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Autore: shanna_b    09/03/2009    24 recensioni
Una data. Un compleanno. Un uomo. Un amore impossibile. Un incontro che è già un addio…
Dedicata a Shannon nel giorno del suo compleanno e per ogni compleanno a venire: AUGURI!!! ;-)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9 Marzo 2035

           

 

Consulto la cartina.

Poi impartisco ordini al taxista.

“Al prossimo incrocio giri a destra.” Il taxista esegue. “Vada avanti cento metri.”

Guardo il cartello sulla via e lo confronto con l’indirizzo che ho su un foglio: “Si fermi.”

Perfetto.

Ci siamo, sono arrivata.

“Aspetti qui, per favore.”

Il taxista cingalese annuisce, un po’ perplesso. Abbiamo sbagliato strada tre volte e forse non è convinto nemmeno adesso di avermi portato nel posto giusto.

Scendo, a fatica, con un fascio di rose rosse a gambo lungo strette al braccio destro. I fiori emanano un debole profumo e il cellophan trasparente rumoreggia sotto le mie dita.

Mi guardo un attimo intorno, poi mi avvio lentamente lungo il marciapiede, lungo il viale alberato, sostenendomi con una stampella al braccio sinistro.

Respiro profondamente ma non sono agitata, ho provato una specie di discorso centinaia di volte e poi non ho più l’età per vergognarmi di qualcosa.

Adesso non sono più né bella né brutta, ma solo vecchia, con le mie rughe e i capelli bianchi di ordinanza, e posso tranquillamente fare a meno di vergognarmi del mio aspetto come in passato, quando ero giovane e comunque non potevo competere in nessun modo con le brune di cui ti circondavi, modelle, attrici o zoccole che fossero.

Ora non me ne frega più nulla.

Ormai è troppo tardi per vergognarsi.

In realtà è troppo tardi per tutto.

I medici mi hanno dato al massimo due mesi di vita.

Quindi vuol dire che sono quasi morta.

Sono senza speranza.

Non che sia preoccupata.

Anzi.

Sono del parere che questo era il mio destino, non si scappa. Non ho paura della morte. Il mio percorso in questa dimensione l’ho fatto, ora devo solo cambiare dimensione, passare da un’altra parte, abbandonare il corpo fisico, e quindi sono ormai rassegnata, ma non abbattuta, anzi. E’ un periodo in cui, medicinali permettendo, faccio quello che mi piace e che non ho mai avuto il coraggio di fare prima. Sono totalmente e finalmente libera, come non sono mai stata.

Tant’è vero che oggi sono qui.

Devo fare quest’ultima cosa.

DEVO.

Ecco.

Sono arrivata davanti al selciato che conduce alla porta di casa tua.

Sono certa che è questa.

L’informazione mi è costata un occhio della testa, ma l’agenzia investigativa ha lavorato bene e nel giro di poco tempo  ho avuto il tuo indirizzo.

Seguo il sentiero lastricato in mezzo al giardino ben tenuto e alla fine salgo i pochi gradini del portico. Mi fermo un attimo a prendere fiato, mentre guardo i rampicanti ai lati della porta. Poi suono il campanello, non guardo nemmeno il nome.

So che sei qui e ci sei.

Dopo un attimo che mi pare eterno, mi apre la porta un ragazzo. Ha poco più di vent’anni e ti assomiglia: ha i tuoi occhi, ma i suoi lineamenti non sono del tutto occidentali. E’ ovvio, visto che hai sposato una donna di origini giapponesi, tanti anni fa. Mi domanda chi cerco, sorridendo, in modo gentile, mentre scruta la mia stampella, le rose e mi fissa incuriosito.

Saluto e gli chiedo se sei in casa, rispondendo al sorriso.

Risponde affermativamente. “Certo. Vuole accomodarsi, signora?”

Scuoto la testa: “No, grazie. Ho… il taxi che aspetta. Non posso farlo attendere.”

Il ragazzo mi sorride e si congeda: “D’accordo, come vuole. Glielo chiamo. Arrivederci.”

Lascia aperta la porta e rientra. Non mi muovo, ma sbircio un attimo dentro. E’ una casa normale, come tante lungo quella via, tutte bianche e di legno, semplici ed accoglienti. Vedo una piccola entrata, un salotto, dei vasi di fiori.

Poi vedo un’ombra arrivare lungo il corridoio.

E sei tu.

Compari sul portico, un po’ timidamente, mi pare.

E sei bellissimo.

Un colpo al cuore.

Sei invecchiato, certo, hai i capelli sale e pepe e la barba grigia, ma invecchi bene, come faceva Sean Connery.

Sei in blue jeans e felpa nera e sei tutto spettinato, come se ti fossi appena alzato, anche se è metà pomeriggio. Il tuo viso ha sempre la stessa espressione e i tuoi occhi hanno la stessa magia che ho visto in tante foto.

“Salve.” Mi dici, sorridendo, le rughe ai lati degli occhi che improvvisamente si evidenziano. “Desidera?”

Sorrido pure io.

Oddio, sono venticinque anni che aspetto questo momento.

Non credevo che sarebbe mai arrivato.

E invece ora sono qui, davanti a te.

Ti porgo le rose: “Buon compleanno, Shannon.”

Sobbalzi, sei sorpreso, prendi i fiori, tentennando un attimo, sì forse non è un regalo dei più adatti da fare ad un uomo, ma così mi sentivo. “G-grazie…”, mi dici e poi sorridi, proprio con quel tuo sorriso schietto e vero che ho sognato milioni di volte di vedere sul tuo viso, quando anche i tuoi occhi brillano. Non te l’aspettavi, vero? “Io… oddio… come lo sa del mio compleanno?”

Mi schernisco, ma non riesco a smettere di sorridere, sono contenta: “Lo so e… basta.”

Mangi subito la foglia, inarchi un sopracciglio e mi scruti: “Lei era una echelon?”

 “Non nel vero senso della parola, ma… boh…” E’ una domanda che non mi aspettavo, ad essere sincera. All’epoca non me la sentivo di far parte di quel gruppo, ma ai tuoi concerti sono sempre venuta. Quindi… non so se ero una echelon o no, forse sì, non lo so, davvero.  “Una fan dei 30 Seconds to Mars, diciamo…” Ma milioni di anni fa comunque, prima che vi scioglieste, prima che tuo fratello tornasse a fare l’attore e tu sparissi dalla circolazione.

Tanti anni fa…

Ma nonostante tutti questi anni trascorsi, io non ti ho mai scordato, Shannon.

MAI.

Ho pensato continuamente a te, mi sono chiesta migliaia di volte che fine avessi fatto, se fossi felice con tua moglie, se la tua vita avesse un senso anche senza i 30 Seconds To Mars.

“Grazie, erano anni che nessuno si ricordava di me.”

Sorrido ancora. Sì, lo immagino. Da un giorno all’altro diventi un perfetto sconosciuto o balzi sulle prime pagine dei giornali. “Di nulla.” Sposto la stampella, faccio per andare via, dicendo un debole “Arrivederci.”

“Aspetti, lei… tu… non sei americana, vero?”

Scuoto la testa: “No.”

“Europea?”

“Sì. Italiana.”

Mi guardi ad occhi spalancati: “E sei venuta fino a qui per… per il mio compleanno?”

Sorrido un po’ intimidita, ma convinta: “Sì.”

“Perché?”

Per tanti motivi, te ne dico uno: “Perchè… perchè mi andava di farlo. Io… io al tempo dei 30 Seconds to Mars non ti avevo mai visto da vicino, sono sempre stata sfortunata, e allora… beh, ho pensato che adesso fosse una buona occasione…” Prima di andare al creatore, sì. Una delle ultime cose che faccio prima di morire. Deglutisco un po’ imbarazzata e spero che tu non mi chieda di che occasione sto parlando, non saprei come dirtelo. Improvvisamente mi accorgo che questa cosa comincia a diventare difficile e straziante, non è così indolore come credevo.

“E’… è un pensiero molto gentile… Grazie ancora.” Indichi la porta dietro di te: “Vuoi entrare?”

“No, no. Devo andare.” Ho l’aereo tra due ore, la mia è una toccata e fuga, non sono qui per restare. “Devo proprio andare.”

“Ma un momento, dai…”

“Grazie comunque, ma no… davvero non posso.” Meglio di no. Mi sto commuovendo, in realtà, e rischierei di piangerti addosso. Perché poi…

Ti direi che ti ho amato e che ancora ti amo.

Ti direi che cosa sei e cosa sei stato per me.

Ti direi di come hai cambiato la mia vita, in peggio o meglio ancora non ho capito.

Ti direi di quante lacrime ho pianto perché non ti potevo avere.

Ti direi di quante fanfiction cretine ho scritto su di te solo per averti per un momento, nella mia mente.

Ti direi…

Insomma, rischierei di mettere a nudo la mia anima di fronte a te e non voglio.

NON VOGLIO.

E’ passato troppo tempo.

Non ha più senso.

“Addio, Shannon.” Ti porgo la mano destra e tu me la stringi.

“Addio…” lasci la frase in sospeso. “Ma… come ti chiami?”

Te lo dico, e tu aggiungi il mio nome alla parola ‘Addio’.

Ho sempre odiato quel nome che mi ha dato mia mamma tanti anni fa, ma detto da te ha tutto un altro suono, sembra quasi bello. Peccato sentirtelo dire una volta soltanto.

Ti giro le spalle e inizio a scendere piano i gradini, arrivo in strada e comincio a camminare di nuovo lungo il viale, verso il taxi. Mi giro un attimo per guardarti. Sei ancora sul portico e mi saluti alzando la mano. Ricambio, sorridendo, e poi non mi giro più.

Addio, Shannon.

Ho chiuso una porta, e nessuna lama di luce passa da sotto…

Ho messo la parola fine, il libro è finito…

Ho tirato le somme, e tutti i conti tornano…

Ho scritto i titoli di coda, il film è terminato…

Ma fa un male cane.

Risalgo in taxi.

“All’aeroporto.”

Addio, Shannon.

Addio.

E buon compleanno…









   
 
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