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Autore: alaskha    20/12/2015    3 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "Disconnected" dei 5sos



 
chapter thirteen

getaway




Quando mi risvegliai nel mio letto, la prima cosa che mi chiesi fu: “Ma come diavolo ci sono arrivata io, qui?”.
La luce filtrava dalle tende, illuminando l’intera stanza. Mi sfregai gli occhi ancora truccati dalla sera precedente, senza trattenere una smorfia di dolore dovuta ad un terribile mal di testa. Cercai il telefono a tentoni, sul letto, e quando lo trovai me lo portai davanti al viso.
“Maledetta illuminazione dell’iPhone..” imprecai.
La mia voce sembrava provenire dall’oltretomba: quella era la mia prima sbronza a tutti gli effetti e la stavo odiando con tutta me stessa.
Aprii un messaggio:
 
11:34 AM
Luke Hemmings:
“Buongiorno principessa, se ti scoppia la testa o credi di dover vomitare l’anima, non preoccuparti, è tutto totalmente normale. Alzati dal letto, bevi un litro d’acqua e manda affanculo tutti quanti, ti sentirai molto meglio.
 
p.s.: tranne me, ovviamente.”
 
 
Luke Hemmings era un cretino, ma anche l’unico capace di farmi ridere appena sveglia. Così presi coraggio e seguii alla lettera il suo consiglio. Mi alzai dal letto, non senza fatica, e mi diressi in cucina, sicura di trovare Maribel intenta a preparare il pranzo.
Per questo quando spalancai la porta della mia camera, ciò che vidi davanti a me fu l’ultima cosa che mi aspettavo.
“Papà? - chiesi, stranita – che ci fai qui?”
Mio padre, che attento scrutava la sede di Wall Street dalla nostra grande finestra, si voltò verso di me non appena sentì la mia voce. Mi squadrò dalla testa ai piedi, e la sua espressione, da calma e pacata quale era, si trasformò in una smorfia di disapprovazione.
“Potrei farti la stessa domanda, da qualche settimana a questa parte – tuonò, autoritario – Maribel, potresti cortesemente lasciarci soli?”
La guardai, e lei mi restituì uno sguardo apprensivo ed un mezzo sorriso, prima di sparire in cucina. Come a dirmi: “Mi dispiace piccolo fiore, non posso farci nulla”.
“Non fare l’ipocrita, adesso, ti prego”
Dissi, per poi cercare di seguire Maribel, per bere quel famoso litro d’acqua di cui parlava Luke. Dannazione, ne avevo davvero bisogno, l’Africa nera era meno arida della mia bocca, in quel momento. Quante sbronze aveva preso Luke per sapere alla perfezione cosa fare in quei casi?
“Dove credi di andare?” ma mio padre mi bloccò per un braccio, tirandomi prepotentemente verso di lui.
“Lasciami, mi fai male” dissi io flebilmente, massaggiandomi il polso.
Lo guardai sospirare, dopodiché si massaggiò lentamente il viso, come se fosse sfinito. Sfinito dal mio comportamento.
“Non m’importa se ti faccio male, Jenelle – cominciò – sono tuo padre, dannazione”
“Ah, ogni tanto te lo ricordi allora” commentai, sarcastica.
“Ma ti sei vista? – mi schernì – hai quasi diciannove anni, sei una donna e te ne vai in giro conciata in questo modo, passando la notte chissà dove e non voglio neanche immaginare con chi”
“Se non ricordo male, papà, sei stato tu a dirmi di non tornare a casa, l’altra sera” marcai sulla parola “papà”, quella che meno riusciva a descriverlo.
“Non di certo per sempre!” sbottò.
Sgranai gli occhi, sconvolta.
“Ma ti senti quando parli? – urlai – un padre non dovrebbe mai rivolgersi ad una figlia nel modo in cui hai fatto tu, mai, per nessuna ragione al mondo”
“Che avrei dovuto fare, Jenelle? – si giustificò – sprechi il tuo tempo con gente poco raccomandabile, a Brooklyn per di più”
“Gente poco raccomandabile? – lo citai – papà, tu non conosci Luke”
“Non voglio neanche sentirlo pronunciare, quel nome”
“Siamo amici – continuai, piccata – qual è il problema?”
Steve scosse la testa, puntandomi un dito contro.
“Non farti mai più vedere in giro con quel tipo, Jenelle, sono stato sufficientemente chiaro? Non voglio che lo rivedi, e non dirò nulla a Dan in merito a questa notte”
“Sarebbe un ricatto? – chiesi, retorica – non m’importa, papà, dillo anche al padre eterno”
“No allora forse non ci siamo capiti – mi strattonò ancora per il braccio – tu non lo rivedrai e, soprattutto, non voglio che Jai lo riveda mai più”
“E da quando t’importa di Jai? – gli chiesi urlando, sull’orlo delle lacrime – che ne sai tu delle notti passate a piangere, nel mio letto, a causa tua! Che ne sai? Non te ne è mai importato nulla!”
“Non urlare e non dire queste cose, Jai è mio figlio ed è normale che mi importi di lui” mi rispose, pacato.
“Normale, ma certo, normale! – sbottai, nuovamente – non c’è nulla di normale, qui dentro e grazie mille, papà, per aver rovinato anche l’ennesimo tentativo da parte mia di rendere Jai felice”
“Ringrazia quel tuo amico, non me” si difese.
“Luke non rovina nulla”
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, dopodiché papà si stirò la giacca con le mani ed indossò la sua solita maschera.
“D’accordo, sono in ritardo – annunciò – spero che questa chiacchierata sia servita a qualcosa, va’ a cambiarti e renditi presentabile per quella che sei, ovvero mia figlia”
Detto fatto, se ne andò, lasciandomi sola ancora una volta. Chiuse sbattendo la porta dell’attico dietro le sue spalle, io mi passai stanca una mano tra i capelli e: “Oh, ma vaffanculo!”.
 
 
 
 
 
Come se quella furiosa litigata non fosse bastata, quello stesso pomeriggio, mi trovavo al JFK International Airport per dire addio alle mie ancore di salvezza.
“Non state partendo sul serio” ripetevo, da venti minuti abbondanti.
“Cos’è, tipo un nuovo mantra quotidiano?” chiese Zayn, fermandosi davanti al gate, posando la valigia a terra.
“Tipo” feci io.
Louis e Zayn erano felici, stavano per diventare indipendenti a tutti gli effetti ma io, per quanto non volessi essere egoista, non riuscivo ad esserlo altrettanto.
“Ce lo farai un sorriso, prima di vederci sparire su un volo per Londra?” domandò Louis.
Così mi lasciai andare ad una risata, seppur debole.
“Posso provarci”
“Sali su quell’aereo” mi ripeté.
Zayn me l’aveva detto tante volte, nelle ultime settimane. Ed eccoci: loro stavano per partire, per realizzare il nostro sogno, con uno zaino in spalla, tanta voglia di farcela e senza di me.
“Non posso”
“Puoi eccome – continuò, deciso – non tornerai mai più a New York da tuo padre, sarà come un capitolo della tua vita totalmente chiuso, chissà quanti potresti aprirne a Londra, con noi”
Sorrisi, prendendo per un solo ed insignificante secondo in considerazione quell’idea malsana e totalmente da fuori di testa ma: “Non posso”, ripetei.
Zayn annuì, arrendendosi una volta per tutte.
“D’accordo” assentì poi.
“Ci mancherai” fece Louis.
Lo guardai negli occhi e, dannazione, non potei fare a meno di saltargli in braccio.
“Anche voi, non potete capire quanto, ragazzi!”
Cercai di trattenere le lacrime ma le braccia di Louis che mi stringevano forti a sé, mi impedirono di riuscire nell’impresa: “Non frignare come una bambina perché quei due tossicomani dei tuoi amici se ne vanno”.
“Come farò senza di voi?”
Louis e Zayn mi guardarono intensamente, senza sapere cosa dire, per qualche istante. Fino a che Zayn non mi afferrò per il braccio e mi strinse a sé, appoggiando la sua fronte alla mia.
“Non sei sola, okay?” mi chiarì.
“Ah no?” gli chiesi, con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.
“No, e non piangere, ho una reputazione da mantenere”
“Cosa centra la tua reputazione adesso?”
“Se ti metti a piangere scoppio anche io e dannazione non voglio farlo, quindi ascoltami bene, Jenelle Stratford - cominciò – non sei mai stata meno sola di adesso”
“Ma che stai dicendo? - domandai, spaesata – ho sempre avuto solo voi e tu lo sai”
“No, bimba – chiarì – non è più così, adesso hai Hemmings con te e non sai quanto mi pesi dire quello che sto per dire – chiuse gli occhi, senza scostarsi da me – mi fido di lui, so che tiene a te e so che non ti lascerà, per cui, non sei sola”
Riaprì gli occhi nei miei, ed io mi lasciai andare ad un sorriso. Lo abbracciai forte e stretto, respirando il suo profumo, imprigionata nell’incavo del suo collo.
“Sei il migliore, Zayn Malik, non dimenticartelo”
“Ce la farai senza di noi” mi rassicurò poi Lou.
Mi scostai da Zayn, per guardarli entrambi.
“E voi?”
“Ovviamente no” scherzò, mentre Zayn ridacchiava.
“Non bruciate nulla, assaltate il Big Ben anche per me e viva la regina!” dissi.
Loro risero, ed insieme ci stringemmo in un grande abbraccio di gruppo.
“Sei preziosa, Jen - mi confidò Louis – non troveremo mai una Stratford versione Regno Unito, puoi starne certa”
“Una principessina rompi coglioni come te? – fece Zayn – nah, non la troveremo mai nell’ interno mondo”
Scoppiai a ridere, mentre loro si allontanavano verso il gate, per imbarcarsi.
“Ciao coglioni – li salutai – fate buon viaggio!”
E così sparirono verso la loro avventura.
Feci per voltarmi e tornarmene a Wall Street ma, quando mi mossi, mi scontrai con qualcosa, o meglio, qualcuno.
“Credevi davvero che ti avrei lasciata sola in un momento come questo?”
E allora capii cosa intendesse Zayn, con quelle sue inaspettate parole. Alla fine l’aveva capito lui per primo che, nonostante lui e Louis stessero partendo per Londra, io non sarei mai stata sola, fino a che Luke Hemmings sarebbe rimasto nella mia vita.
 
 
 
 
“Che ne sapevi che ero al JFK?”
Ingoiai l’ennesima patatina con formaggio, antico rimedio contro la tristezza, seduta sul cofano del Range Rover di Luke.
“Me l’ha detto Zayn” disse, stringendosi nelle spalle.
Per poco non mi strozzai, quando sentii quelle parole.
Guardai Luke accendersi una sigaretta, seduto affianco a me.
“Come scusa?”
Luke sbuffò, voltandosi verso di me.
Eravamo ai piedi del ponte di Brooklyn, illuminato per la notte, con i piedi a penzoloni sull’East River, ed era un vero spettacolo. Non so cosa fosse più bello, se gli occhi di Luke, o quello scenario.
“Mi ha chiamato - continuò – non voleva che restassi sola una volta che loro sarebbero saliti su quell’aereo e, beh, nemmeno io”
Sorrisi, dandogli scherzosamente di gomito.
“Come siamo sentimentali” lo presi in giro.
“Sono serio, Jen – fece lui, guardandomi – sai di non essere sola, vero?”
Annuii, accoccolandomi a lui ed appoggiando la testa alla sua spalla.
“Lo so - confessai poi – ma non credevo che tu e Zayn.. ecco, insomma.. hai capito”
Luke rise, prendendo a sfregare il pollice sul dorso della mia mano.
“Io e Zayn vogliamo solo che tu stia bene” concluse, stringendosi nelle spalle.
“Sto bene” ammisi, poi.
“Sicura?” mi chiese lui, per accertarsene.
“Certo – lo rassicurai – sono sotto il ponte di Brooklyn con delle patatine al formaggio, un pacchetto pieno di Marlboro e con te, cosa potrei chiedere di più?”
Luke mi afferrò il mento con le dita, per guardarmi negli occhi e mostrarmi uno splendido sorriso.
“Quel pacchetto di Marlboro è mio”
Mi sarei aspettata un bacio, una frase solenne, qualsiasi cosa, ma non quello. Così scoppiai a ridere, e lui mi abbracciò stretta.
“Sei un idiota, Luke Hemmings”
“D’accordo, me lo sono meritato – disse – ma adesso, questo idiota, ti porterà un po’ in giro, ci stai?”.
 
 
 
 
 
*“Adesso vuoi spiegarmi perché te ne vai in giro con un macchinone, stasera?”
Camminavamo fianco a fianco sul ponte di Brooklyn, che io avevo sempre amato. Ci andavamo spesso, con John, ed ogni tanto ci portavamo anche Jai. Papà non ne era mai troppo contento ma, d'altronde, c’era qualcosa che rendesse Steve Stratford felice tanto quanto le quotazioni e Daniel? No, certo che no.
“È un regalo di Kyle”
Da come lo disse, dal suo stringersi nelle spalle e dall’avidità con cui estrasse una sigaretta dal pacchetto, capii che c’era qualcosa che non andava.
“Ehi – gli punzecchiai la spalla, guardandolo di sottecchi – che c’è che non va? Perché Kyle ti ha fatto questo regalo? Non sapevo fosse il tuo compleanno, Hemmings, non mi dici mai niente!”
Luke rise, porgendomi una Marlboro che accettai con gioia.
“Infatti non lo è – chiarì lui, passandomi il suo accendino acquamarina – dice che non vuole che io me ne vada in giro su quello skateboard sgangherato per tutta New York – fece una piccola pausa, per poi imitare la voce del suo patrigno – potrebbero investirti, non lo sai, Luke? Non pensi mai a niente!”
Scoppiai a ridere, malgrado tutto.
Strinsi la sigaretta tra le dita e Luke mi guardò, come meravigliato.
“Che c’è?” gli chiesi, con un sorriso.
“Non lo so – fece lui, con le mani nelle tasche dei jeans neri – mi piace la tua risata, quando sei con me”
Luke era carino quando si stringeva nelle spalle, prendeva un tiro dalla sua sigaretta e continuava a camminare, di fianco a me, con venti centimetri di differenza e le mani così vicine ma così lontane, che non osavano ancora sfiorarsi.
“Anche a me” confessai.
Quando ridevo con lui ridevo sul serio, non mi sforzavo di nulla, era tutto completamente naturale e spontaneo.
Poi Luke si fermò ad un estremità del ponte, guardando l’orizzonte.
“Dio, mette i brividi”
“Io lo trovo d’ispirazione, invece, potrei scrivere il mio primo romanzo, qui”
“E di che cosa parla? – mi chiese, muovendo qualche passo – di me?”
“Ovvio! – scherzai – di chi se no?”
Sentii le sue braccia circondarmi il collo, ma non perché mi stesse strozzando. Luke mi stava teneramente abbracciando da dietro, ed io riuscivo chiaramente a sentire il suo respiro caldo sulla pelle, con le labbra quasi premute sui miei capelli.
Mi aggrappai totalmente a lui.
“Un bellissimo ragazzo biondo, con gli occhi azzurri e la bellezza di Zeus che mi rubò il cuore al primo sguardo – continuò – questo sarebbe un ottimo prologo”
“Zeus? – domandai, stranita – perché proprio Zeus?”
Mi voltai, cingendogli i fianchi con le mani.
“Non lo so – rispose, stringendosi nelle spalle – è il primo dio greco che mi è venuto in mente”
“Io non credo in dio, nemmeno in quelli greci”
Luke scosse la testa, continuando a guardarmi negli occhi.
“Io non lo so – confessò – ogni tanto ho bisogno di credere in qualcosa, ma ancora non so in che cosa”
Annuii, era più che comprensibile. Il bisogno di dover credere in qualcosa, per potercisi aggrappare con tutte le forze, in caso le proprie venissero a mancare.
“Perché hai accettato il regalo di Kyle?” gli chiesi a bruciapelo.
Le mie mani intorno alla sua vita, la sua lingua a giocare con il piercing ed i nostri occhi incatenati. Eravamo solo io e lui, lontani dai suoni e dai rumori di quella città che sembrava non dormire mai.
“Avrei accettato quel regalo anche dal diavolo in persona – disse – solo un matto non accetterebbe un Range Rover per orgoglio”
“Ah ma allora sei umano anche tu” commentai, sarcasticamente.
Luke avvicinò il viso al mio, ed io increspai le labbra in un sorriso, a quel lieve contatto delle sue labbra sulle mie.
“Più di quanto immagini, ragazzina”
“Piantala di chiamarmi così - lo ammonii, comunque divertita dal suo atteggiamento – hai solo un anno più di me”
“Anagraficamente, forse”
Sbuffai, sfilandogli un’altra sigaretta.
“Mia madre dice che quando ho iniziato, a sedici anni – cominciò lui, vedendomi accendere la Marlboro – fumavo solo quando ero nervoso per qualcosa”
“Davvero?”
Annuì.
“Sei nervosa?”
Così collegò le due cose.
Lo guardai negli occhi, e ormai a Luke avrei detto qualsiasi cosa.
“Oggi ho litigato con mio padre, Luke – confessai, prendendo una veloce boccata di fumo – non vuole che io ti frequenti e bla, bla, bla..” liquidai, stringendolo un po’ di più.
“Tipico dei padri – mi disse – credono che in mia compagna le loro figlie non preserveranno a lungo la loro verginità, sarà il piercing” ragionò.
Lo guardai sconcertata. Insomma, che diavolo stava dicendo?”
“Jen, sto scherzando” chiarì poi, con un sorriso, notando la mia palese confusione.
“Credevo fossi diventato ancora più idiota di quello che sei in meno di un giorno”
“Sì dai, insomma, solo un cretino potrebbe pensare che a New York esistano ancora delle vergini”
Lo colpii su una spalla, e lui scoppiò a ridere, trascinandosi dietro inevitabilmente anche me.
“Sai, Luke – cominciai io – nonostante io abbia litigato con mio padre, oggi, e Louis e Zayn siano partiti per Londra senza di me, qui con te sto bene, non sono triste o depressa, nulla di tutto ciò, mi sento bene, davvero”
Luke sorrise, sinceramente felice di quelle mie parole, ed in quel preciso momento, un temporale ci colse alla sprovvista.
“Oh, dannato giugno!” mi lamentai io.
“A me piacciono le piogge estive”
“Sei gay?”
Luke mi fulminò, dopodiché mi prese per mano ed insieme corremmo fino al Range Rover.
“Sali, ragazzina”.
 
 
 
 
 
 
“Sai una cosa? – chiesi, sottovoce – preferisco quando mi chiami principessa”
“Non l’avrei mai detto, sai, ragazzina?”
Lo guardai male, mentre mi sistemavo una treccia sulla spalla.
Eravamo attenti a muoverci piano, nell’appartamento a Brooklyn, per evitare che Michael si svegliasse in piena notte ed ipotizzasse ancora una nostra romantica fuga d’amore.
“Okay, d’accordo, facciamo a modo tuo”
Mi voltai confusa, senza capire cosa quel cretino di Luke stesse farfugliando. Ma non feci in tempo a domandargli nulla, che due braccia forti mi sollevarono.
“Ma che diavolo fai?”
“Non urlare” mi riprese, papà Luke.
“Sto urlando sottovoce”
Luke, che mi stava tenendo in braccio come una principessa, si bloccò davanti alla porta di camera sua, guardandomi leggermente confuso.
“Che cazzo significa urlare sottovoce?”
Roteai gli occhi al cielo e lui spalancò la porta, adagiandomi poi sul suo letto. Indugiammo parecchio, l’uno con le labbra accanto a quelle dell’altro, fino a che Luke non si allontanò, per chiudere nuovamente la porta e sfilarsi la maglietta.
“Hai manie nudiste, Hemmings?”
“Ti disturba?” mi chiese, con un sorriso malizioso.
Gli conveniva smetterla di mordersi così il labbro, se non voleva che gli saltassi addosso da un momento all’altro senza preavviso.
“Affatto”
Mi sfilai gli anfibi e notai che stavo iniziando a vestirmi come lui: skinny jeans neri, Dr. Martens a tutte le ore del giorno, camicie a quadri, canottiere, insomma, una vera rocker degna della compagnia di Luke Hemmings.
Luke si sdraiò accanto a me, ed io mi accoccolai a lui, appoggiando la testa al suo petto. Stavo così bene, lì, con lui, abbracciati sul suo letto, tra le pieghe delle lenzuola bianche.
Ed il mio telefono pensò bene di vibrare, rovinando tutto.
Sentii Luke sbuffare, mentre estraevo l’iPhone dalla tasca posteriore dei jeans. Feci per leggere il messaggio ma Luke fu più veloce di me, strappandomelo dalle mani e buttandolo a terra.
“Ehi! – m’indignai, picchiandolo sul petto – mi è costato un sacco di soldi, quello!”
“A te o al tuo paparino?”
“Vaffanculo”
Sentii la sua risatina, e dopo un bacio delicato sui capelli.
Si voltò sul fianco, per far sì che lo facessi anche io, come l’altra mattina, l’ultima volta che avevamo dormito insieme.
“Stai qui solo con me” disse poi.
Lo guardai intensamente negli occhi, e dio solo sa come riuscì a renderli così azzurri.
“Non chiedo altro”
Mi avvicinai al suo viso, e gli lasciai un bacio dolce sulle labbra.
“Luke?”
“Che c’è, piccola?”
Non ragazzina e neanche principessa.
“Ti ricordi quando mi hai detto che ti piaccio, qualche giorno fa, a scuola di Jai? – chiesi, e lui annuì – beh, anche tu mi piaci..” confessai, come una ragazzina di 14 anni.
Forse aveva ragione lui.
Sentii le labbra di Luke dolcemente sulle mie, dopodichè lui intensificò il bacio, ancorandomi a sé.
E le sue mani intorno ai miei fianchi, sembrava avessero trovato il loro posto per tutta la vita.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
god bless sunday
ciao bimbe, come state? è domenica e la domenica è il giorno del collasso
credo di essere abbastanza soddisfatta di questo capitolo, mi sono lasciata ispirare da una delle mie canzoni preferite dei 5 seconds in assoluto, ovvero: "Disconnected", perchè, quanto è bella?
Louis e Zayn se ne sono andati a Londra e Jen è rimasta a NYC, con Luke
vi aspettavate una reazione del genere da parte di Zayn?
okay, direi basta dai. spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e nulla, vi rignrazio di seguirmi.
vi voglio bene, Simona.




 
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