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Autore: AirJinKa    20/12/2015    0 recensioni
Astell, una nobile maga, un tempo membro della corte reale, assapora il sole del pomeriggio nel più importante parco al centro della città. Cerca ancora conforto da una vecchia ferita che non cessa di sanguinare.
Grazie ai suoi gatti, Frusta e Miracolo, trova una bambina abbandonata e ferita in un capanno nascosto tra gli alberi del giardino. Vuole che viva con lei, vuole aiutarla, allevarla come se fosse sua figlia. Ma la ragazzina non sa parlare e forse non capisce neanche il linguaggio degli uomini: solo con i gatti ha uno strano legame, e come tale si comporta.
Questa è la storia di Konè, vittima di un'antica magia e legata a un misterioso spirito, bella e selvaggia, che troverà uomini buoni pronti ad aiutarla e uomini cattivi desiderosi di farla soffrire.
Questa è la storia di Konè, Ombra di Tigre.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Konè, Ombra della Tigre

 

Capitolo 1

I Giardini delle ceneri

 

   “… tra le verdi praterie a oriente… isolato e pacifico…… stregone……… aiuto agli spiriti …………… rituale…………… bambino”.

   «Madre, cosa state leggendo?»

   Seduta compostamente su una panchina in legno scuro, una donna alzò la testa verso l’aitante giovanotto ben vestito che le si era avvicinato.

   «Un pezzo di carta perduto nel vento.»

   «Fate vedere.»

   Orwell afferrò il foglietto stropicciato e sporco, segnato dal lungo viaggio che aveva affrontato prima di arrivare dove si trovava in quel momento. Tre angoli erano strappati, il quarto bruciacchiato. Molte parole erano sbiadite, coperte dal fango, sostituite da macchie di umidità o cancellate dal tempo stesso. Le poche ancora leggibili non assumevano un gran significato senza le loro sorelle.

   Ad un cenno della mano, Orwell restituì la carta sgualcita ai sottili guanti ricamati che la stavano stringendo pochi istanti prima.

   «Vi state godendo il pomeriggio, madre mia?»

   «Decisamente. Non avrei pensato che tornare qui dopo tanti anni mi avrebbe giovato.»

   «Ne sono davvero lieto. Per avervi sollevata, questi giardini devono essere magici ben più di quanto si dica.»

   L’uomo si riferiva alla vecchia leggenda che circondava il parco situato al centro della città.

   Una enorme fenice, che come tutti sanno possedeva la straordinaria capacità di rinascere dalle proprie ceneri, si diceva passasse le giornate a riposare in vasti spazi aperti. Quella creatura oziosa stava dormendo, come di consueto, persino quando giunse il momento della sua morte.

   Non si rese conto che il proprio corpo veniva divorato dalle fiamme, e forse fu proprio la pigrizia che la contraddistingueva ad impedire che rinascesse. Il piumaggio dai colori accesi e brillanti si trasformò in una vasta, desolata distesa grigiastra.

   Ciò nonostante gli alberi cominciarono a crescere alti e robusti, i fiori sbocciavano colorati, l’erba verde e rigogliosa ricoprì tutta la zona cenerina. Così le persone ci costruirono intorno degli accampamenti e poi un paesello, che crebbe fino a diventare la magnifica e prospera città che prese il nome di Rhuddem.

   Questo era anche il nome della fenice della leggenda, e la sua eredità divenne meta per curiosi e pellegrini, tutti affascinati e desiderosi di ammirare i rigogliosi Giardini delle ceneri.

   «Miracolo!»

   Alzatasi in piedi, Astell rassettò la gonna larga ed elegante che aveva indossato al pranzo di compleanno del figlio, poi camminò con grazia verso un’aiuola di fronte a lei. L’unica cosa che desse credito alla leggenda della fenice era una straordinaria proprietà dei Giardini delle ceneri: dalla base di ogni albero e di ogni fiore spesso fuoriuscivano delle fiamme, leggere e sottili, come caldi soffi visibili a occhio nudo, tanto ardenti da riscaldare ma non abbastanza da bruciare quello che toccavano.

   Quel fenomeno, che si verificava molto più di frequente nelle piante al centro del parco, era chiamato respiro di fenice. Neanche i maghi più eruditi riuscivano a capire da quale magia avesse origine.

   «Miracolo! Torna subito qui!» ordinò la donna.

   Il gatto, completamente immerso nel suo girovagare, si era allontanato perché aveva trovato un fiore isolato con cui divertirsi: dava colpi decisi alla corolla, così il lungo e robusto stelo oscillava più e più volte per poi tornare alla posizione primordiale.

   «Qual è il problema, madre? Non ci sono pericoli ai Giardini delle ceneri.»

   «Non ce ne sono per noi» ribatté Astell con disappunto, mentre correva a prendere in braccio il suo micio.

   «Quello è un narciso. È molto pericoloso per i gatti!» spiegava, accarezzando la testa di Miracolo.    Poi sfiorò il lato sinistro del corpo, segnato da ustioni violente che il pelo argenteo, ormai ricresciuto, nascondeva quasi completamente. Appoggiò delicatamente la mano per sentire il respiro dell’animale, a cui chiese: «A proposito. Dov’è Frusta?».

   Sbadigliando, Miracolo avvolse il proprio corpo con la coda e si adagiò nel rilassante abbraccio della sua padrona, che continuava ad interrogarlo con insistenza.

   «Mi ricordo di averlo visto vicino all’ingresso di Vallescura. Volete che vada a cercarlo, madre?»

   «Non occorre, Orwell caro. Prepara la carrozza perché mi riporti a casa, io sarò di ritorno in pochi minuti.»

   «Come desiderate» affermò il giovane uomo prima di allontanarsi.

   Astell si incamminò nella direzione opposta, attraversando le siepi tagliate con grande maestria e le fontane zampillanti. Ammirava i piccoli arcobaleni che nascevano dalle allegre piogge di spruzzi e il verde acceso dell’erba, assaporando il contrasto tra quei colori e il terreno di pallida polvere, fino a giungere a Vallescura.

   Era la zona dei giardini dove gli alberi erano più bassi, fitti e meno distanziati. Le ragnatele formate dai rami cresciuti intrecciandosi tra loro erano molto suggestive, ma rendevano il piccolo boschetto molto inospitale rispetto al resto del parco, e perciò poco frequentato. Per questo motivo nascosti tra quei tronchi c’era una moltitudine di piccoli capanni con pale, vanghe e fertilizzanti di ogni genere.

   «Ebbene? Frusta è da questa parte?»

   «Miao!»

   Sembrò un verso di assenso. Inoltre guardando il terreno con attenzione si potevano notare impronte feline impresse sulla cenere.

   Seguendo le tracce si arrivò facilmente all’animale che le aveva lasciate: un gatto snello e allungato, il cui pelo corto era arancione sul dorso e color panna sul petto; sparute strisce castane sulla fronte ricordavano graffiti tribali.

   Dopo un prolungato miagolio di Frusta, Miracolo si divincolò e saltò a terra. Corse dietro alla sua compagna ed entrambi sparirono nella vegetazione.

   «Non è proprio il momento di giocare» borbottava Astell, seccata: «Che vi prende oggi? Ho detto che dobbiamo tornare a casa».

   Seguire i due gatti diventò difficoltoso. Le orme che lasciavano sulla cenere erano evidenti ma si stavano addentrando tra cespugli sempre più intricati.

   La gonna di Astell si impigliò tra le fronde più basse e le radici sporgenti, così lei perse l’equilibrio e cadde a terra dopo una goffa giravolta. I capelli biondi raccolti con cura in un nastro viola si scompigliarono e le ricaddero sulle spalle. Stava per urlare incollerita, quando udì un miagolio pacato. Vide i felini proprio dietro il largo tronco di un enorme albero, così temprato dal tempo da divenire duro quanto una roccia.

   Camminò con attenzione sulle radici serpentine, fino a giungere di fronte ad una piccola porticina malmessa. Era stata ricavata da un legno molto più debole e precludeva l’ingresso a una stanza scavata proprio nel grande tronco.

   Miracolo e Frusta erano lì, a raspare sul legno marcio e a spingere con tutte le loro forze per cercare di entrare.

   Astell li osservava con stupore. Non li aveva mai visti comportarsi in quel modo. Miagolavano incessantemente come se stessero chiedendo aiuto per riuscire ad arrivare dall’altra parte della soglia. Provò a dare una lieve spinta, aspettandosi che la porta fosse chiusa, ma non era così.

   I cardini cigolarono sonoramente, mordendo la ruggine che li rallentava; Frusta e Miracolo sgusciarono dentro appena ebbero spazio sufficiente.

   «Oh, ci mancava solo questa» sbuffò Astell.

   Entrò controvoglia, spinta solo dal desiderio di recuperare i suoi cuccioli per poi ritornare a casa.

La stanza misurava tre metri per lato, o poco più.

   Bastarono pochi passi perché la donna si trovasse circondata dall’oscurità e da un pungente odore ferroso. Pensò di essere in un capanno degli attrezzi in disuso.  Sentiva che i gattini stavano leccando qualcosa che lei non riusciva a vedere, così alzò la mano e si concentrò per creare una piccola fiammella arancione levitante.

   La prima cosa ad essere illuminata fu proprio l’espressione sconvolta di Astell mentre si posava sul corpo di una ragazzina, ricoperto da una lunga chioma di capelli sporchi che avevano assunto il colore del rame. Era distesa a terra, tra un rastrello spezzato e un badile, e l’odore che aleggiava nell’ambiente non proveniva dagli attrezzi arrugginiti: era odore di sangue.

   Qualcosa la fece allarmare.

   Si spostò lentamente. Sollevando a stento il corpo sui gomiti strisciò fino a un angolo del casotto.

   «Per gli dei!...»

   Vestiva solo stracci sgualciti e logori ed era ricoperta di ferite. Soprattutto le braccia e le gambe erano piene di graffi, concentrati sui palmi delle mani e dei piedi.

   Quando Astell provò ad avvicinarsi, Miracolo e Frusta le si pararono davanti, soffiando verso di lei e mostrando gli artigli. Anche la bambina emetteva un suono simile, che cresceva di intensità man mano che la piccola fiamma magica le si avvicinava. Per sua fortuna quando i gatti riuscirono a graffiare la loro padrona il fuoco si dissolse nell’aria.

   La donna, stupita, cercò di riflettere con calma.

   «Ti… ti spaventa il fuoco? È così?» chiese.

   La voce della ragazzina tremava mentre emetteva mugugni quasi impercettibili e privi di senso.

   «… ma… chi sei?...»

   Sembrava di essere di fronte ad un animale selvatico: la bambina provò a ritrarsi, osservando con timore le rose nere ricamate sul guanto della donna. Era diffidente, ma bloccata contro il massiccio muro di legno.

   Scostando gentilmente una ciocca di capelli e accarezzandole la guancia, Astell sussurrò: «Non aver paura…».

   
 
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