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Autore: Curiosity    21/12/2015    3 recensioni
“Sarebbe stato davvero così orribile, Will? Venire via con me?”
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AU post Mizumono (2x13). Dopo che Hannibal lascia Will a dissanguarsi sul pavimento quest’ultimo cade in depressione e non lo insegue. Ritrovare la strada che porta all'altro non è semplice come sembra. Che sapore ha un cuore spezzato?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: Qualcuno ha detto reunion? Qualcuno ha detto papiro? Qualcuno ha detto dialoghi senza fine in puro stile Curiosity? No? Beh ve li beccate lo stesso. MERRY MURDER CHRISTMAS BITCHES.

Even Lovers Drown

di Curiosity

4. Tell Me A Lie, Tell Me You Don’t Care


“I have not broken your heart - you have broken it; and in breaking it, you have broken mine.”

                                                                                                               (Heathcliff - Wuthering Heights)

Alla fine l’idea venne a Jack.

Era stato la prima persona che aveva visto quando il ritmico ‘bip’ delle apparecchiature lo aveva svegliato suo malgrado da un sonno che aveva sperato essere eterno. Will aveva a malapena aperto un occhio che l’ex capo della BAU aveva iniziato ad insultarlo e a spiegargli per filo e per segno cosa pensasse della codardia dimostrata nel gesto da lui compiuto. C’erano voluti due infermieri e un dottore per rimuoverlo dalla stanza, alla fine, ma non prima di aver puntato minacciosamente un dito contro Will e aver abbaiato un “Torno a trovarti domani, farai bene a non fare altri scherzi”.

Will era rimasto a fissare la porta da cui era uscito mentre i dottori gli facevano domande di routine - sa come si chiama? Qual è l’ultima cosa che ricorda? È consapevole che la dose di sonniferi da lei ingeriti sarebbe potuta essere letale?

“Sì, era quella l’idea”, aveva mormorato in risposta.

Il dottore - sulla cinquantina, in piena crisi di mezz’età, tradiva la moglie con l’infermiera che ora stava controllando la flebo di Will e dal modo in cui lei sembrava pendere dalle sue labbra era probabile che le avesse promesso, mentendo, che prima o poi avrebbe divorziato - lo aveva squadrato per qualche secondo, per poi attaccare il discorso standard circa la necessità di tenerlo sotto controllo per evitare ricadute (o che ci riprovasse), e Will aveva smesso di ascoltarlo.

Era stata Alana a trovarlo. Nella fretta di farla finita Will si era completamente dimenticato che aveva promesso alla donna di vedersi per un caffé, e quando lei era arrivata a Wolf Trap la mattina dopo l’aveva trovato riverso sul letto, i cani che uggiolavano preoccupati intorno a lui.

“Will, avresti dovuto dirmelo se le cose andavano così male”, gli aveva detto quando lo era andata a trovare, gli occhi colmi di un senso di colpa che Will non avrebbe voluto vedere. Era l’ennesima dimostrazione che, per quanto Alana tenesse a lui, davvero non riusciva a non considerarlo un caso umano bisognoso di aiuto, e si sentiva quindi in colpa per non averglielo fornito. Quando se n’era andata raccomandandogli di riposarsi Will aveva tirato un sospiro di sollievo.

Il giorno dopo quando Jack era tornato lo aveva fatto guardato a vista da un’infermiera pronta a cacciarlo nuovamente se avesse dovuto alzare la voce, recando con sé il quotidiano di Baltimora su cui campeggiava un titolo sul suo mancato suicidio.

“La notizia è su tutti i giornali, Will, anche quelli online”, aveva detto Jack. “Sai cosa sinifica?”

Will fissò lo sguardo sulla cicatrice sul collo dell’uomo, così da non doverlo guardare negli occhi.

“Pensi che Hannibal a quest’ora l’abbia letta”, rispose. “Pensi di poterla usare come esca.”

“Quello che dico è che non ha senso sprecare un’occasione del genere”, rispose l’altro infilandosi le mani in tasca. “Mezza rete è già  convinta che tu sia in fin di vita. Lasciamo che credano che tu sia morto, e che lo scrivano sui loro tabloid da quattro soldi. Scommetto il mio unico paio di scarpe firmate che Hannibal, ovunque sia, stia seguendo quello che succede qui. I continui articoli di Freddie Lounds circa suoi presunti avvistamenti e l’incapacità dell’FBI di rintracciarlo devono essere una manna per il suo ego.”

Will si leccò le labbra secche, cercando di sopprimere un tremito all’idea che Hannibal potesse venirlo a cercare, di paura o di febbrile attesa non lo sapeva nemmeno lui.

“Dai per scontato che a Hannibal importi qualcosa di me. Credo che abbia ampiamente dimostrato che così non è”, gli fece notare, senza lasciare che l’amarezza che quella consapevolezza gli dava trasparisse dalla sua voce.

Jack lo squadrò.

“Sappiamo entrambi che questo non è vero”, disse l’uomo.

“Ah davvero?”, ribatté Will, suo malgrado serrando la mandibola per l’irritazione. “Quello che so io, Jack, è che Hannibal mi ha piantato un contello in pancia e mi ha sviscerato come un pesce. Quello che so io è che ha preso un aereo verso qualche meta sconosciuta senza nemmeno sincerarsi di avermi ucciso o meno. Per quanto ne so io è probabile che nemmeno legga più i giornali americani, troppo impegnato a dorarsi al sole su qualche spiaggia con la sua psichiatra.”

Si rese conto di quanto quelle parole suonassero risentite solo quando le ebbe già pronunciate. Jack lo fissò qualche secondo in silenzio, ma fu abbastanza magnanimo da non farglielo notare quando parlò nuovamente.

“Hannibal Lecter è l’assassino più efficiente che io abbia mai incontrato nel corso della mia carriera, Will. Se non ti ha ucciso è perché non voleva farlo, non per una qualche svista.”

“Dio, Jack, non crederai che tenesse troppo a me per uccidermi?”, rise incredulo. “Se davvero era sua intenzione risparmiarmi non è stato per pietà, ma perché sapeva che così avrebbe fatto ben più male. Non meritavo una morte veloce dopo quello che ho fatto.”

“Will”, sospirò l’altro. “Né tu né io possiamo sapere quali fossero realmente le sue intenzioni. Ma vale la pena tentare. Il peggio che può accadere è che non succeda niente, e tu potrai lasciarti tutto alle spalle e andare avanti con la tua vita.”

Quale vita?, non chiese Will.

Will alla fine sospirò, scrollando le spalle.

“Fai come vuoi, Jack. Se pensi che sia una buona idea io non ti fermerò.”

Fu così che Will Graham, 38 anni, morì tragicamente a seguito di un’overdose da barbiturici da cui i medici non erano riusciti a salvarlo. La notizia fece il giro delle televisioni e dei giornali, sottolineando quanto fosse sventurato che colui che aveva aiutato a smascherare il più efferato serial killer dell’ultimo secolo avesse finito per soccombere ai propri demoni, perdendosi in un baratro di alcool e sonniferi. Non essendoci alcuna famiglia ad organizzare i funerali, la cerimonia si tenne con un certo ritardo rispetto al solito - solo una volta che l’FBI fu sicura di averla pubblicizzata a sufficienza, avrebbero detto le malelingue - alla presenza di pochi amici e conoscenti. Parole di encomio furono spese dalle figure più importanti dell’FBI, con Kade Purnell che arrivò a definire il suo contributo al bureau come “il dono più grande che il popolo americano avrebbe mai potuto desiderare”.

Will - o meglio, Kyle Lambert, in base a quanto dichiarato dai suoi nuovi documenti - seguì la vicenda con la sensazione di stare vivendo un’esperienza extracorporea. La sua bara che veniva lentamente interrata sotto una lapide che portava il suo nome era l’ultima cosa che credeva avrebbe mai visto al telegiornale, ma aveva smesso di stupirsi di quanto alla sua vita piacesse prendere pieghe singolari.

Purtroppo per l’FBI, il piano fu un fiasco totale. Di Hannibal Lecter non si scorse minimamente traccia né prima né dopo il funerale, e ben presto anche Jack fu costretto ad affrontare la realtà: ovunque l’uomo si trovasse nel mondo, o non aveva saputo, o non gli era importato abbastanza da venire a controllare di persona. Will cercò di convincersi che non fosse rammarico quello che sentì quando fu evidente che Hannibal non si sarebbe fatto vivo. Lasciò che lo spostassero sotto copertura in una clinica di riabilitazione per casi di tentato suicidio, in un complesso residenziale tranquillo nella periferia di Baltimora. Vi restò per un totale di tre giorni, poi fabbricò una corda con delle lenzuola, si calò dalla finestra e nessuno lo rivide più.

Far perdere le proprie tracce non fu difficile per chi come lui aveva lavorato per l’FBI e conosceva a memoria i loro metodi investigativi. Nonostante la preoccupazione di Jack e Alana, fu impossibile rilasciare una segnalazione di sparizione col suo volto dal momento che era quello di un uomo morto, e su questo Will aveva contato. Il suo unico rimpianto fu non potersi portar dietro i suoi cani, ma sapeva che Alana si sarebbe presa cura di loro nel caso Will avesse deciso di tornare. Non aveva alcuna intenzione di farlo.

Rubò una macchina in un parcheggio non lontano dall’ospedale, scambiandone la targa con quella dell’automobile vicina in maniera che fosse più difficile rintracciarlo. La scambiò di nuovo in West Virginia, poi in Kentucky e infine vendette la vettura a uno sfasciacarrozze in Alabama, guadagnandoci abbastanza per potersi comprare un biglietto di sola andata per la Florida. Si sistemò in una catapecchia abbandonata che incontrò su una spiaggia paludosa, iniziando a rimetterla in sesto coi tronchi di legno che la marea abbandonava levigati sulla sabbia e con gli attrezzi semiarrugginiti trovati nel capanno lì adiacente.

Dopo un paio di mesi aveva iniziato a guadagnare qualcosa svolgendo lavoretti di manutenzione sulle case del vicinato, la sua natura taciturna del tutto sorvolata dai vicini alla luce delle sue capacità manuali, e ben presto gli abitanti della cittadina poco distante iniziarono a portargli automobili in panne e motori di barche a cui dare un’occhiata dal momento che l’ultima officina meccanica del luogo aveva chiuso anni prima per via della crisi. A Will i lavori manuali non dispiacevano, nemmeno quelli pesanti, e anzi gli ricordavano la sua adolescenza passata ad aiutare suo padre al cantiere in Louisiana. Dopo qualche tempo fu in grado di comprarsi un vecchio pick-up (o meglio un rottame che ne aveva l’aspetto, ma una volta che lo ebbe sistemato divenne perfettamente funzionante anche se non bello da vedere) così da poter più facilmente ritirare e consegnare i pezzi per la sua clientela.

Il resto dei suoi introiti venivano spesi principalmente in whiskey e cibo, anche se gran parte di quello finiva sempre per lasciarlo a Lucky, il randagio che aveva preso a farsi vedere di tanto in tanto dalle parti di casa sua. Tutto sommato non era una brutta vita. Il sole della Florida gli aveva schiarito i capelli e scurito le guance, e con la barba folta a coprirgli il viso supponeva di non correre il rischio di essere accidentalmente riconosciuto. L’anonimato gli si addiceva, e nonostante di tanto in tanto avvertisse un vago senso di solitudine sapere di non dover rendere conto a nessuno, di non avere anima viva a contestare il suo stile di vita indubbiamente poco sano almeno per quanto riguardava le quantità di alcool da lui ingerite, era un sollievo. I fantasmi per qualche motivo non lo perseguitavano più.

Andava tutto bene, per lo meno fino a quella fatidica sera.

Will stava rientrando semiubriaco dal pub dove di tanto in tanto passava le sue serate quando non aveva nulla da bere a casa (buffo come avesse finito per trasformarsi in un ubriacone come suo padre dopo un’adolescenza passata a giurare di non diventarlo). Si chiuse la cigolante porta di casa alle spalle, barcollando appena attraverso il soggiorno composto di mobili recuperati da un robivecchi. Fu allora che si bloccò, un brivido alla base del collo che gli diceva che qualcosa non andava. Come quando in una foresta il predatore è vicino e improvvisamente ogni animale cessa di fare rumore come se stesse trattenendo il fiato. Il silenzio che regnava lì dentro era innaturale.

Poi una tavola del pavimento cigolò, e la figura che ancora vedeva nei suoi incubi uscì dal buio.

“Salve, Will”, disse semplicemente Hannibal, gli occhi scuri che brillavano appena nella penombra come quelli dei mostri delle favole.

Will lo fissò in silenzio, stranamente calmo, quasi non avesse ancora del tutto realizzato che fosse realmente lì.

“Sei reale?”, chiese.

“Sono reale.”

Di nuovo silenzio, e Will annuì appena come prendendone atto. Poi distolse lo sguardo e si sfilò la giacca andando a posarla su una sedia, dando le spalle all’altro come se non ci fosse.

"Non sei sorpreso di trovarmi qui?", chiese Hannibal, la nota curiosa nella sua voce così familiare da essere quasi dolorosa dopo tutto quel tempo.

Will non si voltò, versandosi un bicchier d’acqua dal lavandino e prendendone un sorso.

"No. Tu sei sempre presente nella mia mente. E' come se non te ne andassi mai."

Posò il bicchiere sul bancone, appoggiandosi ad esso con le mani e reclinando la testa con un sospiro. Sentì Hannibal avvicinarsi di qualche passo, con un incedere quasi incerto, non tanto da entrare nel suo spazio vitale ma abbastanza. Abbastanza.

Quando lo avvertì sollevare un braccio per toccarlo si voltò di scatto e gli mollò un pugno in pieno volto, tanto forte da farlo indietreggiare. Lo colpì di nuovo, e di nuovo, finché Hannibal non iniziò a parare i suoi colpi, senza battere ciglio al suo improvviso attacco.

“Non sei nelle condizioni per combattere, Will”, gli disse dopo che gli ebbe bloccato prima un braccio e poi un altro, chiudendogli i polsi in una morsa e impedendogli i movimenti. Will per tutta risposta gli diede una testata sul naso, e dovette fargli parecchio male perché Hannibal mollò la presa e barcollò all’indietro. Will colse l’occasione e gli si lanciò contro con tutta la forza che aveva, scaraventando entrambi a terra e trascinando con loro un tavolino e la rispettiva lampada che si infranse al suolo.

A cavalcioni dell’altro iniziò a tempestarlo di pugni, così come aveva fatto con Randall Tier la notte che lo aveva ucciso a mani nude, immaginando che al suo posto ci fosse Hannibal. Che ironia che il suo desiderio si fosse avverato ma che non provasse nemmeno un briciolo dell’esaltazione che aveva provato allora.

Quando si fermò non fu perché avesse esaurito la rabbia dentro di sé, ma perché un improvviso capogiro lo costrinse a stringersi alle spalle di Hannibal per non cadere. L’uomo gli prese subito il volto tra le mani, senza permesso, come aveva sempre fatto, incurante del sangue che gli spillava dal naso e dal labbro spaccato.

“Will, quando è stata l’ultima volta che hai mangiato?”, chiese come se Will non avesse appena tentato di ucciderlo a suon di pugni. Non aveva opposto alcuna resistenza, anche se avrebbe potuto, si era solo difeso.

Non aveva fatto tutta quella strada per lasciare che Will lo allontanasse.

Osservò Will scuotere la testa e tentare flebilmente di alzarsi, ma la sua presa lo trattenne lì dov’era. Hannibal si rese conto solo in quel momento che il peso del corpo su di lui era fin troppo leggero per un uomo dell’altezza di Will. I vestiti larghi nascondevano una serie di angoli sporgenti che ora Hannibal poteva sentire su di sé - ed era magro, troppo magro, quasi morto di fame, quasi come Mischa.

“Rispondimi, Will.”

“Sta’ zitto”, sbottò lui in risposta, gli occhi chiusi come a placare una vertigine.

Prima che potesse protestare ulteriormente Hannibal si alzò a sedere e chiuse la presa intorno a lui, sollevandosi in piedi tenendolo tra le braccia. Will emise un verso di protesta, ma era troppo debole e ubriaco per opporre realmente resistenza. Tentò comunque di divincolarsi, e Hannibal lo strattonò una volta con disapprovazione.

“Non essere cocciuto, Will”, lo redarguì sistemandolo sul letto (in soggiorno anche quello, come a Wolf Trap, ma in questo caso l’abitazione non aveva un piano superiore), tentando di sbrogliare il groviglio di coperte  disfatte in maniera da potervelo avvolgere.

“Non sono un bambino”, protestò Will.

“Allora smetti di comportarti come tale”, ribatté lui. Finì di sistemare l’altro ed estrasse un fazzoletto dalla tasca, tamponandosi il labbro e il naso e pulendosi il volto dal sangue. Will lo fissò in silenzio per tutto il tempo, gli occhi sfocati dall’alcool. “Suppongo che quando aprirò la tua credenza non vi troverò nulla di commestibile, non è così?”

Will continuò a fissarlo accigliato, scuotendo appena la testa.

“Perché sei qui?”, chiese con un filo di voce invece di rispondere.

Hannibal batté le palpebre.

“Lo sai il perché.”

“Sei qui per uccidermi una volta per tutte.”

L’altro assunse per un attimo l’espressione che esibiva ogni volta che Will lo coglieva di sorpresa con una delle sue risposte.

“Non voglio ucciderti”, rispose.

“Non ha importanza quello che vuoi”, ribatté l’altro, le dita che formicolavano un po’ per l’alcool un po’ per i pugni che aveva tirato, la lingua impastata dal whiskey. “Sei qui, e non esiste altro destino per me e te insieme se non la morte.”

Hannibal sorrise appena.

"Non pensavo credessi nel destino, Will".

Will non ricambiò l’espressione.

"Non si tratta di azioni preordinate, ma di scelte”, biascicò. “Non ho intenzione di lasciare la tua vita in mano a qualcun altro. Dopo tutto quello che mi hai portato via hai un debito con me. Il tuo futuro mi appartiene, comunque vada a finire questa notte."

Hannibal tacque per qualche secondo.

"Non deve per forza finire", disse infine.

Will lo scrutò come se stesse cercando nel suo sguardo una qualsiasi trappola o inganno, ma per una volta Hannibal non aveva alcun secondo fine. Quasi.

“C’è del pesce nel freezer”, mormorò Will alla fine, indicando la cucina con un cenno della testa. Hannibal annuì e si alzò in piedi.  Will gli afferrò il polso senza realmente volerlo, e l’altro si voltò a guardarlo. Si fissarono per qualche secondo, poi Hannibal posò la propria mano sulla sua, sciogliendogli la presa gentilmente, un dito dopo l’altro.

“Riposa, Will. Sarò qui quando ti sveglierai.”

Will lo seguì con lo sguardo mentre entrava in cucina, accendendo la luce e mettendosi ad armeggiare tra gli sportelli in cerca degli utensili necessari. Lentamente le sue palpebre iniziarono a calare, e quando si addormentò fu con la certezza che la sua mente gli avesse giocato semplicemente un altro scherzo e che nulla di tutto ciò che aveva appena visto fosse reale.

*

A svegliarlo fu il profumo del cibo. Per un attimo pensò di essere tornato a casa la sera prima ed essersi preparato qualcosa da mangiare senza esserne del tutto consapevole, poi la sua mente ricordò.

Spalancò gli occhi e si tirò a sedere di scatto, pentendosene non appena l’emicrania post sbornia si fece sentire. Serrò i denti con forza, posando i piedi a terra. Dalla porta della cucina filtrava della luce ma forse, solo forse, l’aveva lasciata accesa lui la sera prima. Non era più sicuro nemmeno lui di sapere cosa volesse.

“Hannibal?”, chiamò incerto, e suo malgrado il cuore gli balzò in gola quando la porta si spalancò e il suo ex-psichiatra gli sorrise dalla soglia.

“Buongiorno, Will”, disse semplicemente, e solo in quel momento il profiler si rese conto che dalle finestre filtravano le prime luci dell’alba. Si accorse anche che la sua abitazione era più in ordine di quanto non la ricordasse, e capì che l’altro doveva aver fatto pulizia mentre dormiva, gettando le bottiglie vuote di birra e whiskey chissà dove e raccogliendo i vestiti che era solito lasciare in giro. Non era sicuro di sapere come quella conspevolezza lo facesse sentire.

“Se vuoi andare a lavarti la colazione è pronta.”, disse Hannibal prendendo i pochi piatti spaiati che Will possedeva e iniziando ad apparecchiare come se nulla fosse. “Anche se questa volta mi hai davvero messo alla prova vista la penuria di ingredienti-”

“Sei reale”, lo interruppe Will, ma questa volta non era una domanda. Ora sapeva di non stare sognando.

Hannibal sollevò la testa, osservandolo.

“Sì”, rispose semplicemente.

Will si alzò in piedi, testando il proprio equilibrio, e quando vide che la terra rimaneva lì dov’era si avviò lentamente verso il bagno, passando dall’ingresso. Con la coda dell’occhio vide che Hannibal era tornato in cucina, e si affrettò a infilare la mano nella sua giacca da lavoro, trovandola vuota.

“Se stai cercando il cellulare, l’ho gettato in mare qualche ora fa”, disse a voce alta Hannibal dalla cucina, come se sapesse perfettamente cosa gli passava per la testa.

Will strinse i pugni e non rispose, infilandosi in bagno e sbattendosi la porta alle spalle. Non era che avesse deciso di chiamare l’FBI. Per quanto l’idea di Hannibal dietro le sbarre fosse allettante non era sicuro che avrebbe avuto la forza di fare ciò che già una volta non gli era riuscito. Era la mancanza di scelta che non gli piaceva affatto.

Quando ebbe finito in bagno si avviò lentamente verso la cucina, notando i vestiti che indossava la sera prima piegati su una poltrona. Hannibal doveva averlo svestito mentre dormiva, lasciandolo in t-shirt e boxer. Anche quello era qualcosa per cui non sapeva come sentirsi.

Hannibal gli fece cenno di sedersi e gli mise davanti un piatto fumante.

“Aringhe al forno con mousse di fagioli e crostini all’aglio.”

“Cena per colazione?”, si ritrovò a chiedere Will.

L’altro sorrise appena.

“Dal momento che dubito che tu abbia cenato ieri, o il giorno prima a dire il vero, credo sia appropriato, anche alla luce della cospicua quantità di alcool da te ingerita solo poche ore fa. Inoltre, come ho già detto, la scarsezza di provviste ha in qualche modo limitato la scelta di pietanza.”

Will assaggiò il primo boccone - la cosa buona del pesce era che non vi era modo di confonderlo con carne umana - e l’esplosione di sapori che sentì sulla lingua gli fece chiudere gli occhi. Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma la cucina di Hannibal gli era mancata.

“Come mi hai trovato?”, chiese senza alzare gli occhi dal piatto.

“Ha importanza?”

“Per me sì. Voglio sapere quante persone hai ucciso per arrivare fin qui.”

Il rumore delle posate di Hannibal si interruppe, e Will poté sentire il suo sguardo su di lui. Non gli diede la soddisfazione di incrociarlo.

“Meno di quante potresti pensare”, rispose.

“Ti sto ascoltando.”

Il rumore di posate riprese.

“Il dottore che ti aveva in cura all’ospedale dopo il tuo tentativo di suicidio”, iniziò, con lo stesso tono con cui avrebbe elencato un nuovo elettrodomestico per la sua cucina. “Temo che la polizia scoprirà che l’infermiera con cui aveva una relazione non gradiva il fatto che non avesse intenzione di lasciare la moglie.”

“Perché sei andato proprio da lui?”, chiese Will continuando a mangiare. Cercò di trovare dentro di sé una briciola di rammarico per l’uomo, ma scoprì di non averne. Era stanco di preoccuparsi degli altri.

“Perché ero certo che la tua morte fosse stata tutta una messinscena, ma non potevo provarlo. All’inizio credevo che anche il tentativo di suicidio lo fosse, ma poi ho scoperto altrimenti. Quando ho appreso la notizia ho preso il primo volo da Firenze e sono andato all’ospedale menzionato dai giornali per avere delle risposte.”

“Se eri così sicuro che fosse tutto falso perché sei tornato negli Stati Uniti? Avresti potuto assumere un investigatore privato a distanza se erano solo risposte quelle che cercavi.”

Hannibal non rispose, e fu il turno di Will di alzare la testa senza che l’altro incrociasse il suo sguardo.

“Oh”, mormorò Will, e sentì una soddisfazione crudele scaldargli il petto. “Il freddo, razionale Hannibal Lecter che agisce d’impulso. Non è da te.”

“Fino a qualche tempo fa avrei detto che tentare di toglierti la vita non è da te, Will, eppure siamo qui”, ribatté l’uomo con eguale cattiveria, e Will tacque. Di tanto in tanto si chiedeva come avesse fatto a non notare fin da subito il sadismo dell’altro quando si erano conosciuti. Ferire gli veniva così facile, sapeva sempre dove colpire per far male.

Posò la forchetta, sentendo che gli si era chiuso lo stomaco, senza alzare lo sguardo.

“Le mie scuse”, disse Hannibal dopo qualche secondo. “Non era mia intenzione farti perdere l’appetito.”

“No, volevi solo ferirmi”, rispose lui glaciale. “E’ quello che ti riesce meglio.”

Hannibal posò a sua volta le posate sul piatto, ordinatamente, una accanto all’altra.

“Perché l’hai fatto, Will? Perché hai cercato di ucciderti?”

Will soppesò la possibilità di non rispondergli. Dopo tutto quello che gli aveva fatto Hannibal non meritava di avere nuovamente accesso alla sua testa.

“Perché ero stanco”, rispose vago, ma poi incrociò lo sguardo dell’altro e il resto della verità gli scivolò fuori dalle labbra. “E perché speravo che venirlo a sapere ti avrebbe fatto del male.”

Hannibal sembrò soppesare la sua risposta, come se tentasse di decidere se si trattasse o no di manipolazione.

“Ti fa sentire meglio sapere che ci saresti riuscito?”

Fu il turno di Will di guardare l’altro in cerca di tracce di menzogna, ma non ne trovò.

“Sì”, rispose sinceramente.

Lentamente ripresero a mangiare, il silenzio rotto solo dal rumore delle posate sui piatti.

“Mi hai lasciato il tuo cuore nella Cappella Palatina”, disse Will dopo un po’.

Hannibal alzò nuovamente lo sguardo su di lui.

“Lo hai visto?”

Will annuì.

“Lo hanno trasmesso alla televisione. Hanno detto che ha causato un certo scompiglio a Palermo.”

“E cosa hai pensato?”

Che fosse il dono più bello che mi avessero mai fatto.

Will si morse la lingua per impedirsi di dare quella risposta.

“Che fosse il tuo modo per dirmi di venire da te”, disse invece.

“Un’esca, come la notizia della tua morte”, osservò Hannibal.

“Sì. La differenza è che tu hai abboccato”, disse, questa volta senza tono canzonatorio. Era un semplice dato di fatto. “Jack era sicuro che avrebbe funzionato. Era certo che il tuo ego ti avrebbe spinto a seguire i giornali americani alla ricerca di notizie su di te.”

“Jack mi dipinge come più narcisista di quello che sono”.

Will sollevò un sopracciglio.

“Non potresti essere più narcisista nemmeno se morissi affogato per aver fissato innamorato il tuo riflesso in una pozza d’acqua.”

A quel commento Hannibal sorrise come solo lui sapeva fare, con gli occhi e con una curva appena accennata delle labbra, come faceva ogni volta che Will gli dava motivo di ricordarsi del perché la sua compagnia gli piacesse così tanto. Will abbassò lo sguardo, sopraffatto dalla fitta di nostalgia che provò. Non si era reso conto di quanto quell’espressione gli fosse mancata fino a quel momento.

Si alzò in piedi pur di fare qualcosa, portando il piatto vuoto fino al lavandino e iniziando a lavare le stoviglie che Hannibal aveva usato per cucinare. Dopo poco l’uomo si unì a lui, asciugando ciò che Will gli passava e disponendo il tutto in una pila ordinata.

Will sentiva la tensione irrigidirgli i muscoli e i movimenti. Il suo gomito sfiorava di tanto in tanto quello di Hannibal, e ogni volta era come se una scarica di elettricità lo percorresse da capo a piedi. Faceva male.

"Non avevi mai usato il mio nome prima”, osservò Hannibal. “Non di fronte a me, almeno."

Will si rese conto che aveva ragione. Nella sua vecchia vita si era sempre rivolto ad Hannibal come ‘Dr Lecter’, prima per rispetto, poi, quando aveva cercato di ingannarlo sfruttando l’evidente attrazione di Hannibal per ciò che Will era, per provocarlo.

“Te l’ho detto. Hai passato molto tempo nella mia testa mentre non c’eri. Era diventato strano continuare a pensare a te come al Dr Lecter”.

La sua voce suonò tesa alle sue stesse orecchie.

“Respira, Will”, lo sentì dire con la consueta calma compostezza. Gli aveva sempre invidiato quell’autocontrollo. “Non sono qui per farti del male.”

“Disse il ragno alla mosca”, mormorò Will.

Hannibal gli gettò uno sguardo con la coda dell’occhio, continuando ad asciugare.

“Il ragno per la mosca è un predatore naturale. Tu non sei la mia preda, sei mio amico”.

Will rise senza un briciolo di allegria.

“Io e te siamo amici nella stessa maniera in cui un pugnale nel ventre può essere considerato solo una ferita superficiale”, dichiarò a bassa voce senza alzare lo sguardo. “Minimizzando qualcosa che potrebbe benissimo portare alla morte.”

La metafora non era stata scelta a caso, e lo sapevano entrambi.

“L’amicizia necessita la nostra vulnerabilità”, osservò l’altro. “Significa lasciare che un’altra persona ci veda per ciò che siamo realmente. Non si può essere amici di qualcuno che non sa chi siamo. Essere visti ci espone all’eventualità di essere feriti.”

Will strinse i denti, appoggiando i palmi delle mani al lavandino e chiudendo gli occhi.

“Ogni cosa mi ferisce”, disse quasi con rabbia. “E' la condanna dell’avere un disturbo dell’empatia. E’ per questo che ti piaccio così tanto. Tu adori vedere gli altri soffrire.”

Hannibal non negò le sue parole, voltandosi di lui. Will poteva sentire il suo sguardo sul viso anche ad occhi chiusi.

“Tu soffri splendidamente, Will”, disse quasi con dolcezza.

Prima che se ne rendesse conto Will aveva afferrato un coltello dal lavandino e lo aveva premuto alla gola di Hannibal, l’altra mano che gli stringeva il colletto della camicia in una morsa. L’altro si fece perfettamente immobile ad eccezione del movimento dei suoi occhi, che sembravano non riuscire a decidere dove posarsi e stavano ora esplorando Will - il suo volto, la sua posizione minacciosa, i suoi denti snudati come quelli di un animale pronto all’attacco - come se non avessero mai visto nulla di più bello al mondo.

“Dammi solo un buon motivo per cui non dovrei farlo”, ringhiò Will, premendo con la lama affilata abbastanza da rischiare di lacerargli la pelle del collo e allo stesso tempo da rendergli più difficoltoso respirare.

Hannibal non si scompose. Continuò a sostenere il suo sguardo, le pupille che avevano quasi inghiottito del tutto l’iride castano-rossastra dei suoi occhi.

“Non ne ho nessuno”, ammise a bassa voce.

Will espirò. Razionalmente sapeva che se Hannibal avesse voluto sarebbe probabilmente riuscito a liberarsi. Era allenato, in forze, mentre Will era malnutrito e di certo non più abituato a difendersi in combattimento. Ma Hannibal era anche un maledetto stronzo supponente, e Will era sicuro che quello fosse il suo modo di metterlo alla prova. Stava scommettendo la sua vita sul fatto che Will non sarebbe riuscito ad andare fino in fondo, limitandosi ad osservarlo con aria placidamente curiosa, ed era qualcosa così tipico di lui che Will avrebbe voluto ricominciare a prenderlo a pugni solo per cancellargli quell’espressione dalla faccia.

Sarebbe stato così semplice. Un guizzo del polso e si sarebbe liberato di lui per sempre.

“Allora credo che tu abbia un grosso problema”, sibilò Will, il volto estremamente vicino al suo tanto che Hannibal poteva sentire il suo fiato sulle labbra.

L’espressione ferale sul viso di Will era qualcosa di magnifico. Si rammaricava solo di non avere con sé nulla per poterla imprimere su carta e renderla immortale. Aveva atteso così a lungo per poter osservare Will senza inibizioni, senza i freni imposti dal retaggio di un’educazione elargita da creature inferiori. Il fatto che quella ferocia fosse rivolta a lui passava del tutto in secondo piano.

Hannibal affondò lo sguardo in quegli occhi di un azzurro indefinibile, in grado di cambiare a seconda della luce e di ciò che gli era intorno e divenire verde, grigio, blu notte - colori estranei che si appropriavano del suo sguardo, lo inghiottivano e lo trasformavano fino a non renderlo più lo stesso, così come lui  per anni non era più stato se stesso ogni volta che scivolava nella mente di un serial killer e si annullava nei suoi pensieri, ma non adesso, non qui; qui Will era una creatura di suo proprio disegno - e vi trovò la fame di violenza che aveva sempre saputo far parte di Will. Inspirò profondamente, incurante della lama puntata al suo collo, imprimendosi nella mente il profumo dell’altro - paura, rabbia, disperazione e sete di sangue. Semplicemente sublime.

“Mi sei mancato, Will.”

Will ringhiò e lo spinse via, aprendogli col movimento un taglio alla gola, non abbastanza profondo da costituire un pericolo ma comunque abbastanza da iniziare a grondare sangue. Nel tempo che Hannibal impiegò a portarsi la mano alla gola per accertare i danni e dichiararla una ferita superficiale, Will gettò il coltello nel lavandino e afferrò le sigarette, sgusciando fuori dall’abitazione prima che l’altro potesse fermarlo.

Percorse duecento metri di spiaggia prima di fermarsi, il fiato corto e la luce del basso sole nascente che gli feriva gli occhi. Estrasse una sigaretta e dopo qualche iroso tentativo e altrettante imprecazioni riuscì a convincere l’accendino a funzionare, accendendola e prendendone un lungo tiro. Si sentì immediatamente più calmo - autosuggestione, lo sapeva, ma bastava che funzionasse - e lentamente i tremiti che lo scuotevano diminuirono fino a divenire poco più che brividi. Si rese conto di essere uscito di casa in nient’altro che maglietta e boxer solo quando riacquistò abbastanza controllo da accorgersi del morso dell’aria fredda sulla pelle.

Avvertì la presenza di Hannibal alle sue spalle senza che l’altro facesse il minimo rumore. Era disarmante notare quanto ancora fossero istintivamente in armonia l’uno con l’altro.

“Fissazione orale?”, chiese l’uomo alle sue spalle.

Will espirò profondamente, volute di fumo che si perdevano nel riverbero dell’alba.

“Non giudicarmi.”

“Non l’ho mai fatto.”

Lo sentì avvicinarsi lentamente, ma prima di avere il tempo di irrigidirsi Hannibal gli aveva posato una giacca sulle spalle. Will se la strinse addosso senza dire nulla.

“Pensi che cercherai di nuovo di uccidermi, Will?”

La voce di Hannibal era calma e misurata, nonostante Will potesse vederlo con la coda dell’occhio mentre si premeva uno strofinaccio sul collo per arginare il sangue che ancora gli sgorgava dalla ferita da lui inferta.

Will prese un altro tiro, scuotendo la testa.

“No. Credo sia stato appurato che non ne sono in grado. Tu pensi che cercherai di uccidermi?”

“Non è per questo che sono qui.”

Will si voltò verso di lui, dando le spalle al mare. Il cielo rossastro illuminava i suoi ricci con un’aureola di luce. Nonostante le occhiaie e l’aria trasandata Hannibal non sarebbe riuscito a distogliere lo sguardo nemmeno volendo.

“E perché sei qui?”

“Perché volevo vederti”, rispose, pur sapendo che come risposta non si avvicinava nemmeno lontanamente a spiegare il groviglio di sentimenti che lo avevano portato a salire su un aereo senza realmente soppesare le conseguenze come aveva sempre fatto.

“La verità è che non lo sai nemmeno tu perché sei tornato”, ribatté Will. “Vuoi sapere cosa penso?”

“Sempre.”

Will cercò di ignorare il brivido d’orgoglio che quella risposta gli fece provare.

“Penso che in Europa tu abbia ucciso solo per inerzia. Come ci si sente a non trovare più abbastanza soddisfazione nelle vecchie abitudini?”

Hannibal non sbatté nemmeno le ciglia.

“Ti assicuro che la soddisfazione era più che sufficiente.”

“Davvero? Io credo invece di no”, disse Will,  muovendo un passo verso di lui. “Uccidere è sempre stato per te come infilare un completo su misura, come indossare la tua stessa pelle. Ma io ti ho cambiato, e se c'è una cosa che non sopporti è un abito che non ti sta a pennello.”

“Credi di aver placato la mia sete di sangue?”, chiese inclinando il capo da un lato.

“No. Credo che avessi fatto talmente la bocca all’idea di spingermi a uccidere con te che ogni tuo omicidio da quando hai lasciato gli Stati Uniti ti ha lasciato freddo. Piatti insipidi, quando una volta per te affondare le mani nel petto di qualche maiale immeritevole equivaleva a un banchetto per i sensi.”

Erano l’uno di fronte all’altro, ora. Will gettò la sigaretta tra la sabbia, esalando un’ultima nuvola di fumo.

“Mi sbaglio?”, lo incalzò.

“Cosa vuoi farmi ammettere, Will?”

Will tacque. Non lo sapeva nemmeno lui. Che non era stato l’unico a stare male, forse. Che quella separazione era costata a Hannibal quanto era costata a lui.

“Vuoi che ti dica che avevi ragione? Che mi hai cambiato? Sei un ragazzo estremamente brillante. Sai già che è così.”

La facilità con cui lo ammise stupì Will e al contempo gli riempì il petto di una ridicola forma di sollievo. Deglutì, sentendosi estremamente trasparente sotto lo sguardo intenso dell’altro.

Hannibal estese una mano verso di lui, in una richiesta di permesso silenziosa. Lo sguardo di Will si spostò involontariamente verso l'altra mano, ancora ferma al suo fianco. L'ultima volta che lo aveva avuto così vicino, faccia a faccia, quella mano aveva brandito un coltello.

Lentamente, come se avesse avuto a che fare con un animale spaventato, le dita di Hannibal si intrecciarono coi riccioli alla base del suo cranio, e Will cercò di ignorare la sensazione che fosse un incastro perfetto, un pezzo di puzzle nato per stare lì.

“Una verità per una verità”, propose Hannibal. “Risponderai?”

Will esitò solo un attimo, poi annuì. Non aveva più la forza per lottare contro un legame che si era inesorabilmente sigillato molto tempo prima.

Hannibal lo guardò per un lungo momento prima di parlare.

“Sarebbe stato davvero così orribile, Will? Venire via con me?”

Will sentì il cuore schizzargli in gola. Eccola, la domanda fatidica. Quella che la sua mente gli aveva riproposto giorno dopo giorno, notte dopo notte, da quando la sua vita era andata a puttane. Si era sforzato così a lungo di ignorarla per non dover rispondere che sentirla pronunciata a voce alta fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Pensò a Abigail, al modo insistente con cui il suo fantasma aveva cercato di fargli accettare il fatto che si sentisse abbandonato. Pensò a Beverly, al modo in cui la stessa mano che ora giaceva gentile sul suo volto dovesse essersi chiusa intorno alla sua gola per ucciderla. Pensò ad Alana, e a Jack, e a tutte le persone il cui sangue era stato versato che il suo cuore coi suoi ridicoli desideri reconditi tradiva ad ogni battito.

Il pollice di Hannibal gli accarezzò lo zigomo, ancorandolo e facendolo tornare al presente. Will sollevò gli occhi su di lui, e per una volta fu sincero con se stesso.

“No.”

  
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