Sakura ha il respiro corto e strozzato, e nonostante si stia allontanando verso le porte della città, quei gemiti sembrano non voler abbandonare i suoi timpani colpevoli.

“Non voltarti, Sasuke, non farlo. Sarebbe la rovina per entrambi.” Se lo è ripetuto per tutta la durata di quei dodici passi con i quali si è allontanato – fuggito- dalla panchina dove ha abbandonato Sakura, sottoponendo il proprio autocontrollo a una letale dosa di morfina. Cavolo, non aveva previsto sarebbe stato così difficile voltare le spalle.

I sandali blu varcano le porte spalancate di Konoha, e la luna riflette sul terreno ghiaioso l’ombra di quello che è appena diventato un traditore. Konoha adesso non è più in lui, ma dietro le sue spalle, e non la vede né vuole vederla, così come ha imposto a sé stesso di non volgere lo sguardo alla chioma rosata accarezzata dalla brezza notturna, ora adagiata su una fredda panchina di marmo. Anche perché, nonostante il suo autocontrollo non se ne sia reso conto, quegli occhi di giada sono già riusciti a strappare al suo subconscio una muta promessa a cui un giorno, il suo cuore libero dal peso della vendetta, dovrà adempire.

“Un giorno, Sakura, tornerò. Aspettatemi, se potete.”

E poi, un sigillo maledetto consuma la carne infantile martoriata. E la promessa non viene dimenticata, ma solo oscurata dall’ombra di una katana sanguinolenta.

 ******

Il pianto infantile di Sarada rimbomba nei suoi timpani, sovrastando lo scalpiccio del terreno sconnesso, illuminato solo dalla luce della luna. Sasuke stringe la mano, con cui ha regalato l’ultima carezza a Sarada, intorno al fodero della katana e poi chiude piano gli occhi dove Sakura ha adagiato le proprie labbra prima di vederlo oltrepassare la porta di villa Uchiha, riaprendoli giusto per scontrarsi con le porte aperte di Konoha, uguali come allora. Ma adesso non c’è più nessun segno maledetto ad obliterare la sua anima, e Sasuke si volta lentamente, quasi temendo di non trovare nessuno dietro di lui. Eppure la panchina di marmo è sempre lì, e anche Sakura. Sakura che però non è più una bambina tramortita e sconfitta, ma una donna forte e una mamma che stringe la loro bambina di tre anni appena tra le proprie braccia, che riesce a placare il pianto disperato e inconsapevole di Sarada senza pensare alle sue di lacrime salate. Sakura che sorride per un quarto di dolcezza, senza sapere che la luce della luna risalta le stille d’acqua sulle sue guancie diafane meglio del sole di luglio. Sakura che sa che è la cosa giusta da fare e che Sasuke la ama – e ama Sarada- talmente tanto da sacrificare la tanto agognata esistenza familiare, pur di proteggerle da un pericolo imminente. Sakura che ama e lascia andare, e Sasuke manda giù un grosso groppo di saliva, insieme alla stessa promessa di tanti anni prima, consapevole che per lei la manterrà anche mille volte.

“Lo sai, Sakura; è da te che tornerò sempre.”

“It’s to you I will always return …”

 

Nota autrice:
Ispirata da “I will always return” dal film Spirit- cavallo selvaggio.
Perché è SasuSaku, e ve lo dimostro. (https://www.youtube.com/watch?v=9cZCR0aOzt0 )
E sì, perché amo Spirit e le canzoni tratte da quel capolavoro.