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Autore: David89    09/03/2009    3 recensioni
...Era lì. Potevo ucciderlo, fargli saltare il cranio. Premere il grilletto. Si, era lontano, ma in Russia addestrano anche i migliori cecchini del pianeta. Dicono. Cosa, cosa m'ha spinto a non ucciderlo? La croce del mio M40 con la sua bella faccia in mezzo. Vento leggermente da Ovest. Stavo mirando alla donna a fianco a lui, sapendo che tanto avrei colpito la sua fronte, un buco in testa. PUM! Un lavoro pulito. Sarei ora in qualche isola del Pacifico. Sole, caldo, soldi e donne. Cosa potevo desiderare di più?...
Genere: Thriller, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5.
Parigi.




Appena scesi dalle scalette dell'aereo, una folata di vento mi schiaffò la faccia.
Benvenuto in Francia, mi dissi, scherzando. Iniziamo bene.
Il vento spirava forte, nonostante non ci fosse così tanto freddo. Era ancora buio. Parigi si stava lentamente svegliando.
Percorsi in fretta quel centinaio di metri che mi separavano dall'ingresso. Entrato dentro mi sentivo già meglio. C'era un lieve tepore, che di prima mattina non guastava, specie dopo un soggiorno in un aereo riscaldato.
Aeroporto Charles De Gaulle, uno tra i più famosi d'Europa. Mi guardai attorno, come un turista spaesato. Non c'ero mai stato dentro, e né tanto meno avevo visto Parigi.
Percorsi diversi corridoi. Il francese che avevo studiato in Russia si stava lentamente irrobustendo. Riuscii ad orientarmi come un vero francese. Capitai subito nella zona bagagli.
Non sapevo quale sarebbe stata la mia valigia, probabilmente avrei aspettato che tutti quanti i passeggeri avessero preso la loro. L'unica a girare sul nastro, a vuoto, sarebbe stata la mia.
Ma qualcosa mi diceva che sarei riuscito lo stesso a trovarla, senza cercare di leggere il codice senza senso impresso sul foglietto. Aspettai un po', mentre alcuni si ingegnavano con carrelli per trasportare evidentemente molte più borse delle mie. Qualche valigia iniziò a spuntare. Alcuni a colpo sicuro le presero, per poi allontanarsi verso l'uscita. Altri rimanevano in attesa.
Finalmente arrivarono le restanti. Alcune valigie grandi, altre troppo piccole per essere adatte a me. Sorrisi. Una valigia sportiva mi passò sotto l'occhio. Poteva essere lei. Guardai l'etichetta: G. Collard. Bingo! Era la mia. Non troppo grossa, ma abbastanza capiente. Assomigliava a quelle usate dai giocatori di tennis. Affusolata come una salsiccia, e due prese al centro. Avevo finalmente anche un'identità.
Mi diressi quindi verso la sala principale. Potevo fare colazione al bar, avrei però dovuto cambiare soldi. Dollari per Euro. Appena fuori, un sacco di gente dietro una pseudo transenna. I parenti dei passeggeri, o i colleghi di lavoro, o gli amici dei parenti venuti a prelevare i viaggiatori.
Non ci feci tanto caso, proseguendo dritto. Una voce però attirò la mia attenzione.
-Messer Collard? Messer Collard!-
Ero George Collard. Mi girai.
-Si?-
Un classico francese mi si stava presentando davanti. Occhiali da vista piccoli e rotondi, pettinatura da perfetto idiota.
-Messer Collard, sono Jean Dumont, amico di Emily. -
Niente barba, pelle liscia. Maglioncino blu. Jeans. Scarpe sportive di seconda mano.
-Non appena mi ha detto che sareste arrivato mi sono subito diretto qui. -
Cazzo. Servizio a cinque stelle. Ci mancava solo la limousine.
-Grazie Jean. Sono appena arrivato, infatti.-
-M'ha detto tutto, non vi preoccupate! Date pure a me la vostra valigia, ci penso io, non vi preoccupate!-
Mi strappò di mano il trolley, la valigia più leggera. Rimasi a portare quella più pesante.
-Di qua, da questa parte... Fatto buon viaggio, messer Collard?
-Si, grazie. A parte lo stordimento del fuso orario.
Non mi rispose. Forse non aveva capito bene. O forse Emily non gli aveva detto proprio TUTTO. Allora perché aveva preso la valigia più leggera?
-Ehm, Jean. Dovrei cambiare dei soldi-
-Emily m'ha detto di darvi questo.- Mi diede in mano una busta.
L'aprii soltanto per vedere se era quello che pensavo. Un foglietto lungo. E un po' di zeri. Un assegno. Allora non correvo pericoli, qui a Parigi. Mi rilassai.
Uscimmo dall'aeroporto. Percorremmo diverse centinaia di metri, per poi raggiungere il parcheggio.
Jean smanettò con il telecomando, aprendo le porte di una Renault Clio bianca. Brutta.
Mi mise il trolley nel bagaglio, lasciandomi posizionare la valigia più grossa dove volessi.
La misi sul sedile posteriore.
Ingranò la marcia, e con moderazione uscì dal parcheggio, dirigendosi verso l'autostrada.
-Dove siamo diretti? - guardavo fuori dalla finestra. Il sole stava lentamente sorgendo.
-A casa mia. Sarete mio ospite, messer Collard.- Magnifico.
-Abito in una piccola viuzza, nel centro di Parigi. Citè de Londrès, a pochi passi dagli Champes- Elyseès-
Non sarei comunque riuscito ad arrivarci. Man mano che procedevamo con la strada, e ci addentravamo sempre più a Parigi, i percorsi iniziavano a complicarsi. Sensi unici, strettoie, traffico e continui cambi di direzione. Cercai di prendermi nota di qualche strada percorsa, guardando sui cartelli attaccati ai muri e i sui pali agli incroci. Rue d'Amsterdam fu una delle poche che mi ricordai. Non era difficile ricordarsela.
Il viaggio durò circa una quarantina di minuti. Entrammo in una viuzza stretta, affiancata da numerosi alberi. Alti palazzi ai lati. Si aprì poi in un piccolo spiazzo, dove parcheggiò la macchina. Scesi dall'auto. Erano da poco passate le 8.
Jean tirò fuori il mio trolley, per poi chiudere la macchina, non appena sbattei la porta posteriore, dopo aver preso la mia valigia.
-Per di qua... -
Seguii l'uomo fino ad un palazzo elegantemente costruito. Dipinto di bianco. Il tetto azzurrino. 5 piani. L'interno era ben curato. Non trovai ascensori. A quanto pare non era ancora arrivata la tecnologia fin qua. Cazzo, non voglio farmi i piani a piedi.
-Terzo piano.- Meglio di niente.
Salimmo le scale, per poi arrivare a destinazione. Aprì la porta di casa. Non male, per essere quella di un francese. Mi avevano raccontato di molto peggio.
Davanti a me un piccolo soggiorno. Carta da parati bianca con ricami di piccoli fiorellini azzurri. Di rimpetto due finestre, una vicina all'altra.
-La vostra camera, messer Collard.-
A sinistra un corridoio, che dava a diverse stanze. Una porta aperta appena a destra. La cucina.
Poi una porta di rimpetto ad un'altra.
-Allora, a sinistra c'è il bagno- Aprì la porta. Piccolo ma illuminato. Una vasca, un lavandino e il water. Niente più.
-Qui la vostra camera- Arredamento simile alla sala, mentre entravo, guardandomi attorno. Un letto alla mia destra. Una piccola finestra davanti a me, e uno scrittoio in legno sulla sinistra.
-Se avete problemi mi trovate di là...- mi sorrise, poggiando il trolley vicino al letto.
-Ma voi... Dove dormite?-
-Ah non preoccupatevi per me. Ho un comodissimo divano-letto proprio in soggiorno. Per qualsiasi cosa... sono in soggiorno!- mi indicò la direzione con il dito, prima di chiudere la porta della camera, lasciandomi solo.
Rimasi perplesso dal suo modo di porsi nei miei confronti. Temeva qualcosa? Non voleva fare troppo il curioso? Non mi aveva chiesto niente. Emily gli aveva detto chi ero?
Guardai le valigie davanti ai miei occhi. Mi stavo chiedendo da diverso tempo cosa mai ci poteva essere dentro. Meglio essere sicuri. Aprii piano la porta della camera, guardando da un piccolo spiraglio verso il corridoio. Vidi la sua ombra proiettata sul muro di rimpetto a me. Era in sala.
Non mi presi la briga di chiudere la porta a chiave. In fondo, cosa mai poteva esserci dentro la valigia di così speciale?
Aprii prima quella piccola. Uno spolverino. Blue jeans, due magliette neanche della mia taglia. Un'agenda. La sfogliai velocemente. L'indirizzo di Jean, seguito da un numero di telefono.
Altri numeri di telefono che non capivo, e diversi nomi in francese, a me sconosciuti. Il resto bianco.
Il resto doveva essere nella valigia grossa.
La aprii per il lungo, con due zip unite tra loro da un cordino. Una tuta da jogging. Jeans. Altri pantaloni, più eleganti. Camicia, cravatta, e scarpe nere, lucidate a puntino. Per ogni evenienza.
Sotto, in basso, diversi pezzi dalle forme strane, avvolte in carta da giornale.
Incominciai a scartarli. Pezzi neri, lucidi, di plastica. E poi un caricatore. E dei colpi.
Rimasi un attimo sorpreso. Guardai ancora dentro la borsa, in cerca d'altri pezzi.
Una busta. C'era scritto: “Per G. Collard”.
Guardai dentro, un biglietto. Lo lessi.
“Al mio caro George Collard. Ho pensato di farti un regalino. Buon soggiorno a Parigi. Bacio. Emily.”
Iniziai a montare i pezzi. Sapevo cosa mi aveva regalato. Mi diedi una manata sulla fronte, trattenendo una risata di sorpresa.
Una Glock.
  
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