EPILOGO
In cui si dimostra
che il cielo ne sapeva
qualcosa e Brian mette su casa
L’imbarazzo
era
papabile.
Brian si rigirava con
nervosismo la tazza
di tisana tra le mani, come se fosse un oggetto strano e insolito.
Soprattutto, si rifiutava di alzare lo
sguardo, di incrociare gli occhi di Viola che, invece, non smetteva di
fissarlo. Lei aveva scelto di rimanere in piedi, appoggiata al bancone
della
cucina, in posizione di vantaggio, e ora lo giudicava
dall’alto.
Era stata una
giornata confusa e una notte
difficile, piena di spiegazioni,scuse, chiarimenti.
Piena di mi dispiace.
Viola gli aveva
salvato la vita e poi si
era rifiutata di lasciarlo andare, lo aveva tenuto stretto, la fronte
appoggiata sulla sua spalla, per tutto il viaggio verso la
centrale. Lì le era stato offerto da bere, qualcuno
con cui parlare, un passaggio a casa. Gennaro stesso, il
capitano Albanesi, le
aveva parlato, allo stesso tempo rimbrottandola e lodandola per il suo
coraggio, lanciando occhiate velenose a Brian che scioccamente,
stupidamente,
aveva messo in pericolo non solo se stesso, ma anche lei.
Brian invece aveva
dovuto dare altre
spiegazioni, altre scuse, altri chiarimenti, perché
veramente, gli sembrava di
sentire ancora la voce di Gennaro, come aveva potuto essere
così sconsiderato,
sciocco e avventato?
Se era vivo lo doveva
solo lei.
Quando Gennaro lo aveva lasciato andare era ormai più
mattina che notte e lui
era uscito pesando di non trovarla più. Invece
Viola era lì, e gli aveva piantato
gli occhi castani addosso, silenziosa pur dicendo mille parole con lo
sguardo,
senza lasciarlo un attimo. Quando, infine, era stato congedato, lei
glia aveva stretto la manica della giacca e gli aveva sussurrato
“Torniamo a
casa”.
Ed era allora che lui
aveva capito che non
avrebbe mai potuto dirle di no, non avrebbe mai potuto lasciarla sola,
perché
quello che era successo quella notte era l’ennesima conferma
di ciò che già
sapeva: una parte della sua vita apparteneva a lei, quella vita che lei
aveva
difeso, per cui si era esposta e aveva messo a repentaglio la propria
incolumità. Lui gliela avrebbe donata comunque, ma
invece lei aveva scelto di prendersela, di strapparla dalle mani di
coloro che
volevano fargli del male.
Era per questo che
non aveva potuto dirle
di no, ma le aveva passato un braccio sulle spalle, l’aveva
avvicinata a sé,
stringendola, e le aveva baciato la tempia; voleva dirle
così tante cose che un
fiume di parole non sarebbe stato abbastanza e neanche in mezzo alla
tempesta
di emozioni che gli si agitava dentro avrebbe mai trovato le parole
giuste.
Quindi, erano
semplicemente tornati a casa
insieme.
Ora erano in cucina e
lui sapeva che lei
voleva e meritava delle risposte. Solo che non sapeva da dove
cominciare.
“Brian”
la voce di lei, flebile ma decisa,
ruppe il silenzio. “Cosa è successo?”
Lui alzò
gli occhi, guardandola per la
prima volta e vide quella ruga, il solco che le si formava tra le
sopracciglia
quando era corrucciata. Sorrise. Era sempre
lei. Quindi
cominciò a raccontare.
“Immagino
che certe cose le avrai capite.
Sono un poliziotto” si fermò, il tempo di
guardarla annuire, poi continuò,
senza più fermarsi.
“Negli
ultimi anni ho partecipato a una
delicata azione sotto copertura. Questo paese veniva usato dai
trafficanti come
snodo per il traffico di stupefacenti. È abbastanza piccolo
da non destare
troppa attenzione e abbastanza vicino alle strade principali da essere
ben
connesso ai centri qui intorno.
È stata
un’operazione che ci è costata
molta fatica e anni di preparazione. Mi sono infiltrato, sono
riuscito a
entrare nella banda ma poi, purtroppo, l'operazione è
saltata all’ultimo. Come
saprai, siamo intervenuti circa un mese fa, la notte in cui ci siamo
trovati.
Doveva essere la mossa decisiva, ma all’ultimo qualcuno ha
avvisato i
criminali.
Per evitare che la
mia copertura saltasse,
vanificando tutto il mio lavoro, sono fuggito insieme agli altri,
saltando sui
tetti. Pensavo che se mi avessero creduto un fuggitivo sarei stato in
grado di rimettermi in contatto con loro per finire il
lavoro”.
Rise.
Solo ora, a mente
lucida, si rendeva conto
di quanto assurdo fosse stato il loro primo incontro.
“Poi, lo
sai, sono letteralmente piombato
qui. Ho scelto di restare perché era un buon posto da cui
cercare di rimettermi
in contatto con l banda. Se fossi riuscito comunque a far uscire il
capo allo scoperto non tutto sarebbe stato perduto. Gennaro Albanesi,
il mio
capitano, me l’ha sconsigliato, ma l’ho fatto lo
stesso.
Poi, ieri, quando sei
andata in centro, ho
capito che avevi sentito qualcosa. Non riuscivo a tollerare
l’idea che mi
credessi un criminale, né potevo svelarti la
verità, e allora sono stato
stupido e avventato, e sono uscito ad incontrare il capo senza nessuna
pianificazione.
Ma cerca di capirmi,
volevo farla finita,
volevo poterti dire tutto, non volevo più fingere. Il resto
lo sai, ti devo la
vita. Il coraggio e la forza che hai mostrato
questa notte sono il motivo per cui sono ancora in vita”.
Brian
riabbassò gli occhi verso la tisana
che non avrebbe bevuto. Si sentiva mortificato.
Sentì
Viola sospirare, poi avvicinarsi.
Gli toccò la spalla e lo guidò verso il divano,
senza dire una parola.
Si sedette
così, di fronte a lui, finalmente
allo stesso livello. Poi, parlò.
“Quando ho
pensato che tu fossi un
criminale ho provato un dolore indescrivibile. Non volevo crederci. Non
potevo
crederci.
Ero arrabbiata e
amareggiata perché la
prima persona a cui avevo aperto il cuore dopo la morte della nonna si
era
rivelata essere un criminale.
Non ci volevo
credere, volevo quasi
punirmi per questa mia ulteriore debolezza e allora ho deciso che ti
avrei
seguito, che se non volevo vedere la verità, allora avrei
fatto in modo che
fosse sbattuta davanti ai miei occhi. Non potevo immaginare che sarebbe
successo quello che è successo”.
Era il discorso
più lungo che Brian le
avesse mai sentito fare. Questa volta fu lei a distogliere lo sguardo,
abbassando gli occhi e rigirandosi le mani in grembo.
Fu il turno di Brian
a cercare il suo sguardo,
perché tutto poteva sopportare, ma non di essere la causa di
rimorsi e
rimpianti.
Stava per parlare, ma
lei lo interruppe.
“Ma non me ne pento. Sono qui, adesso e ti guardo e mi guardi
e posso
toccarti. Quindi ti dico che lo rifarei, non una, ma cento volte. Ti
odio così
tanto per questo, perché ti conosco solo da un mese e
già ho rischiato tutto
per non perderti”.
Brian si
aprì in un sorriso timido.
La sentiva, nel
petto, una sfera di calore
che lo illuminava dall’interno e cercava di scappare dalle
labbra, dagli occhi.
Allungò le mani verso quele di lei e quando vide che Viola
non distoglieva lo
sguardo né si scostava, le prese tra le sue.
“Viola, non
so cosa mi abbia portato da
te. Non so perché sono stato così fortunato da
incontrarti, da poter condividere
con te un mese della mia vita. Non potrò mai dimenticare
quello che hai fatto
per me oggi. Mai. Comunque vada a finire, ti sono debitore
per sempre.
Hai messo a
repentaglio la tua vita per
salvare la mia e non posso semplicemente ringraziarti e
ritenere il nostro
debito saldato. Se mi dirai che non vuoi più vedermi, o che
ti metto a disagio,
me ne andrò subito.
Ma voglio che tu
sappia che se sono vivo
lo devo a te, una parte della mia vita ti appartiene, ma ti apparteneva
già dal
momento in cui hai riso e io ho sentito qualcosa dentro di me
smuoversi. Potrai ridere di me, potrà
sembrarti avventato e magari sono veramente solo uno sciocco romantico,
ma ti
conosco da un mese e sento di amarti.
E se vuoi che me ne
vada lo capisco, ma
permettimi di essere sincero, per una volta, senza nessuna remora: ti
devo la
vita e sono pronto a impegnarmi a condividerla con te”.
Fu allora che Viola
si aprì in un sorriso
così luminoso e sincero che Brian avrebbe giurato che il suo
cuore mancò un
battito e gli prese il viso tra le mani dicendoli solamente
“Non voglio che tu
te ne vada. Non ora. Non domani. Non lasciare il mio fianco, per
favore”.
Allora non fu certo
colpa di Brian se,
preso dall’impeto, ridendo, balzò in piedi e la
strinse, facendola girare come
una bambina mentre anche lei rideva il suono argentato di mille
campanelli e il
cuore gli scoppiava di felicità, incontenibile,
incontrollabile.
“Viola, ho così tanti progetti!” non poteva trattenersi, doveva urlarlo al mondo “Voglio stare con te mentre lavori nel giardino, mentre pianti i fiori, mentre cucini, mentre mi guardi e non dici nulla.
Voglio esserci quando
mi dirai che sono
stupido, che parlo troppo, quando alzerai il sopracciglio e mi
guarderai ironica.
Voglio esserci per i
tuoi gatti!
Voglio esserci quando
non parli e pensi e
basta, e quando sarai triste, o arrabbiata, o delusa, voglio esserci
sempre,
perché sei la persona più incredibile che abbia
mai incontrato e voglio essere
lì per ricordartelo, ora, domani e tra un mese, tra un
anno”.
Senza più
fiato la strinse più forte,
affondandole il naso tra i capelli, perché il suo cuore
urlava grazie, grazie perché sono
vivo, grazie perché sono qui, adesso,
con te, e perché hai detto che posso restare al
tuo fianco. Grazie.
Lei si
scostò da lui, il viso rosso con
ancora la risata che le danzava negli occhi e
disse compuntamente: “Condivido
i tuoi piani per domani, tra un mese, tra un anno. Sembra un buon
futuro. Ma che ne dici di baciarmi qui, ora, adesso?”
E ovviamente, essendo
lui un cavaliere,
non poté che ridere e accontentarla.
Quando le loro labbra
si incontrarono, non
ci fu nessun cambio di asse, nessun terremoto, nessun fuoco
d’artificio.
Piuttosto, un momento
sospeso, una calma immobile, un attimo infinito ripiegato in un secondo
e un pensiero sommesso,
profondo, accompagnato da un senso di familiarità ritrovata,
come se il mondo
si fosse finalmente rimesso a fuoco.
E, dentro di lui, una voce cantava Eccoti, sei qui, ti stavo cercando. Dov’eri finita? Ce ne hai messo, di tempo, mi stavo preoccupando.
E solo quello contava.
E anche quando stanchi, distrutti, dalla serata, si sdraiarono insieme e lei si addormentò esausta tra le sue braccia così com’era, i capelli spettinati, gli occhi arrossati, gli stessi vestiti della serata ancora addosso, lui la strinse e si addormentò sereno perché adesso, finalmente, era a casa.
Note dell'autrice:
Eccoci al finale! Forse avrei dovuto mettervi in guardia contro la zuccherosità di questo epilogo, ma volevo un buon finale, capitemi.
Questa storia finisce qui, spero vi sia piaciuta e che arrivati alla fine qualcuno si faccia coraggio e mi lasci una recensione. Vi è piaciuto il finale? L'avete trovato forzato? I personaggi erano simpatici o delle piattole odiose? Parlatemi.
Avevo in programma uno spin-off sul misterioso fratello di Viola ma, ahimé, nonostante io sappia esattamente cosa voglio scrivere, non l'ho ancora cominciata. Vi dico già che sarebbe una storia gay (sugli stessi toni di questa per quanto riguarda rating e lunghezza), quindi se non vi interessa il genere lo sapete già! Per chi, invece, fosse interessato, non mi fido abbastanza di me da pubblicarla in corso d'opera, quindi sperate che piazzi il mio culo sulla sedia e scriva. Prendetemi a calci se volete.
Ho anche altri due progetti in ballo (di uno ho già scritto quattro capitoli in realtà, l'altro è un'idea nebulosa nella mia mente) ma, dati i miei tempi, sono idee lontane. Insomma, il succo è: voglio scrivere ancora e il vostro input è importante, perché motiva e aiuta a migliorarsi.
Bene, è stato bello (per me sicuramente, spero anche per voi). Alla prossima!