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Autore: olor a libros    29/12/2015    0 recensioni
Raccolta di one-shot che richiamano i personaggi di Sense8.
Il titolo (leggi: "Ridotto") si riferisce appunto alla dimensione realmente ridotta di questi che mi sento di chiamare semplici 'esperimenti', nati solo dal piacere di scrivere e di analizzare alcune caratteristiche dei personaggi.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sperava che non notassero il suo corpo troppo grande. Pregava perché non ci facessero caso.
Maledisse se stessa almeno tre volte prima di entrare. Perché aveva sbagliato tonalità di rossetto. Perché la gonna non le copriva i polpacci. Perché l’acconciatura la faceva sembrare più alta di alcuni centimetri e quei centimetri in più erano l’ultima cosa che le serviva.
Finalmente si decise a varcare la soglia del locale e venne travolta da un odore di fumo e alcool insieme.
In un attimo registrò tutta la stanza, spostando lo sguardo attento da sinistra a destra, fra i tavoli, le persone, il bancone, le luci. Poi si concentrò sul gruppo di giovani donne che la salutavano e stavano iniziando ad alzarsi per andarleincontro. Le sue amiche, se così poteva chiamarle. Forse meglio colleghe. In comune avevano il lavoro, ma ben poco altro. In breve fu circondata dalle loro voci, i loro profumi stucchevoli, i commenti preconfezionati e le domande disinteressate di circostanza.
“Ecco la regina della serata, la festa può iniziare!”
“Come stai, tesoro?”
“Oh, che domande, guardatela, sta d’incanto!”
La sua bocca sorrise per lei. Seguì le altre verso il tavolo, si sedette e accavallò le gambe.
Mentre ascoltava le chiacchere prender vita fissava le sue gambe sotto il tavolo. Spostò un po’ la destra perché coprisse meglio il polpaccio della sinistra. Poi iniziò a gettare rapide occhiate alle colleghe per accertassi che non stessero anche loro guardando le sue gambe troppo lunghe. I polpacci troppo grossi. Le mani troppo grandi. Il quarantadue di scarpe.
Cercava di parlare il meno possibile, lo faceva solo se direttamente interpellata.
La sua voce troppo grave.
Aveva passato tutta la vita a desiderare di essere lì, in mezzo a loro. Ora ci era riuscita, era in mezzo a loro – ma non una di loro.
Cosa le separava?
Era tutto nella sua testa?
Era sempre la sua testa che si immaginava gli sguardi, il suo cervello che credeva di sentire sussurri che non erano mai esistiti?
Maledisse per la quarta volta se stessa, poi maledisse tutti gli insulti che le avevano fatto smettere di credere nella sincerità dei sorrisi.
Si decise ad alzare gli occhi da sotto il tavolo. Incrociò quelli di Amelia Parks. Neutri, vuoti, eppure ancora le sembrava di scorgervi qualche segno di scherno nascosto dentro.
Sorrise. La Parks ricambiò.
La finzione.
Disgustata, spostò lo sguardo sul lato opposto della stanza. Lì incontrò due occhi di natura totalmente opposta. La differenza era sconcertante, tanto da lasciarla senza respiro per un istante. Quegli occhi castani, caldi, familiari, doveva averli già visti da qualche parte. Sembrava la aspettassero. Aggrottò le sopracciglia, si aggiustò gli occhiali, cercò di capire. Poi smise di cercare di capire, decise che non c’era niente da capire. Che aveva capito tutto.
Lasciò che il suo corpo la portasse verso quegli occhi, verso casa. Fu talmente facile che quasi si commosse. Non aveva più bisogno di guidare il suo corpo, di rinchiuderlo in movimenti forzati, nasconderlo, adattarlo; questa volta al suo desiderio rispose il comando, il suo corpo era suo,  solo suo, e semplicemente la portò da lei, da quegli occhi. A casa.
 
   
 
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