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Autore: Cygnus_X1    29/12/2015    3 recensioni
[SOSPESA]
Zrythe non ha mai avuto una vita facile.
Quando aveva tre anni il suo pianeta è stato invaso e lei rapita e venduta come schiava dai razziatori. Per quindici anni questa è stata la sua esistenza, ma non si è mai spento in lei il desiderio di rivalsa. Ha giurato che sarebbe fuggita e si sarebbe vendicata, e sta solo aspettando la sua occasione, alimentando in segreto quegli strani poteri che si è resa conto di possedere.
Quindi, quando Ryan, un ragazzo con dei poteri simili ai suoi, le propone di portarla con sé, Zrythe accetta senza pensarci due volte. Presto però si trova al centro di un gioco pericoloso, un gioco in cui le pedine in campo sono molte più che lei e la sua vendetta...
[Soft Sci-Fi/Space Opera]
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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——[Viaggio]——




 

U



na luce azzurrina. Vedo una luce azzurrina da sotto le palpebre chiuse. Sono morta?
Tutto è silenzioso. Fluttuo senza peso in una specie di nulla. Provo ad aprire gli occhi ma non ce la faccio. Non ricordo niente. Cos'è successo? Forse sono davvero morta.
Un'immagine affiora dalla nebbia. Un ragazzo castano che mi sta dicendo qualcosa.
Non è un Serket, è un umano. Un'idea comincia a formarsi nella mia testa. Sì, un umano. Qual era il suo nome? Ryan, giusto.
Mi sta dicendo qualcosa, ma non sento niente. Come faccio a dirgli che non sento niente se non riesco a parlare?
Il fianco mi brucia. È questo dolore a svegliarmi completamente e a farmi capire di essere ancora viva. Capisco che fino a un attimo fa stavo sognando, e apro gli occhi.
Mi trovo legata stretta con delle cinghie in una specie di capsula di vetro opaco, in verticale. La luce azzurra che mi ha svegliata filtra attraverso il vetro.
Essere chiusa in uno spazio così stretto mi opprime. Annaspo verso una pulsantiera che vedo alla mia sinistra, le braccia mi mandano fitte di dolore, premo un bottone blu e con un sibilo il coperchio scorre da parte.
Sono chiusa in una stanza stretta che contiene la mia e altre tre capsule. Vedo una porta alla mia destra e un oblò chiuso alla mia sinistra, nient'altro. Di Ryan nemmeno l'ombra.
Ancora annebbiata, abbasso lo sguardo per cercare un modo di slacciarmi. Non indosso più la tuta corazzata nera, ma una camicia bianca maschile che mi sta enorme. Le mie cose sono appoggiate sul fondo della capsula.
Un attimo. Ryan mi ha spogliata mentre ero svenuta?! Sotto la maglia indosso ancora la mia biancheria, e due fasce verdi adesive coprono le mie ferite sul braccio e al fianco. Con un po' di fatica, stacco il lembo della fascia che mi copre la spalla: la scottatura provocata dal laser si è ridotta a un'ampia ma innocua macchia rossa sulla pelle. Ringrazio mentalmente ancora una volta gli antenati Shadra.
C'è un pulsante sull'aggancio delle cinghie, lo premo e mi ritrovo libera.
Mi prende il panico. Come faccio a muovermi, ora? Sto fluttuando nella stanza come una stupida, senza il minimo controllo sui miei movimenti. La camicia svolazza da tutte le parti, lasciandomi quasi nuda, cercando di sistemarla sbatto inavvertitamente un gomito contro una parete.
«Kehen àshera!» impreco.
Afferro il bordo della mia capsula e provo a stabilizzarmi. Poi, cauta, mi spingo verso l'altra parete. Faccio qualche altra prova fino a capire come devo muovermi. Quando sono abbastanza sicura mi sforzo di indossare di nuovo la corazza nera. Non è il massimo della comodità, ma almeno non è imbarazzante.
Esco dalla camera rimediando un altro livido contro lo spigolo della capsula. Fuori, mi ritrovo in un corridoio abbastanza stretto perché sia facile fluttuarci attraverso senza roteare a casaccio. Lo seguo fino a una porta con una freccia blu luminosa sullo stipite. Mi ritrovo nella cabina di pilotaggio di un'astronave.
Sul sedile del pilota c'è Ryan, lo riconosco dai capelli castani. Ha le cuffie, non mi sente inveire contro qualsiasi cosa mentre mi avvicino a fatica, e per fortuna, o mi prenderebbe in giro a vita. Sta parlando velocemente al microfono in Galattico comune, capisco una parola ogni dieci. Raggiungo il sedile del copilota, mi assicuro con le cinghie e a quel punto mi concedo un sospiro di sollievo. Lui mi fa un cenno con la mano.
Non ha nemmeno il tempo di togliersi le cuffie che io lo fisso torva e lo assalto: «Dove siamo? Cos'è successo? E, soprattutto, perché mi sono svegliata con addosso una tua maglia?»
Lui solleva un sopracciglio, confuso, ma dopo qualche istante scoppia a ridere.
«Non c'è proprio niente da ridere» borbotto, incrociando le braccia.
È evidente che mi sta prendendo in giro. Io lo fisso finché non la smette, aspettando una risposta.
«Non preoccuparti, Zrythe! Ti ho spogliata solo per fasciare le bruciature ed evitare che si aggravassero. Ringrazia la corazza che avevi addosso, altrimenti sarebbero state molto più profonde. Ti ho iniettato una dose di antidolorifico, ma ormai dovrebbe aver esaurito il suo effetto. Se ricominciano a farti male puoi prenderne un'altra dose, basta che me la chiedi.»
«Ah, non preoccuparti, erano già quasi rimarginate. Non penso che mi daranno problemi.»
Mi rivolge un'occhiata scettica.
«È impossibile, sono bruciature da laser di livello 5. Solo con le medicine rigeneranti si rimarginano così in fretta...»
«Vengo da Adiannon» lo interrompo. «Discendo dagli Shadra.»
Lo vedo spalancare gli occhi, sbalordito.
«Questo spiega molte cose. Gli Shadra erano Rift molto potenti, almeno all'inizio. Poi in seguito alla decadenza del loro impero e alla colonizzazione dei Solariani hanno perso quasi tutte le loro tradizioni e quindi l'addestramento dei poteri.»
Molto di quello che ha raccontato non mi dice niente. Non conosco quasi nulla della storia del mio pianeta, se non qualcosa di vago che ho imparato dai rapporti che rubavo ai Serket quando potevo. Non sapevo che gli Shadra fossero Rift. Mi sento stranamente consolata, come se questo significasse che i Serket non mi hanno strappato del tutto le mie origini.
«E questo cambia qualcosa? Sapere la mia provenienza, intendo.»
«Ora so qual è il tuo potenziale, e non mi stupisce che tu sia riuscita a creare illusioni come quelle che hai usato durante la fuga. Con un po' di addestramento puoi fare qualunque cosa. Conosco un'altra persona che discende dagli Shadra come te, ed è eccezionale.»
Sollevo la testa di scatto. Un'altra persona dal mio pianeta? Devo assolutamente conoscerla. Forse mi potrà aiutare nella mia vendetta.
Quello che ha detto mi ha riportato alla mente altre domande, però.
«Aspetta, devi ancora dirmi cos'è successo da quando sono svenuta.»
«Ho rubato un'astronave Serket dal loro hangar. Dal terminale avevo inserito un virus nella rete, e attraverso quello ho aperto i portelloni esterni e bloccato le torrette laser. Purtroppo non è bastato a fermarli finché non siamo usciti dalla loro portata: hanno ripreso il controllo delle torrette esterne e ora abbiamo il propulsore principale danneggiato e il sistema di comunicazione a lungo raggio completamente distrutto.»
Sono disorientata da tutte quelle informazioni. Scuoto la testa e cerco di capire tutto quello che mi ha detto.
«Quindi? Dove siamo ora?» gli chiedo, indicando l'esterno. Oltre il vetro della cabina c'è solo vuoto nero punteggiato da qualche stella, e nient'altro. Siamo fermi: non sento il rumore continuo e lieve dei motori come quando ero sulla stazione dei Serket. Solo silenzio.
«Sto aspettando che il propulsore secondario si ricarichi. Non posso seguire una rotta rettilinea, non ci sono portali diretti per il primo settore nei dintorni della base Serket, ho dovuto infilarmi nel primo che ho trovato per sfuggire al loro inseguimento. Siamo sbucati in mezzo al quarto settore, e da là ho inserito la rotta per il portale più vicino che conduca al distretto Alpha, ma il propulsore non regge più di dieci-dodici ore di viaggio consecutivo.»
«Dodici ore?! Io ho dormito per dodici ore?»
Ryan fa un rapido calcolo a mente.
«In realtà sono quasi trentacinque ore standard. È la terza pausa.»
Sono sconvolta. Trentacinque ore.
«È normale. Hai quasi completamente prosciugato la tua energia. Non sembra, ma i poteri di Rift sono molto stancanti. L'ultima illusione ti ha davvero stremata.»
Scuoto la testa. Non sono mai arrivata a questo punto: è la prima volta che spingo al limite i miei poteri. Forse Ryan ha ragione, ho davvero bisogno di addestramento. Non posso restare fuori gioco per un giorno e mezzo solo perché ho evocato due illusioni.
«Siamo a metà del percorso» mi sta dicendo lui. «Ci troviamo esattamente nel quarto distretto al confine con la Fascia Interna, il portale è a qualche ora da qui. Sono riuscito a evitare i controlli, per ora, ma da questo punto in avanti entreremo nella Fascia Interna e mi dovrai aiutare. Non posso più impostare il pilota automatico, e con i sistemi di comunicazione fuori uso le astronavi della Pattuglia Galattica penseranno che siamo Serket, e hanno l'ordine di sparare a vista.»
«Io non so niente di astronavi» gli dico.
«Mi basta che controlli le telecamere esterne. Guarda...» Preme un pulsante e gli schermi di fronte a me si accendono mostrando spazio e stelle lontane. «Devi solo dirmi se vedi qualcosa di strano.»
Annuisco. Posso farlo.
Lui si rimette le cuffie. «Proverò a utilizzare le comunicazioni a corto raggio. Forse non siamo troppo distanti dal prossimo sistema e posso provare a contattare una colonia che spedisca il messaggio che ho registrato a Etharin.»
Etharin. Questo nome mi ricorda qualcosa. Sono stanca di chiedergli spiegazioni su qualunque cosa dice, però, così mi tengo il mio dubbio. Mi verrà in mente.

 
——[ ]——

«Zrythe!»
Mi sveglio di colpo al suono di una raffica di colpi alla porta della mia stanza e faccio per alzarmi ma mi trovo bloccata dalle cinghie. Ci metto qualche istante a ricordare che non sono più una schiava e che non sono venuti per uccidermi.
Ho addosso solo la camicia di una delle divise di ricambio che Ryan ha trovato sulla nave, ma la tempesta di colpi alla mia porta mi impedisce di cambiarmi. Fluttuo come posso fino alla porta, tenendomi la camicia ben tesa sulle gambe, e apro quasi strillando: «Ma che diamine succede, si può sapere?»
Ryan sta ridendo come un idiota per la mia reazione. Tento di sbattergli la porta in faccia e tornare a dormire ma lui mi blocca e mi afferra un braccio. Lo fulmino con un'occhiataccia.
«È per questo che è divertente prenderti in giro. Ti arrabbi sempre!»
Strattono il polso che mi sta tenendo ma non riesco a liberarmi. Non sono ancora pratica quanto lui con questa maledetta assenza di gravità.
«La smetto, sì. Ero venuto a dirti che tra poco arriviamo su Etharin, penso che tu sia curiosa di vederlo.»
Annuisco e lui sorride. Finalmente mi lascia il braccio e io posso chiudermi nella stanza e cambiarmi. Cominciavo a non sopportare più quella maledetta astronave: mi fa sentire imprigionata e non riesco a muovermi senza risultare imbranata.
Fuori dall'oblò si vede una stella. È bianca, piccola e molto luminosa; la sua luce è tagliente, ferisce gli occhi. È molto diversa sia dal grande sole rosso di Adiannon sia dalla stella gialla del sistema dei Serket, che ho visto dall'oblò della stanza di Ryan. Questa stella è strana.
L'orologio che ho sullo schermo di fianco alla capsula segna le undici di mattina, ora galattica standard. I Serket non seguono le regole standard, ma si basano sul loro sole. Io so come funzionano perché Adiannon le seguiva, e all'inizio mi ostinavo a contare il tempo come avevo imparato a casa. Poi ho dovuto imparare le regole dei Serket, ma ricordo ancora.
Quando entro in cabina Ryan è seduto al posto del pilota. Sta digitando su una tastiera e contemporaneamente parlando a raffica in Galattico comune al microfono delle cuffie, come al solito.
Prendo il posto del copilota come sempre. Sullo schermo di fronte si vedono due stelle: una è quella che ho visto dall'oblò, l'altra è rossa, molto più grande, e assomiglia molto al sole di Adiannon.
Accendo le telecamere esterne e sbircio sugli schermi. Ormai ho imparato come fare per muoverle e guardare intorno: un paio di volte Ryan ha impostato il pilota automatico e le coordinate di arrivo e mi ha lasciata sola a controllare che tutto andasse come previsto mentre lui dormiva. Non è successo niente di preoccupante, per fortuna, ma abbiamo impiegato qualche ora in più del previsto per arrivare: il propulsore secondario è molto meno potente, ha detto Ryan.
Vedo un pianeta di fronte all’astronave, a destra. È enorme, già da questa distanza riesco a vedere nitidamente scie grigie, azzurre e bianche sulla sua superficie.
Ryan dirige l’astronave oltre il pianeta enorme. Io lo guardo sugli schermi quando ce lo lasciamo alle spalle: è molto diverso sia da Adiannon sia dal pianeta morto dei Serket.
Mi accorgo che a destra e a sinistra, a distanza, sono comparse due astronavi. Chiamo Ryan e gli tocco un braccio per farglielo notare, lui annuisce e mi fa cenno di restare tranquilla.
Osservo le navi dagli schermi. Sono affusolate e lucide, di metallo verniciato di blu scuro, con uno stemma bianco sulle fiancate. Sembrano quasi esili in confronto alle astronavi dei Serket che ho visto nell’hangar, ma sono sicura che potrebbero distruggerci in una frazione di secondo.
Rivolgo lo sguardo in avanti, e sento il mio cuore perdere un colpo. Il pianeta verso cui le navi ci stanno scortando a una prima occhiata distratta mi è sembrato uguale ad Adiannon. Stessa atmosfera striata di bianco, stessi oceani blu. Ho impiegato un istante per rendermi conto che no, quello è Etharin, il cuore della galassia, e non un misero pianeta invaso e dimenticato del quarto settore.
Ci avviciniamo al pianeta e io comincio a notare le astronavi. Ce ne sono di tutte le forme e dimensioni, dai sottili caccia come i due che ci scortano a grosse navi cargo; vanno e vengono dal pianeta oppure fanno la spola tra la superficie e le stazioni spaziali in orbita.
Sento Ryan ridacchiare. Probabilmente gli sembro una stupida, così presa a fissare gli schermi cercando di cogliere ogni dettaglio, ma non mi importa proprio. Lui questa cosa la vede ogni volta che vuole, io no.
Etharin incombe di fronte a noi sempre di più mano a mano che ci avviciniamo, finché non copre interamente la visuale davanti a noi. Nell’atmosfera scorrono nuvole bianche che vorticano, morbide e sfilacciate; mi impediscono di vedere la superficie. La luce dei soli le colora e le fa brillare, resto incantata a guardarle. Superiamo la zona delle stazioni spaziali e dei satelliti di difesa senza nessun intoppo.
Sento il mio cuore accelerare. Ci immergiamo nell’atmosfera e Ryan comincia ad attivare i sistemi di frenata. È tutto bianco e confuso. Ryan deve affidarsi ai sensori e ai radar per proseguire. Anche i due caccia blu sono scomparsi.
L’astronave comincia a sobbalzare sempre di più mentre scendiamo, poi, di colpo, è tutto finito, e le nuvole sono sopra di noi.
Guglie altissime, terrazze, palazzi, grattacieli, giardini sopraelevati e torreggianti costruzioni di metallo e vetro si srotolano per tutto il panorama. Navi si muovono e scorrono nell’aria minuscole e insignificanti come puntini, e tutto brilla. Il bianco del cielo e della foschia, i colori balenanti dei riflessi della luce, le insegne e gli ologrammi rossi, blu, viola, verdi, dorati: tutta questa luce mi abbaglia.
Non mi accorgo che stiamo atterrando finché non sento un ultimo, lieve scossone e il reattore si ferma. Ryan ride alla mia espressione estasiata, si alza e si toglie le cuffie.
Il portellone dell’astronave si apre con un sibilo. Lui mi accompagna fuori e con un enorme sorriso mi abbraccia.
«Benvenuta su Etharin, Zrythe.»









 
******* Famigerato Angolino Buio *******
 
Efpiani fantascientifici(?), ciau! ^^
Forse questo capitolo suonerà familiare ad alcuni - molto pochi, presumo - di voi. L'avevo postato ancora secoli fa, salvo poi imbattermi nello studio di alcuni argomenti di fisica che mi avevano fatto rinnegare le idiozie che avevo sparato XD per cui l'ho tolto, insieme al capitolo successivo, e ora li riposto entrambi, sperando di riprendere a scrivere con più regolarità, poi.
Per ora non ho null'altro da dire, se non che spero la storia vi piaccia ^^
Passo e chiudo, alla prossima!

Vy
   
 
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