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Autore: VV_23    28/12/2015    3 recensioni
"Aveva parlato al plurale. Aveva sottinteso un noi. Un minuto prima ero sola, apatica, pronta ad accogliere la morte in ogni istante. Lui, con una semplice parola, aveva reso di nuovo possibile ipotizzare di riaccogliere la vita"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paint'
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Noi V

               Capitolo V

La notte successiva, Peeta dorme ancora con me. C'è stato un momento di stallo, nel quale Haymitch e Sae non sapevano bene cosa fare, e spostavano lo sguardo da uno all'altro senza dire niente; alla fine, si sono alzati dal divano e se ne sono andati quasi di corsa, borbottando qualche saluto rapido. Peeta e io ci siamo guardati, e, decisamente rossi in viso, ci siamo fatti cogliere da una sorta di risatina nervosa che ben rispecchiava i nostri stati d'animo. Poi l'ho guardato, e, quando ho trovato il coraggio per aprire bocca e chiedergli di restare, lui mi ha anticipata e ha risposto semplicemente “Sì”.
Il giorno dopo ancora, non c'è bisogno di parole: Haymitch e Sae vanno via, e Peeta, senza dire niente, si dirige alle scale per salire in camera.
In qualche modo, quasi per caso, non ci separiamo più. Vivere insieme sembra essere la conseguenza naturale del nostro percorso, e succede senza bisogno di sederci a tavolino e parlare per ore dei pro e dei contro. Semplicemente, da quella prima notte, il mio letto diventa il suo; mi abituo in fretta a dormire con la finestra aperta, ancora di più a svegliarmi col profumo di aneto e cannella che Peeta lascia tra le coperte.

Nel giro di qualche giorno mi premuro di lasciargli un po' di spazio nell'armadio della mia stanza, anche se lui non mi chiede niente: all'inizio porta solo qualche cambio, che sistema rispettosamente nei cassetti del comodino accanto alla sua parte di letto; in poco tempo, però, tornare a casa al mattino solo per lavarsi e cambiarsi sembra diventare un'inutile perdita di tempo, e pezzo per pezzo trasferisce una parte consistente del suo guardaroba. Quando mi accorgo che non è più funzionale utilizzare la poltrona per ammonticchiare maglie, pantaloni e biancheria, mi decido a svuotare la metà delle ante del grande armadio e degli stipetti della cassettiera, dicendo a me stessa che tanto non avevo bisogno di tutto quello spazio. Eppure, nonostante cerchi di mantenere un atteggiamento poco coinvolto, noto subito la luce negli occhi di Peeta nel momento in cui mi vede risistemare i suoi vestiti nel mio armadio: all'improvviso, nella mia testa, questo piccolo gesto di carattere pratico assume tutto un altro valore – stiamo condividendo qualcosa di più del cibo o del letto – e mi ritrovo ad abbassare lo sguardo, le guance sicuramente rosse. Lui si avvicina a me e mi abbraccia senza dire niente: è strano, penso, perché è la prima volta che mi stringe fuori dall'involucro delle coperte, quando le sue braccia mi circondano per proteggermi dalla notte e dai suoi fantasmi. Adesso percepisco nettamente le sue mani che, grandi e calde, aperte sulla mia schiena quasi la coprono tutta; il suo viso nascosto nell'incavo del mio collo mi riporta alla prima notte sul treno che ci portava all'Edizione della Memoria, quando le sue labbra sfiorarono la mia pelle, e seppi che non avrei lasciato la presa per prima; il mio orecchio premuto contro il suo petto fa suonare nella mia testa una sorta di melodia – il suo cuore che batte, leggermente accelerato per l'emozione. Ogni parola è superflua.
La mia cucina, che già era diventata il suo regno per la cena, si trasforma anche nel suo piccolo personale laboratorio nel momento in cui trasferisce da casa sua tutti gli strumenti professionali per realizzare le sue creazioni. Ogni giorno si alza presto, lasciando dietro di sé la scia del suo calore protettivo, e io mi sveglio quando ormai la sua parte di letto è fredda, richiamata dal profumo di pane e cioccolata: quando arrivo in cucina, con ancora i capelli scarmigliati e gli occhi semichiusi, lui, già straordinariamente bello di prima mattina, mi saluta con un sorriso aperto e sincero e un “Buongiorno, Katniss” che mi fanno dimenticare, per un momento, tutte le mie angosce.
Quando ormai tutte le sue cose sono state trasferite, la sua casa rimane quasi totalmente spoglia, a eccezione dei grossi mobili antichi forniti dal vecchio governo e di un'unica stanza ancora in vita: lo studio di pittura. Infatti, Peeta torna nella sua villetta solamente per dipingere: dice che, almeno per il momento, non vuole lasciare completamente la sua casa, di modo da avere una via di fuga in caso di emergenza. Acconsento a questa sua decisione perché, per quanto mi fidi di lui, so che questo stato di grazia – le notti serene, i sorrisi senza preoccupazioni, gli occhi limpidi e luminosi –  non è destinato a durare in eterno, o a essere costante.

Infatti gli incubi non tardano a tornare, e la prima volta che ibridi e morti popolano di nuovo il mio sonno, ci ricordiamo entrambi cosa voglia dire stare insieme. Vuol dire rischiare, non solo la nostra incolumità fisica, ma anche – soprattutto – l'integrità del nostro essere.
Mi sveglio nel cuore della notte gridando, tremando, muovendomi convulsamente; non sento l'aria fresca che entra dalla finestra, non vedo il profilo rassicurante del lampadario sopra il letto, non percepisco la presenza di Peeta accanto a me. Tutto quello che provo è paura, strascichi di terrore e angoscia che mi si sono attaccati addosso da quell'incubo e che non vogliono saperne di abbandonarmi. Nella foga della mia lotta immaginaria,  colpisco Peeta con un braccio, e lui si sveglia di soprassalto.
Il contrasto. Le urla. Le lacrime. Tutto si mischia nella sua mente assonnata e confusa, e nel giro di un secondo i suoi occhi si fanno scuri, il suo viso si deforma in una maschera di terrore e poi assume un'espressione aggressiva: i suoi movimenti sono subito rapidi nell'inchiodarmi al materasso col corpo, premendomi un braccio sul collo e tenendomi entrambi polsi sopra la testa con una mano sola. Sono terrorizzata, perché è la prima volta dopo l'aggressione a Capitol City che lui ha un episodio violento con me, e non so davvero che fare per aiutarlo – e aiutare me stessa: sono sola stavolta, e lui è forte, molto forte. Non potrei mai pensare di batterlo su questo piano, inoltre mi ha bloccata in maniera talmente pressante che mi è impossibile sfuggirgli sfruttando la mia agilità. Sento di soffocare e non riesco a parlare: l'unica cosa che posso fare è guardarlo negli occhi, cercando uno spiraglio di blu in quel mare di petrolio.
“Peeta...” ansimo con difficoltà, mentre il mio corpo è completamente immobilizzato e le mie mani iniziano a diventare fredde.

“Cosa volevi farmi, eh? Volevi uccidermi, volevi approfittare del fatto che stessi dormendo!” mi ringhia addosso, la voce gelida che non riconosco. Cattivo come l'ho visto solo molto tempo fa.

“Falso...Peeta, i miei incubi” riesco a dire con voce spezzata. “Succede anche a te...me l'hai detto tu, ricordi?”.
Il suo braccio si fa più oppressivo, e per un solo folle, orribile momento, non è Peeta quello sopra di me: è Clove, col suo sguardo invasato, col suo sorrisetto da pazza, col suo coltello premuto sul mio viso.
“Zitta!!” mi sibila contro, il volto vicinissimo al mio. “Non dire altro”. Ed è davvero assurdo che il suo respiro – affannato, caldo – sulle mie labbra riesca a farmi fremere persino in questa situazione di pericolo.
“Il treno...” mormoro “le notti sul treno, Peeta”.
Non riesco quasi più a tenere gli occhi aperti, ma, senza sapere come faccia a intuire questo, so che non devo fargli mancare il contatto visivo. Alle mie ultime parole, lui sussulta, sbatte le palpebre un paio di volte, e finalmente il cielo nei suoi occhi si rischiara di nuovo. Subito si solleva dal mio corpo, e io inizio a respirare profondamente, ansimando e rantolando un po'. Non faccio in tempo a sollevare lo sguardo, che lui ha già indossato la protesi ed è scappato dalla stanza. Ma non voglio che vada via. Con la mano ancora premuta sul collo e la vista un po' annebbiata, riesco a trascinarmi fuori dal letto, e lo seguo giù per le scale. Quando lo raggiungo ha già la mano sulla maniglia della porta d'ingresso.
“Peeta...” lo chiamo, piano. “Peeta, non andare via”.
Vedo le sue spalle rigide, i muscoli tesi.
“Katniss, non posso restare qui” mi dice, triste e arrabbiato contemporaneamente.
“Sì che puoi” gli rispondo. “È passata. Non è successo niente”.
Si volta di scatto, lo sguardo acceso di rabbia. Per un momento il terrore mi prende di nuovo, ma mi rendo subito conto che è la rabbia di Peeta, non del depistato, perché i suoi occhi sono ancora azzurri. In due falcate mi è vicino.
“Non è successo niente??” sbotta, la voce che trema. Mi prende le mani con una delicatezza tale che quasi non sento il tocco delle sue dita sulle mie. Mi esamina i polsi, su cui iniziano a comparire dei segni violacei, e mi guarda.
“Questo è niente?” sussurra mesto, mostrandomeli. Poi una sua mano mi accarezza il collo, e io sento un brivido caldo, che non è affatto di paura, scendermi lungo la spina dorsale. “Katniss, quasi non respiravi più...eri sotto di me, volevo farti del male. Lo volevo davvero”. La sua voce è angoscia pura, e io mi sento male. Vorrei togliere tutto il male che c'è dentro di lui, lo vorrei con tutta me stessa, e non perché abbia paura del dolore che può procurarmi: vorrei solo non sentire più quest'angoscia nella sua voce. Non ti meriti tutto questo.
“Ma non l'hai fatto” rispondo, fissandolo negli occhi. Lui mi guarda scettico. “Cioè, ti sei fermato prima. Mi faresti più male adesso, se mi lasciassi sola”.
Lo vedo spalancare gli occhi, e mi ritrovo ad arrossire. Non mi ero nemmeno resa conto delle parole che mi erano uscite di bocca. Le riascolto nella mia testa, le rielaboro, e mi rendo conto che è la pura e semplice verità: se Peeta lasciasse questa casa, ora, io mi sentirei persa. Vagherei per il resto della notte in cerca di una pace irraggiungibile, mentre l'eco dei miei incubi e del suo dolore mi perseguiterebbe senza sosta. Inconsciamente, ringrazio me stessa per l'aver parlato in maniera così diretta: per una volta, ho lasciato che il mio istinto – il mio cuore – si esprimesse senza che ci fossero troppi retro-pensieri a bloccarlo.
Per nascondergli il mio rossore, e anche per assecondare l'improvviso bisogno che ho del calore del suo corpo, gli butto le braccia al collo, stringendolo forte a me e aspettando con ansia la sua risposta. Dopo un paio di secondi che sembrano un'eternità, ricambia il mio abbraccio, e lascia che un profondo sospiro lasci il suo corpo. Ed è in questo abbraccio consolatorio che lo capisco: non voglio che Peeta allontani da me la sua parte più oscura; non voglio che, per proteggermi, lui si senta costretto, in qualche modo, a mostrarsi sempre come quel ragazzo apparentemente senza difetti di quando ci siamo conosciuti, perché so che non sarebbe reale. Peeta, il nuovo Peeta, ha incubi silenziosi che gli scuotono le spalle durante la notte; ha momenti di esilio da se stesso, e mani che stringono convulsamente oggetti a caso; ha domande improvvise, “vero e falso?” mormorati quasi senza senso logico. È un Peeta meno perfetto, più umano, e io voglio aiutarlo a convivere con questo nuovo lato di lui, ad accettarsi così com'è oggi.
“Mi dispiace” mormora tra i miei capelli. Lo stringo più forte.
“Non scusarti. È passata. Andrà meglio” gli rispondo, e sono davvero convinta delle mie parole.
Peeta non vuole più tornare a letto, e io mi rifiuto di andare a dormire senza di lui. Così stiamo in cucina, con lui che prepara mille impasti diversi e io che trovo rifugio su una poltrona: lascio che i profumi degli ingredienti coccolino i miei sensi, e mi perdo a osservarlo mentre mentre traffica con i vari strumenti. La sua espressione è concentrata, ma vedo come, di tanto in tanto, contragga la mascella, colpito da un ricordo o da un pensiero che gli fanno odiare se stesso; noto che si muove rigido, senza la naturalezza che si solito lo accompagna quando si trova in cucina; non guarda mai nella mia direzione, sembra voler evitare accuratamente di posare gli occhi su di me. All'improvviso, mi viene in mente un'idea, e vado in sala; dopo aver trafficato per qualche minuto nella libreria, trovo quello che cerco, e ritorno in cucina, dove lo trovo a lavorare con troppa irruenza l'impasto che ha tra le mani. Mi risiedo sulla poltrona e lo guardo.
“Ho ritrovato questo libro qualche giorno fa” esordisco. “Mia sorella doveva averlo recuperato dalla casa al Giacimento”. Peeta finalmente si volta verso di me, interrompe il suo lavoro e mi presta la massima attenzione: è così raro sentirmi parlare del passato, di Prim, della nostra vecchia casa, che sembra non volersi perdere nemmeno una virgola. “Mio padre ce lo leggeva per farci addormentare. Ti va di ascoltarmi mentre cucini?”.
Ci guardiamo negli occhi, e l'ombra di un sorriso attraversa il suo volto.
“Sì” mi risponde semplicemente. Gli sorrido, e i suoi occhi si illuminano. Incrocio le gambe  e mi poso il libro sulle ginocchia.
Un ricchissimo mercante aveva il dono d’intendere il linguaggio degli animali...”.
Passiamo il resto della nottata così, con lui che cucina e io che leggo di sultani, principesse e luoghi esotici e sconosciuti, legati a un passato lontano da qualsiasi memoria. Mano a mano che i racconti si evolvono e questi paesaggi remoti prendono forma nelle nostre menti, i muscoli di Peeta si sciolgono, lo sguardo si fa limpido; di tanto in tanto ci scambiamo uno sguardo, e un vero sorriso fa capolino sul suo volto.
Per un momento, un solo prezioso momento durante quella lunga notte, mi concedo di pensare che forse potremmo farcela, a superare tutto questo. Mi concedo di pensare che la vita – la nostra vita – possa davvero essere migliore.


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Carissimi, spero che abbiate passato un bel Natale e che avrete più facilità della sottoscritta nello smaltire tutto il cibo! :D Ovviamente le cose non possono andare bene in eterno, e a questo giro Katniss se l'è vista bruttina! Ho voluto concludere con una piccola chicca: molti di voi avranno riconosciuto l'incipit de “Le mille e una notte”, libro che mi riprometto di leggere per interno prima o poi!
Spero vi godiate il capitolo; intanto, grazie a tutti voi che state leggendo! Vi aguro un inizio d'anno super!!!
VV**
PS: sentiamoci meno soli, perché anche Peeta usa le sedie/poltrone come armadi! xD
  
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