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Autore: Naco    09/03/2009    3 recensioni
Un incontro, assolutamente casuale. E la ruota del destino comincia inesorabilmente a girare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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- Questa storia fa parte della serie 'Mara e i suoi amici'
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IV

Avrei giurato che quella notte non avrei chiuso occhio: dopotutto, quanta gente incontra per caso uno dei propri cantanti preferiti per strada, gli ruba un pezzetto di vita privata, senza essere certo di chi questi sia, per scoprire poi di non aver preso una cantonata?
Invece, inaspettatamente, la scoperta mi aveva lasciato del tutto indifferente. Nel preciso istante in cui avevo realizzato che la mia fissazione era giusta e che quel ragazzo era realmente Matsumoto, paradossalmente, mi ero reso conta di quanto poco mi importasse: probabilmente, il mio pensiero fisso era solo dovuto a una specie di sfida contro me stessa e, adesso che l’avevo vinta, che il mio fiuto di fan e di donna aveva avuto la meglio sulle statistiche, il mio ego e la mia curiosità potevano ritenersi soddisfatti. Del resto, io non ero una persona che correva dietro al proprio idolo e che si impicciava della sua vita privata; probabilmente, un vero fan mi avrebbe guardata dall’alto in basso, liquidandomi con uno sguardo di sufficienza. Se fossi stata una vera fanatica, forse mi sarei disperata per aver perso l’occasione di chiedergli un autografo o una foto; ma io non lo ero, e mi accontentavo di avergli parlato; anzi, senza volerlo, avevo scoperto qualcosa della sua vita che, probabilmente, nessun altro ammiratore avrebbe mai conosciuto. Del resto, che senso avrebbe avuto pensarci ancora? Tanto, con tutta probabilità, non l’avrei mai più rivisto.

Quella volta arrivai davanti all’aula II un quarto d’ora prima che la lezione iniziasse. Fu con una certa soddisfazione che mi accomodai al mio posto, in seconda fila, proprio dietro Luca e accanto ad Ilaria. Non c’era un motivo particolare per cui mi sedessi proprio lì; semplicemente, da quando avevamo stretto amicizia, durante il primo anno della triennale, il nostro posto era stato sempre quello, semplicemente.
“Mi auguro che la lezione oggi ci sia.” mi disse appunto Luca a mo’ di saluto; annuii anche se mi dava le spalle.
“C’è. L’ho visto che stava facendo delle fotocopie. Chissà se sono per noi.”
“Ciao Ilaria.”
Ci guardammo e le mille parole non dette che aleggiavano nell’aria, in pochi secondi, colmarono il silenzio che si era creato tra noi negli ultimi giorni. Nelle sue iridi c’era la preoccupazione, la curiosità di sapere come stessi, ma anche la consapevolezza che tutto, lo sapeva e lo sapevo anche io, si sarebbe sistemato per il meglio.
“Ciao Mara, Luca… Allora, cosa mi sono persa ieri?”
Luca fece spallucce: “Una mandria di ragazzi inferociti per l’interruzione delle lezioni, ma per il resto, niente di speciale.”
“Se aveste preso il treno con me, ieri, avreste visto come sono riuscita a far ripartire un treno fermo per la manifestazione con la sola forza delle mie parole.”
Dalle loro facce, capii che pensavano stessi scherzando, ma ci misero poco a rendersi conto che era tutto vero.
“Come diavolo hai fatto?”
Feci loro un occhiolino: “Avercela con il mondo, può avere anche i suoi vantaggi, ogni tanto.” E così mi ritrovai a raccontare la mia avventura della mattina precedente. Luca scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di altri ragazzi in aula; Ilaria invece non la finiva più di blaterare “avrei voluto tanto vederti”.
“Cavoli, se l’avessi saputo ti avrei dato volentieri un passaggio, dato che sono venuto in macchina. Però sarebbe piaciuto anche a me vederti all’opera!”
“Già. Peccato che alla fine sia stata tutta fatica sprecata.”
“Non direi. Un uccellino mi ha detto di averti vista con un ragazzo ieri mattina.”
Arrossii al ricordo dell’avventura del giorno precedente e del suo protagonista principale.
“Cosa? E questo chi sarebbe?”
Ovviamente per poco Ilaria non mi saltò al collo per avere tutti i dettagli del caso, pensando chissà cosa.
“Ma niente, solo un ragazzo che voleva un’informazione.”
“Davvero tutto qui?” sembrava delusa, ovviamente.
“Perché, cosa credevi?”
“Sei sempre la solita, Mara. Tu per i ragazzi, proprio…”
Le feci una linguaccia scherzosa. Non era la prima volta che Ilaria mi lanciava allusioni di quel genere, ma non aveva ancora avuto la soddisfazione di vedermi capitolare.
“Eppure da quanto mi hanno raccontato, era proprio un bel ragazzo. Sei proprio sicura che non sia successo niente?”
“Spiacenti di deludervi, ma…”
Non riuscii a terminare la mia arringa, perché qualcuno entrò di corsa nell’aula per puntarmi in faccia due occhi azzurri dall’aria indagatrice.
“Ciao Enrico. Cosa succede?” chiesi, per nulla preoccupata dal suo comportamento.
“Dimmi chi è.”
“Chi è chi?”
“Avanti, Mara, non prendermi in giro. C’è un gran bel figo fuori dall’aula che ti cerca. Voglio sapere chi è.”
Un gran bel figo che cercava me?
“Ma di chi stai parlando, scusa?”
Enrico parve risentito: “E che ne so io? Mi ha chiesto se conoscessi una ragazza che frequenta estetica, con i capelli ricci e una borsa di Hello Kitty. Ne conosci altre?”
“Ma chi può essere?”
“Forse è il ragazzo che hai aiutato ieri!” scherzò Ilaria.
La guardai torva e allungai lo sguardo verso l’entrata, cercando di capire chi fosse lo sconosciuto. E fra i tanti studenti che attendevano il professore sulla soglia, intenti nelle proprio conversazioni, capii a chi si stava riferendo Enrico.
Lì, ad aspettarmi, c’era lui.

Probabilmente la sorpresa mi tolse la parola per qualche minuto, perché gli altri si affrettarono a seguire il mio sguardo. Ilaria mi agitò il braccio con foga: “Oh mio Dio, ma quello è…”
La incenerì con una sola occhiata. “Non dire niente. Ti racconto dopo.” sibilai alzandomi e dirigendomi verso di lui.
“Per una volta, sono d’accordo con te, Enrico: è davvero un bel ragazzo.” Stava commentando Luca e io non potevo dargli torto: nel cono di luce in cui si trovava, i suoi occhi risplendevano come smeraldi, mentre un sorriso incerto gli riempiva il viso.
“Ciao.”
“Ciao.”
Abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“Come mi hai trovata?” chiesi, con un pizzico di curiosità.
Un lieve rossore gli imporporò le guance: “Ieri… mentre parlavi al telefono… non volevo origliare, ma… hai nominato la lezione di estetica, così ho chiesto in giro e ho saputo l’orario e l’aula.
“Oh…”
“Mi dispiace, non avrei dovuto…”
Scossi la testa. “No, non ti preoccupare. Scusami ancora per aver…”
“No, no…” fu il suo turno di scuotere la testa con veemenza “Sono io a dovermi scusare con te per la scenata di ieri e per essermene andato così.”
“Non è successo nien…”
“Invece no. Volevo anche ringraziarti per avermi aiutato ieri. Volevo offrirti qualcosa per sdebitarmi.”
“Ma non è necessario!”
“Per favore!” i suoi occhi verdi erano quasi imploranti.
“D… d’accordo. Però ora ho lezione. Finisco per le dodici. Ti va bene lo stesso?”
Sorrise raggiante. “Perfetto! Allora ti aspetto qui fuori, ok?”

Ovviamente della lezione di estetica non capii una parola. Avevo ripetuto in continuazione a me stessa che tutta quella agitazione non era dovuta al fatto che stessi per pranzare con Matsumoto in persona, quanto alla reazione che avevano avuto i miei tre amici una volta che ero tornata al mio posto: Luca aveva continuato a lanciarmi occhiate preoccupate anche durante la lezione, mentre Enrico sembrava che volesse strapparmi dalla mente l’identità dello sconosciuto; Ilaria, invece, mi guardava di sottecchi, le sue labbra che fremevano dal desiderio malcelato di conoscere la verità. Perché lei, a differenza degli altri due, sapeva perfettamente chi fosse quel ragazzo; anzi, era stata proprio questa nostra comunanza di interessi a farci stringere amicizia, durante il primo anno di università; un’amicizia che, tra alti e bassi, durava ormai da ben quattro anni.
“Si può sapere come hai fatto a conoscere quello lì?” mi chiese alla fine, senza farsi notare dal docente.
“Te l’ho detto!” bisbigliai, continuando a guardare il professore “Ho solo dato una mano a uno straniero che sembrava in difficoltà. Tutto qui.”
“Suppongo sia stato solo un caso se quello straniero fosse proprio…”
“E’ stato un caso, Ila,” tagliai corto, stufa di quelle domande “che tu ci creda oppure no.”
“Ma che diavolo può cercare una star giapponese a Bari?”
“Che vuoi che ne sappia, io?” mentii, tornando a prestare attenzione alla lezione in corso, decretando la fine del discorso, per quanto mi riguardava.

Appena l’ora di estetica terminò, mi precipitai fuori senza neanche aspettare che il professore uscisse dall’aula, non tanto perché avessi così tanta fretta di raggiungerlo, quanto per evitare i soliti commenti stupidi dei miei amici; ovviamente, loro dovevano aver capito esattamente il contrario, perché sentii un “Divertiti e poi raccontaci tutto, Mara!” urlato da Enrico. Non mi voltai neanche per rispondergli, ma mi ripromisi di fargliela pagare quanto prima.
Lui mi stava aspettando sulla soglia. Da quella distanza, doveva aver per forza sentito il commento del mio amico, infatti aveva uno strano sorriso dipinto sul volto.
“Allora, Mara. Dove vuoi andare di bello?”
Tossicchiai imbarazzata: “Scusalo, per favore. Se non spara fesserie, Enrico non è contento.
Rise. “Tranquilla. Tutto il mondo è paese.”
Ignorai gli sguardi degli altri e aumentai la velocità per guadagnare l’uscita il più velocemente possibile: potevano anche non sapere chi fosse, ma un giapponese dagli occhi verdi non passava assolutamente inosservato, soprattutto in un ateneo a prevalenza femminile.
“Allora, dove vuoi andare?” mi chiese nuovamente, una volta fuori dall’ateneo.
“Per me è indifferente. Non dovevi neanche preoccuparti, se è per questo.”
“Allora decido io. Ma poi non lamentarti, ok?”
Annuii, anche se poco convinta: ero sicura che sarebbe stato comunque troppo.

E ovviamente non mi ero sbagliata: dove avrebbe potuto portarmi una persona che guadagnava tanti soldi quanti io non ne avrei mai visto in dieci vite, se non in un ristorante lussuosissimo come quello in cui stavamo entrando? Non c’era neanche bisogno di guardare il menù per sapere che lì una pietanza costava più di un intero pranzo in un qualsiasi posto normale. Non era necessario neanche entrarci, per rendersene conto: basta osservare, tramite la porta a vetri, il candelabro in oro massiccio, per comprendere che in quel posto era meglio non mettere piede.
“Non conosci nessun posto più… ehm…”
“Avevi detto che non ti saresti lamentata qualunque cosa avessi scelto.” puntualizzò lui.
“Ma questo ristorante è troppo! Non ho neanche un abito decente!” protestai, indicando i miei jeans, le scarpe da ginnastica, il giubbotto nero e i ricci castani legati in una coda neanche ben acconciata…
“Matsuda-san!”
Ci voltammo simultaneamente, mentre un uomo di mezza età, chiaramente giapponese, ci veniva incontro sorridendo.
“Hoshino-san! Konnichi wa!”
I due uomini si inchinarono, ma io non mi mossi, onde evitare di fare qualche gaffe: sapevo perfettamente che ogni inchino ha un’angolazione diversa a seconda della situazione e della persona a cui ci si rivolgeva, e non avevo intenzione di far fare una figuraccia al mio accompagnatore.
“Questo signore è Hoshino-san, il proprietario del ristorante, ed è un mio grande amico.”
“Salve. E’ un piacere conoscerla, jou-san*.” Mi tese gentilmente la mano.
“Il piacere è tutto mio, signor Hoshino.” Risposi.
“Quindi, come vedi…” mi spinse gentilmente verso l’interno “Non hai nulla di cui preoccuparti.”

Non ricordo cosa diavolo ci fosse nel mio piatto: ero troppo frastornata per chiedermi che cosa stessi mangiando. Una parte del mio cervello registrò che era cibo giapponese che avevo visto tante volte negli anime, ma che non avevo mai assaggiato; l’altra, invece, era entrata in loop e non faceva altro che ripetere sono seduta in un ristorante giapponese costosissimo e sto pranzando con Matsumoto Shin’ichi.
“Vedo che te la cavi con le bacchette.”
Solo in quel momento mi resi conto che mi stava fissando; arrossii.
“Sì. Mi piace la cucina cinese e qualche volta io e i miei amici andiamo a pranzo al sushi bar vicino all’università.”
“Oh. Quindi ti piace la cucina giapponese?” mi chiese stupito “E io che volevo farti provare qualcosa di diverso!”
“Ma infatti è qualcosa di diverso: al sushi-bar preparano solo sushi, maki, zuppe di miso e sashimi.”
“Ah però!”
“Ovviamente non è che possiamo permetterci di andare troppo spesso, visto quanto costa, Diciamo che è il luogo delle occasioni speciali, come lauree o compleanni. Una volta, provammo a preparare del sushi a casa:” risi al ricordo “ci mettemmo cinque ore e alla fine faceva schifo.”
Rise anche lui.
“Se vuoi, chiedo al mio amico di spiegarti come si prepara.”
“Credi davvero uno chef spiegherebbe a me i suoi segreti? Sarebbe un suicida, visto che perderebbe possibili clienti.”
Rise ancora. Mi piaceva la sua risata, mi faceva sentire a casa. “Forse hai ragione.”
“Sai? Una volta Enrico provò a sedurre il cameriere per farsi rivelare la ricetta. L’unico risultato fu che il poveretto chiese a un collega di sostituirlo.”
“Enrico?”
“Il ragazzo a cui hai chiesto di me. E’ omosessuale.”
“Ma il cameriere probabilmente non lo era.”
“O forse era fidanzato. Fatto sta che da allora, ogni volta che lo vede, si defila sempre, il poverino!”
“Non gli do torto, sinceramente. E tutto per imparare a cucinare il sushi?”
“Beh…” abbassai lo sguardo, imbarazzata “Forse a te che sei giapponese non dovrei dirlo, ma il mio sogno e quello della mia amica Ilaria è quello di conoscere un vero giapponese che ci insegni la lingua e a preparare il sushi.”
“Allora è per questo che mi hai aiutato ieri?” scherzò lui “Devo deluderti, però: al massimo potrei insegnarvi il giapponese, perché il sushi lo mangi soltanto.”
“Pazienza. La prossima volta sarò più fortunata.”
“Piuttosto…” il sorriso scomparve dal suo volto e mi guardò dritto negli occhi “Ti devo delle spiegazioni per quel che è successo ieri.”
“Non serve. Ad ognuno i suoi segreti. Ero io a non dover ascoltare, quindi la colpa è mia.”
“No. Sono io che ti ho impedito di andar via. Me ne rendo conto e mi scuso profondamente. Immagino che dev’essere stato imbarazzate.”
Cadde il silenzio. Forse stava solo riordinando le idee, oppure, semplicemente, aspettava una mia domanda.
“Però… è stato strano. Quando ho sentito la tua conversazione con tua madre, ho capito che io e te eravamo simili e che potevi capire quello che stavo provando. Per questo, quando mi sono trovato faccia a faccia con mia madre, mi sono sentito sperduto e, istintivamente, mi sono aggrappato all’unica persona che in quel momento sapevo essere più simile a me.”
“Ho capito…”
“Ed è per questo che voglio sdebitarmi con te raccontandoti tutto quanto.”


* jou-san significa signorina.

Note dell’autrice
Prima che qualcuno me lo chieda: non mi risulta che a Bari ci sia davvero un ristorante giapponese così costoso; sì, è possibile trovare sushi bar vari (più o meno costosi), ma nessuno ai livelli del ristorante di Hoshino-san! XD
Un immenso grazie a Lorusgra per avermi fatto notare un’incoerenza che inizialmente non avevo notato. Arigatou!
   
 
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