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Autore: nettie    22/12/2015    1 recensioni
Ho sempre avuto paura dell’infinito, ma ora l’unica cosa che vorrei è rimanere ferma qui, non muovermi più e stringerti a vita in una fastidiosa e statica realtà.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Il tempo scorre.

Sono le cinque in punto, ci alziamo da quella fredda panchina e ci guardiamo negli occhi. Entrambi sappiamo che è arrivato quel momento mai desiderato, ma nessuno dei due ha il coraggio di staccarsi dall’altro. Fa male, fa terribilmente male ma cerco di nasconderlo, cerco di essere quello che ho sempre cercato di diventare: una persona forte. Ci provo con scarsi risultati, ci provo e non ci riesco: la cosa mi fa arrabbiare da morire. Mi stringi a te per gli ultimi minuti, mi aggrappo alla tua maglia e prego che tutto questo non finisca mai. Camminiamo in silenzio, il mondo sembra essersi fermato e per un momento solo desidero che sia davvero così. Ho sempre avuto paura dell’infinito, ma ora l’unica cosa che vorrei è rimanere ferma qui, non muovermi più e stringerti a vita in una fastidiosa e statica realtà. Stringo fra le dita sottili la tua maglietta come a cercare aiuto, come a non volermi più staccare da te, e sospiro sperando che tu non te ne accorga. Mi godo questi ultimi minuti nel modo migliore che posso, ci provo, tento e ritento, non voglio pensare al modo in cui mi sentirò una volta separata da te. Non voglio, non posso: perché devo soffrire così tanto solo per essere felice? No, non voglio, non riesco ad immaginarlo, non voglio rimanere sola, ma ecco che siamo già davanti le scale che portano giù, alla metro, quelle scale che mi separeranno da te ancora una volta. Dovrei scendere quelle scale senza replicare né dire niente, dovrei semplicemente salutarti ed andarmene, ma com’è possibile contenere tutto il dolore? Non le voglio guardare, non voglio guardare né sentire niente, così mi stringo a te e affondo il volto sul tuo petto. Le tue mani serrano i miei fianchi e mi stringono improvvisamente, sussulto; mi ritrovo costretta ad alzare lo sguardo. Mi stai guardando: i tuoi occhi sono una delle cose più belle mai viste in tutta la mia breve e triste vita, potrei annegarci dentro e morire felice, non potrei mai chiedere nessuna morte migliore di questa. Sento le lacrime salire copiose agli occhi e lottare per solcare le guance, calde, abbondanti, ma ancora una volta reprimo ogni singola sensazione per mostrarmi forte davanti a te: so benissimo che quando te ne andrai piangerò come se non ci fosse più neanche una speranza per essere felice, e singhiozzerò come una bambina. Il mio cuore salta un battito, tu cerchi di riportarmi nuovamente con i piedi sul pianeta terra ma non ci riesci. Non è colpa tua: è colpa mia che non ne voglio sapere di scollarmi da te, perché ho bisogno di te per stare bene, per restare viva, per sentire quel sentimento che mi scuote e che mi fa piegare le labbra in un’ampia curva. Ho bisogno di te per provare amore, e ancora una volta prego con tutta me stessa che tu non te ne vada. Cerchi di rassicurarmi, le tue parole sono fra le più dolci mai sentite ma questa volta non riesco proprio a crederti, non riesco proprio a lasciarti andare. Allora abbasso di nuovo lo sguardo e mi mordo il labbro, sento le lacrime salire nuovamente agli occhi e non voglio lasciarne scendere neanche una, sarebbe da deboli e non è proprio quello che voglio sembrare. Non ce la posso fare, cosa succederà quando tu non sarai più qui con me? Ho bisogno di te, ho un disperato bisogno di te accanto a me ogni singolo secondo, come può questa vita crudele dividerci per giorni, settimane, mesi interi? Ho creduto per un tempo immemore che l’amore, quello vero, non esistesse; che non fosse mai esistito o che si fosse estinto da un bel pezzo per una qualche causa divina.

Mi sbagliavo, mi sbagliavo e lo ammetto: rimangio ogni mia cruda parola che è uscita da questa peccaminosa bocca prima di incontrarti. Tu, tu sei il premio per esser stata forte tutti questi anni, e ora che sei arrivato, perché vogliono portarti via da me?


Non possiamo rimanere abbracciati per sempre, ma nonostante tutto mi ostino a sostare in punta dei piedi con il mio viso sulla tua spalla, affondato fra i capelli tuoi morbidi, a nascondere le lacrime che, una volta per tutte, hanno avuto la loro vittoria. Mi voglio nascondere da te in modo che tu non possa vedermi soffrire, ma sei lì, vivo e reale, reale e vivo, come poter negare l’evidenza? E poi eccole, guardo giù: le scale della metro, buie e tenebrose come mai mi son sembrate prima, ad aspettarmi, come l’ade aspetta l’eroe Omerico, giunto lì dopo troppe fatiche. Rialzo lo sguardo e ci sono i tuoi occhi addosso a me, li sento e ne conservo la sensazione, sperando di poterla conservare ancora per molto, nell’attesa di una tua prossima venuta. Stavolta sei tu ad avvicinarti al mio viso, curvandoti, e le tue labbra incontrano le mie per un’ultima volta. Un solo semplice bacio che terrò stretto al petto per tutta la durata della tua assenza, ben consapevole che questo sia soltanto un arrivederci. Sento il mio cuore mancare un battito a quel contatto per me nuovo e particolare, è passato un attimo e già ne sento la mancanza, intensa ed insopportabile. Ti offri di accompagnarmi giù per le scale, e nonostante io non abbia neanche la forza di muovere muscolo annuisco lentamente, stringendomi forte al tuo braccio. Scalino dopo scalino, quel perpetuo silenzio non vuole abbandonare l’aria che ci circonda. Cos’è, la quiete prima della tempesta? Non posso sottrarmi a questo triste finale a metà, e neanche tu puoi: ne siamo consapevoli entrambi, forse più tu di me. Imbambolata fisso il pavimento, ancora stretta saldamente al tuo corpo, quando qualcosa mi desta improvvisamente dallo stato nel quale mi ero gettata. E’ un “ti amo”, quello uscito dalle tue labbra, l’ho sentito forte e chiaro, eppure mi astengo dal rispondere per paura di non so neanche io cosa. Questo mio sospettoso silenzio ti costringe a ripetere le stesse parole una seconda volta con più intensità, ed è allora che la risposta viene da sé, neanche ci penso che un “ti amo anche io” vola via dalle mie labbra come se nulla fosse. Ma per me, quest’amore donato significa più di mille diamanti, o qualsiasi altro bene materiale. Con gli occhi più lucidi di prima ti guardo per un’ultima volta con gli occhi e lascio andare la tua mano, mi carezzi un’ultima volta il viso e ci diamo le spalle, giriamo i tacchi per andare in due direzioni diverse che ci porteranno distanti. Mi fermo davanti un’altra rampa di scale e, istintivamente, mi volto: vedo la tua figura scomparire dietro l’angolo e mi si stringe il cuore; fa così male che posso quasi avvertirlo sanguinare. Socchiudo gli occhi in due mezzelune e cerco di non pensarci, chiedendo al tempo di essere clemente e di passare in più fretta possibile. Oramai, inutile trattenere le lacrime, inutile ignorare quel gran mal di testa che mi stava logorando dentro, chiudo i pugni e mi mordo il labbro: mi sto abbandonando ad un destino incerto, ma sento di star facendo la cosa giusta. Lentamente, mi incammino per la mia via, diretta in una casa che non avverto come tale, perché priva della tua presenza.
   
 
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