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Autore: Bromfighter    22/12/2015    0 recensioni
Julian è sempre stato un ragazzo normale. Deve spesso fare i conti con i bulletti della scuola, con le prodezze culinarie della madre e con quel tornado di pura energia che è il suo migliore amico Johnny. Tutto cambia il giorno in cui nella sua vita entra Leah, il bidello si rivela un campione di scherma e un uccello parlante lo guarda dall'alto in basso avvertendolo di un immane pericolo che lo minaccia. Fuggendo dai suoi inseguitori, Julian entra a far parte di un mondo completamente nuovo, in cui la magia ancora esiste ed anzi è la norma, mentre oscure figure decidono quale sarà il suo destino.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[prologo]

 

La primavera era ormai alle porte. Cumuli di neve cadevano dai tetti e scintillanti gocce d'acqua risplendevano sulle strade mentre Roma si stava lentamente risvegliando. Antonio Alducci si protesse gli occhi dal bagliore del sole sorgente, imprecando a denti stretti. Non era stato un periodo molto felice: in effetti, si sarebbe potuto dire che se Antonio avesse potuto, si sarebbe chiuso in casa e non ne sarebbe più uscito. Prima il licenziamento dal suo lavoro di avvocato specializzato, poi la morte della moglie, Alice; la disperata ricerca di un lavoro per mantenere i tre figli e di una nuova casa, dopo il crollo del tetto della sua due settimane prima; la scoperta che la nuova abitazione era una piccolissima casetta tutta cemento priva di qualsivoglia allegria. E ora quel maledetto sole che lo accecava ogni mattina, quando si recava al suo nuovo impiego di “addetto al mantenimento dell'ordine in strada”. Ovviamente, quando aveva accettato l'offerta, Antonio non sospettava che “ordine” fosse inteso come “pulizia”. E si era ritrovato relegato a netturbino. Perlopiù, dopo l'abbondante nevicata di tre giorni prima, Roma necessitava sempre più di pulizia: i netturbini erano dunque costretti a fare gli straordinari come spalatori. Non una bella situazione, quindi. Ma quella mattina c'era qualcosa di diverso: non solo Antonio avrebbe dovuto lavorare solamente due ore, ma si stava addirittura recando al lavoro di buon umore. Forse perché non era ancora stato inzuppato da capo a piedi da un cumulo di neve in caduta o passando vicino a una pozzanghera. Forse perché Sarah, sua figlia, gli aveva regalato qualche giorno prima un bellissimo ciondolo fatto a mano per il suo compleanno - una scelta da considerare, i padri lo apprezzano moltissimo, soprattutto se colorato con i colori della loro squadra del cuore - o forse perché, dopo tante insistenze da parte sua, era stato assegnato alla manutenzione del Colosseo. Ah, il Colosseo! Provava grande ammirazione per quel monumento, fin dalla sua infanzia, quando suo padre lo trascinava in giro per la città a visitare i vari resti archeologici. Un tipino particolare, suo padre. Questo, se si poteva definire solamente “particolare” Aldo Alducci. Nemmeno Antonio avrebbe potuto descriverlo completamente, perché nemmeno lui lo aveva mai completamente compreso. Sapeva che aveva cambiato il cognome in “Alducci” qualche anno dopo aver finito la scuola, perché, a sua detta, si intonava con il suo nome - cosa che faceva sghignazzare non poche persone, ogni volta che Antonio la raccontava -. Fin qui, niente di troppo strano. Fatto sta che quando si sposò optò come luna di miele per un lungo soggiorno in Antartide per studiare i pinguini, come lui disse al ritorno, dopo tre mesi (anche se lui di lavoro faceva l'elettricista). Nessuno osò mai chiedere come avesse fatto a convincere la signora Alducci a seguirlo. In seguito Aldo si contraddistinse per la sua bizzarra casa, che lui stesso aveva costruito. Un solo aggettivo l'avrebbe descritta: forte. C'erano molte stanze, tutte molto luminose e piene di libri e piante, animali domestici, un giardino interno, persino un piccolo fiumiciattolo interno. Per chi avesse chiesto ad Antonio come avesse fatto suo padre a portare lì un fiume, lui avrebbe risposto con un semplice “non lo so”, cosa che ripeteva spesso quando parlava delle stranezze del padre. Ma la cosa che più aveva strabiliato gli abitanti di Roma fu lo stile in cui l'edificio era costruito o, per meglio dire, gli stili: colonne lussureggianti reggevano terrazze rinascimentali mentre alte guglie ornavano una parte del tetto, oltre a ricchi mosaici che ricoprivano le pareti e ampi archi che sancivano l'entrata del giardino. Insomma, tutte le architetture storiche erano riprodotte lì, a testimone dell'enorme amore di Aldo per la storia e l'architettura. E poi venne al mondo Antonio. E fu allora che Aldo letteralmente si infiammò. Già a tre anni Antonio gironzolava per Roma a fianco del padre, ascoltando fiumi di parole sulla sua storia, sulla sua architettura, sui suoi monumenti...E ne rimase affascinato. Certo, qualche volta preferiva cambiare argomento, soprattutto quando crebbe e iniziò ad ammirare qualcosina di più nelle marmoree statue femminili delle dee e delle matrone romane. Ma generalmente padre e figlio parlavano solamente di mura e templi e combattimenti. Però nulla aveva colpito Antonio come lo aveva colpito il Colosseo: era come se il monumento sprigionasse un antico fascino, irresistibile, forzando le persone a fermarsi a contemplarlo. Anche in quel momento, anni dopo, Antonio provava la stessa, identica emozione. Ogni volta che passava dal Colosseo la sua imponenza, la potenza che emanava lo ipnotizzavano, lo lasciavano in estasi, gli placavano la mente liberandola da cattivi pensieri. Un prolungato suono di clacson in lontananza lo risvegliò dai suoi pensieri. Buffo, era rimasto assorto così tanto che non si era nemmeno reso conto di essere arrivato. Davanti a lui si stagliava il maestoso monumento, inondato dai raggi del sole ormai completamente sorto. Una fioca immagine, quella di un vecchio uomo sorridente, sembrò luccicare nel cielo sopra di esso. Sorridendo a sua volta, Antonio si diresse verso l'entrata. Finito il lavoro, avrebbe finalmente potuto trascorrere del tempo con i suoi bambini. Il dolce sorriso di Sarah lo stava aspettando e niente avrebbe potuto trattenerlo.

 

In quel momento il Colosseo non sembrava molto il luogo tanto ammirato dai due Alducci: assomigliava piuttosto, pietre a parte, alla versione ingigantita della camera da letto di Gabe, il secondogenito di Antonio. Ovvero il regno del disordine. La neve, incredibilmente, si era già completamente sciolta, ma Antonio avrebbe preferito vedere il Colosseo totalmente coperto dalla neve piuttosto che in quello stato. Alcune antiche colonne di marmo, ormai spezzate, giacevano al centro dell'arena, mentre profonde crepe si aprivano sulle pareti del monumento, facendolo sembrare a rischio imminente di crollo. Alcune statue un tempo magnifiche erano ormai prive di testa. Grandi chiazze d'erba erano cresciute ovunque, perfino sugli spalti e sulle colonne ancora in piedi, in chiaro contrasto con il bianco ormai grigio del marmo. La lucentezza del Colosseo era stata sostituita da un cupo crepuscolo grigiastro, quasi come se l'intero edificio, perduta la forza vitale, fosse ormai agonizzante. Cartacce, lattine di Coca Cola vuote, sigarette e altri rifiuti sparsi ovunque completavano l'opera. Antonio strinse i pugni. Non riusciva a reggere a quella vista. L'unica cosa positiva era che almeno entro poco avrebbe ripulito la sporcizia e ridato un po' di dignità a quel magnifico edificio. E, come aveva richiesto, avrebbe operato da solo, solo in mezzo alla sua adorata architettura.

Stava lavorando ormai da quasi un'ora. Il sole saliva sempre di più e le ombre cominciavano ad accorciarsi mentre i marmi del Colosseo cominciavano a risplendere più intensamente. Un forte odore di smog raggiunse Antonio, segno che il traffico cittadino iniziava ad intensificarsi. Molte varietà di uccelli si rincorrevano in cielo, cinguettando allegramente.

«Almeno è una bella giornata» pensò, sospirando.

«Sì, magnifica»

Una voce calda, chiara e profonda.

Antonio si voltò di scatto. Esattamente dietro di lui, a pochi metri di distanza, c'era un uomo. Non lo aveva sentito arrivare: era come se si fosse materializzato lì, dal nulla. L'uomo avanzò, sorridendo. Vestiva in modo strano, strano perfino secondo i criteri di chi era vissuto con Aldo Alducci: portava una tunica bianca molto ampia che gli scendeva fino alle ginocchia, mentre le gambe erano coperte da dei pantaloni molto scuri, in netto contrasto con essa. Calzava due pesanti stivali marroni, probabilmente di pelle, chiusi da una fila di bottoni d'acciaio. Le maniche erano intarsiate di quello che senza ombra di dubbio era oro. Adagiato sul petto portava un ciondolo d'oro con al centro una gemma di ametista con al suo interno uno strano simbolo. E, come se non bastasse, gli scendeva sulla schiena un grande mantello azzurro. Un risultato piuttosto insolito.

«Chi sei?» chiese Antonio, insospettito.

«Un amico» rispose l'uomo, continuando a sorridere.

«Se ti hanno mandato quelli dell'agenzia, poi pure andartene. Non ho chiesto aiuto per ripulire il Colosseo.»

L'uomo fece qualche passo avanti, poi compì un giro attorno ad Antonio, in apparenza sovrappensiero. Fu solo allora che Antonio realizzò una cosa sconcertante: quel tizio gli aveva letto nel pensiero. E, per quanto ne sapeva lui, nessuno all'agenzia sapeva leggere nel pensiero. Qualcosa cominciò ad agitarsi dentro di lui, qualcosa che gli suggeriva un’unica idea: quell'uomo non era normale.

«È triste, vero?»

Antonio lo fissò, un po' confuso.

«Che cosa?» La sua voce suonò più acuta di quanto avrebbe voluto.

«Questo» fece un cerchio con la mano in aria. «Tutto questo. La rovina. La dimenticanza. La noncuranza. L'ombra della grandezza. Sono sicuro che mi comprenderà, Antonio Alducci.»

Antonio continuò a fissarlo, completamente spaesato. Come faceva quel tizio a conoscere il suo nome? E, cosa più sconvolgente, come aveva fatto ad indovinare esattamente quello che provava? Quello che non aveva confessato a nessuno? L'uomo si voltò verso di lui e per un attimo Antonio, prima di abbassare lo sguardo, riuscì a intravedere i suoi occhi. Occhi di un tenue azzurro, fioco, eppure venerabili, insondabili, potenti. Gli occhi di un leader.

«Le mie scuse, mister Alducci. Sto divagando.» L'uomo estrasse dalla tasca un grande orologio nero e lo fissò. Antonio rimase in silenzio. «Dunque» proseguì «Mister Alducci, probabilmente si starà chiedendo chi io sia e che cosa voglia da lei.    Ho ragione?» Antonio annuì. Era incredibile come la conversazione stesse andando avanti, quasi normalmente. Solitamente, chiunque sarebbe rimasto completamente sconvolto, avrebbe tentato di fuggire, avrebbe mentito. Antonio si chiese se questo fosse dovuto all'aura di quella persona. «Bene. Ma mi consenta di fornirle una sedia.»

«Una...» Ma prima che Antonio finisse la frase una sedia di legno era apparsa proprio accanto a lui. L'uomo sorrise ancora. «La prego, si sieda.»

Antonio obbedì, pensando che fosse meglio non chiedersi da dove venisse quella sedia. L'uomo lo imitò, sedendosi su una sedia gemella della prima. «Continuiamo, mister Alducci. Come ho detto prima, io sono un suo amico. Io sono qui per aiutarla.» Antonio lo fissò ancora, cercando però di evitare un contatto diretto con i suoi occhi. Non capiva perché, ma sapeva che non sarebbe riuscito a reggere lo sguardo dell'uomo di fronte a lui.

«Aiutarmi? Lei (Antonio notò che era automaticamente passato a un tono rispettoso) vuole aiutarmi? Questa poi! E in che cosa vorrebbe aiutarmi, di grazia?»

«In ciò che più le aggrada.»

Antonio rifletté per qualche secondo. Scartò l'idea che quello fosse solo un enorme scherzo. Qualcosa gli diceva che era tutto reale. Quell'uomo diceva di essere un suo amico. Di volerlo aiutare. Era un perfetto sconosciuto, per di più dotato di qualche potere strano. Non c'era da fidarsi. E in che cosa avrebbe dovuto essere aiutato? Era stato licenziato, aveva perso la casa, è vero, ma aveva trovato un nuovo lavoro, e una nuova abitazione, per quanto scomoda e minuscola. Lucas, Gabe e Sarah crescevano bene, frequentavano la scuola, nonostante ormai la famiglia avesse perso molti soldi e non potesse più permettersi libri di prima mano o l'adesione a gite didattiche. Fare il netturbino non era poi così male e i colleghi al lavoro erano persone gradevoli. Tutto sommato, la sua vita non era male.

«Sento delle esitazioni provenire da lei, mister Alducci. Forse ha bisogno di qualche suggerimento?» Un fremito percorse la schiena di Antonio. Che quel tizio conoscesse qualcosa di lui che a lui stesso sfuggiva?

«Come può lei, uno sconosciuto, sapere che cosa voglio? Come? Lei non è un uomo normale, l'ho capito. Ma allora chi è? Come fa a fare queste cose? Cosa ne sa di me?» Antonio si stava agitando sempre più, e non gli piaceva. Voleva semplicemente andarsene e non escluse che entro poco lo avrebbe fatto.

«Domande pertinenti. E ha indovinato. Non sono normale. Lei è un uomo intelligente, mister Alducci. Diverso dagli altri. Mi perdoni ma, secondo la mia opinione, non ce ne sono più molti.» Un complimento? Non ne riceveva molti. Era stato così gradevole per Antonio che decise di rimanere ancora un po'. L'uomo, ora compiaciuto, assunse una posizione più comoda e riprese.

«Mi perdoni se le sono sembrato strano, ma le assicuro che le mie intenzioni sono quelle di aiutarla.»

Normalmente, Antonio non sarebbe rimasto. Eppure qualcosa in quel tizio lo induceva a rimanere. Forse gli occhi, forse la voce, forse il suo tono ricercato, forse i lineamenti nobili o i suoi capelli corvini. Non ne era sicuro.

«Vede, è da qualche tempo che la tengo d'occhio, mister Alducci. No, non si preoccupi. Non tramavo e non tramo nulla. Solo così, per curiosità. Qualche volta mi diverto a tornare qui, tra gli umani.» Antonio faticò a rimanere calmo. Non gli era sfuggito il termine “umani”.

«Cosa intende?» chiese, non senza mascherare una nota d'ansia.

«Solamente che non sono un umano, mister Alducci. Ora, prima che lo chieda, la informo che non sono nemmeno un extra-terrestre. Provengo da qui, dalla Terra. Semplicemente sono di una razza diversa. Diversa da quella umana.»

Era una fortuna che Antonio avesse chiesto di lavorare da solo al Colosseo. Perché dubitava che gli altri netturbini avessero la sua stessa curiosità, l'unico motivo per cui continuava ad ascoltare quell'uomo. Era un folle, un pazzo visionario. Eppure...Antonio tastò con le dita la sedia su cui era seduto. Sì, quella prima non c'era.

«Ma non ci soffermeremo su di me, mister Alducci (e qui Antonio capì che avrebbe fatto bene a non tornare sull'argomento), piuttosto su di lei.»

«E di cosa vorrebbe parlare? Non sono un tipo interessante, davvero.»

«Oh, io penso il contrario, se mi permette.» Un altro complimento. E nell'arco di cinque minuti. Forse, dopotutto, quel tizio non era poi così male.

«Prima di tutto, vorrei esprimere il mio dispiacere per la sfortuna degli ultimi mesi. Non deve essere stato facile, presumo.»

Antonio non seppe se ringraziarlo o se colpirlo. Dopotutto, che diritto aveva lui di spiarlo a suo piacere ad ogni ora del giorno? Da come si esprimeva, l'uomo faceva capire che erano mesi che lo stava osservando. L'uomo proseguì non notando, o fingendo di non notare, il suo disagio.

«Ora, vorrei farle una proposta, che spero accetterà. Diventi un mio dipendente.» Quelle ultime parole furono come uno scossone per Antonio. Passarono diversi secondi prima che il suo cervello le assorbisse. Molte possibili domande e risposte gli rimbalzavano sulla lingua ma alla fine riuscì a pronunciare soltanto una parola:

«Perché?»

L'uomo si lisciò il mantello, continuando a fissarlo.

«Perché credo che lei abbia le qualità necessarie per essere un mio dipendente.»

«E di cosa si occupa, di preciso? E cosa dovrei fare?»

«Mister Alducci, se volessi dirle di che cosa mi occupo glielo avrei detto, non crede?» Poi il suo tono si addolcì: «Comunque, se lei accettasse, acquisirebbe un rango ben superiore a quello di avvocato specializzato. Potrebbe girare il mondo, vedere luoghi straordinari, visitare antiche rovine, dimore di genti dimenticate, scoprire tesori nascosti, analizzare antichi stili di vita. Ritengo che sarebbe una grande occasione per lei. Ovviamente, verrà ben ricompensato. In cambio, le chiedo solamente di svolgere qualche commissione per me mentre è in viaggio. Cosa ne pensa?»

In effetti, pensò Antonio, se quello che diceva quell'uomo era vero, sarebbe stato un sogno che diveniva realtà, l'occasione della sua vita. Ma chi garantiva la veridicità delle sue parole? Anche se era dotato di qualche abilità particolare e avrebbe quindi potuto adempiere alla promessa, nulla escludeva il fatto che stesse mentendo.

«Non posso accettare. Io abito qui, con i miei figli. Non posso partire così all'improvviso e portarli con me. Non sarebbe...giusto.»

Gli occhi dell'uomo furono attraversati da un lieve bagliore. E poi, cosa che Antonio non si sarebbe mai aspettato, applaudì.

«Ah, Mister Alducci. Complimenti. Veramente. L'affetto e il senso del dovere che prova verso i suoi figli è davvero sincero. Tanto da farle rinunciare alla possibilità di realizzare il suo sogno. Il sogno di suo padre Aldo.»

Fece una pausa, controllando distrattamente il suo orologione nero. Solo allora Antonio notò che quell'orologio non aveva due o tre lancette, ma almeno una dozzina, metà delle quali fisse sul 12, alcune sugli altri numeri e una celeste sul 6. Fece per domandare il perché, ma qualcosa gli disse che era meglio non chiedere nulla. Non sembrò nemmeno accorgersi che l'uomo aveva nominato suo padre, Aldo Alducci, con lo stesso tono naturale e sciolto di chi parla di un vecchio amico.

«Lei sa che dico la verità, mister Alducci.»

Per un solo istante si sforzò di alzare lo sguardo e fissare gli occhi del suo interlocutore. E in quel momento, appena i suoi occhi incontrarono quelli dell'uomo, qualcosa dentro Antonio si mosse, come se quegli occhi gli fossero venuti incontro e avessero penetrato i suoi, facendosi strada nella sua anima. Si sentì profondamente scosso. E subito dopo un'altra sensazione cominciò a prendere forma in lui. Una sensazione strana, vicina alla vergogna, ma più tenue, simile all'imbarazzo. Come poteva aver dubitato della sincerità di quell'uomo? Avrebbe dovuto vergognarsi. Quell'uomo era lì per aiutarlo, e lui lo respingeva?

«Mister Alducci, rifletta bene su quello che sto per dirle. Mi creda, non è facile per me dirlo. Anzi, preferirei non dirlo affatto. Ma ritengo di dover agire per il bene suo e dei suoi figli.» Una corta pausa e un respiro profondo.

«Crede che i suoi figli siano contenti di come vivono?»

La domanda colpì Antonio con la stessa forza di un autocarro in corsa. Cercò immediatamente di ribattere, ma l'uomo alzò una mano, esprimendo il desiderio di non essere interrotto.

«Essere derisi a scuola per gli abiti di seconda mano, per la sfortuna degli ultimi mesi, per la casa in cui si ritrovano a vivere, per avere un padre che si occupa di pulire la sporcizia dalle strade? Io li ho visti. Li ho sentiti. Accettano, sopportano.»

Per Antonio fu come una gelida pugnalata gli avesse attraversato il cuore si fosse insinuata nelle sue vene, raggelandogli il corpo e agitandogli la mente.

«Lei…come sa...li ha…insomma…li ha sentiti? N-ne ha...parlato con loro?»

«Oh no, mister Alducci. Non ne ho parlato con loro. Ma ammetto di aver sentito parte dei loro discorsi. Di come vogliano tornare alla vita di prima. Di come si sentano avviliti a usare libri di vent'anni fa. Di come non sopportino l'essere presi in giro dai loro amici. Persino il loro stesso cognome li irrita. Lucas è già stato dominato dal rancore, mister Alducci, si ricorderà della scaramuccia di qualche giorno fa con alcuni ragazzi, giusto? Mi perdoni, ma temo che siano al limite di sopportazione, considerato il tono in cui parlavano. Soprattutto la piccolina...Sarah, giusto?»

Antonio rimase in silenzio. Era tutto vero? I suoi figli si vergognavano di lui, di come li aveva trascinati con lui in quel baratro di povertà e umiliazione?

«Papà, perché? Cosa abbiamo fatto di male? Perché?»

La voce di Sarah, di solito leggera e soffice come se cullasse chiunque con il solo suono ora stranamente acuta e gonfia di tristezza, si era improvvisamente accesa nella testa di Antonio e subito lui vide la sua piccola bambina prendere forma nella sua immaginazione, i capelli biondo chiaro raccolti in una graziosa coda, gli occhi verde smeraldo luccicanti di lacrime, mentre pronunciava la dolorosa frase.

«Papà, perché?» Sarah nascose il volto nelle mani e cadde in ginocchio, singhiozzando.

«S-Sarah...» Così simile ad Alice. Così bella, così dolce. E subito dopo apparvero altre due figure: dapprima venne un alto ragazzo sui diciotto anni, magro, castano, gli zigomi pronunciati e un accenno di barba sulle guance.

«Lucas…» gemette Antonio. Poi emerse dalla fitta nebbia della sua immaginazione un bel ragazzino vestito con una tuta da ginnastica rossa, dodici anni filati e in corsa per i tredici, bassottino per la sua età ma sprizzante energia e simpatia da tutti i pori.

«Gabe…Gabe…»

Gabe abbracciò Sarah e fissò il padre, come se fosse lì presente e non una mera immagine della mente di Antonio. I suoi occhi non avevano alcuna gioia. Al contrario, esprimevano tristezza e dolore come Antonio non gli aveva mai visto. A sua volta, Lucas abbracciò i fratelli.

«Papà…papà…dov'è la mamma? Non è morta vero? Vero? Papà…fai finire tutto questo. Ti prego. È freddo…questa vita è fredda.»

La voce di Sarah era di nuovo colma di dolore. Una calda lacrima rigò il viso di Antonio. Non si era nemmeno reso conto di non vedere più l'uomo, ma solo uno spazio nero e triste, su cui erano adagiati lui e i suoi figli. Lui che tentava disperatamente di allungare la mano verso loro, quasi per unirsi al loro abbraccio, per dare loro una parola di conforto, loro che si allontanavano sempre più.

«Mister Alducci, ora comprende cosa intendo?»

La calda e profonda voce dell'uomo fu come un fuoco potente che sciolse il ghiaccio in cui era avvolta la mente di Antonio. L'immagine dello spazio nero si infranse in mille pezzi, come se fosse uno specchio, e Antonio si ritrovò seduto su quella sedia, nel bel mezzo del Colosseo, di fronte all'uomo che lo stava tormentando, incuriosendo, terrorizzando e rincuorando allo stesso tempo. Antonio sudava e le mani gli tremavano così vistosamente e incontrollabilmente che fu costretto a incrociare le braccia sotto le ascelle. Si sentiva come se avesse il cuore immerso nell’acqua ghiacciata.

«Lei...lei...loro...» riuscì solo a mormorare.

«Ma non deve essere per forza così, mister Alducci.>>

 L'uomo gli posò una mano sulla spalla e stranamente Antonio si sentì immediatamente più calmo, come se una forza misteriosa gli fosse stata infusa e stesse scacciando il dolore e la tristezza dal suo corpo. Una tenue sensazione di caldo torpore gli invase le membra. «Lei può farli tornare alla vita di prima. Può renderli felici. Può rivedere il sorriso di Sarah.»

«C-c-come?»

Antonio tremava ancora. L'orologio dell'uomo, che giaceva tra le mani di quest'ultimo, sembrava brillare di luce propria. Per un breve istante, Antonio notò che la lancetta celeste era sul 9. Strano, non sembrava passato così tanto tempo.

«Mister Alducci, sollevi lo sguardo.»

Antonio obbedì e per poco non ebbe un sobbalzo. Il Colosseo non c'era più. Non c'era più la città, non c'erano più le automobili, i turisti, le innumerevoli persone che ogni giorno animavano Roma, non c'era più nulla di tutto questo. Le gambe delle sedie su cui erano ancora seduti poggiavano su una vastissima distesa d'erba verdissima, sotto un cielo completamente azzurro. Una brezza leggera sfiorava i loro visi, portando con sé il dolce profumo di miriadi di fiori di ogni specie. Poco più a nord scorreva un piccolo fiume di acqua purissima, in cui si intravedevano le sagome di molti pesci nuotare lentamente. Il cinguettio degli uccelli e il gracidio dei grilli erano gli unici suoni che pervadevano l'atmosfera. Antonio si alzò, sbalordito.

«Dove...? Dove...? Come…?»

«Papà, papà!»

Questa volta la voce di Sarah aveva la stessa tonalità di sempre: calda e leggera, come una brezza marina. Antonio si ritrovò abbracciato dalla figlia, che cercava di salirgli sulle spalle, ridendo.

«Alquanto vivace sua figlia, mister Alducci» commentò l'uomo, non nascondendo però un sorriso.

«Lei…come…?»

Antonio non fece in tempo a finire la domanda che anche il resto della sua famiglia corse ad abbracciarlo. Lucas gli scompigliò i capelli, un vizio che nessuno era mai riuscito a fargli dimenticare, Gabe cercava in tutti i modi di serrare il pugno del padre e farlo agitare in diverse combinazioni di mosse per permettergli di rispondere al suo “saluto da scout”.

«Papà, papà, usciamo più spesso! È troppo divertente!» esclamò Sarah, dondolandosi avanti e indietro sulla sua schiena. L'uomo si alzò a sua volta, contemplando il cielo. Per un attimo, ad Antonio parve di scorgere un velo di malinconia nei suoi occhi.

«Se lei acconsentirà ad unirsi a me, mister Alducci, questo sarà il suo futuro. Un futuro radioso. Un futuro brillante. Un buon futuro.»

Antonio rimase in silenzio, fissando l'uomo di fronte a sé. Un buon futuro. Un futuro radioso. Un futuro in cui lui e i suoi figli avrebbero potuto tornare a vivere sereni.

«Vede quella casa laggiù? Sarà la sua abitazione. Qui, nel mio regno.»

E Antonio vide in lontananza una casa simile a quella di suo padre, ma molto più grande, sorgere dal terreno.

«Vede questo posto? Questa terra, questo cielo? Saranno suoi. Vede la felicità dei suoi figli? La potrà ottenere. Tornerà a vivere come prima, mister Alducci, anzi, meglio di prima. I suoi figli vivranno con lei nel mio regno, finché vorranno. Non avrà più problemi. Non avrà più preoccupazioni. Basta lacrime, mister Alducci. Basta sofferenze. Tutto quello che le chiedo è di accettare la mia proposta.»

Antonio tacque. La faccia di Sarah sorridente fu l'ultima cosa che vide prima che quelle immagini sfumassero e si ritrovasse nel Colosseo, di nuovo di fronte all'uomo.

Quelle immagini vorticavano ancora freneticamente nella sua mente.

«Lei mi assicura» la sua voce era un sussurro «che i miei figli verranno con me? Che saranno felici?»

«Mister Alducci, le assicuro che non dovranno preoccuparsi di nulla» L'uomo col dito tracciò nell'aria uno strano simbolo. «Glielo assicuro, nel nome di Faith.»

Fu come se ad Antonio fosse caduto sulle spalle qualcosa di enorme, immenso. La sola pronuncia di quel nome, quello strano, sconosciuto nome, un nome che emanava così tanta autorità e potere da farlo rabbrividire, bastò a eliminare completamente tutti i suoi dubbi. Eppure, quel nome sembrava familiare. Antonio cercò disperatamente di ricordare dove lo avesse letto o sentito, ma non gli venne in mente nulla. Era come se quell'informazione si trovasse in una piccola zona della sua mente, coperta da della fitta nebbia, e lui non fosse in grado di diradarla. Fece un passo avanti.

«Accetto.»

L'uomo sorrise.

«Molto bene, mister Alducci.»

Una leggera raffica di vento soffiò sulla schiena di Antonio, facendogli salire un piccolo brivido. Poi, improvvisamente, tutto quello che vedeva mutò ancora. Le pietre sparse ovunque sul pavimento del Colosseo si librarono in aria e vorticarono velocemente intorno a loro. Intere statue recuperarono i pezzi mancanti, alcune furono sollevate da terra e portate al loro piedistallo, i rifiuti a terra sparirono, l'erba e le graminacee cresciute sul marmo si incurvarono su sé stesse e iniziarono a bruciare. Le crepe nel monumento si ridussero sempre più, man mano che nuovo materiale le riempiva, mentre il Colosseo assumeva un colore sempre più bianco.

«Questa sarà una delle tante cose di cui ci occuperemo, mister Alducci.»

E mentre queste parole lo raggiungevano, la mente di Antonio galoppava tra mille pensieri. Davanti a lui, intorno a lui, c'era un Colosseo come non lo aveva mai visto, se non in riproduzioni in scala idealizzate, un Colosseo al massimo del suo splendore, bianco, luminoso, maestoso. Il suo sogno. Il sogno di suo padre.

«Ma..magnifico..co-come?»

Una leggera lacrima gli cadde sul viso.

«Le ho solamente dato un assaggio di quello che potrà fare, mister Alducci. Ora, per diventare un mio dipendente, c'è un ultimo requisito che deve necessariamente possedere.»

«Mi dica, signore» Antonio notò di averlo chiamato “signore”. E la cosa non gli parve strana.

«Una spada. Deve avere una spada.»

«Come ha detto? Una spada? Perché?»

«Perché le spade rappresentano prestigio e potere fra la mia gente. Nessuno la prenderà in considerazione se non porta una spada.»

Antonio cercò di rimanere calmo.

«E secondo lei, dove potrei procurarmi una spada? Capisce, al giorno d'oggi il luogo più facile in cui trovare una spada è un videogame. E non credo che quelle spade contino, vero?»

L'uomo abbozzò un sorriso.

«No, non contano, in effetti. Ma lei è fortunato, mister Alducci. Ce n'è una proprio qui.»

L'uomo puntò il dito alle spalle di Antonio.

«Ed è anche una gran bella spada, oserei dire.»

Antonio si voltò e per poco non cadde a terra dallo stupore. Dietro di lui, a pochi passi di distanza, c'era una spada così bella e magnifica che qualunque direttore di museo, collezionista o storico avrebbe volentieri speso tanto oro quanto pesavano per poterla anche solamente toccare. L'elsa era d'oro ed era incastonata di molti tipi di pietre preziose: ametiste, zaffiri, smeraldi e rubini scintillavano sotto la luce del sole e rimandavano colorati bagliori. La lama sembrava brillare di luce propria ed era talmente affilata da poter facilmente tagliare in due una mucca bella grossa. Una grossa pietra bianca era incastonata nel pomolo. Di per sé, l'arma era lunga circa un metro e mezzo, forse un po' di meno. Sembrava emanare talmente tanta forza che Antonio si chiese se qualcuno avesse mai osato tenerla veramente in mano.

«Da quanto tempo si trova lì? Non può essere apparsa dal nulla!»

«Da quanto tempo? Non saprei, mister Alducci. Secondo la mia opinione da molto. Ma probabilmente ha deciso di farsi vedere solamente da cinque minuti.»

«Farsi vedere? Cosa vuol dire? L'ha forse messa lei lì? Perché? E dove l'ha trovata? Se l'ha rubata da qualche parte, io…»

«Non l'ho né rubata né messa lì, mister Alducci. Era già lì. Ed è apparsa da sé. E non credo che serva discutere di questo. A lei serve una spada. Una spada si trova proprio di fronte a lei. Non crede che dovrebbe prenderla?»

«Io? Prendere quella spada?»

«Esatto.»

Antonio rifletté. Per il bene dei suoi figli e forse anche dei suoi sogni doveva entrare a far parte della compagnia di quell'uomo. E per fare questo, necessitava di una spada. Perché? Non si curò del perché, non importava quanto sciocche potessero essere le motivazioni. Se aveva bisogno di una spada per unirsi all'uomo, l'avrebbe presa. Ma qualcosa lo tratteneva. Era come se la spada stessa lo stesse allontanando da sé, come se una forza invisibile prorompesse dall'arma e si espandesse intorno, creando un'aura di potere invalicabile. Anzi, un'effettiva nebbiolina aurea vorticava ininterrottamente attorno all'arma.

«D'accordo» disse. Fece un gran respiro e voltò la schiena all'uomo, dirigendosi verso la spada. Antonio si accorse che più si avvicinava all'arma, più fatica faceva a camminare, come se le sue gambe e le sue braccia fossero legate a delle corde e tirate indietro da dieci uomini. Cinque metri. Una gocciolina di sudore cadde dalla fronte di Antonio. Tre metri. Ora le sue gambe erano notevolmente più pesanti, sembrava che vi fossero legati dei massi. Antonio ansimava e sbuffava, cercando di trascinarsi in avanti più che poteva. Due metri. Una vena pulsava sulla fronte e sul collo di Antonio. Tutti i muscoli del suo corpo bruciavano, gridando pietà per uno sforzo che diventava sempre più grande, per un dolore che diventava sempre più insopportabile. Antonio scoprì i denti e un ringhio smorzato proruppe dalla sua bocca. Un metro. Gli arti di Antonio, sia le braccia che le gambe, erano ora percorsi da violenti scossoni. Cercò di allungare il braccio verso la spada, ma con orrore scoprì di non riuscire più a muoverlo. Nemmeno le gambe gli rispondevano più. Cadde a terra, immobilizzato dal potere di quella spada, sordo ormai al dolore che gli pervadeva le membra, desideroso solamente di essere lasciato lì, in pace, a risposare sul freddo pavimento del Colosseo.

«Mister Alducci, credevo che lei volesse prendere quella spada.  Dov'è finita la sua forza?»

La voce calda e profonda dell'uomo parve venire dall'altro capo del mondo. Antonio riaprì gli occhi, che scoprì di avere chiuso e si ritrovò a fissare una pietra davanti a sé. La fissò a lungo, intensamente, finché non gli parve che sfocasse. Poi l'uomo parlò ancora.

«Coraggio, mister Alducci. Un ultimo sforzo. Ce la può fare, è il motivo per cui lei è tanto diverso dai suoi simili. Ora, prenda un gran respiro, chiuda gli occhi e allunghi il braccio verso l'elsa.»

Antonio obbedì. Già immaginava l'uomo dietro di lui che fissava il suo orologione, spostando poi lo sguardo verso la sua schiena. Chiuse gli occhi e inalò una boccata d'aria fresca. Dal suo cervello partì l'impulso per la mano destra, con l'ordine di muoversi. La mano obbedì. Si alzò piano piano e si allungò verso l'elsa della spada. Antonio si rialzò, il dolore sparito, la fatica irrilevante. Per un attimo riaprì gli occhi e vide la scintillante lama proprio davanti a sé. Li richiuse subito, perché una piccola scintilla di dolore stava ricominciando ad accendersi in lui. I secondi sembravano passare con una lentezza allucinante. Poi, dopo quelli che parvero anni, le sue dita finalmente toccarono l'elsa. Poco dopo, le sue mani stringevano finalmente la spada fra di loro. Sentì il freddo metallo assorbire il calore del suo corpo.

«Molto bene, mister Alducci. Ora riapra gli occhi.»

Antonio obbedì. Si sentiva enormemente sollevato. Guardò l'uomo e non poté fare a meno, forse con un po' di fastidio, di sentirsi orgoglioso di essersi meritato un suo sorriso.

«Bé, non è stato poi così diff…» ma non riuscì a terminare la frase. Una potentissima scarica di fredda energia scaturì dalla spada e percorse il suo corpo, infiammando ogni singolo nervo o muscolo trovasse sul suo cammino. Non ci fu un grido, né un mutamento sul suo viso, mentre cadeva a terra, nulla. La sua vista era annebbiata, coperta da lacrime spontanee. La spada cadde a fianco a lui, con un sonoro rumore simile a quello di un gong. Poi tutto si fece nero.

Una sensazione di caldo avvolgeva Antonio. Non era spiacevole, anzi, era confortante, densa e serena, la stessa sensazione di quando la sua Alice dormiva con la testa appoggiata al suo petto, tenendo la dolce ed esile mano al sicuro nella sua. A ricordare quella sensazione gli sfuggì una piccola lacrima.

«Mister Alducci, si svegli. Si svegli, per favore. Dobbiamo andare.»

Antonio aprì gli occhi e gli si presentarono innanzi gli occhi azzurri dell'uomo, intenti a   fissare i suoi. Con suo grande stupore, notò che la sensazione di caldo che provava proveniva dalla mano che l'uomo gli aveva appoggiato sulla fronte. Non riuscì a non provare un po' di imbarazzo.

«Va meglio, ora?»

Antonio si affrettò a mettersi seduto.

«Sì, grazie. Molto meglio.»

Rivolse lo sguardo alla spada, desideroso di cambiare discorso. «Lei sa perché…?»

«» rispose l'uomo. «Ho commesso un errore. Credevo che quella spada fosse quella che stavo cercando, ma in realtà mi sbagliavo. È difettosa.»

«Difettosa?» replicò Antonio «ma se mi ha appena folgorato! E lei la chiama “difettosa”? Non oso immaginare come siano le spade buone!»

L'uomo rise. «La capisco, mister Alducci. Ritengo che sia meglio che la tenga io, se lei ricevesse un'altra scarica simile dubito che riuscirei a curarla di nuovo.»

«Ma non teme un'altra scarica?»

«No»

L'uomo allungò la mano e prese la spada. Non accadde nulla. In quel momento ad Antonio parve di scorgere un'ombra nascosta nei suoi occhi azzurri, ma sicuramente se l'era solamente immaginato: evidentemente la scarica lo aveva lasciato più intontito di quanto pensasse.

«Ora, mister Alducci. Rimane il fatto che non possiede una spada. Dunque, a questo possiamo ovviare facilmente.» Detto questo, scostò il mantello bianco, rivelando un fodero al suo interno. Un attimo dopo ci fu un rumore metallico e una lunga spada sottile fu sguainata e presentata agli occhi di Antonio.

«Serve più a lei che a me, mister Alducci.»

Antonio, incredulo, la prese dalle mani dell'uomo e iniziò a contemplarla. Certo, non era bella come la spada di prima, ma era senz'altro un capolavoro. Inoltre, sembrava più elegante e raffinata dell'arma d'oro che, per quanto magnifica, pareva fosse stata pensata solamente per combattere e non per farne sfoggio in altre occasioni.

«La ringrazio molto, signore. È un regalo magnifico.»

La spada d'oro fu infilata nel fodero dell'uomo senza alcun problema, come se esso fosse fatto su misura per lei.

«Appena potrò le darò un fodero. Ora, mister Alducci, possiamo andare. Gradirei non fare tardi, ho alcuni impegni.»

«E i miei figli? Andiamo a prenderli?»

«Si troveranno già dove dovranno essere.»

Antonio si guardò intorno. Mentre parlavano il Colosseo, con suo grande rammarico, stava riprendendo il suo aspetto abituale.

«Lo rimetterà in sesto lei, mister Alducci. Presto. Ora come ora vorrei che passassimo inosservati.»

«Come partiremo, signore?» chiese Antonio, curioso di scoprire se l'uomo possedesse un mezzo di trasporto.

L'uomo lo guardò. «Mi dia la mano»

Antonio obbedì. La sua mano sinistra strinse quella dell'uomo, mentre nella destra reggeva la spada.

«Andiamo.»

Di colpo, fu come se Antonio avesse perso tutto il suo peso. I suoi piedi si sollevarono da terra, le sue gambe si piegarono verso il basso e la spada rischiò di cadergli dalla mano. L'unica zona salda fu la mano sinistra. Ben presto i due si librarono a parecchi metri da terra, l'arena sempre più distante, le colonne a terra e le statue sempre più piccole. Pochi secondi dopo uscirono dall'area del Colosseo e iniziarono a fluttuare su Roma. Antonio non riuscì ad esprimersi, non riuscì a parlare. In effetti, era un miracolo se riusciva ancora a respirare. Riuscì solo a domandarsi che cosa avrebbero pensato i cittadini se li avessero visti. Decise che non gli importava granché.

«Ci faccia l'abitudine, mister Alducci. Un giorno lo dovrà fare da solo.»

«Signore?»

«Sì?»

Antonio tacque per qualche secondo, chiedendosi se fosse il caso di fare quella domanda.

«Ora potrei conoscere il suo nome?»

L'uomo lo guardò fisso negli occhi, soppesando la domanda. Probabilmente stava decidendo se soddisfare la curiosità del suo nuovo dipendente o no. Dopo qualche secondo parlò: «Mi chiami...Master.»

Iniziarono a muoversi. La mano di Master trascinò con sé quella di Antonio e insieme si librarono sugli edifici di Roma, scaldati alle spalle dai raggi d'oro del sole, dirigendosi verso il loro futuro. Antonio per caso vide di sfuggita l'orologione nero di Master, che svolazzava da una tasca dei suoi pantaloni appeso a una catenella. La lancetta celeste si trovava sulle 12.

   
 
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