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Autore: Lumos and Nox    26/12/2015    9 recensioni
In ogni dannato luogo del mondo c'è un lato negativo. È un dato di fatto. C'è gente capace di lamentarsi perfino in una villa piena d'oro e d'argento, gente che di sicuro sprecherebbe il proprio tempo in Paradiso a frignare per le nuvole troppo bianche o per i cori angelici troppo dolci. Certo, lei non si avvicina nemmeno a quei livelli (basti pensare al piccolo particolare grazie al quale mai e poi mai potrà anche solo sognare il Paradiso), ma ha sempre avuto un certo talento- ed ha sempre provato un certo piacere- nel trovare e sottolineare il lato negativo del luogo dove vive.
Il fatto è che, all'Isola che non c'è, esistono solo quelli.

[pre!Hook | inserimento di un personaggio originale | contenuti forti]
Cosa potrebbe aver portato il Capitano a scegliere di rapire i pargoli del suo avversario?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Sentimenti



In ogni dannato luogo del mondo c'è un lato negativo. È un dato di fatto. C'è gente capace di lamentarsi perfino in una villa piena d'oro e d'argento, gente che di sicuro sprecherebbe il proprio tempo in Paradiso a frignare per le nuvole troppo bianche o per i cori angelici troppo dolci. Certo, lei non si avvicina nemmeno a quei livelli (basti pensare al piccolo particolare grazie al quale mai e poi mai potrà anche solo sognare il Paradiso), ma ha sempre avuto un certo talento- ed ha sempre provato un certo piacere- nel trovare e sottolineare il lato negativo del luogo dove vive.
Il fatto è che, all'Isola che non c'è, esistono solo quelli.
Ce ne sono infiniti che potrebbe elencare. Potrebbe essere la sabbia che il vento porta ovunque nel porto dei pirati- è sicuro alleato di quel maledetto Pan- e che si infila ovunque nei suoi capelli e vestiti, perfino tra le dita dei piedi. E non può nemmeno sfilarseli, quei vestiti, se non vuole attirare troppa attenzione da parte di una ciurma di pirati costantemente arrapati.
E poi c'è il tempo, quasi sempre cocente, con quel sole che brucia come un dannato fuoco ardente sulla sua testa. Ma in alcuni momenti, senza un'effettiva logica, il tempo diventa d'un tratto gelido, con il sole che si ripara dietro le nuvole ed un vento che fa capolino al suo posto, insinuandosi ovunque e facendola tremare.
Odia l'Isola che non c'è.
La odia, la odia, la odia.
Tra i suoi lati negativi, poi, c'è la gente che la abita. Indiani nascosti tra le fronde e sirene tra le onde, e pirati, di cui dovrebbe far parte. Odia anche loro, a dire il vero.
È nata e cresciuta in quella maledettissima, inutile, isola, ma non riesce ad abituarsi a nulla e si sente fuori posto, si sente marcire in un luogo in cui la sua importanza, la sua presenza di persona, è pari a zero.
Non sa neppure se ha un vero e proprio effettivo nome, ma a nessuno sembra importare troppo; è solo l'ennesimo frutto di una notte di sesso tra un pirata ed una sgualdrina del porto e il fatto che il pirata in questione sia Giacomo Uncino alla fine non conta quasi niente. Uncino è un uomo, ed è anche un uomo importante, le sventolone della baia bramano le sue attenzioni e di conseguenza lei non è di certo la prima, né l'ultima a poter essere riconducibile alla grande stirpe del grande Capitano.
Non crede di averci manco mai parlato, col grande Capitano, né con l'altra sua beneamata genitrice, che, non appena lei ha raggiunto un'età tale da prendere conoscenza di chi fosse il genitore maschile e da apprendere i rudimenti della lettura- tutti i figli di Uncino devono avere quella superiore conoscenza, per dimostrare il loro alto lignaggio, ha avuto la buona creanza di sparire dalla sua vita. Perché all'Isola che non c'è, è cosa comune che loro, che i pirati, ignorino o temino i bambini, dato che fanno in maggioranza parte dei mocciosi sperduti: e di conseguenza ai pochi nati tra i pirati è richiesto cortesemente, impugnando una spada contro di loro, di far finta di non esistere o di crescere molto, molto in fretta, adeguandosi alla massa indistinta di pirati adulti e di sgualdrine adulte che occupano quel lato dell'isola. D'altronde, lo stesso grande Capitano Uncino ha stradetto e straripetuto di non essere mai stato amato dai bambini e di non poterlo mai, mai essere- a quanto pare il voler conoscere i propri, di bambini, è un fatto relativamente scontato.
Anche questo lato potrebbe essere inserito nella lista dei lati negativi, oltremodo insopportabili, di quella dannata isola. Dovrebbe ringraziare sua madre e suo padre di averla messa al mondo, quando il mondo in questione è questo? Senza nemmeno la grazia di un vero nome, destinata a seguire le disgraziate che si dilettano tra i pirati nella speranza di accumulare un poco d'oro?
Questo no, questo proprio no. Ha indossato un paio di brache e si è tagliata i capelli tanto che non le toccavano nemmeno le spalle, ed ha indossato una bandana da uomo e masticato tabacco. È diventata un pirata, e non per sua scelta, ma per sfuggire ad un destino di donne morte in una camera da letto o in un vicolo di strada, soffocate dalle loro risatine o da troppo lavoro in un sol giorno- è anche questo ciò che odia di quell'isola, non avere mai, mai, la possibilità di scegliere veramente qualcosa, nemmeno il nome.
Devono starsene lì in quella baia, tutti i pirati, a tenersi pronti, tra un'ubriacata e l'altra, per scontrarsi contro i mocciosi sperduti, contro quella massa di bambini che le hanno rubato la possibilità della propria infanzia. Lo sa che avrebbe potuto avere altro ed anche di meglio, lo ha letto nei libri che ha rubato dalla cabina del grande Capitano, da libri dimenticati da tutti, e lo sa anche dopo aver osservato una volta, per un poco e ben nascosta, il popolo degli indiani, quei poveri orgogliosi, che, quando venivano catturati, quando gli altri ed anche.. ed anche lei erano costretti ad ucciderli, parlavano delle praterie verdi in cui da piccoli si erano rincorsi, e di un Grande Spirito il cui nome nella lingua dei pirati si poteva tradurre con Libertà.
Era da quegli indiani, che aveva cercato di non uccidere, non lei, quando li catturavano vivi per il divertimento del grande Capitano, era da quegli indiani e da quei libri dimenticati che lo aveva capito. Avrebbe potuto avere davvero di meglio nella sua infanzia, nella sua intere vita, ma deve stare lì a lottare, come tutti i pirati, contro quei Bambini, in attesa di un ritorno di quel maledetto Peter Pan, quel moccioso che il grande Capitano odia tanto e che vorrebbe uccidere più di quanto vorrebbe lui stesso vivere.
Quel marmocchio non arriverà mai, lei ne è certa. Non l'ha manco visto andarsene da quell'isola, è avvenuto prima ancora che lei nascesse, chissà quanti anni ancor prima... non tornerà, quel Pan, ma tutti i pirati devono combattere e lottare contro gli indiani e poi contro i mocciosi sperduti, lei compresa, dato che ora è un pirata, perché nessuno deve sapere che lei è una donna, così nessuno la sbatterà al muro con una mano dentro la gonna e la bocca sulla scollatura, costringendola a ridere per sussurri osceni e a morire lacerata per troppo, troppo...
Nessuno la costringerà ad eseguire ciò che fanno le altre donne. Lei è un pirata, anche se non sa combattere, anche se sa solo usare le pistole e poco la spada- si impara da soli, sull'Isola che non c'è, rubando a coloro che a fine giornata giacciono o morti o svenuti tra i vicoli bui del porto o ai confini della foresta- sono corpi morti mezzi sbranati, che a volte ancora sembrano muoversi, quando il vento è troppo forte.
Lei è un pirata, anche se non sa combattere. È resistita, fino a quel momento, è riuscita a sopravvivere, nascondendosi dietro a cespugli o sotto a corpi ancora freschi di morte, sparando da sopra agli alberi o da dietro altri pirati. Non è mai stata davvero coraggiosa e l'unica cosa che desidera è vivere, vivere nella speranza di poter trovare, un giorno, qualcosa di migliore, fuggendo, scappando, non le importa. Sa quando scappare, vede quando le cose si mettono troppo male e approfitta degli altri pirati che ancora lottano per dileguarsi in ritirata, cercando di non farsi troppo notare. Di solito le riesce bene.
Ma quella volta non funziona. Il caos così dispoticamente ben ordinato dell'Isola ha la meglio.
Si allontana dal campo di battaglia appena scorge Rufio, il capo dei mocciosi sperduti, farsi troppo vicino, ma fugge in modo troppo frettoloso per non sembrare un pirata disertore. Non creerebbe, a dire il vero, neanche troppi intoppi come situazione, se non capitasse in lui.
Non riesce a visualizzare bene la situazione, ricorda che sta correndo, che il bosco fitto dell'Isola, con il sentiero che porta alla baia dei pirati, le sembra stranamente una cosa molto positiva; ricorda le urla degli altri pirati ed i colpi di spada e di pistola in lontananza, ricorda le foglie verdi degli alberi ed i raggi del sole che le riscaldano- compare sempre tanta vita, quando si sta per sfiorare la morte. Ricorda quello, quell'ultimo pensiero, prima di uno sparo più vicino degli altri, e di un dolore immenso, mai provato, che le squarcia la schiena, che la getta per terra di faccia, mentre le sue ossa, la spina dorsale, si frantuma, bagnando ogni cosa di sangue.
Le lacrime le inondano il viso tutto all'improvviso, perché dentro di lei si fa strada una consapevolezza che non ci sarà un domani e lei non vuole, non vuole morire, lei... lei rantola e tenta un paio di respiri che fuoriescono mozzati, mentre un paio di stivali neri entrano nel suo campo visivo, davanti ai suoi occhi.
Giacomo Uncino sta scuotendo la testa adorna di parrucca, e schiocca la lingua in segno di disapprovazione. «Orbene, giovane pirata, è così che onori il tuo capitano? Cercando di fuggire dalla battaglia mentre lui non guarda?»
Lo odia, lo odia, lo odia, più dell'Isola, più di qualsiasi essere vivente o meno che abbia camminato su quella terra. Cerca di parlare, ma finisce per ingoiare solo la terra su cui è caduta; e lo sente ridere, Uncino ride per qualcosa che ha detto un'altra voce, probabilmente Spugna, probabilmente verso la sua destra.
Sente il sangue che corre fuori da lei insieme alla sua vita e ne vomita altro, a grumi, quando si gira con uno scatto, crollando con la schiena sull'erba. È per un attimo accecata dal sole e lucette di mille colori le danzano davanti agli occhi, facendole girare tanto la testa che non riesce ben a capire dove si trovi esattamente il cielo.
Sente qualcuno sfilarle la bandana, sente i capelli che avrebbe dovuto tagliare l'indomani crollarle sulle spalle insieme ad una pagina che aveva strappato da uno dei libri rubati.
«È una donna, Capitano!» esclama sorpreso Spugna, mentre forse cerca di intascarsi la bandana.
Sente il respiro pesante di Giacomo Uncino sul suo volto, mentre lui raccoglie la pagina e sente il suo uncino strisciarle accanto, proprio appena sopra l'occhio destro.
«Sembra, quindi, mio fidato Spugna, che codesta ragazza appartenga alla mia progenie, dato che or ora noto il possedimento di un tale foglio da lettura. Interessante, davvero, mia cara».
Sente il sangue uscirle di nuovo dalla bocca mentre sente il gran genitore Capitano arrivare a chinarsi dall'alto, verso di lei, per fissarla negli occhi. «Che cos'hai dunque da dire a tua discolpa al tuo capitano nonché padre, prima che la morte t'avvolga completamente?»
«Non...» la gola brucia come fuoco. «Non m-mio padre».
«Come? Neghi forse la parentela con il grande Uncino, donna?»
«La ragazza deve essere pazza, Capitano, su, non prendetela troppo sul serio e lasciatela alla sua fine. D'altronde, anche solo il fingersi un pirata, un uomo, per battersi con i mocciosi di Pan...»
La gola le sembra spezzarsi quando prova a parlare ancora. «Pan non tornerà. L-lui non tornerà mai, è in un altro mondo e i-i pirati, Uncino, non sono più nulla per lui. E Voi, c-che fingete di essere padre, n-non siete amato da nes-suno...» un altro rantolo le mozza la frase. «Ne-ssuno, bambino o figlio, Vi potrà m-mai amare. Ed invece forse Pan ora ha una fa-famiglia».
Il grande Capitano spalanca la bocca inorridito e questo basta a farla sorridere, prima che ogni cosa cominci a divenire prima sfocata, e poi sempre più bianca, sempre più candida.
Un nuovo colpo di pistola del Capitano va ad infliggersi senza alcun effetto devastante su un nuovo corpo morto, che quel giorno è il suo.
Ma a lei non importa, ora. È tutto finito. In ogni dannato luogo del mondo c'è un lato negativo. È un dato di fatto.
Il fatto è che, all'Isola che non c'è, esistono solo quelli. Una lista infinita.
Ma la morte, quando lì avviene, non potrebbe essere più splendida.
È mentre si libra che quell'anima, prima imprigionata in un mondo sbagliato, riesce a trovare la pace, con un nuovo inizio e, finalmente, con un vero nome solo per sé.
Non è un pirata, non è una futura sgualdrina, non è un frutto di una notte di piaceri tra una di quelle suddette sgualdrine e il grande capitano Uncino. È solo lei.
Ed in quel momento, e da allora in poi, lei è Ipa, lo spirito libero, la Libertà di cui tanto parlavano gli indiani quando venivano catturati e torturati ed uccisi con un sorriso.
Lei è Ipa.
Ed Ipa volteggia e scivola via da quell'Isola, senza nemmeno voltarsi un'ultima volta a guardarla. Vola via, verso una nuova avventura.

Anche quel giorno, come sempre, è solito volgere al termine. Giacomo Uncino passeggia lentamente a prua, fumando distratto. Gli avvenimenti di quel pomeriggio hanno portato sentimenti insoliti nel suo animo e questo non gli aggrada per nulla.
Quella ragazza che ha riconosciuto come appartenente alla sua progenie- ricorda vagamente che Carlotta, la bionda donna dalle graziose gote di cipria rossa, gli aveva accennato anni prima di aspettare un erede... O forse era stata Elisabetta? O Monique?
Non lo ricorda, ma tutto sommato non è quello l'importante. Quello che disturba il suo regal pensare è il fatto che quella ragazza, quella sua figlia, abbia cercato di rompere il delicato equilibrio dell'Isola. Forse lo aveva fatto poiché odiava questo luogo quanto lui... Uncino odia l'Isola che non c'è. La odia, la odia, la odia.
Ed è per questo che ha suddiviso la popolazione dei pirati in modo tanto preciso: uomini a combattere, portando morte, donne ad arrecare piacere agli uomini. E lei ha tentato di rovesciare con il caos quel unico equilibrio che è riuscito a fatica ad instaurare nell'Isola.
Ma non è questo il peggio. Ciò che gli brucia dentro, che gli fa stringere i denti e che già gli ha fatto pianificare due differenti suicidi quel giorno, è l'osservazione della ragazza su Pan.
Pan non tornerà, ha osato dire. Ed Uncino sa che significa, significa che, se lui non tornerà, tutto ciò che ha preparato e costruito lui nel corso della sua miseranda vita in quella dannata Isola non varrà a nulla.
Pan è nell'altro mondo, è vero, e sta vivendo e respirando anche in quell'esatto momento, nel correttissimo istante in cui lui, in cui Uncino, si sta torturando con quel pensiero. E potrebbe avere persino una famiglia, dato che è certamente cresciuto... potrebbe avere una maledetta famiglia che lo ama in modo così disgustosamente vero, con dei figli, magari.
Si arriccia i baffi con una mano. Lo saprà presto, ha mandato Spugna nell'altro mondo, nella casa di Wendy, a Londra, a controllare. E quando il mozzo ritornerà, lui prenderà provvedimenti: farà rapire quei figlioletti e li porterà lì nell'Isola. Li amerà davvero, come la ragazza ha detto, da venire a riprenderseli?
È certo che lo farà, Uncino, e lo è grazie ad una semplice considerazione. Lui e Pan sono sempre stati valorosi avversari, ma opposti in ogni loro singola sfaccettatura. La ragazza, sua figlia, ha detto che mai alcun bambino o figlio potrà amare Uncino e ciò significa che Pan ha l'amore incondizionato dei suoi bambini. Un amore che il capitano amerà distruggere insieme al suo avversario, non appena tornerà lì nell'Isola, adempiendo finalmente allo scopo della sua vita.
Sorride e si appoggia al parapetto della nave, che da sui boschi dove si è combattuto quel pomeriggio. La sua mente torna stranamente al corpo della ragazza, che ha fatto nascondere da Spugna e da alcuni fedelissimi in una grotta conosciuta a pochi, così che nessuno abbia il pensiero di seguire il suo esempio. Dovrebbe quasi ringraziare quella sua figlia, pensa, e per un attimo la immagina lì sulla nave, ad amarlo e ad apprezzarlo, mentre i figli di Pan disconoscono il suo avversario come padre e glielo consegnano.
Prolunga ancora un poco quell'attimo, e la immagina ridere con lui mentre il corpo di Pan giace senza vita lì sul ponte, e se la immagina abbracciarlo e cercare il suo affetto.
È un pensiero ben strano, troppo inusuale nella sua testa. Lo scaccia via scuotendosi e provocando le risatine di alcune donne appostate nelle vicinanze della nave. Le saluta con un singolo gesto della mano- altre risatine con annesso di urletti eccitati- e ritorna nella sua cabina.
Avrebbe potuto accoglierla, quella ragazza, e, chissà, magari con lei anche altri suoi figli- è sicuro che la sua progenie conti almeno altri tre elementi, lì nella baia- ma lui è Uncino. L'opposto di Pan.
Pensa alla distruzione del suo nemico, alla sua spada che lo trapassa e alla smorfia di stupore che per sempre rimarrà impressa in quel viso tanto detestabile.
Si siede sulla sua poltrona con un sospiro soddisfatto. Sarà una guerra magnifica e gloriosa ed è questo il suo unico obbiettivo e volere, anche se per un attimo, per un ultimo momento, come un rozio fastidioso di una mosca, l'immagine del corpo di quella ragazza, abbandonato senza vita nella grotta, ritorna nella sua testa. La scaccia deciso.
Uncino non prova rimorso. Solo eccitazione per l'imminente guerra o paura per morte che potrebbe inseguirlo.
Non rimorso.
Il sorriso della ragazza, di sua figlia, avrebbe potuto essere solo e per sempre per lui...
Mai rimorso.





N.d.A.: Ipa in lingua dakota significa "libertà", "persona libera da ogni minaccia". Nel popolo indiano, il diritto della libertà è sempre stato fondamentale e proprio per questo motivo gli scontri con i coloni americani si sono svolti in maniera spesso molto aspra.
Nel nostro caso, la ragazza prende ispirazione dall'ideale degli indiani che i pirati catturavano per creare una propria identità.
  
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