sputò l’ala a denti stretti, calciando via un grosso ramo steso a terra. Più passavano i minuti, più il suo pessimismo cresceva. Wes deglutì a fatica. Quando anche Trevor perdeva il buon umore, allora la situazione era davvero grave.
 
Dajan camminava davanti a Kim che, con l’agilità per cui era nota nella sua ormai ex squadra, aggirava gli ostacoli. Su suggerimento di Castiel, ciascuno stava usando il proprio cellulare come torcia, per illuminare il percorso, che si rivelava sempre più accidentato.
« Se penso che una volta Dake ci aveva provato con te… » esclamò d’un tratto Dajan, con rabbia e frustrazione. L’irresponsabilità del biondo, che mai aveva sopportato, l’aveva spinto oltre, mettendo a repentaglio la sicurezza di Iris.
« E’ stato un sacco di tempo fa, e poi era stato Trevor a chiederglielo, ricordi? » precisò Kim, aggirando un cespuglio voluminoso.
« Comunque sia, non ha giustificazioni. Non so cosa sia successo qui, ma se Iris è scappata, evidentemente non si è comportato da gentleman »
Kim aggrottò la fronte, realizzando per la prima volta quale potesse essere il motivo dietro la fuga dell’amica.
Accelerò il passo, furente e mentre Dajan la esortava a rallentare, dichiarò:
« Allora quando torneremo, ricordami di dargli un pugno in faccia! »
 
Castiel e Steve avevano ormai raggiunto l’altro capo della foresta, ma di Iris non c’era traccia. Erano passati più di trenta minuti e ne occorrevano quindi altrettanti per il ritorno.
« Con questo buio è impossibile » esclamò frustrato, Steve « in più c’è la pioggia che copre le nostre voci »
L’ennesimo tuono squarciò il cielo, illuminando per un attimo la radura.
Castiel emise un verso soffocato e rabbioso. Le gocce d’acqua correvano sulla sua pelle e gli impregnavano la felpa. Non potevano concludere quella serata lasciando Iris da sola. Come le altre tre coppie, si trovò a sperare che una di esse fosse stata fortunata e fosse riuscita a trovare la fuggitiva.
 
« Kentin, rallenta! » lo richiamava Nathaniel.
Il cadetto si muoveva con destrezza tra i boschi, aggirando tronchi in cui il biondo rischiava di inciampare e scostando liane che colpivano inevitabilmente il viso del compagno.
« Col cazzo, che rallento! » urlava l’altro « hai idea di quante specie pericolose potrebbero esserci? E se l’avesse morsa qualche serpente? »
Rabbrividì, sconcertato da quell’eventualità. No, non poteva essere. In tal caso, l’intervento dei soccorsi poteva non essere tempestivo.
I sensi erano allertati al massimo, come durante le esercitazioni notturne in accademia.
Trovare Iris era diventata una missione, di quelle che non ammettevano fallimenti.
 
A distanza di poco più di un’ora, i primi a presentarsi al bungalow furono Dajan e Kim. Il loro arrivo rappresentò una prima delusione: Iris non era con loro.
Anche con il soggiungere di Castiel e Steve, quell’esito venne confermato. Restava solo il cinquanta per cento di speranza, che si abbassò al venticinque quando il duo di Trevor e Wes si unì ai presenti, portando con sé solo l’ennesimo fallimento.
« Merda » commentava tra sé e sé Castiel « così non va, Kentin e Nathaniel sono andati verso Ovest, l’area dove pensiamo sia più improbabile trovarla, giusto per non lasciare nulla di intentato. Noi abbiamo setacciato il resto del percorso e non siamo riusciti a beccarla »
« Iris sa orientarsi, com’è possibile che dopo tutto questo tempo non sia ancora riuscita a tornare indietro? » questionò Erin, in preda a quella che ormai era una dilaniante angoscia. Anche Rosalya aveva i nervi a fior di pelle mentre il resto degli amici si sentiva impotente.
 
Passò un’altra mezz’ora e finalmente la porta si aprì ma, tra la sorpresa generale, c’era solo Nathaniel.
« Ho perso Kentin… » dichiarò frustrato « quell’idiota ha iniziato a correre e non l’ho più visto »
« C-che cosa?! » mormorò Erin, impallidendo. Stava già iniziando a correre fuori dalla porta, quando il biondo dichiarò:
« Almeno la buona notizia è che prima di dividerci, abbiamo sentito chiaramente la voce di Iris »
I cuori di Erin e Rosalya si riempirono di gioia e mentre si avvicinavano sollevate, Nathaniel continuò a spiegare:
« Veniva da lontano, così Kentin ha accelerato di colpo, seminandomi. Ho provato a seguire la direzione della voce, ma dopo venti minuti che chiamavo entrambi, non li ho più né visti né sentiti, così sono tornato indietro »
« E’ un miracolo che tu sia riuscito a tornare indietro » ridacchiò il rosso, che sentiva la tensione sciogliersi.
« Non è il momento di scherzare » lo redarguì Erin « non siamo sicuri che Kentin l’abbia effettivamente individuata » osservò, innescandosi lei stessa un’ansia di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
« Invece sono sicuro che Affleck sia con lei, ora. Mi fido di lui » concluse Castiel e, sedendosi sul divano del soggiorno, commentò « e ora non ci resta che aspettare »
 
L’acqua piovana le era penetrata nelle ossa, mentre i suoi capelli erano ormai un groviglio indistinto di nodi. La caviglia le pulsava, gonfiandosi di ora in ora. Eppure, da quando Kentin l’aveva caricata sulle spalle, Iris non sentiva nulla. Il ragazzo l’aveva trovata ai piedi di un grande albero, con la schiena appoggiata contro il tronco e la mano sulla caviglia sofferente. Iris si era asciugata frettolosamente gli occhi da lacrime che mai lui avrebbe potuto intuire sotto tutta quella pioggia.
Le aveva solo chiesto come stesse e lei aveva borbottato, con voce rotta di chi nelle ultime ore si è abbandonato alla disperazione e lo sconforto, di essersi slogata la caviglia. Il militare allora si era chinato davanti a lei, dandole le spalle:
« Salta su, forza » aveva detto semplicemente.
Lei non era riuscita ad aggiungere altro, aveva solo assecondato quella generosa offerta, dimenticandosi addirittura di ringraziarlo.
Kentin si muoveva con sicurezza tra la boscaglia, tenendo il cellulare con la torcia accesa nella tasca dei jeans. Iris si era offerta di impugnarlo lei, ma lui aveva declinato la proposta.
« Non preoccuparti, così vedo meglio dove cammino » le aveva detto lui.
La pioggia continuava a scendere incessante, senza dar loro tregua. Persino scambiare due parole sarebbe stato difficoltoso ma se non altro il frastuono della natura sopperiva alla laconicità dei due.
Si sentiva in colpa verso Kentin, per le cattiverie dette e pensate.
Non ne meritava nessuna.
« Aspetta, qui non ci sono alberi, vediamo se il cellulare prende » le disse lui d’un tratto.
Iris allora si guardò attorno e riconobbe la radura che era stata lo scenario della sua lite con Dakota.
Chiuse gli occhi, cercando di scacciare quel pensiero mentre il ragazzo esultava:
« Ottimo, scrivo a Black che ti ho trovata e che stai bene, così almeno non si preoccupano »
Il ragazzo provò a digitare lo schermo, ma era un’operazione impossibile con Iris sulle spalle e il cellulare fradicio. Lo schermo touch non riconosceva il tocco delle dita, vanificando ogni sforzo del militare.
« C’è una grotta laggiù » osservò Iris indicando un punto poco lontano.
Kentin drizzò lo sguardo e decise:
« Allora entriamo lì »
Una volta entrati, la sensazione di essere finalmente al riparo dalla pioggia fu talmente piacevole, che l’idea di tornare all’esterno, infastidì entrambi. Kentin scaricò delicatamente Iris, aiutandola a sedersi mentre lui scriveva a Castiel. Una volta digitato il messaggio quindi le propose di restare ancora un po’ al riparo, nella speranzosa attesa che la pioggia cessasse.
Iris annuì e mentre lui esplorava l’interno della grotta, mugolò:
« Come hai fatto a trovarmi? È buio pesto »
« Essere nell’esercito ha anche i suoi vantaggi » sorrise il ragazzo facendole l’occhiolino « mai sentito parlare di addestramento all’aria aperta? »
Iris sorrise e per la prima volta in vita sua trovò un motivo per apprezzare la vita militare; inoltre, quella sensazione di sicurezza che emanava Kentin, scaturiva proprio dalla sua formazione in accademia, improntata sulla tempra delle capacità fisiche e psichiche.
Proprio un militare, figura che lei aveva sempre denigrato e biasimato perché associato alla freddezza emotiva di suo padre, l’aveva soccorsa.
Il suo corpo tremò leggermente e quella scossa non passò inosservata allo sguardo del ragazzo.
« Freddo? » le chiese dopo qualche secondo di esitazione.
« N-no sto bene » mentì Iris. Il cadetto però non le credette e, dopo essersi levato la felpa fradicia, si tolse la maglietta porgendogliela:
« E’ un po’ bagnata, ma sicuramente più asciutta di quella che hai addosso »
Iris la accolse tra le mani, titubante. Non poteva accettare anche quell’offerta, ma stava patendo sempre più freddo, anche a causa dell’immobilità a cui era stata costretta dalla sua caviglia dolorante. Kentin fece per indossare la felpa ma, il solo contatto con quell’indumento grondante lo fece desistere. Stava decisamente meglio a petto nudo.
Si portò all’entrata della grotta, osservando un cielo che non accennava a smettere di piangere.
Iris, con discrezione, passò lo sguardo sul suo fisico che, a causa dell’eritema sulla schiena, non aveva esposto più di tanto al sole e fu allora che si ricordò proprio di quella scottatura.
Appoggiò per terra la maglia che le aveva porto e che usava come scialle, cercando poi di mettersi in piedi. La caviglia le doleva troppo e il suo viso dovette tradire un qualche segnale di dolore visto che il ragazzo sbottò:
« Che fai? Stai seduta se ti fa tanto male »
« Mi serve quella pianta laggiù » disse lei, indicando uno strano cespuglio all’esterno della grotta.
« Adesso? » farfugliò lui, palesemente sorpreso.
Iris annuì, così Kentin si propose per reperirgliela.
« Mi basta una foglia! » gli urlò Iris, mentre il cadetto sfidava la pioggia.
Sorrise nel vedere la poca grazia con cui Kentin sradicava parte del vegetale. In un altro contesto l’avrebbe rimproverato, ma in quel momento gli avrebbe perdonato ogni cosa. Si era innescata una sorta di buffa lotta tra la tenacia con cui le foglie erano attaccate al fusto della pianta e i bicipiti del ragazzo, che alla fine riuscì comunque a spuntarla.
Quando rientrò aveva un’espressione schifata, con cui borbottò:
« Che schifo, butta fuori una roba vischiosa »
« E’ aloe » spiegò pazientemente la presidentessa del club di giardinaggio, accarezzando la pagina superiore della foglia « quando torniamo al liceo ricordami di farti un corso accelerato di botanica, perché in questi mesi al club di giardinaggio mi sa che non ti ho insegnato granchè »
« Sono un caso perso… » sorrise Kentin « comunque a che ti serve? »
« Siediti » gli ordinò.
« Che? » gracchiò, emettendo un verso ridicolosamente acuto.
« Questa è ottima per lenire le scottature » spiegò Iris, mentre lui si metteva seduto.
« E tu come fai a saperlo? »
« Sono la presidentessa del club di giardinaggio, ricordi? » rispose Iris, portandosi dietro di lui.
« Giusto » annuì Kentin, sentendosi un po’ scemo per la domanda.
Stava per dire qualcosa, quando il tocco di Iris si poggiò sulla sua spalla destra. Rabbrividì sia per il contatto con quelle mani gelide sia per l’imbarazzo della proprietaria di quelle dita.
Iris si ritrasse:
« Scusa, ti ho fatto male? »
Solo allora realizzò che, fino a quel momento, nonostante avesse la schiena dolorante ed arrossata, il ragazzo non si era mai lamentato di averla trasportata. Diversamente da Dakota, che palesava i suoi pregi, Kentin aveva quell’irritante tendenza a nasconderli, un po’ come faceva Castiel.
« N-no non è quello » farfugliò il ragazzo e, sentendo già la mancanza di quei brividi, la esortò imbarazzato « continua pure »
Iris, tornò alla sua azione, cercando di fare il più delicatamente possibile. Aveva spezzato trasversalmente la foglia, estraendone un gel viscoso che distribuiva su quella cute arrossata. Spostava la mano lungo la schiena del ragazzo, sfiorandone la lunga colonna vertebrale e sentendo l’affossatura delle costole. Tornò alle spalle e scese lungo le braccia, fermandosi all’altezza del gomito.
Compiva quei gesti con misurata delicatezza, pentendosi di non essersi mai offerta di aiutarlo con la crema solare quand’erano in spiaggia. Quel contatto, seppur imbarazzante, era estremamente piacevole e le forniva l’unico mezzo per sdebitarsi del suo aiuto.
Kentin nel frattempo era un fascio di nervi. Da un lato la pelle dolorante implorava di essere lasciata in pace, ma dall’altro il suo possessore ambiva a quel tocco e sperava che non si fermasse.
Quando Iris finì, con voce roca e in imbarazzo, lui spiegò di aver notato dei rami secchi e delle sterpaglie in fondo alla caverna.
« Posso provare ad accendere un fuoco »
« Sarebbe grandioso » squittì lei, agognando la presenza di un po’ di calore.
Mentre Kentin era impegnato a far ruotare freneticamente un legnetto cilindrico, il suo cellulare vibrò, così come quello di Iris. La rossa aprì la casella e si trovò un sms di Erin.
« Chi è? »
« Erin, mi chiede come sto… ah, adesso ne stanno arrivando altri. Risalgono ad un paio d’ore fa »
La ricezione in quella radura era scarsa, ma per lo meno non assente. L’idea di potersi mettere in contatto con chi stava dall’altro capo della linea rassicurava entrambe le parti.
« Per fortuna che abbiamo beccato questo posto » farfugliò il ragazzo, tenendo il legnetto tra i denti e sistemando meglio la base per la combustione.
Iris sorrise e la sua smorfia si allargò non appena una fiammella iniziò a vedersi tra i ciuffi di erba secca. Kentin si abbassò a soffiare dell’aria, che ravvivò la fiamma e, in pochi minuti, un piacevole fuocherello riscaldò la grotta. Aveva compiuto quei gesti con la sicurezza e la calma di chi è mosso dall’esperienza. Iris poteva solo intuire che anche quella abilità fossero legate al suo addestramento militare e, nuovamente, trovò un altro motivo per apprezzarlo.
Rimasero in silenzio, a fissare rapiti quelle fiamme, perdendo la cognizione del tempo.
Erano seduti l’uno davanti all’altra, quasi a tenere le distanze ma si lanciavano vicendevolmente occhiate fugaci, stando attenti a non farsi beccare dall’altro. La ragazza si rannicchiò su se stessa, ripensando alla prima volta che si erano conosciuti. Lo rivide, in piedi accanto allo scaffale della biblioteca, con gli occhiali sul naso e quell’aria intellettuale e intelligente che l’avevano colpita da subito.
 
« E’ questo che ti serve? » le chiese un ragazzo alto, dalla voce gentile.
Iris avvampò nel trovarsi a così poca distanza da quello sconosciuto e sbirciò la copertina del libro che teneva tra le mani:
« I-in realtà no. Mi serve quello accanto »
Il ragazzo tornò a sollevare lo sguardo mentre lei precisava:
« Quello con la copertina verde » puntualizzò la ragazza, sollevata dal fatto che il titolo non fosse leggibile sulla parte rilegata. Lui allora recuperò l’oggetto ma, anziché porgerlo subito alla ragazza, come Iris sperava, lesse piuttosto sorpreso il titolo dell’opera.
 
Ne era seguita una serie di figuracce da parte di Iris: Kentin aveva sbirciato il titolo del libro: “la sessualità spiegata ai bambini”, facendo avvampare la sventurata ragazza, che era lì solo per conto di sua madre. Come se non bastasse, aveva scambiato Tolstoj, l’autore dell’opera che il moro teneva in mano, per un autore tedesco. Lui però non le aveva rinfacciato la sua ignoranza, né tanto meno l’aveva derisa. Si era limitato a sorriderle, anche quando aveva ammesso con candore di non avere una grande passione per i libri. Era paradossale come a lei, pur non piacendo la letteratura, risultassero affascinanti i ragazzi che sapevano appassionarsi ai romanzi.
 
Al rientro delle vacanze, se l’era inaspettatamente ritrovato in aula, lasciandola spizzata e confusa. In quell’ex studente dell’accademia militare, faticava a vedere il ragazzo garbato che aveva incontrato in biblioteca, quello tranquillo e a modo, che l’aveva quasi messa in soggezione con la sua compostezza. Kentin infatti se ne usciva talvolta con battute grossolane e volgari ma, Iris doveva riconoscerlo, in questo non aveva nulla di diverso dai ragazzi della loro età. Era lei che ne aveva idealizzato la personalità.
Il loro rapporto era proseguito secondo alti e bassi: in certe situazioni lo sentiva così vicino a sé, che il cuore le si riempiva di gioia, in altre riaffiorava la sua insofferenza verso un atteggiamento sbruffone e fin troppo diretto.
 
Quella notte però, osservandolo oltre la fiamma instabile del fuoco, mentre era anche lui perso nelle sue riflessioni, Iris finalmente arrivò alla conclusione che il suo cervello le aveva impedito di accettare: si era innamorata di un militare.
 
« Non sei una che si dimentica facilmente »
 
Quella dichiarazione che il ragazzo le aveva rivolto quel pomeriggio di gennaio le era tornata in mente più e più volte. Non aveva mai osato illudersi che ci fosse un significato romantico dietro quelle parole ma a fantasticare non avrebbe perso nulla. Se solo non fosse stata così sciocca da rovinare tutto con la sua scontrosità, con tutte le battutine acide con cui l’aveva freddato sin da quando si erano presentati.
Kentin era un bravo ragazzo, gentile e premuroso, lei un’immatura confusa o, come avrebbe detto Dakota, solo una ragazzina.
« Che dici? Torniamo dagli altri? Ha smesso di piovere »
Iris annuì, alzandosi in difficoltà. Le dispiaceva abbandonare il tepore e l’intimità di quel piccolo fuoco, ma l’idea di raggiungere il suo comodo letto era sufficiente a farle stringere i denti ancora per un po’.
« Sei sicuro che riesci a portarmi ancora sulla schiena? E’ tutta scottata, magari provo a saltellare su una gamba… »
« Non ti preoccupare » la tranquillizzò lui « tanto non siamo lontani… e poi non sento nulla »
Anche se lei lo fissava scarsamente convinta, il cadetto si rivestì e la caricò sulle spalle con sicurezza.
Ripresero a camminare nella radura, in silenzio, mentre la torcia del cellulare di Kentin continuava ad illuminare il percorso alla sua destra.
Passo dopo passo però, il percorso era sempre più accidentato e fangoso, a causa dell’abbondante pioggia che aveva investito l’isola fino a poco prima.
« Speriamo di tornarcene a casa tutti interi » ridacchiò nervosamente. In una situazione come quella, avrebbe voluto avere le mani libere per sondare l’ambiente e lo spazio attorno a sé, ma ne necessitava per tenere Iris. Alla sua sinistra il buio era quasi totale così, quando il suo piede calpestò una zolla poco stabile, non fu abbastanza rapido da correggere la posizione: sentì che la gamba sinistra non trovava appoggio, sbilanciandolo completamente ma, anziché atterrare sul terreno, avevano il vuoto.
Ruzzolarono giù per una scarpata, sentì l’urlo di Iris, sulla quale non esercitava più alcuna presa, poi qualcosa di duro colpirgli il cranio ed infine, il buio totale.
 
Dajan controllò l’ora, emettendo un sonoro sbadiglio. Kim si era addormentata sul divano accanto a lui, così come Trevor e Wes. Paula era stata l’unica a ritirarsi nella sua stanza, scusandosi con tutti per non aver atteso il ritorno di Iris e Kentin.
« Ragazzi, se voi volete andare a dormire, restiamo sveglie io e Rosa » sussurrò Erin, per non svegliare gli addormentati. La tisana che aveva preparato e che solo l’amica aveva accettato di assaggiare, era ormai finita ma nell’aria si percepiva un delicato aroma di anice e menta.
« Allora noi andiamo » convenne Dajan, svegliando delicatamente Kim e, con meno grazia, i compagni di squadra. Rosalya allora si voltò verso Nathaniel e Castiel, invitandoli a fare altrettanto ma i due proposero in alternativa di guardarsi un film, per ingannare l’attesa.
Nell’arco di cinque minuti, Kim era nella sua stanza, a dormire beatamente, mentre in salotto erano rimaste le due padrone di casa con il biondo e il rosso.
« Arriveranno a momenti » farfugliò Castiel, dopo che Erin aveva controllato il cellulare per l’ennesima volta.
Lei gli sorrise rincuorata. A volte sembrava leggerle nel pensiero o, più semplicemente, pareva prestare una scrupolosa attenzione ad ogni suo movimento, come se in quella stanza, fosse la persona più interessante da osservare.
 
Kentin sentì una sorta di fastidioso brusio, che si rivelò provenire dal cellulare. Alzò il capo, indolenzito, tastandosi dietro la nuca. Il dolore che avvertì istantaneamente gli fece dedurre la presenza di una forte botta ma ciononostante, accortosi del profilo familiare dei tre bungalow, si dimenticò subito della sua sofferenza. Scivolare in quella scarpata era stata una botta di fortuna, che aveva consentito loro di trovare una scorciatoia.
Loro.
Iris.
Si voltò di scatto, cercando il corpo della ragazza che trovò poco lontano dal suo, privo di sensi.
Quando la prese tra le braccia, Iris non rispose ma, da subito, il ragazzo notò una macchia scura e calda provenire dalla sua coscia destra e che le aveva macchiato i vestiti. Il panico iniziò a pervaderlo: soffriva un po’ di emofobia e la vista di tutto quel sangue metteva a dura prova la sua capacità di autocontrollo. Si caricò la ragazza tra le braccia e, cercando di non farsi dominare dal panico, corse verso i suoi amici.
 
« ERIN! ERIN! »
Appena la mora riconobbe quella voce, saltò giù dal divano e corse alla porta:
« KE- » stava per accogliere l’amico quando, la vista di Iris inerme tra le sue braccia la fece impallidire.
« Siamo caduti in una scarpata ed Iris ha perso i sensi » spiegò trafelato.
« M-ma sta bene? »
Anche gli altri tre erano accorsi e, appena vide Iris, Rosalya si portò una mano alla bocca, allarmata:
« E’ ferita » ansimò il cadetto « dobbiamo portarla in ospedale! »
Castiel aveva già il cellulare all’orecchio e, prima che potesse dare istruzioni agli amici, stava già parlando con un operatore sanitario. Spiegò sommariamente la situazione, fornendo quel tanto di informazioni che erano sufficienti per il ricovero della ragazza.
« Stanno inviando un’ambulanza » concluse infine, dopo aver chiuso la telefonata.
Kentin sembrò calmarsi, tirando un sospiro di sollievo, mentre Nathaniel lo aiutava a distendere Iris sul divano. In quel momento sentì tutta l’ansia e la stanchezza sciogliersi e fu costretto ad abbandonarsi pesantemente sulla poltrona.
Castiel chiese ad Erin di preparare un cambio per Iris, qualora fosse stata trattenuta per la notte quando la mora tornò in salotto con la borsa pronta, l’ambulanza era già arrivata.
Mentre i barellieri imbragavano Iris, il medico di turno chiedeva chi dei presenti sarebbe salito con loro in ambulanza:
« Va’ tu Erin » la esortò Castiel « io e Kentin ti raggiungiamo, prenderemo la linea notturna che parte tra poco »
In quei giorni avevano approfittato spesso del collegamento notturno di alcuni bus, sfruttati dai turisti per far baldoria fino all’alba.
La mora annuì, saltando sul veicolo, mentre il rosso consigliava a Rosalya e Nathaniel di restare a casa.
« Non ha senso che andiamo tutti e poi, se qualcuno di loro si svegliasse, potete sempre spiegargli la situazione. Restate svegli finchè non vi chiamiamo noi per dirvi se è tutto ok » li istruì il musicista.
« E chi dorme? » s’inviperì Rosalya.
 
Quando Kentin e Castiel si presentarono nel corridoio dell’ospedale, seguendo le indicazioni al telefono di Erin, la trovarono con il cellulare in mano, fuori da una porta gialla.
« C’è il dottore dentro, che la sta visitando »
« In ambulanza che ti hanno detto? » si affrettò a chiedere Kentin.
« Iris ha ripreso conoscenza così le hanno fatto dei test di cognizione e sembra che sia tutto ok. Non dovrebbe aver subito danni cerebrali »
« E il sangue? Ha una ferita profonda? »
Era più che altro quel taglio ad angosciarlo. Odiava la vista del sangue ma per Iris sarebbe stato disposto a farsi pure una trasfusione, se necessario. Prima che Erin rispondesse, un dottore uscì dalla stanza, brandendo in mano una cartella:
« Allora dottore? » domandò Erin.
« Non posso parlare di sua sorella davanti a questi ragazzi, a meno che non siano suoi parenti » spiegò il vecchietto, mentre Castiel e Kentin fissavano la mora incuriositi. Era necessario un bello sforzo di immaginazione nel credere che tra lei ed Iris ci fosse una qualche parentela di sangue. Tuttavia, per nulla intimorita, la mora rincarnò la dose:
« Non si preoccupi, lui è suo fratello » precisò, indicando Castiel « e lui il suo ragazzo »
Kentin arrossì, ma l’uomo non si scompose:
« Quand’è così, allora sappiate che non avete nulla di cui preoccuparvi »
« E la ferita? » incalzò Kentin, in preda all’ansia.
« Che ferita? »
Il cadetto sollevò gli occhi al cielo, frustrato dall’incompetenza del dottore. La sua ingenuità nel credere alle bugie di Erin gli avevano fatto sospettare che non fosse molto sveglio ma, dopo quella diagnosi apparentemente sommaria e grossolana, si stava pure rivelando un pessimo medico:
« Tutto quel sangue dottore da dove è uscito? » quasi lo aggredì, faticando a controllarsi.
« Dalla vagina, no? » esclamò l’altro, come se fosse la cosa più ovvia.
Kentin e Castiel deglutirono a disagio, diventando viola, mentre Erin sgranava gli occhi confusa:            
« Cioè le è arrivato il ciclo? » riepilogò.
Ricordò di quando Iris, lo scorso inverno, le aveva confessato che lo stress scaturito dalla lontananza di suo padre le aveva provocato un arresto del ciclo mestruale e, anche se Iris aveva cercato di non darlo a vedere, Erin aveva intuito quanto quella disfunzione la facesse soffrire.
« Esatto » confermò l’uomo « mi ha detto che era da oltre un anno che le si era bloccato. Probabilmente la causa è psicosomatica, ma credo che potrà aspettare di farsi visitare dalla sua ginecologa una volta rientrata nella vostra città. Mi rendo conto che la perdita di sangue è molto abbondante, ma forse è associata al lungo periodo di latenza del ciclo mestruale. Infatti la terremo in osservazione per la notte »
Erin annuì e quando il medico si allontanò, sentì il rosso scattare:
« MA QUANTO SEI IDIOTA, AFFLECK? Aveva il… sì insomma… le robe sue! » borbottò a disagio.
« MA CHE CAZZO NE POTEVO SAPERE! Ho visto sangue e la prima cosa che pensi è- »
« Ragazzi! Parlate piano! C’è gente che sta riposando! » sussurrò Erin « e comunque non è questo il momento per litigare. Io devo restare qui con Iris, voi andrete a prendere quello che serve »
« Ma come? Hai già con te la borsa, hai dimenticato qualcosa? » si sorprese Castiel.
« Sì, una cosa che non avrei mai pensato potesse servirle » sospirò felice la ragazza « comunque ho visto un minimarket appena fuori dall’ospedale, quindi potete andare lì »
« Ok » tagliò corto Kentin « allora, che ti serve? »
 
L’insegna al neon del minimarket ronzava in modo fastidioso. Erano fortunati ad avere non solo la loro destinazione a pochi passi dall’ospedale, ma pure che fosse aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. Castiel camminò dritto verso il distributore automatico di sigarette, per prelevare la sua dose giornaliera di nicotina. Mentre si chinava a recuperare il resto, borbottò verso Kentin:
« Entra, io ti aspetto qua fuori »
Lo vide sgranare gli occhi, per poi scattare nervosamente:
« Stai scherzando? Vieni dentro con me! Questa figura di merda non la faccio da solo! »
« Sei tu quello che va dietro a Iris » commentò placidamente l’altro, accendendosi una sigaretta.
« Non si abbandona così un compagno sul fronte » protestò afferrandogli il lembo della maglia per impedirgli di svignarsela.
Le porte automatiche del negozio si erano aperte in quel momento, lasciando uscire due ragazze leggermente alticce. Nel constatare la presenza di quei ragazzi così carini, ridacchiarono civettuole ma senza tentare alcun approccio. Castiel le guardò allontanarsi, gustandosi le curve della più bassa delle due, ma Kentin lo afferrò nuovamente per il bavero, costringendolo a prestargli attenzione:
« Tu Black vieni dentro con me » lo minacciò a denti stretti.
L’incapacità di sdrammatizzare dell’amico fece ridacchiare il rosso che, sollevando gli occhi al cielo, lo seguì all’interno del negozio.
A dispetto delle apparenze, il minimarket era piuttosto grande, al punto che dopo dieci minuti non erano ancora riusciti ad individuare l’articolo di cui avevano bisogno.
« Ma come diavolo fanno le donne a orientarsi dentro questi cosi? » protestò il cadetto, sostando disorientato davanti allo scaffale degli shampoo.
« E’ per questo che mettono sempre la birra e i preservativi vicino all’entrata. Sono le uniche cose che interessano agli uomini » commentò Castiel.
« E adesso dove cazzo li troviamo gli… »
Di fronte all’incapacità di pronunciare quella parola, persino il sorriso beffardo di Castiel era sparito. I due potevano parlare all’infinito dei dettagli su seni e sederi femminili, degenerando verso un gergo progressivamente sempre più volgare, ma quando si trattava di assorbenti intimi, avevano quasi timore e pudore a menzionare quell’accessorio tipicamente femminile.
« Chiedilo alla commessa laggiù » gli consigliò Castiel indicando con il mento una donna che stava passando tra gli scaffali. Quella proposta però non venne accolta di buon grado, bensì con un’occhiata truce:
« Perché non glielo chiedi tu, Castiella? Hai confidenza con queste cose da femmina »
« Che problemi ti fai, Barbie? »
Lo scaricabarile tra i due permise alla donna di allontanarsi, lasciando perdere le sue tracce. Fortunatamente, poco dopo riuscirono ad arrivare al reparto giusto, ma rimasero disorientati e spiazzati dalla varietà dell’assortimento: c’erano pacchetti d varie dimensioni e colori, marche sconosciute e inquietanti occhi stampati che li fissavano.
« E adesso quali prendiamo? » s’impanicò Kentin, guardandosi attorno circospetto.
« Dovresti essere tu l’esperta, Barbie »
« Sei tu la donna mestruata, Castiella »
Il rosso sospirò spazientito e sbottò:
« Ma prendiamone uno a caso » e, nella fretta di andarsene per sottrarsi a quella situazione, afferrò una confezione a caso dallo scaffale.
« Aspetta! »
« Che c’è? »
« C’è scritto.. con ali » titubò sconvolto.
« E allora? Hai paura che voli via? » brontolò il rosso.
« Fanculo, Black. Che cazzo vuol dire secondo te? »
Castiel girò il pacco grattandosi la testa.
« Saranno le alette qua di lato » ipotizzò.
« Sagace… »
« Quindi che vuoi fare? » gli chiese Castiel « la ragazza è la tua »
« Non è la mia ragazza! » protestò Ken arrossendo.
Castiel scrollò le spalle e, dopo aver riposto al suo posto il primo pacco, ne scelse uno piccolino.
« C’è scritto salva slip… e non hanno le ali. Andranno bene » commentò.
« E come mai la confezione è così piccola rispetto alle altre? »
« Ce ne saranno meno » ipotizzò Castiel
« Non direi, guarda c’è scritto 85 » lo contraddisse Kentin indicando la confezione.
« 85?! Ma quanti ne usano?! »
« C’è scritto pacco scorta » osservò l’amico.
Accantonata anche quell’opzione, l’attenzione di Castiel venne catturata dalla scritta TAMPAX:
« Bingo. Questi sono quelli che usava la mia ex. Non possiamo sbagliare »
Era la prima volta da molto tempo che alludeva a Debrah. Gli sembrò quasi strana la naturalezza con cui era uscito quel riferimento. Ormai lei era un capitolo chiuso, l’unica a essere convinta del contrario era Erin. Porse il pacco a Kentin che lo ispezionò. Guardando l’immagine dell’assorbente interno, il ragazzo obiettò:
« Ma sei sicuro? Non è una specie di mini sexy toy? » disse indicando la forma vagamente fallica dell’assorbente.
Castiel si sporse a guardare e commentò seccato:
« E che cazzo ne so? Questo è il pacco che vedevo a casa mia quando Debrah dormiva da me. Non mi sono mai messo a guardare cosa contenesse »
« Non mi fido » mormorò Kentin, leggendo scrupolosamente le istruzioni  « sembra complicato da usare »
« Cosa vuoi che ci voglia ad infilare un cosetto del genere nella patata? » sbottò Castiel a voce troppo alta « se lo sai fare tu che sei un uomo… »
Kentin sbuffò arrossendo ma incapace di replicare, così il rosso, cogliendo il disagio dell’amico, ghignò beffardo:
« Allora sei proprio un verginello. Mai stato prima con una donna… » si beffò di lui.
« Ha parlato il gigolò » malignò Kentin appoggiando sullo scaffale l’ultima proposta del rosso.
« Allora che facciamo? Saremo qua da cinque minuti solo perché stai facendo la difficile, Barbie » replicò Castiel esasperato. Il moro scelse un altro pacco color blu con disegnate delle stelline e glielo mostrò al rosso, confuso:
« Perché c’è scritto per la notte? »
Anche se era lampante che il musicista fosse ferrato quanto lui sull’argomento, continuava a cercare in Castiel delle risposte che lui non riusciva a dare, per lo meno non con serietà:
« Forse si illumina al buio » borbottò il rosso.
« Stai parlando seriamente? »
« No, era sarcasmo… idiota »
« Beh, lasciamo perdere anche questo » commentò Kentin riponendo sullo scaffale anche l’ultimo pacco. Voltando il retro del pacchetto successivo, Castiel ebbe un’illuminazione:
« Guarda un po’: questi cosi hanno un diverso potere assorbente »
« Che paroloni, sembri la tizia che li pubblicizza in TV » lo schernì l’amico  « comunque fa vedere… ah ok… quindi cinque gocce è il massimo dell’assorbimento »
« Così pare »
« Con tutto il sangue che ha perso Iris, dovremo per forza optare per questi »
Kentin trovò subito il pacco che faceva al caso loro ma Castiel lo distolse indicandone un altro.
« Secondo me dovremo prendere questo »
« Non ti sembra un po’ troppo grande? »
« Meglio un po’ più grande che piccolo »
 
Le ciglia tremarono leggermente, le sopracciglia si aggrottarono per poi tendersi verso l’alto. La vista le palesò un soffitto chiaro, con un’anonima luce al neon che non aveva nulla di familiare:
« Ti sei svegliata, finalmente »
Il sorriso della sua amica Erin invece, era quanto di più caloroso e accogliente potesse posarsi il suo sguardo. L’ambiente era asettico, come quello di un ospedale. E fu allora che Iris realizzò che era esattamente quello il luogo in cui si trovava.
Tentò di mettersi seduta, appoggiando la schiena contro lo schienale del letto, ma avvertì un fastidioso dolore nel basso ventre.
« Siamo in ospedale? »
« Sì. Eri svenuta e ti abbiamo portato qui »
La foresta.
Dake.
La pioggia.
La caviglia slogata.
Kentin.
« Kentin? » esclamò, appena il viso del ragazzo apparve in quella successione temporale di immagini mentali.
La mora ridacchiò intenerita:
« Sono venti minuti che continui a mormorare il suo nome nel sonno. Lui sta bene, figurati, ha la pellaccia dura »
« Dov’è? » insistette Iris, ignorando l’ultima dichiarazione dell’amica.
« L’ho mandato in missione speciale con Castiel » replicò sibillina, sedendosi sul letto.
Iris era ancora troppo frastornata per iniziare a conversare a ritmo serrato, come erano solite fare, così la mora cercò di riepilogarle la situazione, partendo dalla notizia più importante:
« Il medico ha detto che ti è tornato il ciclo, Iris »
A quella notizia, vide le mani della rossa stringere quasi con disperazione il lenzuolo.
Il labbro inferiore tremò, mentre gli occhi si velarono di lacrime:
« Sul serio? » deglutì, senza guardarla.
Erin annuì, sorridendole dolcemente e l’abbracciò non appena vide un paio di lacrime rigarle le guance arrossate.
Quel dolore che aveva avvertito al suo risveglio si era così tramutato nella splendida dimostrazione che era finalmente tornato tutto alla normalità.
 
In ascensore Castiel si appoggiò svogliatamente contro la parete. Il sonno lo stava uccidendo, voleva solo chiudere gli occhi e riposarsi.
« Grazie, Black »
Il suo udito si assottigliò, destandosi verso il cadetto. Kentin teneva lo sguardo dritto davanti a sé, anche se non aveva nulla da fissare che non fossero le porte automatiche.
« Quando Dakota ci ha detto di Iris, siamo andati tutti nel panico, sei stato l’unico a mantenere la calma e prendere in mano la situazione »
« Non è stato niente di che » minimizzò il rosso, mentre abbandonavano dall’ascensore. Kentin uscì per primo, ma aspettò che l’amico si portasse al suo fianco per proseguire.
« E comunque » continuò Castiel « se al posto di Iris ci fosse stata Erin, avrei reagito come te »
Kentin sorrise leggermente, mentre entravano in reparto.
La porta della stanza di Iris era chiusa ma di Erin nessuna traccia.
Mentre il rosso era impegnato a scriverle un messaggio, un’infermiera in carne attraversò il corridoio. Fissò i due ragazzi con tenerezza e li informò:
« Ci vorranno altri cinque minuti e poi potrete entrare »
Kentin ringraziò con un sorriso mentre la donna incalzava:
« Allora, chi di voi due è il padre? »
« Il padre di Iris? » domandò Kentin perplesso. Né lui né tantomeno il rosso potevano passare per i genitori di un’adolescente, ma l’infermiera proseguì imperterrita:
« Ah, è così che si chiama la bambina? » sussurrò con dolcezza.
« Bambina? Mi sembra un po’ cresciutella la ragazza… » commentò Castiel perplesso.
« Ma se è nata un’ora fa » ridacchiò la donna, sbellicandosi dal ridere. Dovette poi trattenersi, per non svegliare i pazienti.
I due si guardarono dapprima confusi, poi Castiel, evidentemente irritato, chiese con voce metallica:
« Mi scusi… che piano è questo? »
« Il quarto, reparto maternità… »
Li guardò allontanarsi mentre il ragazzo con i capelli rossi insultava l’amico moro e brontolava:
« Ma che cazzo di pulsante hai premuto nell’ascensore? »
 
Quando finalmente i due giunsero nella stanza giusta, trovarono Iris sorridente, Erin un po’ meno:
« Si può sapere che fine avevate fatto? »
« Parla con Affleck » borbottò Castiel, poggiando il sacchetto della spesa su un tavolino. Iris era l’unica paziente della stanza e ciò conferiva ai presenti la libertà di conversare apertamente.
« Come stai, Kentin? »
Quella domanda era sorta dalla rossa e non appena il ragazzo ne aveva udito la voce, le orecchie gli erano diventate porpora:
« T-tutto intero »
Lei sorrise mentre Erin osservava il contenuto del sacchetto. Tirò fuori quella confezione sospettosamente grande e, dopo averne valutato il contenuto, sbottò:
« Ma cosa avete preso? »
« Non vanno bene? » sbadigliò Castiel, ficcandosi le mani in tasca.
« Questi sono i pannoloni che usano gli anziani con problemi di incontinenza! »
« Ahh » replicarono semplicemente in coro i due ragazzi.
« C’è pure scritto, come avete fatto a sbagliarvi? »
« Senti, non rompere le palle. Quei cosi che usate voi noi non li usiamo » scattò sulla difensiva Castiel.
Erin lo fissò perplessa poi ghignando, commentò:
« Cosi? Hai paura di usare la parola assorbenti? Comunque, ho scoperto che bastava chiederli qui in ospedale, così nel frattempo ce ne hanno procurati un paio »
« Cosa? E tu ci hai mandato a comprarli per niente? » s’irritò il musicista.
Il loro dialogo però venne interrotto dall’arrivo del dottore, lo stesso che aveva visitato Iris mezz’ora prima.
« Signori, sapete che non è orario di visite quindi devo chiedervi di lasciar riposare la paziente. Solo uno di voi può restare qui stanotte con lei, se volete »
Erin stava per offrirsi quando Castiel la anticipò:
« Che ne dici Iris se rimane Affleck? Erin sta crollando dal sonno »
La mora aveva già aperto bocca per protestare, quando Iris la zittì:
« Non serve che resti uno di voi ragazzi. Sto bene. Ci vediamo direttamente domani quando mi dimettono… e comunque è vero, tu Erin hai gli occhi stanchi »
« Ma- »
« Rimango io » tagliò corto Kentin, sedendosi sulla poltrona nell’angolo « tanto non ho sonno »
Iris arrossì, mentre il dottore commentava:
« Allora a parte il suo ragazzo, devo chiederle di salutare i suoi fratelli »
La perplessità di Iris era talmente evidente che presto sarebbe sfociata in una scontata domanda. L’amica allora si affrettò ad abbracciarla, prima che il dottore scoprisse di essere stato preso in giro.
« Buona notte sorellina e non preoccuparti, racconto io tutto a mamma »
« Fa’ la brava » aggiunse Castiel.
Iris guardò le spalle dei suoi amici allontanarsi, mentre il dottore chiudeva la porta. Era confusa ma il fatto di essere rimasta da sola in quella stanza con il moro, faceva passare in secondo piano ogni altro avvenimento.
 
« Almeno adesso ho capito perché Iris era così strana in questi giorni. Avrà avuto gli ormoni in subbuglio »
« A me sembrava la solita » la contraddisse Castiel.
Erano diretti alla fermata del bus, distante un paio di chilometri dall’ospedale. Avevano avvertito Rosalya e Nathaniel di andare a dormire e, senza tanti giri di parole, Castiel aveva intuito che quella sera sarebbe stato privato nel suo posto letto. La coppia intendeva sfruttare di quell’ultima sera per stare un po’ da soli, così il ragazzo si era visto costretto a chiedere ospitalità ad Erin.
« Come ai vecchi tempi » canticchiò lei « quando sono venuta a casa tua per lasciare l’appartamento libero a mia zia e Jason. Finalmente posso restituirti il favore »
« Sembra passato un secolo » farfugliò Castiel, sollevando lo sguardo al cielo.
« Già » sospirò lei felice.
Rimasero per un po’ in silenzio, poi lei esclamò:
« E guardaci ora! Ne sono cambiate di cose negli ultimi due mesi! Tu e Nathaniel vi siete riappacificati, lui si è messo con Rosalya mentre tu hai trovato un lavoro come compositore. Rosa sta avviando un’attività come stilista, mentre Nath è in California… e siamo solo dei liceali! »
« Praticamente la nullafacente sei tu » la punzecchiò Castiel, facendola indispettire.
« Oh, scusa tanto se non sono un super talento come voi » borbottò.
Lui ridacchiò beffardo e sussurrò:
« Anche tu hai qualcosa di speciale, Erin… » e proprio quando gli occhi della ragazza iniziarono a brillare, colmi di aspettativa, lui precisò « …anche se non ho la minima idea di cosa si tratti »
« Ma vaffanculo, Cas! » s’imbronciò lei, accelerando il passo.
Lui alzò gli occhi al cielo, affrettandosi a raggiungerla.
« Che permalosa »
« Sei tu che sei infantile » lo rimbeccò risentita.
« Beh, almeno io non me ne vado in giro con un panda sul sedere »
Aveva pronunciato quella battuta con leggerezza, pentendosi non appena aveva realizzato di essersi compromesso da solo. Erin infatti dapprima lo fissò senza capire, poi ricordò il simpatico animaletto stampato sul retro delle sue mutandine.
« Ma allora il sedere me lo hai visto eccome! » esclamò avvampando.
A sua volta pure il viso di Castiel si imporporò ma nel tentativo di rivoltare la situazione a suo vantaggio, finì solo per renderla ancora più imbarazzante:
« Se è per questo, tu mi hai visto pure il pacco! »
« Come se fosse dipeso da me! Chi è che se ne andava in giro mezzo nudo a Dicembre? »
« Non l’avrei fatto se qualcuno qui non avesse ancora qualche dubbio su come nascono i cuccioli! »
Erin gonfiò le guance, ricordando che era per colpa dell’equivoco con Demon che Castiel si era precipitato fuori in giardino, ancora grondante dalla doccia.
Si zittì, per sbollire l’agitazione e sperare che il rossore che probabilmente le aveva incendiato il viso, si attenuasse. Quello tra di loro non era stato un vero e proprio bisticcio, ci voleva ben altro per farla arrabbiare seriamente. Inoltre, anche se il suo senso del pudore e orgoglio femminile la frenavano dall’ammetterlo a sé stessa, la lusingava sapere che anche Castiel avesse dato una sbirciatina al suo posteriore e la divertì il fatto che avesse finto il contrario.
Continuarono a camminare in silenzio finchè, dopo parecchi minuti di mutismo, Erin si lagnò:
« Ma quanto abbiamo ancora di strada? ».
« Cosa dovrei fare? Caricarti in spalla? »
« Lo faresti? » scherzò lei, con occhi supplicanti.
“Sempre” pensò.
« Assolutamente no » dichiarò risoluto.
Lei sbuffò gonfiando le gote e si portò le mani dietro la schiena. Le strade erano silenziose e deserte ma ben illuminate. Con il giubbetto che si era procurata, il clima notturno risultava piacevole, anche se mai quanto la compagnia:
« Ti ricordi l’ultima volta che siamo tornati a casa insieme con il buio? »
Quel ricordo era nitidamente impresso nella mente di Erin. risaliva alla prima settimana in cui era arrivata a Morristown. Era un venerdì e lei si era addormentata al liceo, casualità che le aveva fatto scoprire la band di Castiel e Lysandre.
Erano passati più di quattro mesi da allora, eppure anche per il rosso ogni dettaglio di quella sera era indelebile.  
« No, non mi ricordo » mentì ma lei non si fece ingannare.
Ne aveva sondato l’espressione, mentre rispondeva alla sua domanda ed era lampante che cercasse solo un altro pretesto per indispettirla.
« Come no. Sono convinta del contrario »
Calò nuovamente il silenzio e questa volta Erin non si preoccupò di interromperlo. Lasciò che, come lei, anche Castiel ripensasse a quella sera perché, ne era convinta, era esattamente su quell’episodio che si stavano concentrando i suoi pensieri.
Lui avrebbe voluto accendersi una sigaretta ma, dopo la sua discussione avuta con l’amica circa la sua abitudine al fumo, si tratteneva dal fumare davanti a lei.
Incrociarono la fermata del bus e, controllando l’orario, scoprirono che di lì a dieci minuti sarebbe passato il servizio notturno. Si sedettero sulla panchina, a fissare l’orologio sopra le loro teste.
Le 4.09.
Non c’era modo da osservare nei paraggi, fatta eccezione per qualche pianta tropicale che adornava i marciapiedi e le architetture vagamente arabeggianti di un edificio davanti a loro.
Castiel non ci mise molto a notare che Erin si era ammutolita totalmente e quando si voltò a guardarla, si accorse che aveva gli occhi chiusi:
« Svegliati. Tra un po’ arriva il bus » borbottò, temendo che si addormentasse.
« Non svegliarmi » borbottò lei, tenendo le palpebre ostinatamente serrate.
Castiel affossò le mani nelle tasche, lasciando scivolare la schiena lungo lo schienale della panchina e accavallò i piedi l’uno sull’altro.
Il suo orecchio si drizzò quando per una frazione di secondo sentì una melodia, seguita poi da una voce che amava particolarmente:
« ♪Don't wake me/ 'Cause I never seem to stay asleep enough ♫ »
Fu inevitabile a quel punto che il rosso tornasse a fissarla.
Erin canticchiava ad occhi chiusi, come la prima volta che l’aveva sentita ma, in quella notte alle Bahamas non c’era alcuna tristezza sul suo viso. Sorrideva divertita, immaginando la reazione dell’amico accanto a sé.
Castiel adorava quel timbro. Ne era rimasto affascinato la prima volta e, ora che lo riascoltava a distanza di mesi, la sua sensibilità musicale ne uscì ancora più colpita.
Don’t wake me degli Skillet.
Irrazionalmente, sentì il battito accelerargli, mentre ascoltava quella voce melodiosa che sui suoi nervi era quasi una tortura.
Strinse i pugni, per soffocare il desiderio pulsante di baciarla, saltarle addosso e fare l’amore con lei su quella squallida panchina.
Erin era così.
Irresistibilmente dolce, favolosamente unica.
Gli regalava dei sorrisi che lo facevano sentire fortunato e delle emozioni che a stento riusciva ad arginare. Lei era l’unica che poteva fargli incredibilmente male nel tentativo di farlo stare meglio. Perché ogni contatto ravvicinato, ogni tocco con cui sfiorava la sua pelle lo proiettava per un attimo in una dimensione di felicità destinata a sgretolarsi verso la consapevolezza che tutto ciò non gli sarebbe mai appartenuto.
Lei era talmente perfetta per lui, che era frustrante riconoscere quanto lui fosse sbagliato per lei. Meritava decisamente un ragazzo migliore di lui, meno irascibile e impulsivo, più garbato e comprensivo. Lui non la meritava nella maniera più assoluta.
Nonostante questa consapevolezza però, Castiel sapeva che se anche quell’uomo perfetto fosse esistito, non avrebbe mai desiderato che lui ed Erin si incontrassero.
Nessuno, per quanto ideale, sarebbe stato abbastanza per una come lei.
Erin era il regalo che gli aveva fatto la vita in uno dei periodi più cinici della sua esistenza e non se lo sarebbe lasciato strappare dalle mani facilmente.
Nessuna ragazza riusciva a guardarlo come faceva lei, come se in lui ci fosse qualcosa di speciale, per cui valesse la pena tenere in piedi quel rapporto, anche se si trattava solo di una casta amicizia.
« ♪When it's you I'm dreaming of / I don't wanna wake up ♫ »
Erin aveva smesso di canticchiare, poichè quell’ultima strofa era stato l’amico ad intonarla.
Fu talmente sorpresa che squittì allegra:
« Finalmente ti sento cantare, Cas! »
« Non sto cantando » s’interruppe bruscamente l’amico « sto mugolando »
Lei fece allora il verso di una mucca per prenderlo in giro e, stranamente, riuscì pure a farlo divertire.
« Sei di buon umore stanotte » considerò, con gli occhi che le brillavano gioiosi. Adorava vederlo così, specie perché era uno spettacolo alquanto raro.
 
Dopo che i due amici avevano abbandonato la stanza, Kentin era un fascio di nervi. Non aveva mentito quando aveva sostenuto di non avere sonno: la schiena gli bruciava e, soprattutto, gli avvenimenti delle ultime ore lo avevano destato.
« Grazie per tutto, Ken » mormorò Iris d’un tratto.
« Figurati » farfugliò lui.
Lei sorrise dolcemente, mentre lui la fissava arrossendo. Aveva i capelli sciolti, abbandonati lungo la spalla destra e le mani conserte. Iris era davvero molto bella, quella sera per la prima l’aveva vista senza treccia e se fosse stato un po’ più spavaldo e sicuro di sé, avrebbe davvero voluto dirglielo.
Ai suoi occhi infatti, non importava della stanchezza del suo viso o dei capelli privi di volume a causa della pioggia. Lei era meravigliosa, e lui troppo timido per approfittare di quell’occasione per farsi avanti.
La rossa tornò a stendere la schiena contro la pila di cuscini e fissò il soffitto:
« Mi sono comportata da stupida e ho finito per mettere in pericolo anche te. Se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato » si recriminò.
Lui fece spallucce e la tranquillizzò:
« Ci vuole ben altro per mettere a tappeto un militare »
Lei girò la testa di lato, sorridendo:
« Già… non siete poi così male voi dell’esercito » commentò tra sé e sé.
« E’ per questo che non mi sopportavi? »
Quella domanda la colse in contropiede, tanto era stata esplicita. Si mise seduta, fissandolo sconvolta e in difficoltà:
« N-no, non è vero… cioè… »
« Dai, Iris » la incoraggiò lui, cercando di apparire conciliante « ammettilo che non ti andavo proprio a genio »
« Ok, ma non era colpa tua. E’ che, per via del lavoro di mio padre, non avevo una bella considerazione degli ufficiali »
« Se non ricordo male tuo padre lavora al centro di addestramento di Allentown, giusto? »
Lei annuì:
« E’ sempre una persona molto chiusa, che non lascia trapelare alcuna emozione, nemmeno una carezza di affetto verso i suoi figli o sua moglie »
« Non tutti sono così… » osservò Kentin, il cui padre però, il sergente Affleck, era dello stesso stampo del padre di Iris.
« No, a quanto pare no » sorrise lei « però riconosci che talvolta siete un po’ buzzurri »
« Non è che i civili siano tutti dei lord. Prendi Castiel! »
Iris sorrise a sua volta, arrendevole, e lo stuzzicò:
« Sbaglio, o andate sempre più d’accordo voi due? »
« Sbagli » asserì categorico il moro ma, cambiando radicalmente espressione, rettificò « eppure è quanto di più simile ad un amico che abbia mai avuto »
 
Iris venne rimessa dall’ospedale il giorno successivo, poche ore prima della partenza.
Il medico le aveva consigliato una visita ginecologica al suo rientro, ma l’aveva rassicurata sulla stabilità delle sue condizioni.
Quando arrivò al bungalow, trovò la valigia già pronta e, assieme alle sue amiche, salutò quell’abitazione che le aveva ospitate in quell’incredibile settimana. Avrebbe portato con sé ricordi dolci e amari di quell’esperienza e tra gli ultimi vi era quel ragazzo biondo che la stava aspettando in veranda.
 
Dake sostò sul gradino, finchè non sentì i passi di Iris giungere alle sue spalle. Si voltò, ma non osava guardarla in faccia e pure l’imbarazzo della ragazza era evidente.
Doveva scusarsi poiché non vi era altro che potesse fare. Il senso di colpa era stato opprimente quella notte:
« Mi dispiace, Iris. Mi sono comportato da stronzo »
Lei non si mosse, tenendo lo sguardo perso davanti a sé.
« Non hai i bagagli » osservò, cambiando discorso.
« Rimango qui per un po’. Mi ospita un mio amico, così potrò partecipare alla gara di surf »
Lei annuì laconica, perdendosi a guardare il mare in lontananza.
Non c’era più nulla della spensierata ingenuità che aveva imparato ad ammirare in quel volto di porcellana.
« Comunque Iris… tu mi piaci davvero » le disse, allontanandosi.
Aveva capito che non l’avrebbe perdonato e, soprattutto, amato.
Tanto valeva abbandonare il campo di battaglia il prima possibile, per non rendere ancora più penosa la sconfitta.
Eppure sentì una mano sfiorare la sua, seguita da un sussurro:
« Dake, aspetta… »
Lui si voltò, potendo finalmente posare i suoi occhi su quelli di lei.
«Non ce l’ho con te. Davvero. Accetto le tue scuse e mi dispiace se ti ho solo illuso. Sei un buon amico, ma nient’altro »
« Allora ci salutiamo qui » concluse il biondo, scostandosi da quel contatto.
A quel punto si convinse che avrebbe preferito non sentire quelle parole.
Gli facevano più male di quanto avesse mai immaginato.
Ormai aveva salutato tutti, tra il disagio e l’imbarazzo generale.
Non aveva più motivo per restare.
Raccolse la valigia e si avviò, convinto che quella sarebbe stata l’ultima occasione in cui avrebbe visto Iris.
 
In aereo, venne rispettata l’assegnazione di posti, che fece sì che Castiel e Kentin si trovassero l’uno accanto all’altro:
« Finchè morte non ci separi » masticò sarcastico il rosso, appena se lo trovò vicino.
« Pensa che tristezza se quest’aereo si schiantasse e il tuo brutto muso fosse l’ultima cosa che vedo prima di lasciare questo mondo » reagì il cadetto.
« Magari piena di sangue e ferite » puntualizzò Castiel e Kentin stette al gioco:
« Senza un occhio e con la mascella slogata »
« Dateci un taglio! Che schifo! »
Da sopra le loro teste, arrivò una violenta sberla di Rosalya, che riprendeva i due:
« Fate dei discorsi da idioti »
« Perché non hai sentito quello sulle scorregge dell’altra notte » commentò Castiel.
« Ci ha tenuti svegli per un’ora » ricordò il cadetto con nostalgia.
« Che discorso? » s’intromise Erin, facendo capolino accanto a Rosalya, sopra le teste dei ragazzi.
« Cip! Non ti ci mettere pure tu! »
« Chiedilo a Nathaniel » rispose Castiel « è stato lui ad iniziarlo »
La stilista arricciò le labbra, lanciando un’occhiataccia al suo ragazzo seduto poco lontano, accanto a Steve. Paula sonnecchiava sulla spalla del suo ragazzo, mentre davanti a loro, Kim e Dajan erano intenti a sfogliare una rivista sportiva. Da quando si erano riuniti tutti per un ultimo saluto ai bungalow che li avevano ospitati, la coppia era stata stranamente taciturna, ma non la smetteva di scambiarsi sorrisi complici. Wes e Trevor, fortunatamente, erano crollati dal sonno, così come Iris, seduta accanto ad Erin.
Passò l’hostess, che invitò le due ragazze a rimanere composte.
L’aereo sarebbe decollato di lì a pochi minuti.
Questa volta non c’era più Castiel accanto a lei, ma Erin si sentiva tranquilla, era passato il panico della prima volta.
Chiuse gli occhi, mentre una serie di immagini iniziarono a sfilare nella sua mente, frammenti di quell’ultima indimenticabile settimana: il mancato bacio con Castiel in aereo, la prima volta che aveva visto quell’acqua cristallina, le serate in compagnia, l’immersione con gli squali, la sparizione di Iris e la camminata notturna con Castiel.
Riaprì gli occhi quando l’aereo si era ormai staccato dal suolo, giusto il tempo di intravedere il profilo di quell’arcipelago dove lei, come il resto dei suoi amici, aveva lasciato una parte di sé, una parte della sua adolescenza da ricordare per sempre con tenerezza e affetto.
 
 


 
NOTE DELL’AUTRICE:
 
Buonasera! Dunque, premetto che mi sono pentita di aver fatto la spavalda, promettendo un sacco di aggiornamenti per Natale xD  Spero di farcela! Almeno con il capitolo e una delle due OS (la più corta xD)
 
Veniamo ora al capitolo. Puff, quanta carne al fuoco :3
 
Con questo capitolo mi sono un po’ (moolto!) lasciata andare al fluff, visto che nei prossimi tornerò al vecchio equilibrio tra scene romantiche e trama più corposa. Anche per questo è stato abbastanza veloce scriverlo, considerate inoltre la sovrabbondanza di dialoghi -.-‘’. Sarà per questo che dal punto di vista di come è scritto, non lo trovo niente di che, ma per una che si è astenuta dalla scrittura per mesi, è stato un buon esercizio u.u
 
So che il dialogo iniziale tra Iris e Kim può sembrare un po’ strano, perché in tutta IHS non c’è mai stata una vera e propria complicità tra le due (come c’è invece con Erin), ma ho sempre immaginato che prima dell’arrivo della mora, Iris fosse l’unica tra le compagne di classe con cui la velocista andasse d’accordo. E’ per questo che ancora nel lontano capitolo 5 avevo scritto questo pezzo:
“Aveva quasi finito il pranzo, quando un’ombra le si parò davanti, oscurandole il debole sole autunnale:
“Castiel vuole vederti” annunciò Kim con fare minatorio.
Violet sussultò mentre Iris squadrò Kim.
“e perché?” chiese Erin ricambiando l’ostilità con cui le si era rivolta la compagna di classe.
“e che ne so! E’ in cortile comunque… Io te l’ho detto, tu fa come ti pare” e detto questo si allontanò con la stessa rapidità con cui si era presentata.
“uff, Kim non imparerà mai” borbottò Iris imbronciata.
“a che ti riferisci?”
“ad essere più garbata con gli altri. Ti assicuro che dietro quell’aria arrogante, c’è una persona sensibile e premurosa” le spiegò Iris.
“parliamo un’altra volta della doppia identità di Kim che dici?” tagliò corto Erin nervosamente.”
Inoltre, volevo puntualizzare il senso di confusione provato da Iris nel realizzare che anche un tipo come Kim, assolutamente poco romantica e femminile, si riscopra completamente diversa e trasformata a causa dei sentimenti che prova per Dajan. A tal proposito, il fatto che proprio una come Kim abbia avuto la sua prima volta a distanza di appena due settimane da quando si è messa con il ragazzo, è una dimostrazione di quanto lei gli sia legata, al punto da vincere le sue paure. Comunque ogni coppia di IHS è una realtà a sé, quindi non è detto che anche le altre saranno così rapide nell’andare al sodo xD
 
In questo capitolo, come avete visto, mi sono focalizzata solo ed esclusivamente sul viaggio alle Bahamas, perché ci tenevo a concludere questo viaggio per poi tornare alla cara vecchia Morristown, dove ho lasciato personaggi che amo particolarmente (Ambra, I miss you!). Tuttavia, per bocca di Castiel, Sophia ha avuto una particina in questo capitolo, in cui veniamo a conoscenza del suo venir meno alle visite di controllo. Che sarà successo?
 
Veniamo ora a Castiel e Nathaniel. Si è creata una nuova crepa nel loro rapporto, motivata dal fatto che il biondo si sia schierato dalla parte di Sophia. Parallelamente all’instabilità dell’amicizia dei due, in questo capitolo ho voluto rafforzare ulteriormente il rapporto tra Castiel e Kentin, che non so voi, ma a me insieme piacciucchiano u.u
 
Parlando di Kentin, il vero sblocco del capitolo è stata la risoluzione del triangolo, con Dake fuori dai giochi, per la gioia di chi ci sperava e la delusione di chi sperava nell’opposto (I’m sorry T_T)… adesso non rimane che aspettare che uno dei due facciano il grande passo (e che io decida come avvenga, perché è una cosa che non ho ancora stabilito xD)
 
Con la scena degli assorbenti… beh, ci credete che è scritta da più di un anno? Precisamente ricordo di averla buttata giù mentre stavo studiando patologia umana xD Era luglio 2014, mi pare… e sorvolo sul come sia nata l’idea. Ciò che mi preme è avervi strappato un sorriso, perché è una delle mie scene comiche preferite in tutta la storia ;)
 
Ah, cosa importantissima: chiedo scusa a tutte le autrici di storie che seguivo mesi fa per essere sparita T_T Pian piano sto cercando di recuperare con le recensioni, ma visto che mi sono messa freneticamente a scrivere la mia storia, le recensioni ne stanno facendo le spese…. Prometto però che arriverò!
 
Ultima cosa: volevo ringraziare tutte le ragazze che finora hanno postato le domande al sondaggio che ho proposto nel precedente capitolo ^^ Sto valutando se tenerlo aperto oltre Natale, così da dare più tempo… intanto, se volete darci un’occhiata, lo trovate qui.
 
https://docs.google.com/forms/d/1KiL7MJR34pzukgyxERtJ9YXKPgUj7xaE_uppIhHVqxA/viewform
 
E’ tutto, temo di aver parlato anche troppo.
 
Grazie per aver letto :)
 
Alla prossima!
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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