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Autore: xiaq    27/12/2015    1 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 5

Note dell'autrice: In sostanza in questo capitolo si va avanti con la trama e Sherlock sfoggia la sua intelligenza. Ci vediamo la prossima settimana!

Cinque anni, centoventisette giorni.

E' un male che stia ancora contando? Sherlock pensa che probabilmente lo sia.

John porta con se' ricordi di ginocchia sbucciate e lunghi giorni d'estate pieni di piacevoli silenzi e brusii di conversazioni a bassa voce. Il suo viso emaciato, cui chiaramente manca il sonno, è decisamente più interessante del portatile che gli sta offrendo. E' simile alla differenza tra l'acqua ed il ghiaccio, pensa Sherlock: identico nella composizione chimica: due atomi di idrogeno in legame covalente con una molecola di ossigeno. Eppure uno dei due talmente più inospitale dell'altro.

Realizza che John non se ne è andato. E' ancora lì, senza motivo, le braccia incrociate, osservandolo con uno sguardo tagliente e freddo ed è tutto sbagliato.

Sherlock accende il portatile come scusa per distogliere lo sguardo.

"Devo farti da babysitter oggi," dice John. Le parole, rilasciate dalle labbra serrate, suonano esagerate.

"Scusami?"

"Il mio superiore, la dottoressa Allen. Mi ha chiamato la notte scorsa. A quanto pare tuo fratello è preoccupato che tu possa esagerare con il lavoro. Mi ha ordinato di prendermi cura di te mentre porti a termine l'affare urgente di cui ti stai occupando, qualunque questo sia."

"No."

John ride ed è ancora tutto sbagliato.

"Non hai facoltà di opinione in merito, in realtà. Credimi, ho provato a tirarmene fuori, ma a quanto pare quando Mycroft Holmes richiede qualcosa, si è obbligati a fare qualsiasi cosa in nostro potere per esaudire la sua richiesta."

Mycroft, pensa. Ovviamente.

Osserva la postura di John. E' quasi violenta, a dispetto dell'esausta curva della sua schiena. John lo odia ora, realizza Sherlock, lo detesta completamente e visceralmente.

Giustificato, pensa.

Avrebbe dovuto esserne soddisfatto, lo sapeva. Quell'ultima mail era stata mandata proprio in aspettativa di quella reazione, l'odio. Ma anche la più piccola parte di compiaciuto orgoglio è inghiottita da una crescente scia di orrore paralizzante. La sua presenza aveva prodotto un disagio fisico in John. Questo era stato abbastanza facile da capire. E mentre generalmente non aveva mai mostrato remore nel far sentire gli altri a disagio, Sherlock provava ancora un'avversione inspiegabile nel causare dolore a John, la stessa che aveva provato cinque anni e centoventisette giorni prima, quando John era salito su quell'aereo, la testa inclinata verso la spalla destra, la mano alzata a salutare, e Sherlock non aveva pianto perchè sapeva che lo avrebbe fatto arrabbiare.

Certo, Sherlock non aveva mai pianto, come regola, quindi John probabilmente non aveva realizzato il sacrificio.

Sentimenti. Se lo ripete. E poi, proprio lì, l'orribile, insano desiderio di rendere John felice, questo era il motivo per cui l'email era stata spedita. Andava spedita. Non aveva messo in conto di dover osservare, o ancora meno di dover affrontare, le conseguenze, ma ora è costretto a farlo; deve utilizzare il silenzio, l'indifferenza e la crudeltà neanche troppo sottintesa affinata con anni di pratica. In questo modo, quando Sherlock avrebbe lasciato l'ospedale tre giorni dopo-tre?- aveva preso in considerazione i punti di sutura ed il loro tendersi quando respirava, poi aveva letto la cartella che John teneva tra le mani. Tre. Due, se era fortunato.- in questo modo, quando se ne fosse andato, John non avrebbe provato a cercarlo di nuovo e lui sarebbe potuto tornare ad una vita beatamente libera da John Watson e da tutte le emozioni che implicava.

"A che ora inizierai ad occuparti di questo tuo affare?"

Sherlock sobbalza, la cruda realtà della voce di John interrompe i suoi pensieri. Il risultante strattone momentaneo alle sue costole lo porta a produrre un rantolo invece di un respiro, immediatamente seguito da un imbarazzata occhiata che non dura più di tre secondi. Quando lo osserva di nuovo vede che John è in preda ad un interessante conflitto di emozioni. C'è rabbia, sicuramente, ma c'è anche preoccupazione, una preoccupazione riluttante, perchè è pur sempre John e ci tiene sempre troppo, anche se adesso lo odia abbastanza da non mostrarlo.

"Sei di mattina," Sherlock lo dice con una cattiveria tale che riesce a percepirlo. "Sei libero di evitarmi fino ad allora."

"Bene."

John si gira per andarsene nonostante Sherlock sappia che dovrebbe esaminarlo ed aggiornare il raccoglitore che al momento stringe, forse troppo stretto, tra le mani contratte. Non c'è dubbio che abbia deciso di tornare dopo, quando è meno arrabbiato, perchè anche se questa è una versione sbiadita del suo John, nonostante Sherlock sia stato ben più che crudele e se lo meriti ampiamente, John non ha comunque intenzione di fargli male.

Questo deve cambiare, pensa. E quindi Sherlock parla.

"John."

John si ferma, già parzialmente fuori dalla stanza, e si volta per guardarlo, in attesa, gli occhi socchiusi, come se già a conoscenza di quello che Sherlock sta per dire.

Sherlock sorride con freddezza. "Indossi ancora la  collana."

E' un affermazione intenzionalmente crudele, pronunciata con deliberata malignità.

John lo fissa per qualche secondo, completamente impassibile, prima di dire. "Tu no."

Poi John si volta e continua a camminare verso la porta andandosene e lasciando Sherlock con una strana, persistente oppressione sul petto e la sensazione di non essere forse l'unico ad avere imparato come essere crudele.

***
John ritorna alle sei precise, non un attimo prima. Sherlock sta parlando con qualcuno in vivavoce, il blackberry in precario equilibrio su un ginocchio mentre tenta di guardare il computer di John che posa, ugualmente precario, sull'altro ginocchio.

"Sì, Dimmock," lanciando un'occhiata a John quando questo entra, "Vedo la ripresa ora. La qualità è terribile."

"Be', è il massimo che abbiamo potuto fare, viste le circostanze," risponde una voce esausta dal telefono. "Sei comunque in grado di fare...quello che fai?"

"Certo, non essere ridicolo. Nessuno di questi uomini è particolarmente bravo a nascondere le emozioni. Ah." si avvicina allo schermo del portatile, sussulta, e lo sposta più lontano in modo da poter vedere meglio senza sforzare le costole malmesse. "Vedo che iniziamo con Ramon. Eccellente. Chi lo sta interrogando?"

John, curioso, si muove verso la testa del letto. Il video sullo schermo del portatile è in bianco e nero. Una parte è la ripresa di una videocamera sul soffitto della stanza degli interrogatori dove un uomo è accasciato, jeans e maglietta bianca, sul tavolo. Le mani sono ammanettate di fronte a lui. L'altra parte dello schermo mostra chiaramente lo stesso uomo nello stesso posto, ma l'angolatura è frontale e concentrata sul torso e sul viso. O lo sarebbe, se fosse seduto bene. Al momento John può vedere i suoi capelli neri e la curva della spina dorsale sotto il cotone della maglietta. Chiunque sia dovrebbe mangiare di più, mormora la parte medica del cervello di John, è troppo magro.

"Se ne sta occupando l'agente McKale," dice la voce al telefono. C'è esitazione nella risposta, e John ne comprende il motivo quando Sherlock si lascia sfuggire quello che può essere interpretato solamente come un gemito di completo disgusto.

"Imbecille. Probabilmente rovinerà tutto. Onestamente, Dimmock, McKale?"

L'uomo sull'altra linea, che apparentemente risponde al nome di Dimmock, suona esasperato mentre risponde. "Senti, tranne te e Victor è quello che se la cava meglio con la lingua e conosce il caso, e visto che Victor non risponde al telefono e che tu sei in ospedale per qualche misterioso motivo, era il meglio che avessi. Ora.."

Sullo schermo del portatile, un secondo uomo entra nella stanza. I due smettono di discutere preferendo guardare.

"Puoi procurarmi l'audio?" chiede.

C'è un sospiro spezzato. "No. Ci ho provato. Dovrò tradurlo."

"Oh eccellente. Così adesso dobbiamo combattere contro un video sgranato e contro la tua terribilmente parafrasata traduzione dallo spagnolo."

John schiarisce la gola e lancia a Sherlock uno sguardo infastidito, per abitudine. E' un abitudine morta da tempo, ovviamente, ma Sherlock lo vede ed in risposta apre la bocca, iniziando a scusarsi, anche lui per abitudine, prima di chiuderla di nuovo facendo sbattere i denti con un sonoro click. Poi lancia a John uno sguardo che sembra invitarlo ad andare all'inferno.

John fa un passo indietro, non completamente sicuro di cosa sia appena successo. Apparentemente cinque anni non sono abbastanza per eliminare certi schemi. Decide che il loro veloce scambo sarebbe interessante da analizzare da un punto di vista antropologico, ma allo stesso modo decide, molto velocemente, di non pensarci e di spostare piuttosto l'attenzione sulla conversazione in corso.

"Ovviamente sta mentendo," sta dicendo Sherlock, gesticolando verso il video. "Guarda le sue spalle. Di' a McKale di--No aspetta." tocca lo schermo con un dito, aggrottando le sopracciglia. "Cos'è che gli ha appena detto McKale?"

"Uhh," Dimmock si prende un momento per rispondere, chiaramente tentando di tradurre nella sua mente. "Ha detto che non ha senso mentire perchè suo padre ha già confermato la sua colpevolezza. Ha detto che sarebbe meglio per lui darsi una mano da solo visto che la sua famiglia non sembra avere intenzione di aiutarlo."

Sherlock picchietta sullo schermo, le sopracciglia ancora aggrottate. "Di' a McKale di chiedergli perchè odia suo padre."

Dimmock, sconcertato, obbedisce.

Un secondo dopo Sherlock sogghigna verso lo schermo del portatile. "Avete preso la sua ragazza, giusto? Piccola, formosa, si chiama Maria?

"Uh-Sì, ma-"

"Portatela dentro. E' incinta. Sarà di aiuto molto maggiore se lo saprà."

"Aspetta-come fai a sapere che- aspetta, perchè lui non lo sa? E come fai tu a sapere che lui non lo sa?"

"Nel primo interrogatorio che le abbiamo fatto, Maria teneva le mani sopra lo stomaco, in maniera protettiva. Quando le abbiamo chiesto se aveva dei bambini ha risposto di no ma non era la verità, non una bugia, ma neanche la verità. Deve essere incinta. Ma quando abbiamo chiesto a Ramon se avesse dei figli ha detto di no, che aveva solo una ragazza. Non una bugia. Non una colpa. Non lo sa. Ma vuole dei bambini. Odia suo padre, vorrebbe essere un padre migliore, ama la sua ragazza. Se sapesse che è incinta sono sicuro che sarebbe molto più disposto a cooperare se questo volesse dire passare meno tempo dietro le sbarre e tornare prima dalla sua piccola famiglia."

"Questo è- bene. Aspetta un attimo."

Il telefono vibra improvvisamente e, all'inizio, John pensa che Dimmock abbia messo Sherlock in attesa o qualcosa del genere. Poi vibra di nuovo e realizza che si tratta di una chiamata in arrivo.

Sherlock lo guarda male. "Dimmock, ho una chiamata da Scotland Yard. Torno in un attimo."

Tocca con un dito lo schermo del blakberry sul suo ginocchio, la voce che si fa tagliente. Be', più tagliente.

"Cosa, Lestrade. Sono nel bel mezzo di qualcosa."

"Può aspettare," dice la nuova voce, suonando preoccupata almeno quanto quella di Dimmock, se non di più. "Ho bisogno di te in Belgravia entro un'ora."

"Non posso. Sono in ospedale."

"Oh per l'amor di Dio. Che cosa- non importa. Tra quanto puoi essere lì?"

Sherlock guarda John, le sopracciglia alzate, e stringe le labbra. "Tre giorni," sussurra John.

Lo ripete all'uomo sull'altra linea e questo impreca.

"Lestrade," dice Sherlock, la voce piena di condiscendenza, "ho la CIA sull'altra linea, potresti trattenere le tue esternazioni drammatiche fino a quando non ho finito con loro?"

"Coinvolge la CIA," dice Lestrade. "Un diplomatico ungherese è stato trovato morto nella stanza d'albergo di Victor Trevor e Trevor non è rintracciabile da quasi una settimana."

"Cazzo."

E' la prima volta che John sente Sherlock imprecare. Trasalisce, non solo per la stranezza dell'avvenimento, ma anche per l'espressione di Sherlock. Non è rimasto nulla dell'usuale imbassibilità, c'è solo terrore.

Nell'attimo in cui Sherlock si accorge che John lo sta guardando, cambia velocemente espressione e torna a sembrare vagamente infastidito.

"Sei sulla scena?" chiede.

"Sì. Senti, posso cavarmela senza di te ma-"

"Assolutamente no. Trevor è la persona più competente con cui ho lavorato, non lascerò che voi, banda di idioti, combiniate un disastro. Preferirei trovarlo vivo tra una settimana che come cadavere tra sei mesi."

Lestrade sospira dall'altra parte. "Posso farti vedere la scena, se vuoi. Non ho fatto entrare nessuno."

John aveva capito molto tempo prima che insieme all'intelligenza di Sherlock fossero previsti il sarcasmo e l'arroganza. A quanto pare Lestrade, chiunque egli fosse, era giunto alla stessa conclusione.

"Ottimo. Hai un Iphone, giusto?" chiede Sherlock a Lestrade.

"Sì ma-"

"Ti richiamo. Non far toccare niente a nessuno."

Riattacca senza salutare, e poi torna all'altra chiamata. "Dimmock?"

"Sì, sono qui."

"E' successo qualcosa. Ti richiamo entro un'ora."

Conclude la chiamata pigiando violentemente sui tasti, poi sposta sia il cellulare che il portatile, che ancora trasmette immagini sgranate, via dalle sue ginocchia con un gesto rapido, irritato.

"Ho bisogno del tuo cellulare."

A John serve un momento per realizzare che si sta rivolgendo a lui. "Cosa?"

"Il tuo cellulare." Sherlock gli mostra una mano, inisistente, dimenando le dita con agitazione. "Ora. Mi serve. I blackberries non hanno facetime."

Non chiede come faccia a sapere che possiede un Iphone, è Sherlock, dopotutto. Anzi, John fa quello che gli è stato chiesto, cercando nella sua tasca, e poi posando il cellulare sulla mano in attesa.

Nessun grazie. Come sempre.

John si sposta per sedersi sulla sedia, guardando Sherlock mentre questo richiama e tiene il cellulare fin troppo vicino al viso quando l'uomo inizia a guidarlo all'interno della scena del crimine.

John cerca di tenere il passo, ma la maggior parte dei discorsi vanno al di là della sua comprensione. C'è un ungherese morto nella camera di uno dei colleghi di Sherlock, gli hanno sparato una volta, al centro della fronte. Il collega è scomparso. Se si esclude questo, non è che John stia seguendo molto.

"Cos'è quella?" dice improvvisamente Sherlock dopo quasi mezz'ora di conversazione sommessa. John resiste all'impulso di protendersi in avanti per dare un'occhiata allo schermo.

"E'...è una sigaretta." risponde Lestrade.

"Controlla nelle tasche."

La voce di Sherlock lascia trapelare un interesse vago, ma il suo viso è un tumulto di emozioni malcelate.

"Chiavi. Portafogli. Cellulare." risponde Lestrade. "Questo sembra...un biglietto del parcheggio sotterraneo. Sì, lo è."

"Niente sigarette?" chiede Sherlock

"No."

Getta uno sguardo al piccolo schermo. "Che tipo di sigaretta è?"

"Quale? Quella per terra?"

"No, una delle altre sigarette nelle stanza, ovviamente quella per terra."

Lestrade emette un suono di malcontento. "Come diavolo dovrei saperlo? La raccolgo, vediamo se riesco a tirarne fuori il DNA."

"Devo sapere che tipo è," ripete Sherlock.

"Bè," risponde Lestrade imitando il suo tono, "potrò darti questa informazione non appena il laboratorio l'avrà esaminata."

"Dio. Voi persone siete inutili." mugugna Sherlock.

"Cosa? Come se tu fossi in grado di dirmi che tipo di sigaretta sia semplicemente guardandola."

"Ne sono in grado, in realtà. I suoi polsi. Descrivimeli."

Lestrade sospira e l'audio gratta leggermente. "I suoi polsi? Pallidi. Un orologio della Rolex sul destro. Niente di interessante."

"Le sue dita. Annusale."

"Cosa?"

"Annusale. Dimmi se odorano di nicotina."

C'è una pausa, il suono di un respiro, e poi un secondo di silenzio prima che parli di nuovo.

"No. Magari la nostra vittima non ha fumato la sigaretta, allora. Magari è stato l'assassino."

"Non essere stupido," dice Sherlock. "Annusa la sua bocca."

"Ma-"

"Oh per l'amor del cielo, fallo e basta. C'è della nicotina lì?"

Un'altra pausa. Un altro respiro.

"Sì. Decisamente."

Sherlock ha il viso così vicino allo schermo dell'Iphone che il naso praticamente lo sta toccando.

"Aspetta! Togligli i guanti."

C'è un momento di silenzio. Lestrade emette un suono di sorpresa, Sherlock sembra deliziato e John cede finalmente all'impulso di protendersi in avanti.

Sullo schermo vede una mano dalla pelle grigia, pallida in un modo tipico unicamente tra i cadaveri. Ma la cosa interessante riguardo questa mano, è che manca la punta a quasi tutte le dita. Sono smussate dalle amputazioni , ancora leggermente visibili a causa delle cicatrici.

"Morbo di Burgers." mormora Sherlock, nello stesso momento in cui la mente di John lo pensa. "Questo spiega alcune cose."

"Ah sì?" dice Lestrade. ""Cos'è il morbo di Burgers?"

"Sono allergico alle noccioline," risponde Sherlock.

"Scusami?"

John prova a soffocare una risata di fronte alla pura confusione nella voce dell'altro uomo e quasi si strozza.

"Sì," continua Sherlock, ignorandolo. "basta che qualcuno che ha mangiato un panino col burro d'arachidi mi respiri addosso e vado in shock anafilattico. Terribilmente inconveniente, lo so. Fortunatamente non ne ho mai avuto il piacere, perchè mio fratello anche è terribilmente allergico e mi ha fatto fare il test prima che qualcuno mi uccidesse involontariamente."

"Per quanto questo sia eccitante," dice Lestrade, con una sfumatura di esasperazione nel tono, "ha un qualsiasi scopo?"

"Pazienza," risponde Sherlock, quasi annoiato. "Ora, sono sempre stato tremendamente curioso su quale dovesse essere il sapore delle noccioline, principalmente perchè mi sono proibite. E ho spesso pensato che, se mi fosse data l'opportunità, se fossi sul mio letto di morte consapevole che di lì a qualche ora, o magari minuto, sarò morto, deciderei di passare i miei ultimi momenti mangiando noccioline."

Lestrade non risponde per qualche secondo. Sherlock attende con aspettativa.

"Scusa," dice alla fine. "Era questo il punto?"

Si adagia sui cuscini, fa una smorfia, poi trasforma la smorfia in un cipiglio. "Certo che era questo il punto, imbecille. Non riesco a capire perchè ancora provo a spiegare le cose. La vittima era affetta dal morbo di Burgers. Raro. Quando il sangue si ferma sulle appendici si blocca e poi le fa marcire. Causato dal fumo. Non esiste cura se non l'amputazione e, ovviamente, non fumare mai più un'altra sigaretta. Quindi perchè fumarne una stanotte? Sapeva benissimo che una sola boccata avrebbe portato ad un altro dito mancante."

"Stai dicendo che sapeva che sarebbe stato ucciso." mormora John, e poi chiude velocemente la bocca.

"Finalmente. Qualcuno che non è completamente incompetente." alza gli occhi di fronte alla brusca asserzione di Lestrade riguardo la discrezione ed il coinvolgere civili negli affari del governo.

"John è il mio dottore. La sua discrezione è assicurata. Ora annusa di nuovo le dita della vittima, quelle della mano senza il guanto."

C'è uno sbuffo di fastidio, ma Lestrade fa chiaramente come gli è stato detto, perchè un momento dopo dice, "Nicotin. Sì. Quindi questo vuol dire che si è tolto i guanti, ha fumato, e poi se li è rimessi?"

"Apparentemente," Sherlock sogghigna, picchiettandosi la testa mentre osserva qualsiasi cosa ci sia sullo schermo. "Oh, questo è eccellente. Veloce, prendi il suo portafogli. Aprilo."

"Va bene. Preso."

"Cosa c'è dentro?"

"Carta d'identità. Un paio di carte di credito.. e uno scontrino."

"Lo scontrino. E' per le sigarette, giusto?"

"Sì.Sono Light parliament e....hmm, questo è strano, per una rivista femminile chiamata Indipendent."

I suoi occhi si aprono di nuovo. "Qual'è l'orario di stampa?"

"20.21"

"Nome del cassiere?"

"Uhh. Nessuno segnato. Cassa automatica."

Sherlock si allunga improvvisamente in avanti, aprendo il computer, e John automaticamente fa un passo verso di lui. Sherlock ha probabilmente strappato qualche punto con quel movimento brusco.

Le dita di Sherlock slittano sui tasti ed il suo sorriso si fa, se possibile, ancora più ferino.

"Oh era intelligente, sì che lo era," mormora, con un tono completamente differente. "Tibor Henerisc."

"Scusami?"

"Tibor Henerisc," ripete, "E' questo l'indizio che ci ha dato."

"Non sto seguendo."

"Hai detto che la vittima è ungherese, con un visto." dice Sherlock lentamente, come se stesse parlando ad un bambino.

"Sì."

"Quindi. Ungherese. La marca di sigarette: Parliament. L'orario di stampa, le otto e ventuno. Il ventuno di Agosto. E' stato il giorno delle elezioni a Budapest. Il titolo della rivista: Indipendent. C'è stato un indipendente eletto l'anno scorso nel parlamento ungherese: Tibor Henerisc."

"Cosa-come lo sai?"

Sherlock sembra vagamente compiaciuto. "Google. Ora. Ti suggerisco di guardare nei dati del signor Henerisc e controllare se c'è qualche connessione tra lui e la nostra vittima. Nonostante, guardando la sua foto, sarei portato ad ipotizzare che la connessione sia il DNA."

"Scusa?"

Si protrae in avanti, arrecando senza dubbio ancora più danni alle sue suture, e si poggia il portatile davanti. "Sto guardando la foto del signor Henerisc proprio ora. Assomiglia molto al tuo cadavere lì. Vedi?" avvicina il cellulare allo schermo in modo che Lestrade possa guardare la fotografia. "Una scelta migliore per quanto riguarda i taglio di capelli, ma le stesse orecchie e lo stesso mento. Probabilmente cugini. Ora, se te lo fossi dimenticato, ero nel bel mezzo di un affare abbastanza importante con la CIA quando mi hai bruscamente interrotto. Dovrei tornare ad occuparmi di quello, ora. Fammi sapere cosa hai trovato su Henerisc. Oh, voglio le copie dei dati del cellulare di Trevor e dei file sul suo computer."

"Posso avere i dati del cellulare entro un'ora, ma non ho la password del computer-"

"La password è Alcatraz. A maiuscola, cinque al posto della Z."

Lestrade sospira, "Come fai a sapere la password di Trevor?"

"Abbiamo vissuto insieme per sei mesi durante il caso di New York. So tutto di lui. Fammi avere quei files."

"Lo farò."

Sherlock riattacca e porge il cellulare a John. Quando si accorge dell'espressione di disapprovazione di John inizia ad alzare gli occhi, ma interrompe bruscamente il movimento, prendendo in mano il suo blackberry.

"Sto bene. Dammi mezz'ora per concludere con Dimmock e poi potrai controllare le mie suture, e mettere a tacere la preoccupazione."

Considerando che Sherlock sta già componendo il numero e che non sembrano esserci gocce di sangue sul lenzuolo del suo lettino, John torna a sedersi con un sospiro.

"Sì, Dimmock?"  dice Sherlock, poggiando nuovamente il cellulare sul ginocchio, "Dove eravamo rimasti?"
   
 
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