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Autore: Riley Bee    26/12/2015    5 recensioni
Castiel fa lo scrittore e passa le sue notti alla ricerca di idee mentre, nella casa affianco, un ragazzo di nome Dean con la passione per la cucina è sveglio tanto quanto lui intento a preparare dei dolci. Il primo abita lì da anni, ma la metà della cittadina non sa che esista, il secondo, appena trasferitosi, aspetta l'arrivo del fratello approfittandone per cucinare nelle sue uniche ore libere. Si incontrano (sbadatamente) nelle loro notti in bianco a discutere degli argomenti più vari.
Castiel, freddo e scostante, si ritrova a non capire cosa gli sta accadendo. Come nella canzone dei Led Zeppelin, "the Rain Song", sente il ghiaccio del suo cuore sciogliersi sempre di più all'aumentare degli incontri notturni con Dean, senza capire cosa gli causa realmente questa sensazione.
(AU, Castiel scrittore, Dean cuoco)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Seconda parte:
 

Adesso che gli aveva aperto? Poteva fingersi ubriaco. Si, era ubriaco. D'altronde era normale, per gli ubriachi, fissare la gente, no? Esatto. Non stava facendo nulla di male. Era un povero alcolizzato che, nel bel mezzo della notte, fissava il suo vicino di casa. Fare la parte dell'ubriaco era la scusa e il modo perfetto per uscire da una situazione del genere. Ma Castiel non era abituato a fingere. Anche quando scriveva non inventava storielle fasulle e poco realistiche sulla vita di persone immaginarie, ma era solito ricercare eventi e fatti e studiare i propri personaggi.

Ergo: di certo non sarebbe riuscito a fingersi ubriaco. - Accetterò la sorte, dovrei essere abituato a questo tipo di figure. - Okay, avrebbe scartato l'idea del fingersi sbronzi. Rimase dunque in silenzio, calmo, aspettando un qualche segno di vita da parte dello sconosciuto preparatore di mini torte.

 

Il ragazzo con le lentiggini era affacciato alla finestra aperta, rigido come una statua. Incrociò le braccia davanti a se e chiuse gli occhi abbassando la testa, come se stesse riordinando i suoi pensieri nella paura di dire qualche fesseria.

 

«Senti.» Prese un profondo respiro e si portò una mano sulla nuca, facendo scivolare le dita tra i corti capelli castani.

 

«Non è come pensi. Allora... Ecco... Io... non lo faccio sempre. Ogni tanto sai, capita.» Dean vide la propria mano iniziare a gesticolargli compulsivamente davanti. «No aspetta, non intendevo questo. Non è che “mi capita” di fissare la gente, intendevo che “mi capita” cucinare nel mezzo della notte ma di certo non intendevo dire che ti stessi fissando»

 

Il volto di Casiel prese uno sguardo interrogativo e la sua testa si inclinò sempre di più verso sinistra mentre Dean riprese con la sua arrampicata sui vetri. « io assolutamente non lo stavo facendo, è che per un momento ho pensato che tu lo avresti potuto pensare e quindi l'ho voluto sottolineareinsommahaicapito?» disse tutto d'un fiato.

 

«Mi stavi fissando?» fu l'unica cosa che riuscì a dire.

 

«Fanculo. Questa merda non fa per me.» disse Dean ritornando alla posizione iniziale, con le braccia incrociate.

 

«Come?»

 

Dean tirò un grosso sospiro per evitare che le orecchie gli esplodessero del tutto. «Intendevo dire che mi è capitato di vederti, per puro caso, mentre stavo cucinando. Non stavo fissando nessuno, credimi.» disse tirando fuori il sorriso più innocente che riuscì a recuperare.

 

«Io ti stavo, sinceramente, fissando.» Disse con tono tranquillo e pacato.

Castiel sapeva di non saper mentire ma soprattutto, le figure di merda, ormai erano parte del quotidiano e non ne rifuggiva più di tanto. Dean alzò un sopracciglio preso un attimo dallo stupore.

«Mi spiego meglio» disse muovendosi il ciuffo spettinato dalla fronte «Non mi aspettavo di avere vicini di casa».

 

Silenzio da entrambe le parti. Castiel riprese:

«Penso sia normale, quando si hanno nuovi vicini, esserne sorpresi se non si sapeva del loro arrivo. Fino a ieri la casa era sfitta.» Cercò nuovamente di spiegarsi.

 

«Amico, io abito qui già da due settimane» disse con un semi sorriso ed uno sbuffo divertito Dean.

«Ah.» - voglio scavare una fossa profondissima, mettere un collegamento netflix al suo intero e non uscire mai più - «Beh. Io non vi ho mai visti.» Disse cercando di mantenere un contegno dignitoso trattenendosi dal chiudergli, nuovamente, la finestra in faccia nel tentativo di fuggire dalla conversazione.

 

«Ho anche provato a suonare il campanello per presentarmi ma non rispose nessuno. Ero io a pensare che fosse la sfitta casa di un'anziana signora deceduta tutta merletti e gattini.»

 

«E' rotto.»

 

«Come?»

 

«Il campanello.» ripetè «è rotto»

 

«Come fa la gente a farsi aprire scusa?»

 

«Non si fa aprire.»

 

Si fissarono nuovamente e a lungo, finchè Dean non scoppio in una fragorosa risata.


Castiel per un momento si sentì sopraffatto dal riso. Cosa c'era di divertente? Non sapeva cosa dire e i suoi occhi iniziarono a vagare in tutte le direzioni alla ricerca di un aggancio per uscire da questa catena di figuracce colossali. «Questa, comunque, non sembra la sfitta casa di un'anziana signora deceduta tutta merletti e gattini.» Sbuffò infine.

 

Dean smise di ridere e lo guardò fisso, con gli occhi spalancati. Aveva le mani appoggiate su entrambe le ginocchia in un corta pausa prima di ricominciare a ridere più forte di prima, abbassando la testa verso il basso e portandosi le mani alla pancia che iniziava a fargli male.

 

«Tu sei strano» disse Castiel di nuovo con il suo tono monocorde e la sua costante rigidità.

 

«Oddio, ti prego. Non dire una parola di più che sennò qui tiro le cuoia» disse cercando di trattenere le risate tra una parola e l'altra. «Da quanto tempo sarebbe rotto scusa?»

 

«Qualche anno? Credo.»

 

«Amico. Mi stai dicendo che da “qualche anno” nessuno è venuto in questa casa al di fuori di te?» disse sottolineando il “qualche anno” mimando le virgolette con le dita.

 

«E' una domanda retorica? Pensavo fosse sottinteso» disse mettendosi sulla difensiva – ed eccola lì. Stavo giusto aspettando la solita solfa del “quanto sei triste Cas”-.

 

«Tu sei forte.» disse Dean, questa volta aprendosi in un grande sorriso.

 

Castiel sentì di nuovo quella fitta al cuore e per un momento, un singolo istante, si sentì stranamente bene. Come un calore nel petto che lo scioglieva dall'interno.

«Okay.» disse solo. Era immobilizzato. Solo dopo qualche secondo ricambiò con un leggero ed innocente sorriso quello di Dean.

 

«Una cosa devo chiedertela» disse rabbrividendo «non senti freddo?»

 

Castiel realizzò e si precipitò ad aprire la porta a vetri del salotto, solo pochi metri a sinistra della piccola finestra dalla quale stavano conversando come idioti. «Non ho pensato. Non credevo. Io non soffro troppo il freddo e non ho pensato.» disse aprendo la porta davanti a se.

 

«Ehi amico, è tutto okay.» disse sorridendo di nuovo. Le lentiggini si alzarono con gli zigomi delle sue guance e Castiel si ritrovò a guardarle di nuovo.

 

Volse lo sguardo cercando di pensare ad altro «Questo posto è un casino. Non ho spesso ospiti ma entra pure.» disse mentre Dean ringraziò silenziosamente e lo seguì all'interno. Anche dentro c'era freddo e la temperatura cambiava giusto quel poco da rendere il gelo sopportabile, ma comunque in grado di penetrarti leggermente le ossa. «So che non sono affari miei ma...» si interrompé per togliere una risma di fogli dal divano «Puoi sederti qui e prendi pure una coperta se hai freddo». Castiel andò un attimo ad armeggiare in cucina, dimenticandosi di quello che stava dicendo, mentre Dean prese, appoggiata su una delle tante torrette di libri, una coperta a quadri verdi e arancioni che ricordava motivi scozzesi. Se la avvolse intorno e si sentì subito meglio. Profumava di fondi di tè e di un qualche tipo di odore a lui sconosciuto. Si sedette quindi sulla parte del divano libera, quella sinistra, e si mise ad osservare.

Il divano era di stoffa marrone, scamosciata credeva Dean, ed era lungo giusto giusto per potercisi sdraiare per intero. Oltre ai fogli ed ai libri, notati da fuori, vide un morbido tappeto, blu, un piccolo scrittoio, sempre di legno scuro, sotto una finestra appartata con pc portatile, un tavolo, una volta probabilmente utilizzato per mangiare, adesso usato come comodo appoggino per libri e scartoffie varie. Le pareti erano, ovviamente, ricoperte da librerie e ,infine, notò delle tazze (tutte diverse) disseminate qua e là.

 

«Non ti ho chiesto se volessi del tè.» accorse una voce dall'altra stanza che Dean suppose essere la cucina.

 

«Si grazie, sarebbe davvero fantastico.» nonostante fosse dentro casa Dean stava letteralmente gelando. La coperta aiutava, ma il tè gli avrebbe salvato non poco la vita.

 

Castiel tornò poco dopo con due tazze fumanti. Si doveva essere anche cambiato e, dal leggero pigiama blu e grigio, era passato ad un paio di pantaloni semplici di stoffa con sopra una maglietta blu scura. «Mi sono permesso la scelta del tè. E' Earl Grey classico, per andare sul sicuro.» disse mentre sorrideva alla tazza del tè e si sedeva sul tappeto davanti al divano circondato dai suoi libri. Finalmente a Dean parve a suo agio.

 

«A perchè, ne esistono altri?»

 

Questa volta fu Castiel a ridere, leggermente. «Mi piace il tè. Ne conosco e ne ho tanti di conseguenza». E ne bevve un sorso.

 

«Dimmi la verità. Dentro di tè alberga la signora di prima: La zitella dei merletti e dei gattini che si beve allegramente il suo tè delle cinque» disse mentre, scalciate le scarpe, si mise a gambe incrociate sul divano con la coperta ancora avvolta intorno a sé ed il tè a scaldargli le mani. Dean non era il tipo tutto fronzoli e buona educazione. Se doveva mettersi comodo si sarebbe messo comodo.

 

«Ovviamente. Pensa, ogni tanto prende il sopravvento e si mette a cucinare nel bel mezzo della notte.» sottolineò in modo plateale ed ironico Castiel.

 

«Ahia ragazzino. Questo è un colpo basso.» Disse indicandolo con il dito e con lo stesso tono.

 

Entrambi risero in un'atmosfera, decisamente, più rilassata.

Castiel pensò all'ultima volta che aveva riso così. Quasi non riusciva a ricordarlo ma di certo non sapeva che, il ragazzo sconosciuto che stava bevendo tè in casa sua, stesse pensando la stessa cosa.

 

«Cosa stavi cucinando esattamente?» Chiese, ormai passate le risate, con un tono più addolcito abbandonando, ormai del tutto, la sua solita rigidità.

 

«Cupcakes mele e cannella». Disse senza troppa esitazione e Dean notò ancora la cosa strana che faceva con la testa. La inclinava pericolosamente da un lato e stringeva le proprie sopracciglia con sguardo interrogativo. Questa volta però non riuscì a rifuggire al pensiero che lo trovasse adorabile «Potremmo dire che sono come i fratelli favolosi dei muffin. Solo più buoni.»

 

«Oh. Pensavo fossero mini-torte». Disse mentre prese un altro sorso di tè.

 

Dean rise di nuovo. «Questa cosa ha fottutamente senso, in effetti»

 

«Si vede che ci sai fare. In cucina intendo.»

 

«Io amo cucinare» disse sottolineando la parola “amo” a gran voce. Chissà per quale strana ragione, con questo ragazzo, gli riusciva così facile spiegarsi senza bisogno di menzogne o sotterfugi idioti.

 

«Io amo le mele e la cannella. Ho una tisana» La teneva in un barattolo di vetro nell'apposito scaffale insieme agli altri infusi, tutti etichettati e riposti accuratamente come fossero oggetti di valore inestimabile. Quella mele e cannella era uno dei suoi tesori e la custodiva gelosamente.

 

«Qualcosa mi dice che no ne hai solo una» Disse alzando le spalle con espressione divertita «La butto lì».

 

«Non vuoi davvero saperlo» disse Castiel pacatamente.

 

Dean scoppiò di nuovo in una fragorosa risata. «Adesso ho paura.»

 

«Dovresti. Ricordati che siamo vicini di casa.»

 

Entrambi si guardarono un attimo. Questi due sconosciuti alla deriva in un mare di libri e coperte stavano lì, a conversare del più e del meno come se fosse la cosa più normale del mondo, senza neanche chiedere l'uno il nome dell'altro. Entrambi si sentirono avvolti subito da una familiarità anomala, come se si fossero sempre conosciuti e come se bere tè alle tre di notte discutendo di gattare zitelle e cucina fosse perfettamente naturale e giusto.

 

Dean appoggiò nuovamente i piedi giù e cercò, invano, un punto dove poter appoggiare la tazza di tè finito. «Appoggiala pure per terra. O dove vuoi.» Gli disse il ragazzo dai capelli neri vedendolo in difficoltà ma non curandosene più di tanto.

 

«Amico. Devi davvero dare una sistemata a questo posto.» E, titubante, appoggiò la sua tazza su una pila di libri poco più in là. «Hai letto tutta questa roba o fa parte del kit di arredamento per la casa del maniaco perfetto?»

 

«Si. Ne ho letti la maggior parte.» disse senza battere ciglio e con un movimento fluido, che sembrava assolutamente anomalo per appartenere davvero al pezzo di legno che fin'ora era sembrato, si alzò, appoggiando la tazza su una mensola vicino ad altri libri. Aveva un fisico asciutto con larghe spalle ed una struttura fisica lineare e proporzionata per essere un topo di biblioteca. Dean lo osservò ancora rimettersi a sedere e, uscito da quel momentaneo stato di trance, disse:

«Non ho chiesto il tuo nome»

 

«Castiel.»


Dean stava per dire qualcosa come – che diavolo di nome sarebbe? - o – sembra il nome di un detersivo per piatti – e altre fesserie quando Castiel si intromise tra i suoi pensieri, precedendolo «Non. Una. Parola.»

 

Soffocando un sogghigno rispose «Io mi chiamo Dean. “Castiel”» disse enfatizzando il suo nome in modo ironico.

 

«Genitori ultra cattolici. Non giudicare.» spiegò indicando con la testa una vecchia foto di famiglia appesa sull'unica parete libera della stanza. «E' il nome di un angelo.»

 

«Mi piace.»

 

Castiel non arrossisce. Di solito. Dovette sforzarsi non poco per evitare che il rossore gli tingesse le guance. Abbassò la testa volgendola alle gambe incrociate cercando di nascondere il volto. Non aveva mai sentito tanto caldo.

 

«Ma stavo per dirti che sembrava il nome di un detersivo per piatti.»

 

Castiel alzò la testa incredulo «Mi sembrava ci fosse qualcosa di strano» disse in tono sommesso.

 

Dean avrebbe voluto dire che gli piaceva il suo nome ed il modo in cui questo Castiel lo guardava. Come parlava e si muoveva. Come se tutto ciò che avesse potuto dirgli in quel momento sarebbe stato un segreto prezioso che lui avrebbe tenuto con la massima cura e delicatezza.

Ma non poteva.

 

«In realtà mi piace» Disse invece Dean passandosi nuovamente la mano tra i capelli all'attaccatura del collo «Dico sul serio».

 

In Castiel, la lotta contro le proprie guance, riprese imperterrita.

   
 
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