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Autore: Cecile Balandier    19/12/2015    17 recensioni
Una storia raccontata in prima persona da André e inserita nell'episodio "Gli ultimi splendori di Versailles". 
"- Parla André, raccontami... -
Insisti, sospirando prima di parlare.
- E va bene... -
D'accordo Oscar, adesso saprai davvero tutto di me. Tutto... Ma ricorderai e saprai molto anche di te stessa.
Di qualcosa che io non sono più riuscito a scordare... e forse neanche tu.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 

~ Il ricordo che volevo ~

Parigi. Vigilia di Natale, 1788
La gente di Parigi sfida il freddo oggi pomeriggio, lasciandosi intirizzire le mani e il naso dal gelo, pur di sentir incidere nei cuori parole come libertà e uguaglianza e diritti...
Parole grandi come montagne, certo, eppure oggi ho quasi l'impressione di vederle fluttuare leggere tra la neve e le voci. 
Ho qualche giorno di licenza e sono venuto in città per ascoltare un'adunanza rivoluzionaria e il conseguente lamento di un popolo che ormai nessuno, tantomeno il re, dovrebbe fingere di non udire. 
Spicca un uomo in particolare, tra i contestatori al centro della piazza. È carismatico ed accentratore, inoltre parla con veemenza e afferma a gran voce che il Terzo Stato ora chiede più potere, chiede di poter contare, per porre fine ad ogni tipo di discriminazione.
- Non è lontano il giorno in cui potremo vivere nell'uguaglianza!!! -
Riconosco la sua voce... è proprio lui!
- Ma quello è Bernard! - 
Esclamo in mezzo alla gente, mentre continua morbidamente a cadere sulle nostre teste qualche fiocco di neve, che copre di bianco le mie spalle e il mio mantello marrone. 
Cerco di farmi spazio tra gli uomini e le donne agitati e accalcati in questa piazza parigina, voglio raggiungere assolutamente Bernard.
Mi guardo attorno appena ho un po' di respiro e mi sembra di vederlo sul Pont Neuf con due uomini al seguito. 
- Bernard! Fermati, Bernard!! -
Lo chiamo appoggiando la mano sul parapetto ghiacciato del ponte. 
Si volta, riconoscendomi immediatamente.
- André! Ma tu sei André!! -
Esclama sorpreso, con una voce gioviale.
- Ti ho sentito parlare a quella gente, dici cose molto belle Bernard! -
Una risata amichevole in risposta alle mie parole.
- Sai, sono molto contento di rivederti! Ehi... perché non vieni a casa mia? È qui vicino... -
Dice avvicinandosi di qualche passo, sulla neve ancora fresca. 
- Vengo volentieri Bernard! -
Gli vado incontro e dopo una stretta di mano e una pacca sulla spalla ci dirigiamo a casa sua, in Rue de Rivoli.
È una palazzina semplice a tre piani, con le imposte verde scuro un po' scardinate, nell'insieme in buone condizioni rispetto ad altre abitazioni parigine, fatiscenti e poco dignitose. 
Mi fa accomodare in un salottino dalla carta da parati a piccole righe rosse e color crema, molto accogliente nonostante il mobilio semplice, in legno di larice.
Rimango piacevolmente sorpreso dal calore improvviso sul viso e dal tepore asperso nella stanza dal bel fuoco che troviamo già acceso nel caminetto di pietra grigia, decorato con un verdissimo e spoglio ramo di pino. 
- Vado a chiamare una persona... tu aspetta qui André! -
Si raccomanda grattandosi il mento e ridacchiando un po', dopo aver appoggiato su una sedia il mantello.
È rimasto un giovane uomo coraggioso e tenace Bernard. Proprio come me lo ricordavo dopotutto.
- D'accordo! Ti aspetto qui... -
Rispondo incuriosito mentre levo anch'io il mantello e lo abbandono su una poltroncina. Mi avvicino al fuoco per scaldarmi le mani, tremendamente intorpidite e screpolate per il freddo. 
Guardo la finestra, i fiocchi di neve si sono infittiti. Ho lasciato il mio cavallo al coperto e al sicuro, nella stalla di una locanda qui vicino, ma se continua così potrebbe arrivare una bella bufera di neve e sarei costretto a rimanere alla locanda per la notte.
Proprio un bella vigilia di Natale sarebbe... senza contare che sei rimasta in caserma per tutto il giorno e chissà quando e se potrai rientrare a Palazzo. 
È quasi una settimana che non ti vedo, tranne un saluto veloce giorni fa, per i corridoi della caserma. 
In quell'occasione mi era sembrato di vederti quasi illuminare in un lieve ma spontaneo sorriso, nel trovarmi improvvisamente davanti al tuo cammino, interrompendo il tuo incedere sicuro, salutandoti col tuo nome, in modo confidenziale, trovandoci soli. 
Ma quel piccolo sorriso, palpitante come un battito di cuore, si era rapidamente dissolto, come questi cristalli di neve, che scompaiono in fretta quando arrivano al suolo, senza fare rumore, come i pensieri o i sogni. 
Il cigolare della porta alle mie spalle mi riporta alla realtà. 
- André, André tu qui? -
- Rosalie! -
Esclamo colto dalla sorpresa, non mi aspettavo di vedere proprio lei. 
- Sono anni che non ci vediamo, non è vero André? -
Dice con dolcezza, accanto a Bernard, tenendo tra le mani un vassoio con del caffè fumante. 
- No, sono secoli! Ma perché non hai scritto? Perché non ci hai fatto avere tue notizie? Non capisco... come mai vi conoscete? Perché mi hai portato qui, Bernard? Oh... ma certo! Siete marito e moglie vero? -
La contentezza e la sorpresa mi confondono.
- Già, ci siamo sposati dopo la mia parentesi come Cavaliere nero... -
Bernard stringe la spalla di Rosalie con una mano. Un gesto intimo ma sicuro, che non lascia dubbi circa l'intensità della loro unione.
- Davvero? Sono molto contento, congratulazioni! -
La notizia mi scalda sinceramente il cuore.
- Grazie! Senti, cosa mi dici di Oscar, coma sta? -
Mi chiede con gli occhioni blu aperti e curiosi. È rimasta la stessa di sempre, nonostante il senso di completezza che non avvertivo prima in lei e che ora sento abitarla nel profondo, dal tono di voce, dallo sguardo, dalla sicurezza nei gesti, oltre che nell'aspetto in generale. 
- Ah, sta bene Rosalie... ma forse non sai che ha chiesto di lasciare la Guardia Reale e che adesso lei comanda i soldati della Guardia! -
Alle mie parole libera lacrime tenerissime, seppur con radici profonde, perché conosce molto bene tutte le difficoltà e i sacrifici insiti nella vita militare. Soprattutto nella vita militare per una donna. 
- No, non piangere Rosalie... ti garantisco che niente è cambiato da allora. Niente e nessuno... -
Rispondo con dolcezza, ma allo stesso tempo con sicurezza nelle parole. Almeno per quanto mi riguarda, certe cose non cambieranno mai e lo scopo della mia vita per primo. 
Bernard le si fa vicino col viso, forse le sussurra qualcosa. Lei annuisce facendosi raccolta con lui, poi appoggia il vassoio sul pulitissimo tavolo rotondo, di medie dimensioni. 
- Comunque ti sbagli André, io ho scritto il nostro indirizzo ad Oscar qualche tempo fa, dandole anche la notizia! Domani è Natale... ti prego, portale i nostri auguri, anche per il suo compleanno! -
Dice asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani, finalmente libere, mentre Bernard mi porge la tazzina col caffè ancora caldo. 
- Ma certo Rosalie! Lo farò senz'altro! -
Le dico con un sorriso, cercando il suo sguardo, con quella punta di confidenza che deriva dall'aver condiviso molto in passato. Ricambia il mio sorriso mentre indossa una mantellina verde chiaro, forse un po' leggera per il freddo che si ritroverà là fuori, mi ritrovo a pensare.
- Io devo andare a lavorare André... Oh!! -
Sussultiamo tutti e tre, voltandoci verso la porta del salottino. Qualcuno bussa senza troppo vigore ma insistentemente al portone d'ingresso al piano di sotto. 
- Non aspettiamo nessuno... Strano! Vado a vedere di chi si tratta, André ti prego, stai con Rosalie! -
Poggio la tazzina sul vassoio e annuisco, facendomi vicino a sua moglie. 
So bene che Bernard fa parte di un gruppo di rivoluzionari considerati sovversivi e deve guardarsi le spalle come meglio può. 
Lascia la porta del salottino un po' accostata e in questo modo possiamo udire il rumore dei suoi passi leggeri mentre discende le scale e persino la sua voce nell'accogliere una persona gradita, data la risata di contentezza che arriva rassicurante alle nostre orecchie. 
Un'orgogliosa Rosalie mi sorride per poi voltare lo sguardo verso la finestra e sospirare di sollievo, credendo di non essere vista da me. Io ritorno accanto al fuoco, sono pronto a salutarli per ritornare a Palazzo. Anche tu da oggi sei in congedo, per qualche giorno, e io non posso, proprio non riesco a starti lontano...
Rientra Bernard con gli occhi che sfavillano.
- Guarda un po' chi è venuto a trovarci, Rosalie! -
Esclama ridacchiando, attirando l'attenzione di sua moglie. Io sorrido e mi dirigo verso la finestra, per riprendere il mio mantello, che ho lasciato su una poltroncina di velluto vecchio e sgualcito. Non voglio disturbare la loro intimità e inizio a sentirmi di troppo... ma la voce che, calda e levigata, arriva con eleganza a riempire la stanza, mi lascia immobile e senza fiato. 
- Rosalie! Come stai? -
- Non posso crederci! Oh mio Dio! Oscar!! -
Mi volto di scatto, con un gesto istintivo, e vedo Rosalie gettarsi tra le tue braccia. 
Il cuore accelera i suoi battiti, senza poterlo comandare. Sono in tuo potere, ancora una volta Oscar, e questa volta, senza alcun preavviso. 
Hai ancora i capelli e il mantello grigio coperti di fiocchi di neve, che sciogliendosi a contatto col calore della stanza ti lasciano diamanti tra le ciocche lunghe e sulle spalle, per poi scivolare svettanti lungo le pieghe della stoffa rigida. 
Sei bella. Troppo bella per non inchiodare il mio sguardo opaco su di te. 
Sempre. 
- Che sorpresa! Credevo che non ci saremmo più riviste! Oh... Oscar! -
Dice Rosalie staccandosi dall'abbraccio, asciugandosi di nuovo le lacrime, rossa in volto per l'emozione.
- Avevo un po' di tempo e... desideravo farvi finalmente le mie congratulazioni per il matrimonio e... gli auguri di buon Natale! -
Rispondi con dolcezza, accarezzando il capo di Rosalie. Hai pacatezza nella voce e le gote un po' irritate dal gelo. 
Io rimango in disparte, ammutolito, non mi aspettavo di vederti qui e tu non ti sei ancora accorta della mia presenza.
- È una sorpresa davvero avervi qui tutti e due! -
Bernard guarda nella mia direzione, posando con delicatezza la mano sulla spalla di Rosalie, che a sua volta mi cerca con lo sguardo. 
Ti vedo continuare a sorridere, poi corrugare la fronte e voltarti di scatto. 
Incroci il mio sguardo e sgrani i tuoi occhi trasparenti, ma solo per un istante, perché mai vorresti farti sorprendere da me senza il controllo della situazione. 
- André.... anche tu qui? -
Mi chiedi con lentezza, fissando un punto indistinto oltre le mie spalle, mentre io mi avvicino di qualche passo.
Sembri quasi indifferente, come il grigio vaporoso del cielo mentre nevica. Con la sua mestizia lascia frastornati i colori del cielo e delle strade. 
- Ho incontrato Bernard per caso e... mi ha portato a salutare la nostra Rosalie! -
Dico rivolgendoti un sorriso, perché sono felice di vederti Oscar, perché finalmente posso specchiarmi nel candore della tua pelle sottile sotto quel rossore acceso, che ti fa sembrare quasi una bambina in questo momento. 
Riprendi presto il dominio dei tuoi pensieri e ti volti verso Rosalie, prendendole la mano.
- Oscar... se avessi saputo che ci avresti fatto visita... Purtroppo devo andare a lavorare e sono già in ritardo! -
Dice con gli occhi lucidi, alzando il cappuccio della mantellina.
- Non preoccuparti Rosalie, ci saranno altre occasioni. Sono felice di sapere che state bene! -
Parli con un sorriso a mascherare un po' di malinconia, che forse soltanto io percepisco, perché soltanto io conosco ogni tuo dettaglio come fosse mio, quasi come un musicista esperto che conosce alla perfezione ogni nota della sua sinfonia preferita. 
Sinfonia che gli rende possibile toccare le illusioni, anche se dopo averlo fatto, ne rimane sempre più tormentato. 
- Accompagno mia moglie, vi prego, aspettatemi qui e scaldatevi con tutta la legna che vi serve... Sarò di ritorno tra poco! - 
Bernard non ci dà il tempo di replicare ed esce salutandoci con un gesto spiccio della mano, chiudendo la porta alle sue spalle, con Rosalie al suo seguito, che ci saluta agitandosi in un sorriso raggiante. 
Mi dai ancora le spalle quando ti levi lentamente e con grazia il mantello grigio, allargandolo un po' prima di poggiarlo sullo schienale di una sedia. 
Indossi ancora l'uniforme da comandante e hai le punte dei capelli ancora bagnate. 
- Sei uscita adesso dalla caserma? -
Ti chiedo mentre mi volto verso il fuoco, per guardarlo mentre divora, crepitante e guizzante nel suo color carminio, l'abbondante legna che Bernard ha disposto prima di uscire.
E ho l'impressione di essere divorato anch'io dall'emozione, per la tua presenza, per questa improvvisa intimità, per il tuo ostinato silenzio. 
- Si, poche ore fa. -
Rispondi a voce bassa, avvicinandoti inaspettatamente al fuoco e allungando le tue piccole mani, restando quasi al mio fianco. 
Sei vicina, ma mai abbastanza...
Guardo il fuoco insieme a te e vorrei che fosse facile parlarti e godere di qualcosa di semplice come una risata o una battuta di spirito, come quando eravamo ragazzi ed era naturale aprire i nostri cuori in parole immediate, spontanee.... e gli errori, il dolore e l'amore non avevano ancora devastato le nostre vite e le nostre anime. 
- Hai freddo? -
Ti chiedo osservandoti, perché qualche brivido ti scuote e ti stringi nella tua uniforme blu.
Mi guardi con la coda dell'occhio.
- No...tu? -
Sorrido, restando col viso voltato dalla tua parte. 
- No... -
Poi torna il silenzio, il distacco, il gelo, e io vorrei essere in grado di scioglierlo come fa il fuoco, con la sola forza del mio amore.
Nevica copiosamente ora e me lo fai notare, guardando distrattamente la finestra, forse per trovare qualcosa da dire. 
Con la neve e la tua presenza riaffiora all'improvviso un ricordo, molto lontano ma forse il più puro e intenso al tempo stesso della mia vita. 
E io ho voglia di ricordare... con te. 
- Lo sai vero, cosa mi ricorda la neve? -
Inspiri lentamente, ti guardo mentre sfreghi le mani e le porti alle labbra. 
Sono sul punto di credere che non mi risponderai, quando sussurri qualcosa, con la voce un po' soffocata dalle dita e con gli occhi puntati sulle fiamme.
- Il diadema di smeraldi... -
Ero certo l'avessi pensato anche tu. 
- Esattamente... -
Sorrido mentre parlo, poi ti lascio sola davanti al camino, per avvicinarmi alla finestra, consapevole di cosa ti sto portando a ricordare.
Mi lascio trasportare dal ricordo che volevo... perché è un ricordo che ti parlerà più di quello che posso fare io. 
- Era il 1767... vero, Oscar? -
Ti chiedo con il viso quasi attaccato al vetro un po' appannato della finestra. Il cielo è bianco, come ormai la strada e i tetti della bella Parigi.
- Si... -
Rispondi soltanto, ma ti avvicini e ti siedi su una sedia, attorno al tavolo, dove poggi comodamente un braccio e inizi a giocherellare con le dita su un segno d'intaglio del legno. 
- Stavi per compiere 12 anni, mentre io ne avevo già 13... -
Annuisci con la voce, ma non mi guardi. 
Sei fredda. E sei lontana. 
Eppure sei qui e mi stai ascoltando, come io sto ascoltando il tuo respiro leggero incresparsi un po'. 
Inizio a parlare, a raccontare, trasportato dalla mente a quel lontano pomeriggio dal cielo color oro e argento. 

Palazzo Jarjayes. Vigilia di Natale 1767 
Sul tavolo del salone grande erano stati riposti due candelabri d'argento appena lucidato, a sei luci ciascuno, in mezzo ad una ghirlanda fatta con il vischio trasparente e alcuni rami di agrifoglio, che colorava di rosso la composizione, per le sue bacche vivaci. 
Ricordo fiamme alte e sfavillanti nell'enorme camino, coperto da un parafuoco a rete per il troppo divampare. 
Un grande abete troneggiava al centro della stanza, gli aghi ancora ricoperti di piccoli cumuli di neve, che andavano lentamente a sciogliersi e a fondersi con il verde intenso dell'albero, rendendo lucidi i suoi ampi rami. 
"André, puoi rimanere un po' con il signorino Oscar! L'aiuterai ad addobbare l'albero di Natale con queste sfere di vetro. Poi tornerai alle tue faccende!"
Mi disse l'inflessibile Monsieur Dupuis, l'istitutore cui tuo padre affidò la nostra istruzione, identica in tutto. L'unica differenza, ben chiara anche a lui, era che io avevo anche dei doveri, in quanto servo. 
E lui non perdeva mai occasione per ricordarmi le mie origini. Umili origini. Ma a me non importava la sua presunzione o i pregiudizi su cui basava i suoi pensieri e le sue azioni, per te ero soltanto André, il tuo migliore amico. E questa era la cosa che più contava per me. 
La nonna se ne stava ad osservare l'abete, sfregandosi vistosamente le mani mentre ammirava compiaciuta l'enorme albero, quasi fosse tutto merito suo il fatto che fosse tanto alto e tanto verde. 
Tu eri seduta per terra, le ginocchia vicino al petto, un libro di latino aperto al contrario. Mi guardavi ridendo mentre annuivo mesto a Monsieur Dupuis. 
Indossavi culottes e gilet lungo di velluto azzurro e una camicia di seta bianca, con lo jabot di pizzo fermato da una spilla. Un rubino ovale rosso come le tue labbra. 
Eri una ragazzina smilza ma con due guance piene e rosate come peonie, bellissimi boccoli biondi fino alle spalle e gli occhi azzurri vispi e acuti.
Ti piaceva giocare, fare scherzi, ridere e spesso infrangere le regole. 
"Signorino Oscar, non a terra. Seduto come si confà ad un Conte, prego!"
Ti intimò, facendo rumorosamente segno di sederti al tavolo con la lunga bacchetta di legno, che non poggiava mai. 
Per nostra fortuna giunse il suo orario di riposo. Una pausa da lui finalmente e tornammo a respirare. 
"Era ora! Non lo sopportavo più!"
Sbottai non appena chiuse le porte color verde acqua del salone ed uscì seguito da mia nonna.
"Ti dai una mossa? Mica posso fare tutto da sola!"
Dicesti guardando perplessa le scatole di legno da cui ammiccavano luccicanti sfere di vetro e nastri di velluto in tutti i colori del mattino. 
Con un nastro blu legai i capelli scuri, più lunghi dei tuoi e mi rimboccai le maniche della camicia bianca, su cui avevo lasciato slacciato il gilet marrone, corto e semplice. 
Avevo tredici anni e mi affacciavo alla giovinezza con entusiasmo e curiosità, già lontano dal mondo dell'infanzia, anche nei pensieri. 
Tu invece avevi appena superato il trauma del cambiamento che fa di ogni bambina una donna. E mi era ben chiaro... 
Eri femmina... e non perché nonna Marie si prodigava ogni volta a spiegarmi tutto in tal senso. 
Eri femmina e basta, non lo dimenticavo mai. 
"Si... ma tu passami le sfere altrimenti non finiremo mai prima che torni il -Signorino Dupuis!- "
Dissi accennando un ghirigoro con le dita e piegandomi in un inchino oltremodo vistoso. 
Scoppiasti in una sonora risata. 
"E va bene... ma io metto il puntale!"
Continuando a ridere anch'io, balzai sullo sgabellino di legno, per arrivare ai rami più alti. 
"Oscar sbrigati... così possiamo andare un po' sulla neve! Ti devo dare una bella lezione! Una di quelle che non scorderai!"
"Io ti affosso nella neve, André!"
Mi minacciasti col puntale, alzando un angolo della bocca e strizzando gli occhi azzurrissimi. 
"Non credo proprio!"
Risposi io scuotendo piano la testa. 
"Stai attento a te! Oh... no... accidenti a me!!!"
Esclamasti dopo aver fatto cadere a terra il puntale, che sottilissimo si ruppe in mille pezzettini scintillanti. 
"Che cosa ti prende?"
"Ho rotto il puntale! Mia madre ci teneva, gliel'avevano regalato alla mia nascita, dannazione!"
Ti sfuggì uno sbuffo e mi guardasti mortificata, sgranando gli occhi. 
"Forse si può accomodare... fammi dare un'occhiata."
Dissi scendendo svelto dallo sgabello. 
"No... André guarda... l'ho frantumato... Andiamo in camera dei miei genitori, sono fermi dal Marchese de Lambert per via della neve... forse nei cassetti di mia madre c'è qualcosa! Forse possiamo camuffare!"
Non avevi paura di niente e ti muovevi libera e svelta come una gatta per la casa. 
"No Oscar... se mia nonna mi trova a girare per le camere padronali mi uccide! E poi se rompiamo qualcosa anche lì sono guai... guai seri! E ricordiamoci di Monsieur Dupuis!" 
Dissi preoccupato. 
"Ci penso io Cuor di leone!! Avanti spicciati!!"
Nemmeno il tempo di finire la frase che scivolasti verso il corridoio.
"Aspettami!"
Ti urlai dietro.
Entrammo così nella stanza da letto dei tuoi genitori.
Grande, elegante e gelata, poiché la finestra era stata lasciata spalancata. 
"Qui dentro si gela André! Oh... guarda... un pettirosso!"
Dicesti leggiadra, andando alla finestra. 
"Andiamocene Oscar... prevedo guai stavolta... te lo giuro..."
"Aspetta, fammi guardare nei cassetti... qui ci sono dei nastri, dei fiori di stoffa... e questo André... lo hai visto?"
Ti voltasti di scatto, i capelli biondi a seguire i tuoi gesti spavaldi. 
"Che cos'è?"
Mi avvicinai incuriosito dallo scrigno di forma ovale, di velluto color viola. 
"È il diadema di smeraldi che la Marchesa di Pompadour ha regalato a mia madre, prima di morire... Erano amiche. Mia madre lo indossa sempre per la festa di Natale alla reggia di Versailles.... Guarda! Vogliamo mettere questo sull'albero? Ah ah ah!!"
Lo sollevasti in tutto il suo magnifico splendore. Era meraviglioso... da regina! E per un attimo soltanto, desiderai di vedertelo indossare. 
"Oscar mettilo via... non scherzarci nemmeno!"
Dissi guardandomi attorno, stringendomi le spalle per il freddo e il disagio che quella situazione mi provocava. 
"Va bene... ora lo metto via! Voglio solo vedere alla luce il verde degli smeraldi... sono bellissimi!"
Ti avvicinasti alla finestra con impeto irrazionale e non potei far niente per impedirti di commettere quella leggerezza.
Scivolasti con le scarpe di vernice sulla neve entrata col vento e sciolta sul parquet. 
Vidi il diadema di smeraldi cadere nel vuoto, fuori dalla finestra, nella neve alta e soffice caduta durante tutta la giornata. 
"Dio mio Oscar! Il diadema!!!È caduto nella neve!!!"
Esclamai col cuore in gola, mentre ti aiutavo a rialzarti dal pavimento. 
Non parlasti, guardasti soltanto me e la finestra, pallida e mortificata perché già sapevi che la punizione sarebbe stata implacabile. 
"Cosa ci fate qui??"
Ci voltammo di scatto.
Tuo padre ci guardava dalla soglia della camera, mentre teneva in mano un candelabro la cui luce, dal basso, donava ombre cupe al suo volto severo. 
~ • ~


   
 
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