Sixième Chapitre : Mon amour est dans mon
reve.
Premeva le labbra sulle sue disperatamente,
stringendosi a lui in una frenetica preghiera. La risposta che riceveva era il
muto consenso ad esaudire ogni sua richiesta, ogni suo desiderio. Sentiva il
calore delle sue mani, che le percorrevano la schiena con una lentezza quasi
esasperante, attraverso il tessuto lucido del vestito da sera che indossava. Doveva
essere il vino della cena appena consumata a farle girare la testa, o era la
sua sola presenza a farla sentire ad un palmo da terra?
La stanza era indefinita, avvolta nella penombra, i
rumori della festa selvaggia che si stava svolgendo sotto i loro piedi
penetravano a malapena dalle pareti di legno. Il mondo intero era oltre quella
porta, lontano migliaia di chilometri, con i suoi problemi, con il suo dolore e
il suo freddo.
Lui le lasciò libere le labbra per proseguire la
frenetica corsa della sua bocca sul collo, sulla sua spalla, sul suo petto,
mentre lei reclinava la testa, il nome dell’uomo che le sfuggiva, roco.
“Sesshomaru…”
Tuffò le mani tra i suoi capelli candidi, stringendolo
al petto, desiderando solamente il proseguimento quella deliziosa tortura.
L’uomo si sbarazzò della giacca e della cravatta, poi
la sollevò senza il minimo sforzo, con le sue gambe affusolate a cingergli la vita,
e l’adagiò sul letto, come se fosse fatta solo di fragile vetro.
I vestiti scivolarono di dosso uno dopo l’altro.
Le carezze esperte dell’uomo strapparono un altro
gemito alla donna. Lo vide sfoggiare un sorrisetto maliziosamente soddisfatto,
per poi tuffarsi di nuovo su di lei, per percorrere il suo corpo, il ventre
piatto con le labbra, sino ad arrivare ai seni, e alla bocca morbida.
“….Kagura…”
Nella semioscurità vide i suoi occhi serrarsi di
scatto, le labbra contrarsi in una smorfia di dolore malcelata. Si ritrasse
appena: con la mano aveva stretto troppo a sé il suo fianco dolorante. Nella
foga aveva dimenticato i segni che portava ancora sul corpo. Si fermò, sforzandosi
di mantenere il controllo: forse non era il caso…
La donna lo trattenne, le dita serrate all’avambraccio.
“Non smettere, ti prego.” Lo implorò, con la voce
rotta.
Sesshomaru cercò il suo sguardo e lo contemplò a
lungo, prima di ricominciare a baciarla, ancora, e di accarezzarla,
delicatamente, lasciando che la donna si stringesse, quasi a volersi fondere
con lui.
Fuori, il buio della notte fu squarciato dai fuochi
d’artificio della mezzanotte di Capodanno. Sesshomaru volse appena la testa
verso la finestra, prima di tornare a guardarla, le dita che si intrecciavano
tra le sue “Buon anno, Kagura.”
Lei gli rispose
con un sorriso. “Auguri, Sesshomaru”
Aprì gli occhi, feriti da un
raggio di luce che si insinuava nella tenda. Era già mattina? Che ore erano?
Cercò freneticamente l’orologio sulla sedia che usava da comodino, e se lo
portò davanti agli occhi. Ci mise qualche istante per focalizzare l’ora.
Le sei e
mezza. Ancora presto. Aveva un’ora
per cullarsi nei propri sogni.
Posò l’orologio e si posò il
cuscino sulla faccia.
Maledisse Morfeo per essersene già andato lontano. Sbuffando
più e più volte, volse la schiena alla luce, girandosi sul fianco opposto alla
finestra, stretta al cuscino come una bambina al suo orsacchiotto. Era questo
il momento in cui la malinconia tornava a bussarle dolorosamente al cuore. Si
sentiva il petto trafitto da mille spilli.
Quel sogno così coinvolgente…
era un ricordo. Era il ricordo di una passione indimenticabile, che aveva
lasciato il suo segno più profondo su di lei.
Si sfiorò il ventre. E se
fosse stato un segno? Se quel ricordo che le si era
palesato improvvisamente durante il sonno fosse stato un segno del suo stesso
corpo per indicarle la giusta provenienza della vita che stava crescendo dentro
di lei?
Ma che idiozie vado a pensare? Si sgridò. Quasi non si riconosceva: da quando aveva
scoperto di essere incinta era diventata tremendamente irrazionale. Non
riusciva più a ragionare a mente fredda, parlava, decideva, agiva
d’istinto. Dov’è finita la mia mente calcolatrice? E’ questo uno dei sintomi della
gravidanza? Rincretinirsi?
Si rizzò a sedere,
appoggiandosi contro la parete, ormai conscia che avrebbe passato quell’ora a
rimuginare sulla sua situazione.
Ormai doveva prendere una
decisione. Non poteva aspettare ancora.
O si o no. Scegli Kagura.
Testa o Croce. No, davvero,
una decisione così delicata non poteva essere presa in quel modo penoso.
Doveva… pensarci ancora su…
un po’… e…
Yaaaaaahnnnnn…
Come si sentiva stanca… La
gravidanza spossava… Risucchiava l’energia… e…
Beh. Ci avrebbe pensato dopo…
a colazione…
La neve sul davanzale scintillava come se fosse
composta da mille diamanti.
Tutta quella luce penetrava persino dalle sue
palpebre! Si rigirò nel letto, infastidita, togliendo il viso dal petto del suo
uomo, e voltandogli le spalle.
Lo sentì muoversi contro la sua schiena, e un braccio
cingerle la vita.
Le sue labbra si appoggiarono sulla sua nuca,
solleticandogli la cute con il suo fiato caldo.
“…sei sveglia?”
“Mmmmm” rispose come
affermazione, stringendosi di più nell’abbraccio. “Mi da fastidio la luce…”
Sentì il volto di Sesshomaru accarezzarle la spalla
nuda e rabbrividì al contatto.
Aprì gli occhi completamente. “Non è mai successo
tutto questo. Non è vero?” Si voltò verso di lui, con il terrore di vederlo
sparire da un momento all’altro. Incontrò il suo sguardo d’oro, severo.
“Tu lo sai, vero?”
“L’avevo messo in conto. So che i bambini non nascono
sotto i cavoli, Kagura. Sinceramente, la cosa non mi meraviglia più di tanto”
Sfiorò la guancia con le dita. Al mattino era sempre
un po’ ispida dalla barba, a volte lui si strofinava apposta contro la sua
schiena, per darle fastidio. Ora la sentiva liscia e morbida sotto i suoi
polpastrelli. Decisamente quello non era un ricordo. E allora cos’era? “Mi
dispiace…io…”
Lui le premette un dito sulle labbra, facendole
delicatamente segno
di tacere. “E’ ciò che ti meriti.”
“In che senso?”
“Non riuscirei mai a darti quello che vuoi, ma posso
aiutarti ad ottenerlo. Ti ho aiutata a scappare. Dalla tua fuga hai ottenuto la
libertà. E ora hai solo bisogno di ciò che ti è mancato per tutta la vita.”
Si sentiva un groppo in gola, le lacrime che le
pizzicavano gli occhi. Davvero Sesshomaru le stava dicendo quelle parole? Oh
no…era decisamente un sogno.
“… oltre alla libertà… cosa mi è mancato di più nella
vita? Affetto? Amore?”
“L’hai detto tu stessa.”
Kagura passò le dita tra una ciocca dei suoi capelli.
Al mattino erano sempre aggrovigliati, un tale gesto l’avrebbe infastidito,
nella realtà. Adesso erano seta tra le sue dita. Quella non era la realtà.
“… e tu? Non potresti darmi tu quello di cui ho
bisogno? Non mi ami nemmeno un pochino?”
Lui sospirò, accarezzandole il viso con il dorso della
mano. Con il pollice le delineò il contorno delle labbra rosse. Un gesto
abituale. Sesshomaru era sempre stato palesemente attratto dalle sue labbra. Le
sfiorava sempre, come se il suo tatto fosse il suo senso più sviluppato.
Dunque quella era la realtà?
“Devi trarre le tue conclusioni, Kagura.”
“…dovrei tornare?”
“No.” Mormorò,
facendo scivolare il lenzuolo sui suoi occhi.
Kagura lo tolse di scatto.
Non voleva lasciarlo andare, aveva ancora tante cose da dirgli e…
Luce.
Una piccola stanza colorata.
Parigi. La sua cameretta a Montmartre.
E una voce allegra dall’altro
lato della porta di legno.
“Kagurettaaaa!
Hey, bella addormentata, non chiamo il principe
perché direi ti ha baciato sin troppo!” lo sentì sogghignare.
Si alzò in piedi quasi di
scatto, mentre la testa le girava lievemente. Sentì lo stomaco contrarsi e la
nausea salirle sotto lo sterno. “Arrivo!” gridò. Girandosi per trovare i
vestiti, lo sguardo le cadde sulla borsetta abbandonata su una mensola. Quasi
senza rendersene conto, vi introdusse la mano, stringendo le dita su un piccolo
foglio di carta lucida. Lo estrasse e lo fissò.
Eccolo lì. Un fagiolino
pulsante. Lungo due millimetri, un gigante per le cinque settimane che aveva.
Si sfiorò la pancia, senza
smettere di guardare la foto dell’ecografia.
La prima foto di suo figlio…
… e non l’ultima.
Sorrise. Sentì la morsa al
cuore svanire.
Si, sarebbe stato difficile e
faticoso. E non sapeva nemmeno se ne poteva valerne la pena. Però non l’avrebbe
mai scoperto, se non ci avesse provato.
Si infilò velocemente i
pantaloni della tuta ed aprì la porta. Percorse il piccolo corridoio a piedi
scalzi, sorprendendo Jakotsu ai fornelli, che cercava di far scaldare l’acqua
per il tè. L’abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia.
Lui la fissò stupito: “Hai
bevuto ancora?” domandò, inquisitore, con un sopracciglio alzato.
Kagura si avvicinò al
frigorifero e fissò la foto dell’ecografia alla superficie di metallo con una
calamita colorata, poi si voltò verso il coinquilino, che la guardava con gli
occhi sgranati e la bocca semiaperta dalla sorpresa.
“Jakie,
ho smesso di bere. Sai, fa male al bambino!”
Il ragazzo si mise a battere
le mani, fuori di sé dall’eccitazione. “Ottima decisione Kaguretta,
brava, brava ma petite!” L’abbracciò
di slancio, per poi allontanarsi e guardarla meglio. “Lo sapevo che dopo averlo
visto avresti cambiato idea.”
La donna spostò lo sguardo
verso la finestra. Nemmeno Jakotsu avrebbe potuto capire cosa le aveva fatto
cambiare idea.
D’altronde, non ne era sicura
nemmeno lei di cosa realmente fosse stato.
Et voilà.
Avevo l’ispirazione stasera.
Adesso – prometto - la storia prenderà un po’ di ritmo.
E’ che sono prolissa nelle introduzioni.
Grazie mille a Jekka e Mikamey per le recensioni!!!
E.C.