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Autore: Beckill    27/12/2015    3 recensioni
[...] "Occhi chiarissimi, quasi grigi. Gli occhi più strani che avesse visto. Non l’aveva mai vista in ospedale, il che era tutto dire, considerando che ormai aveva completato tutta la tessera fedeltà a punti del pronto soccorso. Ancora un braccio rotto e avrebbe potuto portarsi a casa la batteria di pentole Mondialcasa con Mastrota incluso."
Questa one-shot partecipa al "The AU Theory Contest - La teoria dei multiversi", indetto da Uzumaki_Devil_Dario sul forum di EFP!
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Itachi, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Superman.
 
 
Hyuga Hinata amava il suo lavoro. Hyuga Hinata adorava il suo lavoro. Hyuga Hinata viveva per il suo lavoro.
 
Chiunque fosse mai stato a contatto con la giovane ragazza non avrebbe potuto fare a meno di notare con quanto amore e premura si prendesse cura di tutte le persone che, loro malgrado, si trovavano tra i corridoi bianchi dell’Ospedale della Sacra Foglia.
 
Eppure dopo un turno di dodici-diventate-sedici ore chiunque avrebbe iniziato a sentire la stanchezza. Hyuga Hinata compresa.
 
Forse era questo uno dei motivi per cui nessuno se la sentiva di svegliare quella piccola figura addormentata e vestita di azzurro, curva sulla scrivania dello spogliatoio, la testa appoggiata al braccio pallido, mentre l’altra mano giaceva rilassata accanto a quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme libro sul sistema circolatorio.
 
Certo, nessuno avrebbe osato svegliare quel piccolo angelo dai capelli mori.
 
«Hyuga, svegliati»
 
Nessuno tranne dottor cuordipietra Uchiha, ovvio.
 
Grandi occhi pallidi aprirono piano le palpebre pesanti. La prima cosa che Hinata poté vedere, non appena fu in grado di mettere a fuoco qualcosa, furono le candide scarpe da ospedale di un ragazzo, anzi un uomo.
 
Hinata si drizzò, piano, grattando la guancia formicolante che finora era stata appoggiata al braccio e alzando con calma lo sguardo decisamente assonato.
 
Incontrò quello freddo e decisamente seccato di un giovane uomo, uno stetoscopio al collo e un’ordinatissima serie di penne nel taschino del camice immacolato.
 
Rendendosi conto all’istante di chi esattamente si trovasse davanti a lei, Hinata raddrizzò di scatto la schiena, sbattendo il gomito contro la scrivania.
 
«Itach-dottor Uchiha! S-stavo leggendo e devo essermi appisolata un attimo!» esclamò la ragazza, incespicando nelle parole e con una certa agitazione.
 
Dio, quanto ho dormito? Pensò la giovane, cercando con sguardo frenetico un qualsiasi orologio che potesse darle una risposta.
 
Itachi Uchiha non era davvero senza cuore, sapeva bene cosa volesse dire essere specializzandi al primo anno, ma aveva riposto tante speranza in quella ragazzina. Hinata aveva finora dimostrato un grande talento e una notevole intuizione in quelle prime settimane in cui aveva potuto vederla all’opera e non poteva permetterle di mandare tutti i suoi sforzi in fumo abbassando la guardia.
 
Itachi guardò il viso della giovane, notando le occhiaie che le circondavano gli occhi grigi e i capelli scuri in disordine.
 
«A che ora devi smontare, Hyuga?» inquisì il medico, interrompendo qualsiasi cosa la ragazza stesse farfugliando.
 
«Ah – esitò Hinata, guardandosi con enorme interesse l’unghia del pollice destro – due ore fa, più o meno, volevo finire una cosa prima» rispose infine, esibendo un sorriso imbarazzato e le gote leggermente rosee.
 
Lo sguardo dell’uomo si ammorbidì, non notato dalla giovane.
 
«Beh, che ne dici allora di andare a ca-»
 
«Dottor Uchiha? – un’infermiera fece capolino dalla porta, interrompendo la frase dell’uomo - la cercano in pronto soccorso, è Sasuke» concluse, sorridendo compassionevole.
 
Itachi sospirò, passandosi una mano fra i capelli neri.
 
«Hyuga-» disse solo. Hinata capì al volo la silenziosa richiesta di assistenza del superiore.
 
Lei annuì.
 
«Non si preoccupi, faccio questa e poi me ne vado a casa» rispose poi e si avviò, raccogliendo i capelli in una coda bassa.
 
 
Non poteva crederci. Non. Poteva. Crederci.
 
Naruto Uzumaki continuava a ripetersi questa litania in mente, mentre una grossa nuvola nera sembrava uscire dalle sue orecchie.
 
Eppure lo sapeva che sarebbe andata a finire così. Lo sapeva.
 
Quando quella specie di vampiro del suo migliore amico usciva dal suo antro maledetto significava solo una cosa. Una sola. Guai. Grossi, enormi, grassi, ciclopici, gargantueschi guai.
 
Soprattutto per lui. Eh sì. Perché Sasuke Uchiha non poteva limitarsi ad appestare il mondo con la sua presenza figo bello fotomodello, precludendogli di poter godere anche lui di una qualsivoglia presenza femminile nella sua vita, le quali venivano attirate da lui come le mosche al miele. E tra le altre cose facendogli anche la beffa. Sì, perché quello stronzo succhiacaffè era pure asessuale.
 
Non poteva limitarsi a questo, no. Prima passava giorni e giorni rinchiuso nella sua caverna a dipingere cose strane con quell’altro suo compare Shisui. Poooi un bel giorno si sveglia e si sente in obbligo di trascinarlo fuori dal suo sfigato ma confortevole appartamento, dove probabilmente stava cercando di fare qualcosa di importantissimo della sua vita come ad esempio concludere la maratona di Tolkien, platinare God of War o altre cose di fondamentale importanza, per partire alla volta di qualche inutilissimo centro sportivo molto in, nel quale si sarebbe dovuto lanciare in qualsivoglia tipo di attività sportiva in cui lui era del tutto negato.
 
Ma non poteva mica rifiutare. Sasuke era il suo migliore amico da praticamente tutta la vita. Era praticamente suo fratello. Senza accennare al fatto che il maledetto possedesse una certa quantità di materiale pericolosamente imbarazzante, tra cui una foto dell’Uzumaki vestito da Pierrot ad una festa di Carnevale al liceo in cui, completamente ubriaco, si era addormentato tra le braccia di mister-tutinadiSpandex Rock Lee. Dettagli.
 
E quindi eccolo qui, Uzumaki Naruto. Alla sedicesima visita in ospedale nel giro di un anno, dopo una racchettata da tennis in testa e otto punti di sutura, un polso fratturato per caduta con lo snowboard, ginocchio lussato per scivolamento in piscina, naso incrinato causa pallonata a calcetto e tutta un’altra serie di infortuni sportivi che neanche in gita a Pamplona durante San Firmino ti facevi così male.
 
«Dobe, ti colerà il cervello dalle orecchie se continui così» la voce di Sasuke lo riscosse dai suoi pensieri omicidi.
 
Naruto spostò lo sguardo burrascoso sul ragazzo moro che stava appoggiato al muro, proprio di fronte alla sua scomodissima sedia modello Ikea “cristomadicosalefanno”.
 
Il suo tentativo di generare una saetta con gli occhi, anzi l’occhio, poiché l’altro era completamente rigonfio causa palla da baseball a centocinquanta chilometri orari nell’orbita, fu però interrotto da un qualcosa di soffice che gli si spiaccicò in faccia. Il qualcosa era una merendina farcita al cioccolato.
 
Guardò il suo “migliore amico” con l’occhio buono, il quale osservava con aria molto presa il neon della sala d’attesa, succhiando rumorosamente un succo di frutta.
 
Riguardò la merendina.
 
Ah, eccola qua, l’offerta di pace. Certo, una merendina gli sembrava un po’ poco dopo quella specie di proiettile impazzito nel bulbo oculare e conseguente caduta sgraziata con probabile trauma cranico.
 
Avrebbe voluto dirgliene quattro, tanto per divertirsi un po’ e per sbollire un po’ di incazzatura, dato che di solito era lui il punching ball dell’Uchiha quando quest’ultimo aveva il mestruo, il che accadeva spesso. Quindi tanto valeva approfittarne.
 
Ma non fece in tempo perché parlò prima lui.
 
«La prossima settimana andiamo a fare boxe» disse con noncuranza.
 
Naruto strabuzzò gli occhi, provando un improvviso desiderio di cacciargli la sua maledetta merendina giù per la gola ancora impacchettata.
 
Cos’è che voleva fare quel…quel…non aveva parole per definirlo.
 
«Certo come no! Così torno in ospedale, ma in una busta di plastica, dopo che quel pazzo del tuo allenatore mi avrà macinato come una polpetta! Sas’ke sei impazzito?!» urlò alzandosi di scatto e provocandosi una fitta alla testa.
 
Gemette, risedendosi e portando una mano al lato sinistro alla tempia.
 
Sasuke lo guardò e aprì la bocca per dire qualcosa ma venne interrotto da un’infermiera che proprio in quel momento entrò nella sala.
 
«Uzumaki, ambulatorio 3 prego, il dottor Uchiha è pronto a vederti» la donna consegnò loro un plico di fogli dell’accettazione e li indirizzò verso la stanza. Non che ce ne fosse bisogno. Ormai era di casa.
 
Naruto si incamminò brontolando.
 
Ottimo, un altro Uchiha! Pensò, spalancando la porta dell’ambulatorio.
 
«Okay, facciamo in fretta che devo finire di vedere The Amazing Spiderman per la sedicesima volta e poi piangere due ore per la morte dello zio Ben!» urlò entrando nella stanza, certo di vedere l’alta figura del fratello medico di Sasuke.
 
Si ritrovò a fissare due enormi occhi chiari, un grazioso viso a forma di cuore incorniciato da lunghi capelli scuri raccolti.
 
I due abbassarono lo sguardo simultaneamente, uno gemendo internamente e l’altra cercando di non svenire per l’improvvisa quantità di sangue che accorse verso le sue guance.
 
Decisamente, non è Itachi, pensò Naruto.
 
Si era appena sputtanato, così aggratis.
 
Come se questa giornata non potesse peggiorare, pensò ancora sedendosi sul lettino con aria contrita.
 
Non si accorse di Sasuke che lo seguì poco dopo, scuotendo la testa e mormorando “idiota”.
 
Il moro salutò la ragazza con un cenno della testa e un “hey” strascicato, subito ricambiato da Hinata, che nel frattempo aveva ripreso un colore accettabile. 
 
Questo attirò l’attenzione di Naruto.
 
La conosce? Qualcuno prima o poi dovrà spiegarmi come cavolo fa a conoscere tutte ste ragazze quando se ne sta sempre rinchiuso in quello studio, pensò il ragazzo guardando di sottecchi l’amico che nel frattempo si era seduto vicino alla finestra dell’ambulatorio.
 
Il tapino non poteva immaginare che i due si conoscessero grazie ad Itachi.
 
Naruto osservò meglio la ragazza. Era giovane, dai lineamenti delicati. Lisci capelli neri, talmente scuri che sembravano avere riflessi indaco. Gli occhi non poteva vederli chiaramente, messa com’era di fianco e intenta a preparare qualcosa sul tavolo. Eppure era impossibile non ricordarli, nonostante li avesse fissati per pochi secondi. Occhi chiarissimi, quasi grigi. Gli occhi più strani che avesse visto. Non l’aveva mai vista in ospedale, il che era tutto dire, considerando che ormai aveva completato tutta la tessera fedeltà a punti del pronto soccorso. Ancora un braccio rotto e avrebbe potuto portarsi a casa la batteria di pentole Mondialcasa con Mastrota incluso.
 
Eppure aveva qualcosa di familiare. L‘aveva già vista.
 
Ma dove? si chiese mentalmente Naruto.
 
Vide di nuovo il colore grigio dei suoi occhi e si rese conto che l’aveva beccato a fissare.
 
Abbassò la testa non notando il sorriso divertito e le gote rosee della ragazza e le allungò il plico di fogli, imbarazzato.
 
Merda.
 
 
Quando Itachi entrò nella stanza si ritrovò immerso in un’atmosfera a dir poco bizzarra.
 
Suo fratello minore pigiava sul cellulare con espressione distratta, mentre Hinata trafficava sulla scrivania nonostante ormai l’avesse messa talmente in ordine che mancava solo che ci rimettesse sopra il cellophane dell’Ikea.
 
Naruto fissava intentamente il lettino, con l’aria di uno che avrebbe voluto infilarsi sotto le mattonelle del pavimento e sparirci sotto, l’occhio sinistro violaceo e gonfio, una riga di sangue segnava la tempia.
 
«Dottor Uchiha, ecco qui i fogli del triage» disse Hinata, riportandolo alla realtà.
 
«Ah, certo – rispose, prendendo i fogli e sfogliandoli – dunque Naruto, cosa avete combinato questa volta?»
 
Naruto aprì la bocca per rispondere ma fu preceduto da Sasuke.
 
«Si è preso una palla da baseball in faccia e poi è caduto all’indietro come un grosso imbecille, sbattendo la testa sopra sasso» disse l’Uchiha minore.
 
Beh, ora si spiega il sangue, pensò Itachi.
 
«Oppure qualche maledetto di mia conoscenza non guarda dove batte quelle cavolo di palle oppure lo fa apposta. Vero che lo fai apposta, Sas’ke?! Chi sono, Superman? Che schiva i maledetti proiettili?!» protestò Naruto con forza, ma fu tenuto fermo dalla mano di Itachi che gli si posò sulla spalla.
 
«Superman?» chiese divertito Itachi.
 
«Sì, Superman! Hai presente? Clark Kent?» ringhiò Naruto, incorciando le braccia sul petto.
 
«Sta fermo superman, fammi vedere» disse Itachi, prendendolo in giro e passando alla visita del ragazzo, il quale appoggiò la schiena allo schienale, brontolando un “non chiamarmi superman”.
 
Pochi minuti dopo Itachi si rivolse ad Hinata.
 
«Hyuga, portami il kit da sutura e poi vai in radiologia e richiedi una lastra per questo grosso testone qui» disse indicando il biondo, che offeso fece una smorfia.
 
 
Certo che si stava rivelando una giornata strana. La più lunga della sua vita, ma strana.
 
Hinata osservava attraverso il vetro della radiologia quello strano ragazzo che poco più di un’ora prima era entrato con tanta baldanza nell’ambulatorio, spaventandola e rischiando di farle cadere la borsa di fisiologica che teneva fra le mani. E che ora brontolava sdraiato sul tavolo del radiologo.
 
Lo aveva visto abbassare la testa, imbarazzato per la frase che aveva urlato poco prima e anche lei aveva sbarrato gli occhi.
 
Sì perché lei l’aveva già visto. Anche se i lineamenti del giovane erano deturpati dall’occhio tumefatto e la gota gonfia, l’aveva riconosciuto.
 
Non avrebbe mai potuto dimenticare quei capelli biondi e quei profondissimi occhi azzurri. Ma soprattutto non avrebbe potuto dimenticare quei buffi segni sulle guance e il tatuaggio a spirale che portava sul polso.
 
E, certamente, non poteva dimenticare la circostanza in cui l’aveva incontrato per la prima volta, l’unica cosa che ahimè avrebbe tanto voluto dimenticare.
 
Si, perché quando una persona deve essere accompagnata fuori dalla sala del cinema, nella quale sta piangendo a dirotto da un quarto d’ora per il finale di un film, da una delle maschere che altrimenti non possono pulire suddetta sala è decisamente imbarazzante.
 
È ancora più decisamente imbarazzante quando la persona sei tu e la maschera si ritrova ad essere un bellissimo ragazzo dalla pelle abbronzata e il sorriso più bello che tu abbia mai visto nella tua vita. E allora sì che vorresti sotterrarti per sempre in qualche angolo remoto del mondo e non uscirne mai più. No, nemmeno se uscisse Kingdom Hearts 3.
 
Okay parliamone.
 
 
Naruto brontolava.
 
Odiava le radiografie. Doveva starsene perfettamente immobile mentre delle radiazioni di chissà che tipo gli attraversavano il cranio da parte a parte. Su un coso duro come la pietra per giunta.
 
E poi quel maledetto radiologo lo odiava. Lo sgridava continuamente, manco fosse un bambino.
 
Perché devono trattarmi tutti male? si lamentò mentalmente.
 
Sospirò - ignorando l’urlo del tecnico che gli intimava, di nuovo, di stare fermo - e guardando verso la porta incrociò di nuovo gli occhi con la ragazza.
 
Hinata. Che nome interessante, pensò tornando a fissare il soffitto bianchissimo.
 
Poteva ancora distintamente percepire il tocco di lei sul braccio dove gli aveva applicato la flebo di antidolorifico e sulla fronte dove gli aveva ripulito la ferita prima della sutura. Le piccole dita fredde di lei come un emolliente sulla sua, perennemente calda.
 
Un’ora prima, quando Itachi finì di suturarlo, ebbe occasione di osservarla da più vicino mentre gli applicava la garza sterile. Guardò i suoi occhi chiari e vide che non erano grigi e basta. Avevano una strana tonalità lavanda e dei riflessi ipnotizzanti. Anche le occhiaie, simbolo del duro lavoro che la ragazza svolgeva, sparivano affiancate a quegli occhi, talmente concentrati sul suo lavoro che nulla al mondo sembrava potesse distrarla.
 
In quel momento decise di correggere quello che aveva pensato poco prima. Non erano gli occhi più strani che avesse visto nella sua vita. Erano gli occhi più strani e decisamente più belli che avesse visto nella sua vita.
 
Percepì anche un esile profumo di arancia provenire dai capelli della ragazza e avrebbe voluto avvicinarsi per sentire meglio.
 
L’Uzumaki si prese nuovamente a schiaffi mentalmente, come aveva fatto l’ora prima. Mica poteva pensare certe cose così.
Eppure. L’aveva già vista. Adesso ne era sicuro. Ce l’aveva sulla punta della lingua, ma non capiva esattamente dove l’avesse incontrata.
 
Quegli occhi, quel profumo.
 
Aspetta un attimo.
 
 
«Okay Naruto, puoi andare. Hai preso una bella botta, ma questa tua testaccia dura sembra non sia possibile scalfirla. Non esagerare e non metterti nei guai, hai capito superman?» disse pacato Itachi, dando una pacca sulla spalla del biondo, che sussultò.
 
«Ho capito, ho capito – ringhiò Naruto, uscendo dall’ambulatorio e guardandosi intorno - Ehi, dov’è finito Sasuke?» chiese poi.
 
«Se n’è andato – intervenne una delle infermiere dell’accettazione – ha detto che te la potevi cavare anche da solo» concluse lei ridacchiando, evidentemente abituata ai teatrini dei due.
 
Una vena comparve chiara e pulsante sulla fronte del ragazzo.
 
«Quel maledetto…!» il biondo sembrava sul punto di esplodere mentre digitava il numero, o meglio, cercava di uccidere il numero digitandolo, del RadioTaxi per tornare a casa.
 
Hinata non poté fare a meno di sorridere, discreta.
 
«Hyuga accompagna superman qua all’uscita, per favore» la riscosse Itachi.
 
«Smettila di chiamarmi superman!» urlò Naruto in lontananza, allontanando il cellulare dall’orecchio.
 
«A-ah! Sì, certo dottore» e con un piccolo inchino si apprestò a guidare il ragazzo verso l’uscita.
 
 
Il percorso verso l’uscita dell’ospedale fu silenzioso.
 
Entrambi tenevano gli occhi puntati sul pavimento, imbarazzati, quando Naruto decise di spezzare il silenzio.
 
«Ti ho riconosciuta, sai?» disse piano, con un piccolo sorriso.
 
Hinata dal canto suo avvampò, capendo subito a cosa si riferisse e gemette leggermente, portando le mani al viso.
 
«Ti prego di dimenticartene, è così imbarazzante» mormorò, la voce smorzata dalle mani.
 
«Sì in effetti è stata una scena comicamente indimenticabile» scherzò Naruto, ma la ragazza gemette sconfortata.  
 
Naruto dal canto suo rise un po’ più forte e prendendo coraggio le scostò le mani dalla faccia.
 
«Guarda che non c’è nulla di cui vergognarsi eh! – sorrise – vediamo cose molto peggiori, ma molto! E comunque poco fa ho praticamente urlato al mondo che piango ogni volta che muore lo zio Ben!»
 
Lei comunque abbassò lo sguardo, anche se rincuorata.
 
«Speravo non mi riconoscessi affatto» borbottò, le guance di un bel colore rosso.
 
Non l’avrebbe mai confessato ma era più imbarazzata del fatto di essersi presa una mezza cotta per un tizio che aveva visto solo una volta e che l’aveva solo accompagnata fuori dalla sala del cinema mentre lei era ancora un disastro in lacrime e le aveva augurato la buonanotte con uno dei sorrisi più meravigliosissimi del mondo. Hinata scosse la testa rapidamente.
 
Hinata datti un contegno!
 
Naruto rise e la risposta gli uscì automatica.
 
«Beh, è praticamente impossibile dimenticarti, con il tuo profumo d’arancia e questi tuoi…occhi…indimenticabili» disse, rendendosi conto ormai a metà frase di cosa realmente avesse detto e abbassando sempre più il tono di voce.
 
L’ho detto davvero? pensò lui.
L’ha detto davvero? pensò lei.
 
«E-eh?»
 
Stupido idiota, adesso penserà che sei un pervertito, manco la conosci, fa qualcosa! si rimproverò mentalmente Naruto autopunendosi con una martellata sui denti immaginaria.
 
Seguirono secondi di silenzio che parvero durare ore.
 
Fu Naruto a spezzare il silenzio.
 
«S-senti un po’ – iniziò lui, portandosi una mano al capo, imbarazzato – cioè, non è che ti andrebbe di fare qualcosa una di queste sere?» le chiese infine.
 
Lei lo guardò con aria indecifrabile, ma all’interno vi era un tornado.
 
«Non conviene far qualcosa di sportivo perché hai visto come va a finire ma, cioè, potremmo andare a fare un giro chessò, al cinema e potremo piangere insieme per il finale di qualche film» concluse con un grande sorriso impacciato.
 
Hinata alzò lo sguardo, fissandolo in viso. Ovviamente avrebbe detto sì, mica era scema. Però non avrebbe resistito a stuzzicarlo un po’, giusto per spezzare la tensione.
 
«Non vedo l’ora – sorrise poi un sorriso meraviglioso, chiudendo gli occhi – superman»
 
Il ragazzo non poté fare a meno di pensare che con un sorriso così, lei avrebbe potuto chiamarlo con quell’orribile soprannome tutte le volte che avrebbe voluto.
 
Naruto sospirò e sorrise prendendole la mano.
 
Si diressero verso l’uscita, dove lui salì sul taxi.
 
Non poté fare a meno di guardarla dal finestrino, mentre lo salutava con la mano.
 
Sorrise, certo del fatto che le sue gite in pronto soccorso non sarebbero più state così terribili.
 
 
«Sas’ke, quand’è che c’è quell’allenamento di boxe?»
 
«Dobe, farai la fine dello zabaione…»

 
•••
Ok, sono passati i millenni e mi spiace un po' (molto).
Questa shotta non ha un senso ;^;  cooomunque.
Ringrazio Uzumaki_Devil_Dario, che con il suo AU Theory Contest mi ha dato il pretesto per fare un cosa che non facevo da troppissimo tempo,
pubblicare qualcosa su EFP.
Mi è mancato. 
See ya people!


~Beckill
•••
   
 
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