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Autore: blackmiranda    30/12/2015    7 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eurystheus





 
Quando la servetta la chiamò, Megara stava allattando la figlia.
 
“C’è un uomo alla porta che chiede di padron Ercole.” la informò a bassa voce, occhieggiando la piccola Macaria.
 
Meg le lanciò un’occhiata infastidita. “Ercole non c’è. Se ha un messaggio da lasciare fattelo dare, altrimenti digli di ripassare tra qualche settimana.” ordinò, cullando leggermente la bambina.
 
La serva ubbidì prontamente, lasciandole sole. Meg sorrise amaramente alla figlia, che la scrutava con i tondi occhioni blu. “Chissà se papà tornerà tra qualche settimana…” considerò la donna tra sé e sé, stringendo Macaria al petto.
 
Dopo qualche minuto, la servetta tornò: “Dice che è venuto a far visita al signor Anfitrione e alla signora Alcmena. Dice che è un parente di padron Ercole, e che se potesse parlare con il signor Anfitrione lui potrebbe confermarlo.”
 
A quel punto, Meg sospirò appena. “Va bene, va’ a chiamare Anfitrione allora. Io arrivo subito.” disse scivolando con grazia in piedi mentre la bambina finiva la poppata. Macaria le sorrise, soddisfatta, ed Hera, come spuntata dal nulla, si offrì raggiante di prenderla in braccio.
 
“Attenta al chitone, deve fare il ruttino.” la avvertì Megara con una mezza smorfia. “Potrebbe rigurgitare un po’.”
 
L’ex-dea parve impallidire leggermente alla prospettiva. “Oh, beh, sono certa che non sarà nulla di irreparabile…” commentò prendendo in braccio la piccola.
 
“Dipende dalla stoffa, immagino.” commentò Meg, avviandosi a malincuore fuori dalla nursery.
 
Non era certo un granché come ospite, se ne rendeva conto benissimo. Inoltre, come se già non fosse di malumore per conto proprio – e lo era, con il marito impegnato in una missione di vitale importanza lontano da casa e una decina di ex-divinità che gironzolavano per casa – ci si mettevano pure lontani parenti sbucati da chissà dove a peggiorare la situazione.
 
Attraversate le ariose stanze della villa, percorse il viale pieno zeppo di operai e sacchi di malta e calcestruzzo. Si vedevano ancora i segni della lotta contro i Centimani, ma i lavori procedevano rapidamente. Presto qualsiasi traccia fisica dello scontro sarebbe stata obliterata; quanto alle tracce psicologiche, rifletté cupamente, ci sarebbe voluto senza dubbio più tempo.
 
Giunta al cancello principale, miracolosamente sostituito in meno di una settimana per merito di Phil, squadrò l’uomo al di là delle sbarre con un’espressione tutt’altro che cordiale. “Sì?” gli fece seccamente, incrociando le braccia al petto.
 
L’uomo la squadrò a sua volta, un’espressione di lascivia che pareva traboccare dal volto tondeggiante sul cui mento spuntava una rada barba. “Buongiorno a te, bellezza! Mi chiamo Euristeo, sono il cugino di Ercole. Mi hanno detto che non è in casa…”
 
“È così, infatti.” rispose Meg in tono perentorio. In quel momento arrivò Anfitrione, zoppicante, sottobraccio all’ancella di poco prima. Il vecchio corrugò la fronte e socchiuse gli occhi, come per vedere meglio il tizio che si trovava di fronte. “Per Bacco…” fece l’anziano uomo, affiancandosi alla nuora.
 
“Zio!” esclamò quindi l’uomo fuori dal cancello. “Zio Anfitrione, ti ricordi di me? Sono Euristeo!” esclamò, con una gioia a cui Meg non riuscì a credere fino in fondo.
 
Anfitrione sbatté le palpebre. “Euristeo? Mio nipote?” disse, incredulo, avvicinandosi ancora un po’ al cancello.
 
“Ma certo! Ne conosci altri?” chiese l’uomo, ridendo fragorosamente. “Caro zio, quanto tempo è passato. E la zia Alcmena, come sta?”
 
Anfitrione sembrava alquanto perplesso. “Bene, bene…” balbettò, ma il nipote non attese nemmeno che finisse di parlare prima di continuare: “Ho saputo che Ercole non è in casa, che peccato! E io che sono venuto fin qui da Tirinto solo per vedere lui! Ma per fortuna almeno ho trovato voi! Di’, caro zio, posso entrare? O qui a Tebe hanno un concetto diverso di ospitalità?” disse in tono affettato, gli occhi acquosi che si posavano su Megara.
 
Anfitrione, in evidente imbarazzo, si rivolse anch’esso alla donna. Meg, sforzandosi di trattenere l’irritazione, prese la chiave che teneva in tasca e aprì il cancello, che scivolò sui cardini senza il minimo cigolio.
 
“Grazie! Gentilissima!” le fece l’uomo, portandosi la sacca da viaggio sulle spalle.
 
“Ehm…lei è mia nuora, Megara.” la presentò Anfitrione, schiarendosi la voce nel mentre.
 
Euristeo la squadrò nuovamente. “Ah! Che maleducato sono, non ne avevo proprio idea!” esclamò, improvvisando un baciamano. “Mia cara, sono onorato, anzi onoratissimo! Il cugino Ercole ha dei gusti eccellenti in fatto di donne, devo dire!”
 
Meg sollevò un sopracciglio, ritraendo la mano non appena le fu possibile. “Prego, accomodati se vuoi: purtroppo, se sei venuto per Ercole, temo che non tornerà tanto presto…” esordì la donna, anche se aveva l’impressione che non gli sarebbe certo dispiaciuto fermarsi per un po’ a casa loro a scroccare vitto, alloggio e comodità correlate.  
 
Come se già non fossero pieni quanto un albergo ad Atene durante le Panatenee.
 
“Oh, beh, vengo da un viaggio lungo, e se potessi giusto…” iniziò l’uomo, e Meg lo interruppe subito con un “Certamente” che aveva un che di rassegnato.
 
Percorsero il viale al contrario. Euristeo osservò con curiosità manifesta gli operai intenti a sostituire le mattonelle di pietra in frantumi con delle nuove lastre, integre e lucide. “Oh, cielo! Che è successo qui?” si informò l’ospite.
 
“Stiamo ristrutturando.” rispose laconica Meg, dandogli le spalle.
 
Anfitrione si schiarì la gola di nuovo. “Allora, come vanno le cose..?” chiese al nipote, cercando di fare conversazione.
 
“Eh, cosa vuoi, caro zio: quest’anno il raccolto è stato magro, le piante sono appassite all’improvviso…uno dice ‘meglio sacrificare a Demetra’, ma quando hai la pancia vuota cosa ti resta da sacrificare?” rispose Euristeo, lo sguardo che vagava su ogni singolo particolare della villa. “Voi, invece, vedo che ve la passate molto bene…” commentò con una punta di invidia nella voce.
 
Il vecchietto si strinse nelle spalle. “Si fa quel che si può. Ma in realtà io e la zia non abitiamo qui; siamo solo in visita.”
 
Euristeo annuì, pensoso. “E dimmi, Ercole dov’è andato? E quanto starà via?”
 
Meg assottigliò lo sguardo. Non le piaceva che quell’estraneo facesse tutte quelle domande. Sarà che aveva imparato a sue spese a non fidarsi troppo della gente, dei o uomini che fossero… “Mio marito è impegnato in una faccenda importante. Cose da eroi.” rispose, anticipando Anfitrione. “Ma se hai un messaggio da dargli, posso comunicarglielo io non appena tornerà.” aggiunse, girandosi a guardarlo. Erano quasi arrivati all’ingresso della villa.
 
L’uomo si produsse in una breve, secca, risata. “Mia cara, non è nulla di così importante! Si tratta semplicemente di un accordo economico, ecco tutto...ma non voglio annoiarti con i dettagli…” disse, vago, liquidando l’argomento con un sorriso untuoso.
 
“Sono certa che potrei capire. Ho una certa esperienza riguardo agli accordi.” insistette lei, ben sapendo di starlo mettendo con le spalle al muro. Con chi credeva di avere a che fare? Non era certo una stupida né una sprovveduta: sentiva che in quell’uomo c’era qualcosa che non andava. Le ricordava Ade, in qualche modo, e la cosa da sola era già un campanello d’allarme bello e buono.
 
In quel momento, tuttavia, lo stomaco di Euristeo brontolò fragorosamente, e questi ne approfittò per sviare il discorso. “Oh, per Zeus! Perdonate se ve lo chiedo, ma sarebbe possibile avere un po’ da mangiare? Non necessito di molto, appena un po’ di pane e formaggio…”
 
La servetta al fianco di Anfitrione, la quale fino ad allora era rimasta in silenzio, scattò sull’attenti. “Vado subito ad avvisare in cucina!” esclamò in fretta, pensando evidentemente di aver mancato ai suoi doveri.
 
Maledetta ospitalità greca, pensò Meg tra sé e sé, costringendosi a rimandare la discussione in un altro momento.   
 
***
 
Ercole, Pegaso e le quattro ex-divinità erano in cammino da quasi una settimana ormai, e Gaia non si era più fatta sentire. Persefone stava iniziando a preoccuparsi; senonché, per tranquillizzarsi, diceva a se stessa che, tutto sommato, se la grande dea non cercava di contattarla, poteva benissimo voler dire che stavano andando nella giusta direzione ed era tutto tranquillo.
 
O forse non riusciva a parlarle nel sonno perché dormiva poco e male. In realtà, si stavano tutti stancando parecchio, a causa dei quotidiani turni di guardia e del russare prepotente di Zeus, che ogni mattina sembrava più mortificato. “Non posso davvero farci niente, mi dispiace.” si giustificava, come rattrappito per la vergogna.
 
L’unico che al mattino era fresco come una rosa era Ade, che dormiva indisturbato tutte le notti, vuoi perché non lo svegliavano mai per fare la guardia, vuoi perché era abituato al russare del fratello. Una notte, Poseidone l’aveva svegliato durante il suo turno di guardia, indispettito perché non trovava giusto che fossero tutti costretti a sacrificare ore di sonno tranne lui, ed erano quasi venuti alle mani.
 
Da allora avevano convenuto che fosse meglio ingoiare il rospo e ignorare l’ex-dio dei morti come meglio potevano, cosa che Persefone, suo malgrado, era praticamente allenata a fare.
 
Finalmente arrivati a Corinto, dopo aver speso un bel po’ di dracme sonanti per rifornire le scorte di viveri, si diressero verso il porto in cerca della nave che li avrebbe condotti alla terra occidentale al di là del mare.
 
Persefone non aveva mai visto una città portuale in vita sua, e fu estremamente sorpresa nel vedere tutta quella gente affaccendarsi con merce di ogni tipo e misura. Odori che non aveva mai sentito prima la colpirono uno dopo l’altro, facendole girare la testa. Gabbiani stridenti volavano appena sopra le loro teste e più di qualche mercante dal viso scurito e rugoso lanciò loro un’occhiata che voleva forse sembrare amichevole ma che la inquietò tanto che si tirò lo scialle fin sopra la testa, a coprirle il volto.
 
Pegaso le diede una leggera musata sulla spalla, come per rassicurarla.
 
A mano a mano che si avvicinavano ai moli, Poseidone allungava il collo in direzione del mare. Zeus se ne accorse e gli mollò una pacca sulla schiena. “Nostalgia, eh vecchio mio?” fece, il vocione ancora più profondo del solito.
 
L’ex-dio dei mari annuì stancamente. “Non so cosa darei per rivedere Amphitrite ancora una volta…e Tritone! Non so nemmeno che fine hanno fatto…”
 
Ade, che camminava a passo strascicato dietro i due fratelli, mormorò, rivolto alla moglie: “Vedi, questo è il vantaggio di non avere legami con nessuno: meno preoccupazioni, meno casini…”
 
Persefone sollevò un sopracciglio: “Senza dubbio tu non hai di chi preoccuparti, a parte te stesso.” commentò con una punta di disapprovazione nella voce.
 
Ade sogghignò. “E non passa giorno che io non mi rallegri per questo. D’altronde, ho avuto l’immensa fortuna di averti sempre appresso, fiorellino.”
 
La ragazza lo fulminò con lo sguardo. “Perché mi stai parlando? Credevo che non mi sopportassi.” sibilò a bassa voce, sperando che il resto del gruppo non li sentisse confabulare.
 
Ade si strinse nelle spalle. “Tutto sommato, e per quanto mi costi ammetterlo, sei quella che sopporto di più, qui in mezzo.”
 
Persefone socchiuse gli occhi. “Beh, la cosa non è affatto reciproca.”
 
Si fermarono davanti ad una serie di anfore in argilla che venivano caricate a poco a poco su di una nave commerciale. Quello che sembrava a tutti gli effetti il capitano della suddetta nave li occhieggiò con diffidenza, soffermandosi in particolar modo sul cavallo alato nelle retrovie.
 
Ercole prese la parola, spiegando a grandi linee la loro situazione all’uomo di mare. “Naturalmente, siamo disposti a pagare.” disse il ragazzo, facendo tintinnare il sacchetto in cuoio che portava legato alla cintura.
 
Il capitano parve rilassarsi un po’ quando vide il borsello gonfio di monete. “Potrei considerare di portarvi fino a Siracusa, certo…” esordì, lanciando un’occhiata critica a Persefone e a Pegaso, che lo osservarono perplessi di rimando. “Cosa?” domandò la ragazza, ignara del motivo per cui la stesse squadrando in quel modo.
 
L’uomo fece una smorfia, grattandosi il mento coperto da un barbone ispido e brizzolato. “Non è che trasporto spesso donne nella mia nave, e non avevo mai visto una bestia del genere in vita mia…” rispose gesticolando in direzione di Pegaso.
 
Ade colse la palla al balzo e, passando un braccio dietro le spalle della moglie, fece allegramente: “Non se ne vedono spesso in giro, è vero…ma tranquillo: questa qui non morde.” Persefone spalancò la bocca, indignata, e lo spinse via con tutta la forza che aveva. “Idiota!” sibilò, le guance in fiamme. Zeus, Poseidone, Ercole e Pegaso lanciarono un’occhiataccia all’ex-dio dei morti, mentre il capitano parve apprezzare la battuta e scoppiò a ridere fragorosamente. “Uahahahah! Questa sì che è bella!” esclamò, tossendo e sghignazzando al contempo. “Beh, beh, potrei fare un’eccezione, sì…” aggiunse, asciugandosi una lacrima, il viso rubicondo per l’improvvisa ilarità. “…ma solo perché mi sta simpatico.” bofonchiò indicando Ade, che si produsse nel sorriso più smagliante che gli riusciva di fare. “Sentito, ragazzi? Tutti a bordo!” esclamò, raggiante come Persefone non l’aveva visto da tempo.
 
Ercole, impacciato, fece per rivolgersi all’uomo, ma costui lo precedette, tornando improvvisamente serio: “Pagamento anticipato. E per la donna e il cavallo voglio il doppio.”
 
Pegaso lanciò un acuto nitrito e Persefone, indispettita, incrociò le braccia al petto.
 
***
 
La notte era ormai calata da un po’ quando Euristeo uscì in cortile, dopo essere sgattaiolato fuori dalla stanzetta che gli avevano assegnato. L’uomo si guardò attorno parecchie volte, sospettoso, cercando di fare meno rumore possibile, fino a quando un’alta figura ammantata non gli si parò davanti, rischiando di farlo urlare per la sorpresa.
 
“Siamo nervosi, mortale?” fece la figura con voce roca, sotto la quale si celava tuttavia un tono di perentorio comando.
 
“Beh, ecco, un po’…” rispose lui, ridendo nervosamente.
 
Gli occhi verde smeraldo della dea di fronte a lui brillavano nell’oscurità. “Allora, cosa mi dici di Ercole e degli altri?” chiese, andando dritta al sodo.
 
Euristeo si schiarì la voce. “Ehm, ecco…Ercole non c’è, a quanto pare…” pigolò, facendosi piccolo piccolo.
 
“Come sarebbe, non c’è? Dov’è andato?” si informò la dea, assottigliando lo sguardo.
 
“Non lo so…dicono solo che è partito in missione…non so dove.” riferì Euristeo, guardandosi intorno. “Hai sentito un rumore?”
 
La dea gli si avvicinò, prendendolo per il bavero. Lo sovrastava di tutta la testa. “Scopri dov’è andato. Subito.” sibilò, spintonandolo all’indietro. Detto questo, spiegò le grandi ali membranose e si alzò in volo, lasciando Euristeo solo nella notte.









Ce l'ho fatta! Ho aggiornato prima di Capodanno! Evviva! XD
Vi ringrazio ancora tantissimo per i continui complimenti che mi fate. :) E grazie anche per il sostegno che mi date. ^o^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Piccolo appunto: nella mia storia ovviamente Euristeo non è il re di Tirinto. L'ho immaginato più come il cugino di campagna o una cosa del genere. ;P 

Tanti tanti auguri di buon anno nuovo! :) Statemi bene! :*

 
 
 
   
 
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