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Autore: MegWH    20/12/2015    4 recensioni
Essere un giovane e affascinante tenore italiano può essere ben più pericoloso di quanto sembra, ma, se Guidobaldo Orsini fosse un essere dal sangue freddo, sarebbe una serpe o un ramarro, e non il volto dello Spirito Italiano in America. Però farebbe bene a gestire meglio le sue emozioni, e a stare attento a con chi va a letto e a chi pesta i piedi, prima di incontrare una fine prematura quanto poetica...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guidobaldo Orsini era uno dei cantanti più famosi del mondo.
La sua voce tenorile, meravigliosa, gli aveva aperto le porte di tutti i maggiori teatri americani, tra un O sole mio e una Granada e un duetto con qualche super star della musica. Era il suo essere italiano che affascinava il pubblico di tutto il mondo, eccetto l’Italia stessa, dove di compaesani ce n’erano anche troppi, è giusto dirlo. In Italia, Guidobaldo Orsini aveva fatto fatica a sfondare, perché non bastava gorgheggiare sulle note di qualche vecchia gloriosa canzone melodica per entrare nei cuori di un pubblico che, piuttosto che fare leva sulla propria identità nazionale, voleva disperatamente sentirsi al passo con i tempi, e cioè americano, ma, dove non riusciva il sapore di olio d’oliva della sua voce, riuscivano il suo bell’aspetto e il suo carattere solare, uniti alla giovane età. Una comparsata in tv dopo l’altra e un ammiccamento a destra e uno a sinistra, Guidobaldo Orsini ce l’aveva fatta a farsi amare nel suo paese, anche se alla fine preferiva di gran lunga starne fuori il più possibile.
Guidobaldo Orsini non era il vero nome di Guidobaldo Orsini, che all’anagrafe faceva Marco Pierzo; era nato trent’anni prima, in un piccolo paesino della provincia siciliana in cui tutti ricordavano ancora il suo nome, i suoi giochi da bambino e le serate in cui, all’osteria, il nonno lo metteva in piedi sul tavolo affinché tutti lo sentissero cantare Funicolì funicolà con la sua voce prodigiosa, e non avevano alcuna remora nel raccontare questi e molti altri aneddoti a ogni giornaletto o canale televisivo che chiedeva un’intervista. Quando Guidobaldo aveva incontrato per la prima volta il suo manager, colui che gli aveva promesso di portarlo in giro per il mondo a esercitare il dono che la Natura gli aveva dato, era un ragazzo sull’orlo dell’adolescenza, con qualche chilo di troppo, le orecchie a sventola e l’occhio espressivo quanto un fondo di bottiglia, eppure Guidobaldo aveva intuito che per lui ci sarebbe stata una possibilità di elevarsi da quel mondo di polvere e sole cocente in cui era vissuto fino a quel momento, e l’aveva afferrata al volo. Non aveva protestato quando i membri del suo nuovo staff lo avevano messo a dieta, né quando il suo manager aveva cambiato il suo nome con “qualcosa di più italiano, che crei più atmosfera”, e, mano a mano, i fan, gli applausi e i concerti sold-out avevano compiuto su di lui il miracolo, trasformandolo in un giovane uomo di successo, sveglio, simpatico e soprattutto affascinante.
Ora, di Marco Pierzo non voleva neanche sentire parlare.
Ora, lo attendeva una nuova sfida.

 

La sua prima opera! Guidobaldo aveva speso ore, notti insonni della sua vita ad ascoltare i capolavori della lirica italiana e domandandosi se avrebbe mai avuto la possibilità di cantare le arie di Cavaradossi, o di Ernani, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe giunto a interpretare il ruolo di protagonista nella sua prima opera lirica, a soli trent’anni. Di lì a pochi giorni, avrebbe debuttato al New York Metropolitan Opera con il Trovatore di Giuseppe Verdi! Non si trovavano più biglietto per lo spettacolo della prima da settimane ormai, e il pubblico era in grande fermento per la curiosità di scoprire se il grande Guidobaldo Orsini, mattatore di qualsiasi teatro da Los Angeles a Tokyo, Pechino e Mosca, sarebbe stato altrettanto grande alle prese con un’intera opera lirica, che, dicevano i critici, era ben altra cosa che cantare qualche canzonetta.
Guidobaldo era sicuro che avrebbe spiazzato i critici, e perché non avrebbe dovuto esserlo? Per ottenere la parte aveva sbaragliato la concorrenza di decine e decine di altri tenori, tutti più esperti (e più vecchi) di lui che tuttavia si era visto assegnare la parte con voto unanime di tutta la direzione artistica dello spettacolo. Aveva lavorato sodo, era arrivato alle prove sempre puntuale, aveva diminuito i suoi impegni per preservare il più possibile la voce, era andato a letto presto e aveva mangiato leggero, e i risultati si erano visti! Tutto lo staff che lavorava al Trovatore era entusiasta di lui, non c’era nessuno tra i membri del cast che non fosse sicuro – anche se mai l’avrebbero detto: quello del teatro è un mondo superstizioso! – che l’opera sarebbe stata un successo.
C’era un’unica cosa a cui Guidobaldo non aveva potuto rinunciare per amore di quello spettacolo: le donne.
Guidobaldo amava le donne, e in quantità. Non si atteneva nemmeno a un tipo preciso di donna da corteggiare, lo attraevano le donne brune e bionde, esili e formose, maritate e nubili. Non aveva importanza che fossero gelose e passionali come Tosca o delicate come Minù, oppure che fossero delle donne guerriere come quelle di Wagner, o delle libertine alla maniera di Violetta, Guidobaldo le amava tutte e da tutte riceveva amore… finché non si stancava e le abbandonava per qualcun’altra. Per lui, il tempo indeterminato, il per sempre, aveva sempre avuto poca importanza, quando si trattava di relazioni amorose, fino a qualche mese prima, quando aveva conosciuto lei.
Faceva parte dell’organizzazione di un programma televisivo a cui lui aveva preso parte in qualità di ospite, che le era stato affidato in modo particolare, perché Michelle Bianchesponde era di origine italiana. Guidobaldo lo capì subito, al loro primo incontro, che lei era la sua donna ideale: né magra né in carne, né alta né bassa, con un fisico proporzionato al millimetro e la pelle bianca, più bianca del latte. Portava i lunghi capelli ramati raccolti in una crocchia che sarebbe stata severa, se non avesse lasciato sfuggire delle ciocche più corte, che le sfioravano il collo lasciato scoperto dalla camicetta di seta, a cui aveva lasciato i primi due bottoni slacciati. Le sue ciocche ribelli non riuscivano a mitigare l’intensità del suo sguardo, di un verde così chiaro che Guidobaldo avrebbe voluto annegarvi dentro.
“Immagino che tutti, qui, storpieranno il Suo cognome.” Le aveva detto, sfoderando lo sguardo più seducente del suo repertorio.
Al quale lei non aveva abboccato.
“Oramai non ci faccio più caso.” Gli aveva risposto, sedendosi sulla poltrona di fronte alla sua con il block notes in mano e una penna a sfera tra le dita affusolate.
Il suo incarico era quello di rivedere le domande che il presentatore dello show gli avrebbe rivolto durante l’intervista, per ottenere la sua approvazione, ma a Guidobaldo, in realtà, non importava un accidenti di cosa gli domandavano; il suo manager aveva comunque insistito perché desse almeno l’illusione di voler difendere una privacy che, di fatto, per lui contava ben poco.
“Dunque, le prime domande saranno relative alla Sua carriera, abbiamo un video con alcuni spezzoni dei Suoi esordi, e poi dei Suoi concerti in tutto il mondo… c’è qualche argomento su cui desidera glissare?”
“Ma Lei lo parla l’italiano?” domandò lui, con le gambe accavallate e il mento poggiato sul dorso di una mano, il pollice a sfiorarsi pensosamente le labbra
“Non tanto bene da condurre questo colloquio nella Sua lingua, temo.” Disse Michelle, senza alzare gli occhi dai suoi appunti. “Che cosa mi dice di domande personali? Il nostro anchor man prenderà spunto dal Suo essere italiano per chiederLe della Sua fama da donnaiolo. Questo è un problema per Lei?”
“No.”
“Molto bene. Le verrà anche chiesto se, al momento, intrattiene una relazione con qualcuno.”
“Non ne intrattengo.”
“Questa è la sua risposta ufficiale? La ripeterà durante il programma?”
“Dipende da cosa ne penserebbe Lei, se io dichiarassi in diretta a tutta la East Coast che non sono fidanzato e che non mi dispiacerebbe invitarLa a cena.”

 

Alla fine, lei aveva accettato.
Non subito e non perché lui fosse il grande cantante Guidobaldo Orsini; nei giorni seguenti al loro incontro, le aveva fatto una corte spietata e, alla fine, era riuscito a farla ridere. E lei aveva accettato di uscire a cena con lui.
La loro relazione era cominciata così, con un piatto di lasagne in un ristorante italiano, e si era velocemente tramutata in qualcosa che sfuggiva al suo controllo. Guidobaldo pensava solo a lei, adorava il suono della sua voce, rimaneva immobile per ore a guardarla lavorare a qualche progetto urgente, non si sentiva tranquillo se la notte lei non dormiva nel suo letto, anche se magari lui era in concerto da qualche altra parte del mondo. La copriva di regali, tutto ciò che di bello colpiva il suo sguardo doveva appartenere a lei: vestiti, profumi, gioielli… Fu così che Guidobaldo si accorse di cosa gli stava accadendo, quando entrò in una gioielleria per acquistare degli smeraldi, che sul collo di Michelle sarebbero stati benissimo, e l’occhio gli cadde su un solitario in diamanti e platino, che immaginò all’anulare sinistro di Michelle senza quasi rendersene conto. Ne fu terrorizzato.
Uscì dal negozio senza acquistare nulla, prese il primo taxi che passava e gli intimò di cominciare a camminare, che dove andare l’avrebbe deciso in seguito. Non tornò a casa, non chiamò Michelle e non rispose alle sue telefonate; avrebbe dovuto incontrarla in un ristorante sulla 5th Avenue, ma invece la lasciò sola al tavolo prenotato per loro due con due mesi di anticipo per due ore, fino a che il cameriere non la raggiunse per suggerirle discretamente che il suo cavaliere, oramai, non sarebbe più arrivato e che lei avrebbe potuto lasciare il tavolo a un altro cliente. A completamento di ciò, il giorno seguente diversi giornali scandalistici pubblicarono fotografie ritraenti un allegro e decisamente alticcio Mr. Orsini in compagnia di Didì Hartmann, sua co-star nell’opera lirica di prossima apertura. Guidobaldo non aveva fatto nulla per evitare di essere fotografato. Era tornato nel suo appartamento soltanto la sera del giorno dopo, trovandovi Michelle intenta a fare i bagagli, con gli occhi gonfi e il volto rigato di lacrime.
Guidobaldo avrebbe voluto gettarsi ai suo piedi e implorarla di perdonarlo, perché era stato uno stupido, aveva avuto paura, ma si trattenne, perché di paura ne aveva anche troppa. Fece in modo che il suo volto sembrasse di pietra e la sua voce ancora più dura, quando le si rivolse.
“Non pensavo che ti avrei trovata ancora qui.”
“Sono stata al lavoro per tutto il giorno.”
Guidobaldo lo sapeva. Sapeva a memoria l’intera agenda di Michelle e sapeva anche che uno dei suoi compiti era sfogliare le riviste di gossip in cerca di notizie sui prossimi ospiti dei talk show della sua rete.
“Quindi, sai come stanno le cose.”
“L’avevo già immaginato quando mi hai lasciata da sola in quel ristorante per tutta la sera, senza rispondere alle mie telefonate."
Lui alzò le spalle
“L’ho sempre detto che sei una ragazza intelligente.”
“Non così tanto.” Michelle lasciò cadere il borsone ancora semivuoto sul pavimento “Prima di rendermene conto, ho chiamato il tuo manager, gli ospedali. Ho persino considerato l’idea di chiamare la polizia, ma mi sono detta che non avrebbero accettato una denuncia di scomparsa quando era trascorso così poco tempo. E poi,” rise sarcasticamente “chi si sarebbe preoccupato nel sentire che il grande playboy Guidobaldo Orsini aveva dato buca alla sua fidanzata?”
“Sono lieto che tu non abbia messo in ridicolo te stessa e me.”
“Perché a mettermi in ridicolo puoi pensarci tu, vero?” rispose lei, avvicinandoglisi “Perché hai dovuto umiliarmi così?”
Guidobaldo non rispose, non avrebbe potuto, saputo, mentirle, e poi il suo silenzio l’avrebbe fatta arrabbiare più di mille bugie.
“Dimmelo!” gridò lei, con nuove lacrime a scorrerle sulle guance. “È così esaltante, per te, vedermi distrutta ai tuoi piedi?”
“Non so di cosa stai parlando.”
Ed eccolo, lo schiaffo. Forte e in pieno volto. Dopo, lui sembrava non valere nemmeno le sue lacrime, perché Michelle tornò a riempire il borsone, probabilmente sforzandosi di mantenere tutta la dignità che rimaneva, dopo ciò che lui le aveva strappato. In pochi minuti, fu alla porta.
“Solo un’ultima cosa.” Gli disse, con la mano già sulla maniglia e senza voltarsi a guardarlo. “Farti vedere in giro con la Hartmann non è stata una mossa molto furba. Stai attento a come di muovi.” Poi, aprì la porta e se la richiuse alle spalle, senza nemmeno attendere la sua risposta.

 

Non era stata una mossa furba? Ma certo che no, non ci aveva nemmeno pensato!
Guidobaldo si era fatto portare in un lounge che conosceva bene, dove aveva ingollato qualche whisky in solitudine. Poi, Didì lo aveva raggiunto, con quella sua lussuriosa bocca rossa, sempre truccata, e il suo vestito provocante, e lui aveva spento il cervello, aveva lasciato che lei facesse quello che voleva, che ottenesse quello per cui stava inutilmente faticando da quando si erano conosciuti.
Da quella notte, Guidobaldo si era trovato impegolato in una relazione fatta di sesso bollente e poco altro, e clandestina per giunta, dato che Didì Hartmann era e continuava ad essere legata a Vick Brodswick, produttore teatrale di successo, anche del suo Trovatore. Vick non aveva dato segnali di ostilità nei suoi confronti, dopo l’uscita delle foto sui giornali, e forse Didì era riuscita a raccontargli una palla credibile, ma Guidobaldo ne dubitava. Era più propenso a credere che Brodswick non intendesse rischiare il successo della sua prossima produzione vendicandosi sul protagonista, che, tra l’altro, secondo contratto sarebbe stato tenuto a risarcire profumatamente in caso di qualsiasi incidente o interruzione di collaborazione. Il manager di Guidobaldo aveva scovato degli avvocati che erano dei veri squali.
Ciò che il nostro tenore ignorava era che Vick Brodswick non era l’unico nemico, all’interno del cast del Trovatore, che era riuscito a farsi. Ross Pullman, che interpretava il Conte di Luna, aveva più di un motivo per detestare Guidobaldo. Era un artista di grande talento e pregio, esperto ed estremamente conosciuto nel mondo della lirica, ed era convinto che la parte del Trovatore sarebbe dovuta andare a lui e non a un ragazzo di quindici anni più giovane, senza alcuna esperienza ma con un bel faccino per affascinare le signore. Eppure, non aveva protestato e aveva lavorato al fianco di Orsini per mettere in piedi l’opera di Giuseppe verdi, perché, anche se non con la parte che desiderava, era dove e soprattutto con chi desiderava essere. Poi, Didì lo aveva lasciato per lui, e Ross non aveva proprio potuto sopportarlo. 

 

Se sei una gloria del teatro lirico americano, non ti è difficile conoscere tutti i membri dello staff de Metropolitan Opera per nome. Conosci i loro gusti, i loro difetti, a volte anche i loro piccoli segreti conosci anche quale tra gli addetti agli attrezzi di scena è disposto a farti un piccolo favore, dietro a un congruo compenso, e a mantenere il silenzio a faccenda conclusa. Così, non fu difficile per Ross Pullman fare sostituire la spada retraibile di una delle guardie del Conte di Luna con un’affilata arma vera, e così, la sera della prima, quando Manrico, poco prima di venire giustiziato, cantava il suo addio alla madre, Ross compì con particolare sentimento il gesto provato tante volte con cui ordinava alla sua guardia di trafiggere il petto del suo nemico d’amore. Guidobaldo crollò sul palco con un urlo terribile, non più sorretto dai due membri del coro che recitavano la parte degli armigeri del Conte di Luna; la sua camicia s’inzuppò di rosso in un batter d’occhio, ma nessuno si accorse di nulla e Pullman concluse l’opera imprimendo, in quell’ultimo E vivo ancor!, un significato particolare, noto a lui solo.
Fu solamente dopo gli scroscianti applausi del pubblico e la chiusura del sipario, che gli interpreti si accorsero che, a differenza di Leonora, Guidobaldo/Manrico non accennava ad alzarsi in piedi. Gli spettatori sentirono delle urla terrorizzate provenire da dietro i vermigli tendoni del sipario, unti alle preghiere di chiamare subito un’ambulanza. Il volto di Guidobaldo era esangue.
I paramedici arrivarono quasi quindici minuti dopo la prima chiamata, quando ormai il pubblico affollava il bordo del palcoscenico, cercando di cogliere quanti più dettagli possibili dell’immobile figura del tenore italiano, che fu portato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale più vicino. Alla polizia, che era sopraggiunta, Ross Pullman disse di non essersi accorto di nulla fino alla fine dell’atto, e lo disse bene e con un’aria veramente sconvolta, perché non fumai aperta alcuna indagine nei suoi confronti. Vick Brodswick, nel frattempo, era appena fuori dal teatro a parlare con i giornalisti in tono grave di come questo incredibile incidente l’avesse sconvolto nel profondo e di quanto sperasse che, se anche Guidobaldo fosse sopravvissuto, la sua voce perfetta non avrebbe risentito di ciò che gli era successo. Didì Hartmann fu la prima, correndo davanti alle telecamere con ancora il trucco e il costume di Leonora addosso, ad annunciare che il suo caro amico e collega era entrato in coma.

 

E in coma, Guidobaldo Orsini ci rimase per tre giorni, dopo l’intervento per riparare lo squarcio che gli era stato fatto al fianco. Fortunatamente, milza e polmoni erano stati risparmiati dalla spada, ma la grande perdita di sangue che aveva subito l’aveva portato quasi in punto di morte. La prima volta che si era risvegliato, aveva appena fatto in tempo a percepire i medici e le infermiere intorno a sé e una serie di vivide macchi colorate che dovevano essere mazzi di fiori, prima di avvertire una lancinante fitta al fianco ed essere nuovamente sedato. Al suo secondo risveglio, aveva trovato Michelle seduta al suo capezzale, pallida quasi quanto lo era stata quando aveva lasciato il suo appartamento, circa due mesi prima.
Tentò di dirle qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì altro che un rauco sussurro.
“Non dovresti cercare di parlare, sei ancora debole.”
Guidobaldo cercò allora di trasferire nel suo sguardo tutto quello che non poteva dirle; che era enormemente felice di vederla di nuovo, che i quei mesi aveva inutilmente cercato di non pensare a lei, che era stato davvero un idiota a fuggire così, che, ora che aveva veramente avuto paura di qualcosa, capiva che il suo futuro era con lei accanto a sé, sempre… forse Michelle intese tutto questo e molto altro, guardando il suo viso, perché le lacrime cominciarono a sgorgare copiose dai suoi occhi.
“Ti avevo detto di stare attento.” Disse, e Guodobaldo sorrise.
Sì, perché tu sei una ragazza tanto intelligente e con una testolina davvero buffa.
Accennò ai fiori che coprivano ogni superficie piana della stanza, con un gesto della mano.
Hai visto? Hai visto che successo è stato?
“Sei stato bravissimo. Ero in sala, sai?”
Davvero? Sono contento.
“Sei stato davvero incredibile, dicono tutti che era da un bel pezzo che non assistevano a un Trovatore così.” Gli porse alcuni giornali “Guarda, parlano tutti di te. Il grande Guidobaldo Orsini, finalmente consacrato da un’intera opera lirica!”
Adesso sono un grande tenore. Per davvero.
“Non c’è critico musicale che non si chieda quando tornerai a cantare.”
Se lo chiedeva anche Guidobaldo, con un’intensità ancora maggiore di quanto si chiedesse se doveva dire subito a Michelle di riportare le sue cose nel suo appartamento, o se fosse meglio aspettare che lei lo vedesse di nuovo in piedi e perfettamente ristabilito. Decise che avrebbe fatto una figura di gran lunga migliore quando avesse potuto sorriderle con il suo fare sornione, quindi si fece passare il blocco prendi appunti di Michelle, che al momento stava sul suo comodino, assieme ad una penna.
Scrisse lentamente e con fatica, ma sforzandosi di mantenere una grafia chiara. Quando ebbe finito, passò il blocco a Michelle.

Ti piacciono gli smeraldi?




Nota Dopo la Lettura

Ciao!
Vi ringrazio tutti per aver letto la mia storia fino alla fine: spero vi sia piaciuta e vi abbia intrattenuto per un po'!
Adorerei sapere che cosa ne pensate, qualsiasi tipo di commento è ben accetto. :)

Alla prossima!

   
 
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