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Autore: Chichitedda    27/12/2015    0 recensioni
Dal testo
"[..] quella rosa non esisteva. Non esisteva nel suo profumo inebriante, non esisteva nel suo amore verso il cosmo, non esisteva neppure nella sua rara bellezza. Dopo tutto: da lontano non è forse pari a un puntino, un rossore insignificante?"
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incompiuta
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Premessa dell'autrice: questa storia è stata scritta per associazione di idee, sulla scia di una lettura del libro 1984. Spero possa piacere e confido in recensioni propositive :D


Una rosa. Una rosa rossa, piena di spine, ritta, quasi innaturalmente perfetta. Come una fiamma agogna il volo, questa si protendeva in baci continui al cielo. E non disdegnava né stelle lontane, chiuse nel loro manto infinito e insidioso, né soli temerari e ardenti, tanto vicini da farle male.
“Vedi,” sussurrò una voce calda, “quella rosa non esiste”
Era vero: quella rosa non esisteva. Non esisteva nel suo profumo inebriante, non esisteva nel suo amore verso il cosmo, non esisteva neppure nella sua rara bellezza. Dopo tutto: da lontano non è forse pari a un puntino, un rossore insignificante?
“Se davvero volessi, potrei addirittura dire che, per me, questa rosa è blu: pagare una folla di miserabili e far credere a tutti di aver scovato una rosa stregata”
Quelle parole vennero col vento, e se andarono nel freddo del giardino. La giovane si portò le mani al viso; coprì gli occhi, godette del silenzio funereo. Tornò indietro.

Le pareti della Casa erano grigie, grigie come il pelo ispido dei ratti. Le crepe si arrampicavano come ragnatele. Salì le scale, reggendosi al corrimano. Desiderava il suo volto: più di ogni altra cosa, voleva guardarsi allo specchio, essere certa di esistere. I suoi occhi la ingannavano, e tutto era un’illusione. Ma delle illusioni poteva bearsi, consolarsi, rammaricarsi.
La sua bellezza la atterriva. Tante volte l’aveva maledetta, emblema di un’ossessione, di un’umiliazione continua. Tutto il resto la riempiva di gioia: l’ottundimento dei suoi sensi le faceva credere di essere viva.
Nelle ore di solitudine non aveva alcuna occupazione: si limitava a contemplare, con sforzo, le cose che aveva intorno. Il diletto della musica le era stato negato e il vecchio disco era stato portato chissà dove. Non accennava neppure una sola nota tra quelle che ricordava: la paura che le venisse sottratta persino la voce le intimava di tacere.


“E così, oggi non hai fatto nulla…”
“No”
I capelli corvini della donna affogarono nel piatto.
“Molto bene. Qualche cosa da dirmi?”
La giovane esitò. “Sì, sono salita di nuovo”
“Sai…” un gorgoglio si spense in gola, “sai che non mi piace che ti vada a specchiare. Sei una ragazza intelligente, quindi perché non capisci che la tua immagine non ha alcun valore?”
Masticò rumorosamente un pezzo di carne, “Nessuno ti vede, e nessuno sa della tua esistenza. E dal momento che solo io ti conosco, tu non esisti. Sai bene che, se anche affermassi di conoscerti, nessuno mi darebbe ragione. La maggioranza ha la meglio, sempre”
“Potreste mettere la maggioranza a parte della mia conoscenza”
La donna fermò il boccone tra i denti. “E perché mai dovrei fare una cosa simile? Tesoro, le cose, nel mondo, nascono in un certo modo perché così è deciso. Prendi le piante, per esempio: anche se volessi non potrei renderle animali. Tu non esisti ed è giusto e sacro che tu non esista. Nemmeno il tuo nome esiste: non devi essere qualificata in alcun modo. Né pensata; e tantomeno conosciuta”

Un giorno, tra i cespugli del giardino, la giovane sentì un odore dolce. Mai ne aveva trovato uno simile: il vento glielo concedeva, investendola e guidandola verso l’alto muro di cinta. Era troppo bello, troppo intenso: si aiutò a salire con un cespuglio di rose e quando scivolò fuori, le mani percorse dalle gocce di sangue, mosse passi incerti. Si accostò silenziosa alle piccole viole, e non ebbe cuore di coglierle.



 
   
 
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