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Autore: ninfea_82    08/03/2009    1 recensioni
Consuelo ha perso sua madre cinque anni prima...ha deciso che non vuole più provare sentimenti per non soffrire così di nuovo...ma qualcuno una sera d'inverno le ridarà la speranza. Ispirato ad una storia vera.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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racconto

La neve fuori cadeva abbondante e rendeva i bambini felici come se fosse la notte di Natale.

Quell’inverno era stato generoso di nevicate e di serate in pieno clima natalizio, con le luci accese di fianco ai negozi per cercare di invogliare la gente a entrare.

I negozianti cercavano di vincere la crisi che c’era in circolazione esorcizzandola con due luci da quattro soldi e godendo della neve che scendeva fitta fuori dalle loro vetrine, sperando che la gente entrasse, attirata dalle luci, solo per proteggersi dal freddo…e alla fine uscisse carica di doni da regalare alle persone a loro care.

Quasi sempre quelle speranze andavano deluse: la gente entrava, faceva finta di guardare qualcosa, costringeva la commessa del negozio di turno – via via che passavano le ore sempre più insofferente – a tirare fuori praticamente metà negozio dagli scaffali, per poi non comprare nulla.

O al massimo compravano esattamente la cosa che costava di meno nel negozio, neanche avessero il radar per scovare proprio quella cosa.

Il clima natalizio non si respirava ancora.

Beh…c’è da dire che qualche intelligentone aveva deciso di mettere i saldi il 2 di gennaio quell’anno..difficile che qualcuno comprasse qualcosa nei giorni appena precedenti al Natale: in fondo tutte le persone a cui chiunque avesse voluto fare un regalo importante erano persone con cui potevi permetterti di ritardarlo di un paio di settimane.

Lei però non aveva neanche di questi problemi.

Non le importava il Natale.

Beh a esser sinceri non le importava di nulla, ma quella era un'altra storia.

Non era sempre stato così, chiariamoci: una volta, da piccola, lei adorava il Natale.

Adorava il clima, quel freddo particolare che c’è prima di una nevicata, quel freddo che ti sveglia, ma che non ti costringe a chiuderti in casa.

Al massimo ti costringe a prendere una cioccolata calda nel primo bar che trovi per strada.

Sperando di non essere da sola a prenderla ma con qualcuno che ami, con cui stare magari ore dentro quel bar, bevendo una cioccolata calda con la panna, e parlando di tutto e niente, come si fa con le persone con cui davvero stai bene.

Lei adorava anche la cioccolata calda, quella densa tipo budino, con sopra una montagna di panna montata, e per finire una spruzzata di cacao.

Peccato che non la facessero molti bar così.

Era difficile trovarne uno che la facesse densa il giusto – di solito era troppo liquida, sembrava Nesquik – o che ci aggiungessero il cacao sopra la panna.

Quel particolare secondo lei era importante: ti aggiungeva quel non so che.

La prendeva presso, prima.

Quando ancora si riteneva una persona completa.

Una persona felice.

Anche se in pochi possono dirsi persone complete a 20 anni.

Sei ancora un prodotto delle persone che hai intorno…i tuoi amici, i tuoi compagni di classe, i tuoi genitori….

Tuo padre e tua madre.

Le due persone più importanti nella vita di ogni essere vivente, senza distinzioni di razza, che fossero uomini o animali.

Lei adorava la neve e la cioccolata calda, fare shopping nei negozi per ore senza comprare niente e le luci di natale, prima.

Beh….era facile adorare la neve, il Natale, lo shopping nei negozi, la cioccolata calda e addirittura le luci di natale, prima.

Lei prima non era sola.

C’erano tante persone accanto a lei, anche se solo una era importante davvero.

Una persona che adorava soltanto una cosa al mondo.

Una persona al mondo.

Consuelo. Sua figlia. Lei.

Da quando, 5 anni prima, sua madre era morta la sua vita era cambiata inesorabilmente.

Il vuoto aveva iniziato a circondare il suo cuore, e piano piano era diventato l’unica cosa che sentiva dentro di sé...un vuoto assoluto, senza scampo, definitivo...

Non riusciva più a provare emozioni, non riusciva neanche più a piangere, a essere triste o a ridere –cosa che invece le veniva così bene prima-.

Aveva una risata contagiosa, di quelle gioiose, che ti fanno voglia di iniziare a ridere senza neanche capire bene perché.

Una risata di chi è felice della sua vita, di chi non vorrebbe mai essere da nessun’altra parte, perché  si rende conto che, si, ci sono grossi problemi nella sua vita, ma si rende anche conto che ce ne sono nella vita di chiunque e non si possono risolvere tutti.

La risata di chi sa che la sua vita è la migliore possibile, perché hai intorno delle persone che ti amano davvero, e che alla fine quella è l’unica cosa importante che devi avere nelle tua vita.

E chissenefrega se a volte il tuo capo a lavoro impazzisce momentaneamente e ti da colpe di cose che ha fatto lui, se il tuo vicino di casa ti ruba la posta e il vigile ti da la multa perché hai lasciato la macchina al parcheggio per 5 minuti più del consentito.

Perché tu hai qualcosa che probabilmente loro non avranno mai: qualcuno che ti ami incondizionatamente.

Era questo sua madre per Consuelo.

Qualcuno che la amava incondizionatamente.

Forse qualcuno poteva obbiettare che tutti hanno una madre che li ama in quel modo, ma la verità è che no, non tutti hanno questa fortuna.

Ci sono tanti, troppi casi di persone che hanno genitori che non tengono veramente a loro, troppo preoccupati per le proprio vite per preoccuparsi di quelle dei figli.

Troppo convinti, magari, che comprandogli il cellulare all’ultima moda, assolvono in modo eccelso il loro dovere di genitori.

Ma Consuelo no.

Lei aveva la fortuna di avere una madre che davvero la amava.

E quando un affetto del genere ti viene strappato a soli 20 anni, tutto ti crolla addosso.

Ancora si ricordava quella sera.

Viveva già da sola, col suo fidanzato, da qualche mese.

Anche lui la amava incondizionatamente, solo che lei era ancora troppo stupida per capirlo.

I suoi genitori si erano separati un paio di anni prima, ma lei aveva un ottimo rapporto con tutti e due, anche se quello col padre non era mai stato come quello con sua madre.

Neanche sapeva che sua madre doveva uscire con un’amica quella sera.

Ricordava benissimo la sera che le distrusse la vita.

La telefonata che la avvisava che sua madre aveva avuto un incidente e che  gli dispiaceva tantissimo doverla avvertire che, no, non ce l’aveva fatta.

Come se una bomba del genere potesse essere sganciata per telefono.

Era stata buttata lì, manco avessero detto “guardi che ha la gomma a terra della macchina”.

La gravità del problema probabilmente per quel medico che l’aveva avvisata, probabilmente troppo abituato ormai a dare queste notizie da non farci neanche più caso, era la stessa.

Lei era crollata quella sera.

Aveva pianto, aveva urlato, si era disperata.

Stranamente, in contrasto con la nitidezza con cui ricordava quel giorno, non ricordava i mesi successivi.

Si alzava, andava a lavoro, tornava a casa, mangiava e dormiva.

Non sentiva più nulla, era come sotto una campana di vetro.

Mirko, il suo fidanzato, si era disperato, aveva cercato in ogni modo di aiutarla.

Cercava di farla sorridere, di farla tornare a vivere.

Poi, dopo quasi due anni, si era arreso.

Lei non aveva provato nulla quando lui l’aveva lasciata, più disperato di lei.

E lì si era resa conto che doveva reagire.

La vita, nonostante tutto, doveva continuare in qualche modo.

Lei doveva sopravvivere. Doveva farlo per sua madre.

Sopravvivere.

Perché oramai vivere le era precluso.

Piano piano aveva cercato di rialzarsi.

Ed era arrivata a una conclusione: se non ami non soffri se le persone ti lasciano.

Ed era diventata un robot senza sentimenti.

Niente poteva intaccare la sua corazza.

Non poteva più permettersi di amare nessuno se non voleva di nuovo sprofondare in un baratro senza fondo.

Così aveva cambiato lavoro, città, e troncato con tutti gli amici.

Perché se non hai amici e persone che ami sei solo più forte.

Niente poteva farsi largo attraverso la sua campana di vetro spessa più di un muro.

Non provava amore o affetto, e quando si accorgeva che inizia a provarlo troncava sul nascere quel rapporto.

Si rendeva conto che così non aveva più nessuno intorno: la gente era sparita dalla sua vita.

Dopo che ricevevano un paio di rifiuti ai loro inviti a uscire la lasciavano perdere.

In quegli ultimi 3 anni si era fatta il vuoto intorno.

E ci si trovava bene, nonostante tutto.

Ogni tanto pensava alla vita che aveva prima.

Aveva saputo da una di quelle poche vecchie amiche che ancora non si erano rassegnate a vederla “ridotta così” – ridotta come poi? lei stava benissimo – che Mirko stava frequentando un’altra ragazza da qualche mese e si stava riprendendo.

Era felice per lui, anche se un po’ le faceva ancora male.

Ma non poteva avere affetti.

Averne avrebbe solo significato soffrire ancora.

E lei non poteva permetterselo.

Era già stata distrutta una volta, non doveva capitare di nuovo.

Pensava a questo mentre camminava nella strada coperta di neve, in quella nuova città dove nessuno le era caro, dove nulla poteva turbare il suo animo.

Si diresse verso un piccolo parco coperto di neve per tagliare un pò la strada: non amava stare sotto la neve…sembrava non bagnarti mentre eri fuori...e in men che non si dica ti ritrovavi con le calze e i vestiti completamente zuppi.

Era una sensazione alquanto spiacevole.

Il parco era deserto: troppa neve per terra e troppo rischio di cadere e farsi male.

Camminava veloce, desiderosa di tornare in fretta al caldo di casa sua.

Almeno finché non lo sentì.

Un lamento, sembrava qualcuno che piangeva.

Era un pianto disperato, struggente.

Sembrava provenire da un cassonetto lì vicino.

Non si era mai interessata particolarmente a quello che le accadeva intorno, aveva visto gattini randagi e bambini che chiedevano l’elemosina senza mai badarci più di tanto.

Non voleva interessarsi del mondo che aveva intorno.

Però quel lamento era straziante.

Non capì mai cosa la spinse a guardare in quel cassonetto, se la curiosità o forse il fatto che il dolore presente in quel lamento le ricordava troppo il dolore che nonostante tutti gli sforzi per soffocarlo, ancora sentiva dentro di lei.

Aprì il cassonetto senza sapere che quello che vi avrebbe trovato l’avrebbe sconvolta nell’animo.

Dentro il cassonetto c’era una cagnolina randagia, chiaramente in fin di vita, buttata lì dentro con i suoi cuccioli da qualche mostro che si definiva umano.

La cagnolina era chiaramente moribonda, ma nonostante tutto cercava di curare i suoi cuccioli.

Chissà da quanto erano al freddo e senza mangiare buttati lì come vecchia spazzatura.

I piccoli erano tutti morti tranne due, un piccolino nero e uno fulvo, erano simil cocker, come la mamma.

I due sopravvissuti erano stremati e provati, e continuavano a cercare di succhiare il latte dalla mamma, che non ne aveva più, pelle e ossa com’era.

La cagnolina vedendola la guardò negli occhi, e leccò di nuovo i suoi cuccioli come a farle capire che erano vivi.

Lo ripeté per due volte.

Consuelo era spaesata.

Non sapeva cosa fare, e decise di toglierli da lì.

Facendo attenzione tolse i cuccioli dal cassonetto, avvolgendoli nella sua sciarpa e nel suo cappello.

La cagnolina la guardò, e quando vide che i suoi cuccioli erano in salvo si abbandonò completamente al suo destino.

Morì nell’arco di un istante.

Come se avesse resistito soltanto per mettere in salvo i suoi figli.

Fu come un pugno in mezzo allo stomaco per Consuelo.

Troppi ricordi e sentimenti si riversarono dentro di lei, e fu impossibile ricacciarli indietro: era troppo tempo che li teneva sigillati dentro una piccola parte della sua anima senza dare loro la possibilità di uscire.

Quella cagnolina le ricordò sua madre e il tipo di amore che aveva per lei.

Era morta soltanto per salvare i suoi figli.

Forse, se li avesse abbandonati al loro destino e se ne fosse andata sarebbe potuta sopravvivere.

Ma non le importava: i suoi figli erano l’unica cosa che le importasse davvero ed era morta per salvarli.

Consuelo decise che non poteva permettere che il suo sacrificio fosse stato inutile: non aveva potuto dire addio a sua madre…e, forse, salvando i cuccioli di quella cagnolina coraggiosa avrebbe onorato la sua memoria.

Uscì di corsa dal parco e si diresse dal primo veterinario che trovò per la strada.

Lo conosceva solo perché si ricordava di un via vai di animali davanti a quel palazzo.

Erano le otto di sera passate e la serranda era abbassata, ma la luce era accesa.

Si mise a bussare con foga, sperando che qualcuno la sentisse.

Quei cagnolini non potevano morire.

Alla fine il veterinario le aprì.

Per fortuna aveva una cagnolina che aveva partorito e doveva controllare i piccoli a intervalli regolari.

Si occupò subito dei due piccoli orfani, mettendoli con gli altri cuccioli a succhiare il latte della puerpera.

I cuccioli erano piccoli, avevano a malapena due settimane le spiegò il veterinario, e se la cagna che aveva appena partorito non si avesse accettati probabilmente sarebbero morti.

Per la prima volta da 5 anni Consuelo pregò per la salvezza di quei piccolini.

Tornò anche a recuperare il cadavere della cagnolina coraggiosa e dei suoi cuccioli morti: non era giusto che fossero gettati via come spazzatura.

Andò tutti i giorni a trovare i due piccoli trovatelli, e di volta in volta loro miglioravano.

Il veterinario li tenette in cura per oltre un mese e mezzo per farli ristabilire e lei si prese carico di tutti i costi della degenza.

Al momento di darli in adozione a una famiglia, stranamente, Consuelo si sentì svuotata.

Alla fine tornò dal veterinario munita di due collarini per i cuccioli e se li portò a casa.

I primi mesi furono molto duri, ma ne valse la pena.

Era sempre stata convinta che niente e nessuno avrebbe riempito il vuoto della sua anima.

Eppure quei due piccolini c’erano riusciti.

Dopo qualche mese da quella magica sera in cui erano entrati nella sua vita, cercò, per la prima volta in oltre 3 anni e mezzo, suo padre.

Tornò a vivere nella sua vecchia città, e riprese i contatti con i suoi vecchi amici.

E si, un giorno incontrò per strada anche Mirko.

Già…era sempre stata convinta che nessuno sarebbe riuscito a riempire l’immenso vuoto che si era formato nel suo cuore dopo la morte di sua madre.

In tanti ci avevano provato in quegli anni.

Ora, mentre giocava con i suoi due piccoli cuccioli, Lex e Irish, nella sua casetta, e aspettava che il suo  fidanzato tornasse a casa dopo il lavoro, era felice che quelle due piccoli pesti ci fossero riuscite.

 

 

 

 

 

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