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Autore: elyxyz    24/12/2015    11 recensioni
Oggi, nel 5° compleanno di Linette, ho deciso di festeggiare postando la seconda parte della saga.
Questo sequel sarà una raccolta di missing moments, what if, spin-off, side story e salteremo avanti e indietro nel tempo rispetto all’epilogo di Linette.
Il tutto avrà una lunghezza variabile (drabble, flash-fic, one-shot e alcuni capitoli contigui).
Credo sia doveroso specificare che non metterò l’avvertimento Mpreg, poiché Merlin è diventato biologicamente donna, ma resta una Mpreg spirituale per ovvi motivi (vedi trama cap. 90).
Vi lascio con una citazione che sarà il leitmotiv di tutta la raccolta:
Governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno.” [Michel de Montaigne]
[Arthur x Merlin, of course!]
Genere: Comico, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Prima stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Eccomi

Eccomi.
A distanza di tre anni dalla conclusione del telefilm, e ad un anno esatto dalla fine di Linette, eccomi ad aggiornare con qualcosa che spero allieterà (o, altrimenti, carierà i denti a…) tutti quelli che non hanno smesso di amare Merlin e la mia storia.

 

Come ho già detto, ho scelto di dividere l’argomento Queen!Merlin in due parti.

Il precedente capitolo, formato da due pezzi, riguardava la pre-trasformazione di Merlin e questo capitolo, composto da frammenti vari, racconterà l’arrivo della futura regina a Camelot e il doppio matrimonio.

Entrambi si innestano come missing moments all’interno dell’epilogo di Linette (cap. 90), dopo la morte di Uther, quindi nel periodo pre/post-matrimonio.

 

Linea temporale: seguito del capitolo precedente, due mesi dopo. (Rif. Cap. 90).

 

 

Vorrei dedicarvi questo capitolo e augurarvi un Buon Natale e un Felice 2016!

 

The He in the She 2

 

La Raccolta

 

 

 

Capitolo IV: Becoming a Queen (Parte II)           

 

 

Arthur si impose un dignitoso contegno, anche se ogni frammento del suo corpo vibrava di trepidazione e impazienza. Merlin stava tornando. Merlin stava tornando!

 

Malgrado gli obblighi reali e il fatto che governare su Camelot consumasse ogni sua energia, impegnandolo dall’alba a ben oltre il tramonto, due lune senza il suo servitore (consigliere, amico e amante) gli erano sembrate due secoli a dir poco.

I primi giorni s’era sentito sperso, essendo stato privato della sua costante compagnia e guida. Poi aveva dovuto rimboccarsi le maniche e smettere di compiangersi (anche perché Gaius si era rifiutato di convalidare il suo stato di finto-malato e lo aveva rispedito a lavorare con un buon tonico corroborante e amarissimo) e il giovane Pendragon aveva sfogato la sua frustrazione sulle nuove reclute e sui preparativi d’accoglienza, mentre contava le veglie che lo separavano dal riabbracciare l’altra metà della sua moneta.  

 

Il castello era stato preventivamente tirato a lustro, in attesa della futura sovrana, ma quando un mattino le guardie di vedetta, dalle torri più alte, avevano avvistato un cocchio magico di lontano, la frenesia era esplosa e la cittadella era sembrata un enorme formicaio calpestato.

Geoffrey di Monmouth, il cerimoniere di Corte, era andato a prepararsi per compiere pomposamente il suo dovere e Arthur, che sapeva come sarebbero andate realmente le cose, non aveva avuto cuore di sopprimere le sue speranze. Il vero matrimonio non si sarebbe compiuto prima di qualche mese, ma lo scrivano reale doveva essere presente adesso per testimoniare ai posteri l’importante momento storico.

Il giovane Pendragon, dal canto suo, si sarebbe accontentato di strappare Merlin via da quella dannata carrozza e di caricarselo in spalla o di trascinarlo come un sacco di farina negli appartamenti privati, per rimanervi chiusi dentro tutto il tempo necessario a recuperare i giorni perduti e oltre.

Purtroppo per lui, v’erano delle regole di Etichetta a cui neppure il re poteva sottrarsi.

 

Arthur soppresse malamente uno sbuffo di insofferenza, mentre – dall’alto della scalinata, che dava sulla piazza principale – attendeva l’arrivo imminente che sembrava non arrivare mai.

Le mani gli tremavano appena appena, ma nessuno notò quel particolare, tranne forse Gaius che gli sostava accanto come rappresentante del Concilio e che sorrise con paterno affetto. Anch’egli – parimenti al sovrano – aspettava impaziente quel ricongiungimento.

 

Il brusio dei cavalieri, schierati dietro di loro, si dissolse nel momento in cui, di lontano, si avvertì lo scalpiccio di zoccoli in avvicinamento.

Arthur trattenne il fiato per tutto il tempo in cui il cocchio magico comparve all’orizzonte per poi dirigersi verso di lui con maestosa leggiadria.

Non v’era dubbio sul fatto che quell’arrivo appariscente fosse stato studiato a beneficio dei presenti che ne sarebbero rimasti stupefatti, come effettivamente fu.

La carrozza era sprovvista di tettuccio e galleggiava a mezz’aria, priva di ruote, trainata da un tiro a quattro di meravigliosi unicorni bianchi, non legati da alcuna cavezza né da briglie di sorta. D’altra parte, non v’era neppure l’ombra di un cocchiere per condurla.

Le aveva fatto da scorta un gruppo di centauri metà uomo e metà cavallo, col dono della parola. Essi indossavano in spalla una faretra colma di frecce e un arco massiccio che spuntava dalle loro schiene muscolose, eppure bastava la loro imponenza a dare soggezione; anche se apparivano tutt’altro che bellicosi.

 

La principessa non aveva voluto con sé né servitori né ancelle né, tantomeno, dame da compagnia.

Tra i nobili e i popolani stava crescendo la curiosità, ma la nobildonna, avvolta in un mantello d’oro brillante e in un lungo, candido velo, celava le sue fattezze al mondo.

Sedutole accanto, v’era un sacerdote dell’Antica Religione che avrebbe comprovato l’insediamento di lei a Camelot.

Qualcuno aveva bisbigliato, sorpreso, per la mancanza di Merlin in quell’arrivo, ma nessuno avrebbe osato chiedere. Del resto, che quel giovane (mago o no) fosse sempre stato strambo, era cosa nota. Aveva detto molte cose bizzarre in prossimità della partenza, su nuovi doveri e impegni… quindi, forse, avrebbe fatto ritorno in seguito, o qualora gli sarebbe aggradato.

 

Tre squilli di tromba accolsero la delegazione, quando la carrozza si fermò, e lo sportello si aprì da solo.

La nobildonna si levò in piedi e il re di Camelot si fece avanti, celermente, offrendole entrambe le mani per aiutarla a smontare dal mezzo ed ella, scesa a terra, gli fece una devota riverenza mentre ancora le loro dita erano unite.

Il sovrano contraccambiò con un baciamano impeccabile – che inorgoglì Geoffrey – esprimendo poi una formula di saluto.

 

“Mia Signora, vi accolgo in pace”, proclamò, smentendo la solennità del gesto con una carezza furtiva alla pelle delicata nell’incavo dei polsi.


“Possa essa durare in eterno!” replicò la voce melodiosa della donna.

 

“Mi è concesso…?” tentennò poi, annuendo alla volta del velo coprente e ricevette in cambio un piccolo assenso.

 

Ma tanto bastò e Arthur sollevò il drappo che la copriva, rivelando una fanciulla bellissima, dal viso di porcellana e chioma d’onice.

Anche se di forma diversa, v’erano gli stessi occhi blu che popolavano i suoi sogni, gli zigomi cesellati dal più abile degli scultori e, celati dalla stretta pettinatura, fu certo di veder spuntare un paio d’orecchi adorabilmente prominenti.

Nessuna acconciatura eccessivamente elaborata, nessuna sovrabbondanza di orpelli e gioielli, ma sobria grazia ed eleganza, che venivano riconosciute da chiunque riuscisse a intravederla.

Con la sua semplice presenza, la giovine esprimeva splendore e gloria, pura raffinatezza.

Era bellissima, in quel corpo esile e longilineo, raggiante d’una forza mistica.

 

Merlin gli fece un piccolo sorriso timido, arrossendo sotto al suo sguardo indagatore.

Se Arthur non se fosse stato già perdutamente innamorato, sarebbe successo in quell’istante.

 

 

***

 

 

Geoffrey aveva suggerito che le regole dell’ospitalità imponessero ai viaggiatori un po’ di riposo, un banchetto d’accoglienza e magari riservare il rito privato per il giorno seguente, ma il druido celebrante era stato di parere opposto.

In quel luogo, aveva detto, molto sangue innocente era stato versato e antichi equilibri andavano ristabiliti.

L’atto che re Pendragon avrebbe compiuto in favore della magia sarebbe servito a placare il dolore degli spiriti erranti e di anime addolorate. Per tale ragione, andava fatto quanto prima.

I due interessati non avevano avuto niente in contrario, perciò si diressero nella sala del trono, dove l’officiante dell’Antica Religione aveva preso parola, iniziando il rituale con solenne severità.

Egli rese noto, ai presenti, gli intenti di quel sodalizio e l’indissolubilità dello stesso.

Rammentò al giovane sovrano i propri doveri e le promesse offerte al Popolo Magico, rappresentato dalla principessa che, da quel momento in poi, veniva accolta a pieno titolo nella famiglia dei Pendragon e con essa il suo potente Dono.

 

“Ogni unione, essendo unica, è speciale, indissolubile e diversa dalle altre.

La magia sceglie da sé come unire due anime che le si affidano e vivranno sotto la sua protezione…” espose il druido, prima di invitarli a congiungere i palmi con fare imponente.

 

Nel momento in cui Arthur e Merlin si presero per mano, comparve a mezz’aria una moneta d’oro e i due scoppiano a ridere.

 

“Direi che è Destino!” confermò l’officiante dall’alto della sua onniscienza, sorridendo a mezza bocca, prima di intonare un’antica nenia.

 

E la moneta diventò di colpo luminosa, brillante, così lucente che non si riusciva a guardarla ed essa cambiava forma, come dentro un crogiuolo bollente; si allungò come un fuso e si separò, scivolando verso le loro mani.

Un istante dopo, al posto della moneta c’erano due anelli dorati al loro dito anulare.

 

“La magia ha deciso. Nulla può sciogliere l’incanto!” ripeté l’austero druido, concludendo il rituale, mentre la coppia si scambiava un bacio che a stento si era mantenuto casto.

 

Geoffrey di Monmouth aveva compiuto il suo dovere di storico di Corte, registrando mentalmente l’evento che avrebbe subitamente trascritto, e che sarebbe poi finito con tutti gli altri libri polverosi, dimenticato su uno degli scaffali della biblioteca del castello.

Con un inchino formale, e doverose congratulazioni, prese rapidamente congedo da loro, poiché non aveva gradito che uno straniero usurpasse il suo ruolo di cerimoniere reale. Si consolò con il pensiero che la vera cerimonia – quella che avrebbe posseduto tutti i crismi dell’ufficialità, con tanti nobili e ospiti alleati presenti – si sarebbe tenuta solo dopo un adeguato periodo di fidanzamento (che si poteva considerare iniziato in quel momento) e lunghi preparativi, e sarebbe stata presieduta da lui – lui soltanto, e nessun altro.

 

 

***

 

 

Merlin aveva detto addio a Iseldir con un lungo abbraccio di ringraziamento; ma l’uomo, che gli aveva fatto da mentore durante il periodo della metamorfosi, continuava a ripetere che era lui – a nome della comunità magica – ad essergli debitore per sempre.

Il saggio druido aveva invocato sulla coppia innamorata parole benedicenti e aveva confermato piena disponibilità per qualsiasi cosa necessitassero a Camelot da quel momento in poi.

Attestò nuovamente la piena fedeltà ai segreti che Merlin aveva condiviso con lui e pochi eletti.

Benché alcuni maghi e antiche sacerdotesse sapessero chi era Emrys e cosa era divenuto, avevano giurato eterno silenzio sulla questione, poiché era uno scotto da pagare volentieri, se finalmente avessero ottenuto la libertà di essere ciò che erano senza nascondersi, e la protezione di un regno potente come Camelot.

Con la promessa di tornare assieme ad una piccola delegazione, per il matrimonio tradizionale, l’uomo se ne andò, sorridente, con la carrozza fluttuante e i centauri scalpitanti, lasciando Merlin alla sua nuova vita.

 

 

***

 

 

Per quanto riguardava il mondo magico, da quel momento era divenuto la consorte del re, anche se la funzione ufficiale, secondo il cerimoniale, sarebbe avvenuta solo di lì a qualche tempo, perciò avrebbero vissuto un momento di transizione.

La promessa sposa avrebbe abitato fin da subito nelle camere reali destinatele come sovrana, poste accanto agli appartamenti che erano stati dell’erede al trono. Arthur non aveva avuto cuore di trasferirsi negli alloggi del padre, benché fossero più grandi e più lussuosi. Troppi ricordi recenti e dolorosi gliel’avevano impedito e lo stregone aveva concordato con lui sul fatto che fosse meglio restare in un ambiente familiare e confortevole.

In aggiunta a ciò, i due appartamenti avevano l’indiscusso pregio di condividere una piccola porticina nascosta che li rendeva comunicanti e salvava le apparenze per la giovane fidanzata.

Anche se – dopo tutte le stranezze occorse negli ultimi mesi e i cambiamenti avvenuti e ancora da avvenire – nessuno avrebbe avuto da ridire, se ella frequentava già le camere private di Sua Altezza e talvolta vi si attardava.

 

Il popolo di Camelot aveva guardato con sospetto quella futura regina venuta da lontano. Ma solo al suo arrivo.

Al mattino dopo, di buonora, la nobildonna era andata personalmente a salutare ogni cuoca, sguattera e stalliere del regno, trattandoli con rispetto e gentile affabilità.

La voce si era sparsa all’istante e, in meno di un giorno, la prescelta sovrana si era conquistata l’amore di tutti i sudditi. Con l’andar del tempo, la devozione del popolo sarebbe cresciuta per lei a dismisura, poiché tutti sapevano che la castellana trattava i servi con gentilezza e considerazione, come mai prima d’ora.

 

La magia, che ella rappresentava, era tornata d’uso quotidiano e prestava servizio per il bene, per rendere Camelot ancora più prospera e gloriosa.

Come solido esempio, re Arthur avrebbe sposato questa principessa maga, si affermava nelle piazze e nei mercati. Basta purghe e processi magici. Purché i sortilegi non servissero per scopi malvagi. Il sovrano aveva persino fatto ammenda per l’operato del re padre, aiutando vedove e orfani, e si diceva che tale miracolo fosse opera di lei.

 

Sì, di questa principessa dal cuore grande, che veniva da lontano, dal nome talmente strano – Mæŗīlŷɲ – che persino lo scrivano di Corte, con suo sommo imbarazzo, non aveva saputo come pronunciarlo né come trascriverlo negli atti reali e la nobildonna l’aveva rassicurato spiegando che la sua lingua natìa era difficile da enunciare, e impossibile da tradurre, e che perciò avrebbe potuto chiamarla semplicemente Marilyn, in una pronuncia così strana che a molti, di primo acchito, era sembrato ‘Merlin’, ma era ovvio che non lo fosse. Eppure – avrebbero giurato i più testardi, nei tempi a venire – Gaius e anche il re lo pronunciavano così. Ma era un nome straniero, una pura casualità. E poi il vecchio medico era ormai in là con gli anni… ed era noto a tutti che il sovrano, almeno un po’, sentisse la mancanza del suo vecchio servitore, sparito chissà dove.

 

Fin da prima che avesse messo piede nella sua nuova patria, e per molto tempo dopo, tutti avrebbero discusso le sue stravaganze negli usi e nei costumi. Ma proprio per le sue origini remote, le veniva perdonata ogni stranezza – dai capelli senza acconciature elaborate, agli abiti maschili con cui amava vestirsi per cavalcare… La nobildonna aveva lanciato fin da subito nuove mode. Per esempio, le sue gonne lasciavano scoperte le caviglie e, anche se le dame anziane di Camelot erano inorridite alla notizia (a Merlin, non più avvezzo a quelle trappole mortali, interessava non rimanere ucciso inciampando, piuttosto che le loro facce sdegnose), le più giovani l’avevano emulata appena dopo poche veglie, correndo tutte dai sarti per farsi accorciare le vesti.

 

Lo stregone sapeva che avrebbe dovuto scontrarsi con vecchi, polverosi retaggi della nobiltà e si era messo il cuore in pace su certe cose a cui avrebbe dovuto cedere in qualità di castellana (come ripristinare i maledetti incontri di ricamo a beneficio delle vecchiacce), ma su altre questioni sarebbe stato irremovibile, a prescindere dalle malelingue.

 

Quando una delle servitrici di palazzo si era offerta di aiutare la dama nel bagno e nel vestirla, ella aveva rifiutato, garbatamente, adducendo una singolare spiegazione: era avvezza ad arrangiarsi da sé nella pulizia e nel vestiario, poiché nel suo regno si usava la magia per ogni necessità.

Ed ella avrebbe continuato così, anche ora. Cedendo solo per quanto riguardava l’acconciatura dei lunghi capelli, per la quale aveva accettato di essere aiutata.

Per il resto, la principessa avrebbe condiviso col re il suo servitore personale e alcune giovani vallette messe a sua disposizione.

 

Arthur, dal canto suo, pur essendo in parte preoccupato che le troppe novità destabilizzassero e fossero un azzardo, le aveva dato piena libertà.

Dopo una cena sfarzosa di accoglienza, per uno scambio di convenevoli con i nobili di palazzo, anch’egli aveva convenuto sul fatto che il miglior modo per far accettare la nuova futura regina al suo popolo consistesse nel portarla fra la gente.

E così, con la scusa di farle conoscere il castello e la città bassa, lui e Merlin erano andati a passeggio per il mercato, di buonora, come una comune coppia di promessi sposi.

E lo stregone, bontà sua, aveva salutato tutti con cordiale affabilità e una buona parola per ciascuno, mentre la gente si inchinava al loro passaggio.

Era ovvio, poi, che non potessero starsene in panciolle e godersi una semplice passeggiata.

Così, quando avevano scorto una vecchietta che trasportava una cesta pesantissima, il mago lo aveva strattonato per fermarlo e, alzata una mano verso di lei, di colpo aveva reso il paniere fluttuante, convincendo l’anziana donna a condurlo come se fosse stato un cane al guinzaglio. La vecchina, lacrime agl’occhi, aveva ringraziato mille volte per tale gentilezza.

Successivamente, lo stregone aveva guarito un paio di ginocchia sbucciate a dei monellacci che giocavano fra le bancarelle, incurante di inzaccherarsi il vestito, mentre si chinava alla loro altezza, e di seguito aveva insistito per riparare con il suo Dono la ruota di un carretto che aveva ceduto per il troppo peso.

Arthur sorrideva, osservando il suo compagno affaccendato. Merlin era buono come un pezzo di pane appena sfornato – a volte un po’ indigesto – ma pur sempre buono.

Era la cosa migliore che Camelot avesse potuto desiderare e dovevano tutti sentirsi fortunati che un tale portento d’uomo avesse scelto di chiamare questo luogo ‘casa’.

 

Egli certamente lo era.

E col pensiero rivisse la sera precedente, il tanto atteso momento in cui finalmente erano rimasti soli, nell’intimità ritrovata da trascorrere nuovamente insieme. Al modo in cui avevano scherzato e si erano amati.

 

“Ti sto donando la mia terza prima volta. Conosci qualcun altro che possa vantare un tale privilegio?

 

“No, e me ne compiaccio!” aveva sorriso in modo sconcio. “Ha i suoi vantaggi amare il mago più potente del mondo…”

 

E poi ripensò alla notte insonne, fra carezze e confessioni, racconti dei loro momenti passati lontani, la nostalgia e quell’eterno stupore che sempre Merlin riusciva a regalargli quando meno se l’aspettava.

 

Più volte, nel corso del tempo, il re gli aveva chiesto quale sarebbe stato lo scotto da pagare per questo incantesimo.

Ma lo stregone si era sempre rifiutato di dirglielo, promettendo che gliel’avrebbe rivelato solo a cose fatte, qualora tutto avesse funzionato per il meglio.

 

Quella notte, rammentando la promessa, glielo aveva chiesto nuovamente.

 

Cosa hai dato in cambio? Non un’altra vita, spero…”

 

“No”, Merlin aveva sorriso. “Non è stato un gran sacrificio, in realtà”.

 

Cosa hai barattato?”

 

“Ricordi cosa significa ‘Emrys’?” aveva domandato lui, di contro. E quando il sovrano aveva negato, lui aveva ripreso: “È l’appellativo con cui mi conosce il popolo druido. Nella lingua degli antichi, vuol dire ‘Immortale’. Beh, ho ceduto la mia immortalità”.

 

Arthur aveva sbarrato gli occhi, incredulo. “Ma Merlin…”


“No”, l’aveva zittito l’altro, posandogli un dito sulle labbra. “È un prezzo equo, e anzi, posso dire che mi è stato fatto un favore, in realtà”.

 

“Perché?”

 

“Perché non voglio trascorrere neppure un giorno senza te su questa terra, Arthur. L’eternità sarebbe vana e vuota, se vedessi le persone che amo invecchiare e morire, senza poter trovare requie per me. Preferisco sia così. Quando moriremo, se esiste un Aldilà, sono certo che passeremo insieme anche quel tempo; se invece non vi è nulla, non ho rammarico, sto trascorrendo al massimo ogni giorno che mi è concesso con te. Se invece esistono nuove vite, se mai ci reincarnassimo, sono sicuro che ci ritroveremo, in ogni vita che avremo, saremo insieme, perché noi siamo destinati”.

 

Arthur, rimasto colpito dalla marmorea fiducia in quelle parole, se l’era stretto contro, donandogli tutto l’amore che sentiva dentro di sé e giurando che l’avrebbe fatto per tutti i giorni a venire.

 

 

***

 

 

Geoffrey non era stato felice, quando gli era stato comunicato che il matrimonio reale sarebbe stato anticipato ma, messo al corrente in via confidenziale delle motivazioni sopraggiunte, aveva dovuto convenire che fosse la scelta migliore, almeno per salvare in parte le apparenze.

Si era dato un gran daffare per stilare un nuovo programma, perché tutti i preparativi fossero compiuti in tempo e, che lui fosse pronto o meno, il gran giorno era finalmente arrivato.

 

Il giovane re puntò lo sguardo al viso di fronte a lui e solennemente pronunciò: “Io, Arthur Pendragon, giuro di accoglierti nella mia casa, di amarti e onorarti, di esserti fedele sempre, di sostenerti nei momenti di gioia e di difficoltà, di… di…” s’inceppò. “Diamine! Come continua?!

 

“Fai anche le prove allo specchio, adesso?” ridacchiò Merlin, comparendogli di soppiatto alle spalle, e il re trasalì, impreparato.

 

“Che accidenti ci fai qui?” volle sapere. “Dovresti essere di là a prepararti!”

 

“Mi mancava il mio futuro consorte…” piagnucolò il mago, ben consapevole che ne avrebbe acceso l’indulgenza.

 

Arthur infatti se lo strinse contro teneramente, riservando una carezza anche al piccolo erede.

“C’è anche la parte in cui mi giurerai eterna obbedienza…” puntualizzò, tra un bacio e l’altro.

 

“Non ci contare troppo…” ghignò la futura regina, lasciandosi coccolare, prima di essere costretta a sgattaiolare via.

 

 

***

 

 

“Miei signori, gentiluomini e dame di Camelot, siamo qui riuniti oggi per celebrare, attraverso il rito del congiungimento delle mani, l’unione di Arthur Pendragon e lady Marilyn di Connacht”, Geoffrey attese qualche istante, per rendere ancor più solenne il momento, poi riprese: “Milady, procederemo secondo il vostro rito”.

 

Si levò qualche bisbiglio dalla sala stracolma, quando i due giovani si presero per mano, ma nel momento in cui la principessa prese parola, il silenzio divenne completo.

 

“Giuro di mettere i miei poteri al vostro servizio, per il bene di Camelot. Di sostenervi nel governare con saggezza. Di esservi fedele e di educare al rispetto i figli che ci saranno donati”.

 

Il re rafforzò la stretta delle loro dita intrecciate, prima di replicare: “Accoglierò il vostro Dono con gratitudine ora e sempre”.

 

“Volete voi, Arthur, unirvi a questa donna?”

 

“Lo voglio”.

 

“Volete voi, Marilyn di Connacht, unirvi a quest’uomo?”

 

“Sì, lo voglio”.

 

“V’è qualcuno, fra i presenti, che ha qualcosa in contrario?”

 

Nessuno osò fiatare e Geoffrey proseguì con la cerimonia, avvolgendo la corona di fiori e sempreverdi fra loro e declamando solenne: “Con questa ghirlanda faccio un nodo, e così lego le vostre mani e i vostri cuori per l’eternità”.

 

“Io, Arthur Prendragon, re di Camelot, prometto di non sciogliere questo legame, prometto di rispettarvi come rispetto me stesso”.

 

Merlin gli sorrise, un luccichio di commozione negli occhi.

 

“Ho l’onore di dichiararvi marito e moglie!” dichiarò Monmouth, concedendo loro di baciarsi, e la folla esplose in un boato di applausi e grida: “Lunga vita al re! Lunga vita alla regina!”

 

I festeggiamenti, con brindisi e cibo a profusione e spettacoli offerti a tutti, durarono per giorni e giorni: saltimbanchi, danze e canti, musici e aedi celebrarono la gloria del regno.

Fasci di luce magica echeggiarono in cielo, creando fontane di luce colorata fino a notte fonda. Arcobaleni fiorirono dovunque. In un’apoteosi di esibizioni, fate e folletti, gnomi e altri esseri fatati incantavano la folla, ansiosi di mostrare il loro Dono. Persino Kilgharrah, il vecchio drago, era giunto per rendere omaggio alla coppia, volando fra i torrioni del castello.

 

Il popolo rimase a bocca aperta, estasiato.

La magia era finalmente tornata nel regno.

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie paranoie. X°D

 

Note: Come ho già detto nelle note del cap. 90, ho descritto questa principessa bellissima e potentissima strega.

Non volevo farla sembrare come una Mary Sue. Semplicemente, doveva apparire graziosa per motivare tutta l’attrazione che fin da subito Arthur nutre per lei, visto che la verità non la sa quasi nessuno.

 

Emrysviene menzionato nel cap. 82 di Linette, quando Lin e Arthur incontrano i druidi accampati.
Sappiamo che, secondo la leggenda arturiana e il telefilm, Merlin è immortale e attende il ritorno del suo Re in Eterno, che risorgerà dal lago di Avalon quando il mondo avrà più bisogno di lui.
Tuttavia, come ho sempre detto, la mia storia è un enorme ‘What if…’ che si è separata dal telefilm dopo la prima stagione, seguendo un corso proprio. I miei Arthur e Merlin hanno fatto scelte diverse, così come Morgana (che non è mai diventata cattiva), quindi l’Epoca d’Oro di Albion ci sarà, però in modo diverso. I nostri eroi daranno vita alla leggenda, ma a modo mio.

 

Per dare i natali alla regina, ho scelto Connacht, che secondo una mappa di Albion, che ho trovato nel web, è una regione dell’Irlanda. Un piccolo omaggio a Colin! ^_=

 

Il matrimonio è detto ‘Rito di congiungimento delle mani’ e l’ho tratto direttamente dalla puntata 2x05-06.

So che la parte è un po’ troppo pomposa e prolissa, ma ho ripreso quello della puntata, che ostentava la stessa pedanteria tipica di questi ‘momenti importanti’ nel protocollo della nobiltà.

 

Merlin ci ha messo tre anni per rompere l’incanto della maledizione di Ardof. Per coerenza, non potevo farlo tornare donna troppo facilmente. Per questo ci vuole preparazione e aiuto, ed è un cambio irreversibile.

 

Nel capitolo ho fatto comparire anche i centauri. Non ho un ricordo esatto se nel telefilm fossero mai spuntati, ma fanno parte della mitologia come tutti gli altri esseri visti finora (gnomi, fate, folletti, goblin, ecc…), quindi mi sento autorizzata a usarli. ^__^

Mi piaceva l’idea di una scorta magica, imponente, ma non di elfi o cose così... E i centauri sono fighiii.

 

 

Bene, credo sia tutto.

A risentirci nel nuovo anno e grazie di ogni parere che mi lascerete!

 

 

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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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