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Autore: Riley Bee    19/12/2015    5 recensioni
Castiel fa lo scrittore e passa le sue notti alla ricerca di idee mentre, nella casa affianco, un ragazzo di nome Dean con la passione per la cucina è sveglio tanto quanto lui intento a preparare dei dolci. Il primo abita lì da anni, ma la metà della cittadina non sa che esista, il secondo, appena trasferitosi, aspetta l'arrivo del fratello approfittandone per cucinare nelle sue uniche ore libere. Si incontrano (sbadatamente) nelle loro notti in bianco a discutere degli argomenti più vari.
Castiel, freddo e scostante, si ritrova a non capire cosa gli sta accadendo. Come nella canzone dei Led Zeppelin, "the Rain Song", sente il ghiaccio del suo cuore sciogliersi sempre di più all'aumentare degli incontri notturni con Dean, senza capire cosa gli causa realmente questa sensazione.
(AU, Castiel scrittore, Dean cuoco)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note dell'autore:

Salve a tutti. E' la prima fanfiction che provo a scrivere quindi siate clementi con me. E' nata principalmente perchè, dopo anni passati a rimuginare, leggere e farmi film-mentali a proposito di questi due “dorks” ho voluto prendere la penna in mano e creare una storia a proposito di come li ho sempre immaginati io. Ho sempre immaginato un Castiel un po' burbero, risalente alla quarta stagione, che mi somiglia terribilmente e un Dean testardo ma con, sotto la scorza dura, un'immensa dolcezza.

Sono una fan sfegatata del caro vecchio Rock “di una volta” (il Rock non muore mai, MATE) e sono una terribile scrittrice in quanto, sono una piccola lumaca che prova a scrivere quattro righe ma finisce per impiegarci dieci ore. I'M SORRY.

Spero apprezziate. Sbizzarritevi nelle critiche che sono sempre ben accette.
 

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The Rain Song


 

This is the springtime of my loving
the second season I am to know
You are the sunlight in my growing

so little warmth I’ve felt before.
[…]
I’ve felt the coldness of my winter
I never thought it would ever go.
I cursed the gloom that set upon us…
But I know that I love you so

 

-Led Zeppelin, The Rain Song


Prima parte:

Castiel non scrive e detesta farlo.

Sa quanto questo possa essere controproducente. Fare lo scrittore e non scrivere non sono due cose che vanno esattamente d'accordo. E' probabilmente il peggior cliente che una casa editrice possa avere. Il suo editor, Balthazar, lo odia, ma non può di certo biasimarlo.

Oltre questo, il non scrivere è abbinato ad un carattere terribilmente cupo e a tratti decadente, con disturbi mentali di vario genere, una leggera fissa per il tè delle cinque e per i libri ben scritti. Il tutto impacchettato in un corpo dalla pelle chiara, ossa scricchiolanti e capelli corvini che adorano andare in tutte le direzioni fuorché quella desiderata.

Non esce di casa da un po'. Da un bel po', ad essere sinceri. Ha convinto Balthazar di aver bisogno di spazio e tempo per scrivere. Oltre a dargli del vampiro con una leggera alzata di spalle, non si è lamentato troppo. Ma la verità è un'altra; A casa sua, le notti, sono sempre piuttosto silenziose. Sono fredde, distanti e simili a lui. Forse per questo adora la notte. Sente una certa affinità con essa, con il freddo che è sempre stato il comun denominatore caratterizzante il suo nome, quando si parlava di lui a casa o a scuola. Era circondato da una freddezza così palpabile da raggelare le ossa di chi gli parlava. Ma Castiel, nelle ultime notti, ha sentito caldo.

C'è un ragazzo. Numero nove di Tottenham Road, nella casa affianco alla propria. Il numero nove è sfitto da secoli, ovvero da quando era morto un certo signor Barnes, che ci abitava. Sul cornicione, ormai, c'era un fila di nidi di Rondine e la natura ne stava lentamente prendendo possesso.

E c'era questo ragazzo.

Castiel crede che la notte non dorma. E, a volte, nelle sue notti solitarie accoccolato tra libri e fogli, vedeva una luce accendersi e fare capolino tra le sue finestre, aggiungendosi come un intrusa tra quelle dei lampioni.

 

Tutto iniziò quella notte; la luce era accesa. Castiel si alzò pigramente e trascinò le proprie gambe fino alla finestra dalle tende bianche, lasciando che gli accarezzassero leggermente il viso. Studiò la facciata del numero nove con attenzione e scorse qualcosa. O meglio: Qualcuno.

La luce proveniva dalla finestra più vicina a quella del suo salotto. Era leggermente più in basso e aveva gli infissi di legno scuro con robuste persiane che permettevano a Castiel di vedere l'interno di una piccola cucina estremamente luminosa e calda.

Da sotto un bancone spuntarono una leggera brezza di capelli castani e due occhi grandi e verdi con una non-so-che nota di estrema dolcezza.

Si alzò lentamente da sotto il bancone tirando fuori un qualche attrezzo da cucina. Era una plastica bianca semi-trasparente con un beccuccio che la chiudeva a cono in un angolo. Le mani del ragazzo la maneggiavano con cura, si muovevano con grazia in tutto lo spazio ristretto della cucina come se fossero nate per essere usate in quel modo. Cucinava. Non riuscì a capire che cosa, ma lo faceva dannatamente bene e il suo cuore sobbalzò leggermente. Cercò di ignorarlo.

Sfornò delle mini-torte. O almeno, così decise di chiamarle lui. Avevano della crema colorata e soffice sopra ed erano circondate da della carta decorata. Non aveva la minima idea di che cosa potessero essere. Come già è stato detto, non era un tipo che usciva molto o che aveva contatti con il lontano “mondo esterno”. Torte o non torte non smise neanche un secondo di osservare.

Balenò nella sua testa il rischio di poter apparire come un pazzo stalker maniaco. D'altronde non era affacciato da quasi un'ora alla finestra ad osservare il proprio vicino di casa con il suo classico sguardo da omicidio in pigiama e pantofoline. Stava per allontanarsi ma qualcosa glielo impedì e decise di aprire la finestra. Fu allora che lo sentì. Mele. Cannella forse? Era dolce e familiare. Ricordava di canzoni lontane, di carezze e di casa. Castiel, chiudendo gli occhi, ne fu pervaso. Con il naso perso all'insù nel cercare di decifrare l'odore incontrò due occhi verde prato dritti nei suoi con una, guarda-un-pò, nota di terrore.

Merda.

Merda, merda, merda. Okay. Il casino era combinato. Non poté pensare ad altro. Continuarono a fissarsi. Forse troppo. Okay, era decisamente troppo. Indietreggiò di un passo e, senza distaccare lo sguardo, chiuse la finestra e tirò le tende con movimenti secchi e meccanici. Come pietrificato.

Fece in tempo a sentire un “Hey” sommesso in lontananza ma non riuscì a fare altro che accucciarsi sotto le lunghe tende della sala e rimanere in rigida osservazione. Pensò dopo che il piano terra forse non era il luogo migliore per mettersi in posizione fetale ad osservare sconosciuti. Chiunque può raggiungere un piano terra. Forse tutti quei film Horror con la gente che scappa al piano di sopra non hanno del tutto torto. Era un'ombra. Riusciva a vederne la sagoma attraverso le tende bianche. Fantastico.

Con la mano titubante spostò la tenda. Il ragazzo picchiettava insistentemente le dita sul vetro con lo sguardo di qualcuno che era appena stato colto in flagrante. Perchè lo sguardo preoccupato?

Si alzò dal bozzolo che era diventato e osservò due enormi occhi verdi, un viso ricoperto di farina che nascondeva uno spruzzo di lentiggini chiare e ancora quel calore e quella dolcezza.

La sua bocca mimò un “apri” e , pervaso dal calore, lo assecondò.

 

°

 

Dean fa il barista a tempo perso nella Roadhouse. Un vecchio bar di quella, ormai fatiscente, interstatale che porta a Sioux City. Ellen, la proprietaria, ogni primo venerdì del mese, si assicura di aggiungere al banchetto dei dolci la sua famosa pie di mele e Dean non aspetta che altro. Ed è alla pie che lo sta aspettando il giorno dopo che pensa mentre pulisce i tavoli del locale togliendo i pochi residui di un tranquillo e alquanto blando giovedì sera.

 

« Che stai cantando yankee? » Gli domandò Ellen, stringendo gli occhi con sguardo interrogativo.

« Mmh? Cherry pie » Disse soddisfatto.

 

Silenzio.

Lo sguardo interrogativo va stringendosi ancora di più sul suo viso.

 

« Hellen. Gli warrant! »

 

« Non ho idea di che cosa siano. Ma sono felice che tu stia già pensando alla torta di domani mentre hai ancora i piatti da lavare »

 

« Pie, Ellen, PIE. Non torta, donna. »

 

« Hai bisogno che ti ricordi ancora dei piatti ragazzino? » Indicò con un cenno del capo il lavandino incrostato e pieno di piatti dietro di lei, mentre un sorrisetto divertito prendeva piede tra le sue guance.

 

Dean sorrise « Quando sarà il momento, forse. »

 

« Era quello che immaginavo. » disse Ellen tirando un profondo, ma intenzionale, sospiro «Su allora, levati di qui. » Gli fece un segno affettuoso con la mano mentre, dandogli le spalle, si diresse verso il lavandino. Ellen sentiva lo sguardo sorpreso del ragazzo perforargli il cranio.

 

« Su, che stai aspettando? Nel caso non lo avessi ancora capito ti sto concedendo di uscire prima. Approfittane finchè puoi perchè non accadrà una seconda volta, caro mio. »

 

Dean si sbottonò il più velocemente possibile il grembiule nero che gli pizzicava il collo da ore, appallottolandolo di lato. «Ti adoro. »

 

« Si si, ora smamma. » disse indicando la porta con il pollice.

 

Ripose il grembiule, così come lo aveva in-qualche-modo-piegato, sotto il bancone, prese la pesante giacca marrone appesa dietro la porta della cucina e corse via. Uscì sul portico e indossò la giacca sistemandosi infine il colletto, tirandolo leggermente con entrambe le mani. Dalla strada arrivava un vento gelido che lo fece rabbrividire. Portò le mani in tasca e, stringendosi nelle spalle, si avviò verso la macchina.

E' l'una di notte - posso farcela - pensò. Domani è il suo unico giorno libero e avrebbe potuto permettersi di passare una nottata in bianco, del resto Sam sarebbe tornato con il camion dei traslochi solamente tra due o al massimo tre giorni, non poteva non approfittarne. Odia dover fare le cose di nascosto e forse un giorno lo dirà a Sam, forse, prima o poi. Sicuramente più poi che prima.

Spesso ripete a se stesso che avere una passione per la cucina e per i dolci non è poi cosa di cui vergognarsi ma, Dean Winchester, un ragazzo dall'aspetto duro, il fisico da falso atletico e un costante ghigno sul viso che trasuda sarcasmo da tutti i pori, non è, di certo, il tipo di persona che ti aspetteresti indossare un grembiulino a fiori mentre canticchia davanti ai fornelli qualche vecchia canzone Folk. Gli mancherebbe solo una poltroncina scricchiolante su cui lavorare sciarpe ai ferri ed eccola lì: una perfetta massaia settantenne. No, Dean non poteva permetterselo.

Quando lui e Sam abitavano ancora col padre a Kansas City, era solito, la notte quando non poteva essere visto, sgattaiolare nella vecchia e fatiscente cucina, con i pochi strumenti che era riuscito a recuperare, a cucinare. La signora Missouri, proprietaria del piccolo caffè dietro casa, aveva preso l'abitudine di comprare a buon prezzo le creazioni di Dean per venderle all'interno del suo locale come accompagnamento a caffè e cappuccini vari. Avevano stretto un piccolo patto che andava avanti da anni, ed entrambi tennero nascosto il segreto senza proferire parola ad alcuno.

Dal trasferimento in rare occasioni aveva potuto mettersi ai fornelli, tra Roadhouse e officina di Bobby il suo tempo scarseggiava sempre di più e lui non aspettava che una pausa per poter cucinare. Dall'arrivo di Sam in avanti il suo tempo sarebbe stato occupato da scatoloni e scartoffie burocratiche tra le quali non aveva assolutamente voglia di mettere il naso, ma se quello era l'unico modo per permettere a Sam una vita normale ed il ricordo di papà lontano da qui allora a Dean andava più che bene.

 

Dopo questa lunga scia di pensieri parcheggiò finalmente l'auto davanti a casa e, con un profondo sospiro, si avviò verso quel portone di legno scuro, bisognoso di una sistemata, che era l'ingresso.

Con fatica e imprecazioni di vario genere riuscì effettivamente ad aprire la porta e, con altrettanta fatica, a chiuderla dietro di se. La casa era ancora spoglia ed i pochi mobili presenti erano ricoperti da grandi teloni bianchi impolverati. Dean aveva fin'ora utilizzato solo la cucina, la camera ed il bagno che erano, probabilmente, gli unici angoli puliti della casa.

Dopo essersi tolto la giacca e averla riposta nell'armadio accese il camino con i ceppi che aveva tagliato il giorno prima da Bobby, posizionandoli ordinatamente uno sopra l'altro. Scaldatosi le mani sul fuoco e tolte le scarpe si tirò su, arrotolandole, le maniche della maglietta e si diresse verso l'adorata cucina. Prese l'unico libro presente sulla mensola, scelse la sua ricetta preferita, cupcakes alle mele e cannella, e si mise al lavoro.

Dopo mezz'oretta la base era già pronta e l'odore aveva ormai riempito tutta la casa. I suoi vestiti e le sue mani profumavano di cannella ed erano completamente ricoperti di farina. Ormai freddati si preparò quindi a decorarli. Prese la sac à poche da sotto il bancone e la riempì di crema che iniziò quindi a distribuire, formando dei piccoli fiori colorati, sull'estremità del dolce. Arrivato al quinto cupcake alzò leggermente lo sguardo nel tentativo di scostarsi un ciuffo di capelli che gli solleticava leggermente la fronte e fu allora che vide un ragazzo.

Era affacciato alla finestra dell'ordinata casa dagli infissi bianchi accanto alla sua, il tipo di casa che Dean avrebbe sicuramente definito come “ospizio per anziane gattare single” e non di certo la casa di un ragazzo sulla trentina. Si avvicinò alla finestra lentamente e notò che dalla casa non proveniva fumo e che, lo sconosciuto, se ne stava con la finestra aperta, un sottile pigiama a mezze maniche ed il naso per aria in mezzo alla, di-certo-non-calda, brezza dei primi di dicembre. - Come poteva con un gelo simile starsene lì impalato a farsi gelare il culo? - Lo osservò più attentamente e i suoi pensieri presero la direzione opposta: notò in lui l'eleganza degli intellettuali. Aveva mani sottili e pelle bianchissima che faceva contrasto con i suoi capelli neri ed i lineamenti spigolosi del naso e della mascella. Era statuario ed il suo solo aspetto dava l'idea di una persona fuori dal comune. I suoi pensieri si calmarono momentaneamente e lo stomaco di Dean fece una strana capriola. Si sfregò la nuca con entrambe le mani, borbottando tra se e se – ho bisogno di uscire più spesso. Alcol. Alcol e donne Dean - e, con sguardo ancora perso, tornò ai cupcakes. Arrivò a farne solamente altri due quando voltò di nuovo lo sguardo alla finestra mosso dalla curiosità che lo stava divorando.

Fu allora che incontrò gli occhi di lui. Merda, era stato visto. Come un coglione. Mancava solo il dannato grembiulino a fiori per completare il quadretto delle figure di merda con i nuovi vicini di casa. Della serie “Cucino cupcakes nel bel mezzo della notte mentre guardo filmetti romantici e, come se non bastasse ad intaccare la mia mascolinità, fisso sconosciuti che non trovo in-alcun-modo attraenti”. Non aveva pensato all'eventualità che, forse, lo sconosciuto che all'una di notte era sveglio tanto quanto lui ad osservare le stelle o chissà che cosa potesse vederlo. Dean era stato beccato.

Continuarono a fissarsi, a lungo. Dean sentiva l'imbarazzo riempire le sue guance ed arrivare ad arrossargli le orecchie come fottuti vulcani. I suoi occhi erano tristi, volti all'ingiù in quel modo, pieni di sorpresa e rammarico ma di un blu che Dean non aveva mai visto prima.

Fece giusto in tempo ad aprire la finestra e ad urlare un “Ehy” per vedere il ragazzo dai capelli neri chiudere velocemente la finestra con una velocità a dir poco impressionante.

Non impiegò molto ad uscire per precipitarsi nel cortile della casa affianco. Sbirciando dalla finestra trovò, sotto le soffici tende bianche del salotto, un fagottino di capelli neri e spettinati. - Okay, questo è uno strano – fu la prima cosa che gli venne in mente. Si guardò intorno: La casa era, almeno da quello che riusciva a vedere dalla finestra, un cumulo di fogli, polvere e coperte. C'erano mucchi di libri ammassati qua e là a formare tante piccole torrette e, il singolo e unico divano, era sommerso da diversi strati di coperte con sopra delle, piuttosto precarie, pile di fogli bianchi. Sembrava lo studio di un qualche scrittore pazzo che non vede mai la luce del sole più che un salotto, ma niente gli impediva di pensare che non potesse esserlo per davvero. - Ecco. Ci mancava solo il vicino di casa fuori di testa -. Ma lì fuori si gelava tanto quanto sospettava ed uscire senza una giacca e con addosso solo una maglietta dei Led Zeppelin di cotone sottile di certo non era stata una grande idea. Mentre con una mano cercò di riscaldarsi con l'altra picchiettò ripetutamente sul vetro nel tentativo di farsi aprire per poter, al più presto, dare una qualche tipo di spiegazione.

   
 
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