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Autore: Ater_Hailie    01/01/2016    1 recensioni
William è sempre stata diversa rispetto agli altri, anche solo attraverso quel nome, e mai avrebbe desiderato diventare come i suoi coetanei, evitando ogni loro contatto e ogni opportunità.
Semplicemente lei voleva esser così.
Diversa. Strana. Nerd. Chiamatela come volete, visto che anche i suoi chili di troppo e la bellezza non troppo invidiabile accentuavano quel suo modo di essere.
Ma purtroppo, come le Leggi Universali spiegano, nella sua vita subentra, senza preavviso, una forza che scatenerà una serie di eventi per lei apocalittici.
Il suo nome? Fidanzato di suo fratello, il Centro di Gravità.
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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L’inizio
 
Tu il problema, io la chimera.
Contro il mondo, contro noi stessi.

 
 
Non sapevo nemmeno più cosa ci fosse intono a me. Colori smorti, luci opache, rumori ovattati, solo il suo viso non era sfocato, anche se i suoi occhi ormai stavano per diventare come due fontane. Per cosa poi? Per essersi innamorato?
Mi misi seduta decentemente, abbandonando ogni tentativo di riscaldarmi, e accavallai le gambe per darmi un’aura più stabile, facendo scorrere le mie mani sul legno ormai marcio di quella stupida panchina congelata fino ai miei presunti pantaloni.
Avevo bisogno di aria, e vedendo la sua faccia, mancava ad entrambi.
Lui era più pallido del solito, con le labbra quasi livide che si tenevano inutilmente salde, e le sue mani, probabilmente anch’esse mosse dai sentimenti, erano ben coperte dalle tasche del suo giubbotto. Ma per quanto potesse provare a nascondersi, con anche quell’insulso cappuccio sui capelli, il suo volto, accompagnato dalla penombra, non riusciva a non catturare il mio sguardo. Quella era la faccia dell’amore, sofferente e resa bella dalle mille debolezze e spontaneamente mi sorgeva quella fatidica domanda che dal suo incontro continuava a vagarmi in testa: perché amare?
- Com’è successo? – Mormorai flebile, senza lasciar intravedere nessuna preoccupazione o insicurezza nella mia voce, che come sempre era ben bassa. Tranquillità, di questo aveva bisogno quel ragazzo che tanto odiavo, altrimenti sarebbe finito ben presto in un manicomio in mia compagnia, urlando come un pazzo il mio nome e quello del mio presunto fratello. Però io non ero brava a dare consigli di quel genere, e sicuramente sapeva anche lui che non ero la miglior scelta per affrontare quel discorso e trovare una soluzione. Forse aveva avuto bisogno di me perché non c’era nessun altro, ma stava di fatto che non ero comunque una buona scelta.
- Eravamo fuori a fare un giro, un caffè e qualcos’altro… e alla fine siamo andati in una strada isolata… Non credevo che ci vedessero, e così… Beh… - Balbettava quel paracarro demente, mentre tutte le mie paure momentanee si rivelavano evanescenti, e anzi, capaci di tramutarsi in perplessità. Esclusa la sua innata capacità nel balbettare peggio di Calibro, quel ragazzo totalmente ritardato mi aveva appena detto che, con la loro stupida convinzione da adolescenti in calore, si erano baciati in una strada pubblica, dove naturalmente non sarebbe mai dovuto passare qualcuno, e sfortunatamente, poiché il caso non rompe i suddetti solo alla suddetta, quel qualcuno era passato, li aveva visti e chissà cos’altro aveva fatto. Ed era venuto da me, in una giornata oscena in cui mi stava succedendo di tutto, a chiedere un qualche consiglio a chi mai aveva avuto bisogno di darne, mettendo in pericolo la nostra situazione sociale nel C.E.R.O.
Di cosa si faceva, oltre che acidi e vernici?
- Ma siete dei coglioni! – Ululai dopo qualche secondo usato per realizzare nella mia mente la situazione e subito mi alzai in piedi di scatto, con quella dolce furia con cui ormai vivevo.
- Tu mi stai dicendo che, come degli idioti, vi siete baciati in strada? Ma quello che era successo l’estate scorsa non vi è rimasto in quella fottutissima testa? Non tutti sono come me, nessuno di solito se ne fotte di certe cose, anzi… - E senza battere ciglio o torturare una piccolissima ciocca dei miei capelli, urlavo quasi quelle parole senza il bisogno di respirare. Mi era mancata l’aria prima che ero solo preoccupata, figuriamoci in quel momento dove anche la rabbia prendeva il suo posto nella mia mente.
Non potevo, non volevo anzi crederci che quella demenza fosse un difetto così estremamente irrimediabile in quei due e non accettavo la mia totale incapacità nel togliergliela, a costo di aprirgli la testa vuota e far fuoriuscire quei gas che sostituivano il cervello. E cosa principale, non sopportavo il fatto di esser stata coinvolta senza aver mai fatto nulla di male: dal suo incontro, tutto quello che mi succedeva era una tragedia, e lui, con la sua sensibilità da becchino, mi gettava senza pudore pure nelle sue sventure quotidiane.
Però, anche se avevo ogni diritto di dare di matto, quello non era il momento adatto e lui, per quanto ormai lo detestassi. Dovevo semplicemente tenermi dentro tutta l’ira e la frustrazione. Non era la prima volta che nascondevo tutto, e quindi rimasi semplicemente a fissarlo intensamente con quei piccoli sintomi da buco nero, senza mai accennare un qualche movimento. E lui? Beh, sembrava perfettamente imitarmi, fermo e muto a guardarmi, probabilmente senza sapere nemmeno cosa pensare. E la cosa non poteva far altro che mandarmi ancor di più in bestia.
Mi alzai nuovamente, sotto il suo sguardo, e avvicinandomi alla sua figura leggermente ingobbita, presi in mano tutta la freddezza seccata sul fondo, mentre sentivo il cuore martellarmi nel petto. Non ho nemmeno paragoni nerd per definire quello che avevo provato in quel momento, ero come svuotata. E la cosa non era per nulla piacevole.
- Allora, non so perché tu ne stia parlando con me, che sono la scelta peggiore che tu potessi mai fare, ma se stai zitto… - E con la voce sospesa, gelata come una grandissima finzione, non conclusi la frase, convinta che lui avesse capito quello che stavo per dire, ma appena il silenzio tornò tra di noi, tutto mi sembrò inutile. Era come parlare con un cadavere, perché perfino la mia scarsa sanità mentale era di molte più parole.
Se non aveva voglia di aprir quella dannata bocca, forse aveva realizzato il suo ennesimo sbaglio e che per gentilezza, al quanto scaduta, non aveva il coraggio di dirmelo, perché l’amore ti può rendere in tutti modi, ma non così. O almeno, io ne ero convinta in quel periodo.
Passarono momenti in cui il sottofondo della città, con le macchine che passavano e il chiacchiericcio lontano delle persone che delicatamente, con lo scivolare della notte sull’orizzonte, sembravano colmare il vuoto tra noi, arrivando perfino a sfiorare le mio ossa, finemente mosse da quella forza superiore che in quei giorni mi era mancata. La ragione mi fece fare il primo passo, titubante, poi continuai, distaccandomi da quelle serie di eventi che mi avevano travolta. Mai avevo chiesto una cosa simile, e, per quanto in quella settimana fossi mossa da buoni propositi, lui era riuscito, con il suo non far nulla, a fermarli.
Non contavo nemmeno i passi, speravo solo di riuscire di a girare l’angolo il prima possibile e fuggire da quella sua presa mortale chiamata Gravità. Anche in fisica, questa forza è sempre stata presente, ha sempre influenzato ogni cosa, senza però farsi notare. E lui era un dannato Sole, pronto ad esplodere. E lui era un dannato ragazzo che nonostante tutto non mollava.
- Hai ragione – Mormorò, con il capo chino e con nuovamente la mano sul mio polso, che ormai portava quel livido come se fosse uno stupido bracciale, e senza il bisogno di farmi voltare incominciò a tamburellare il piede sul cemento. - Sei la peggior scelta che possa esistere, ma io sono il peggior ritardato di questo universo. Ti prego, resta… –
Per una volta il mio sesto senso aveva ragione: ero la peggior scelta per lui. Ma naturalmente, essendo io, William Samantha Smith, la sorella di Luke Smith, ero diventata l’unica potenziale confidente di quel ritardato senza nemmeno volerlo. Che gioia sentire quelle parole, ma almeno si era insultato da solo. Piccole soddisfazioni che sanno scaldare il cuore.
- Detto così, sembriamo un bel duo…- Mormorai, aggiungendo una mezza smorfia al mio volto, e senza opporre nessuna resistenza, mi girai verso di lui, con ancora quel mio distintivo sopracciglio sollevato alla ricerca di risposte. Ma, se da una parte sembravo ormai arresa e davo l’idea di una stabile di mente, dall’altra la mia sanità mentale si stava totalmente convertendo al Lato Oscuro della Forza, e ancora guidata da quella sana e genuina rabbia, gli tirai un pugno sulla spalla, facendo cadere totalmente quella strana atmosfera opprimente e quasi tenera che si era creata.
- Ma sta di fatto che sei un Coglione, James. – Continuai, accompagnando quel suo stupore sul volto con la mia cara e dolce voce roca finalmente libera da quei maledetti pensieri. Avevo capito in parte cosa dovevo fare: esser la solita me stessa, e non quella cupa e pensierosa che a nessuno piaceva, me inclusa.
La sua risposta a quel mio gesto, che naturalmente arrivò in ritardo? Una bella risata e un suo insulto diminuito con uno stupido aggettivo, mentre si accarezzava i capelli muovendo quel cappuccio con una certa agitazione per una volta motivata. In fondo, anche lui era umano.
- Cosa dici di fare, piccola Medusa? – Mi chiese, rialzando quel suo sguardo che brillava con le ultime luci del sole e che rivelava un marrone tendente al nero, e come se nulla fosse, riprese con il suo atteggiamento, totalmente finto, da re della città, osando perfino chiamarmi con quello stupido soprannome che mi faceva estremamente ribrezzo. Mi avvicinai lentamente a lui, abbassando finalmente quel sopracciglio che mi stava mandando in cancrena la faccia, e alzando gli occhi al cielo, sbuffai. Fin dall’inizio, da quando aveva detto quelle parole, quella piccola mente pensatrice e dispensatrice di trip mentali era riuscita anche a formulare, oltre alle mille domande inutili, una soluzione che probabilmente non gli sarebbe piaciuta per niente. Anzi, che sicuramente sia lui che mio fratello avrebbero disapprovato.
- O fate coming out – Dissi, allungando una mano verso di lui e indicandolo – O vi trovate una ragazza come copertura –
Fin dal primo giorno con cui avevo avuto a che fare direttamente con lui mi era venuta in mente quest’idea, e ora mi si presentava una situazione che richiedeva un qualcosa in fondo così crudele, perché significava ingannare qualcuno. Ma la cosa a me non importava più di tanto, erano loro i cattivi ed era loro la scelta tra quelle due opzioni.
Poi con gli inganni e le mezze verità ruotava tutto quel sistema e non era nemmeno così nascosto come meccanismo. Però lui, dalla faccia che si era nuovamente trasformata, sembrava totalmente contrario ad entrambi i miei consigli e, scuotendo quella sua testa come se fosse un bambino, riprese a balbettare come una macchinetta a raffica, fino a quando non se ne rese conto. Così si zittì per qualche secondo, fermando finalmente quella specie di palla vuota prima che si svitasse, e con un movimento repentino, che quasi mi spaventò, si tolse il cappuccio, liberando così quei capelli biondi ancora stranamente belli folti.
- Non se ne parla – Mi rispose a tutto tono, quasi leggermente irritato, guardandomi a tratti sul volto, senza però incrociare mai il mio sguardo, e, mentre una mano era impegnata a toccarsi quei capelli come era suo solito, con l’altra spostò delicatamente la mia mano, facendomi notare quella specie di fossetta che si creava quando sorrideva nervosamente. Una camomilla o un sonnifero non gli avrebbero fatto male in quel periodo, e lo stesso valeva per me probabilmente.
- Non mi puoi dire di farlo, Will. Ho una reputazione da difendere e non posso nemmeno ingannare qualcuno così. Ci dev’esser un’altra soluzione… - Continuava a blaterare bello che agitato senza concludere mai le frasi, mentre continuava quella specie di scenata non del tutto giustificata. Mica lo stavo obbligando, gli avevo solo detto quello per cui ero venuta fin lì e niente di più. Che poi, mica gli stavo ordinando di sposare la mia prof di matematica in una cerimonia per nudisti, era solo una soluzione temporanea lunga meno di un anno. Se non voleva avere la coscienza sporca, poteva sempre chiedere a qualche lesbica della scuola non ancora dichiarata.
- Tacchino ritardato, non ti sto ordinando di farlo. Volevi un consiglio? Eccolo. Se poi vuoi difendere la tua fama da puttaniere fai pure, ma poi non stupirti se ti ritroverai a intrattenere i maschi al posto delle ragazze. – Dissi io che, con l’acidità nello stomaco e nel sangue, ero stata leggermente rude in quelle parole vere. Ma se era quello che gli serviva per capire la questione, di sicuro avrei dato ben più di piccole e dannate frasette di verità. Non ero io quella che si era baciata in mezzo alla strada, ma lui, e doveva accettare le conseguenze e le potenziali soluzioni.
Naturalmente, dopo avergli dato del gigolò, Alex si era preso talmente male che aveva fatto scomparire dal suo bel faccino quel sorrisetto che mi dava sui nervi, e lo aveva sostituito con una specie di linea ben sigillata, che indicava il ritorno del vero James, con solo difetti e sentimenti. Era troppo divertente, ripensandoci, vedere i mille volti di quel ragazzo.
- Stronza, io ti chiedo un aiuto e tu mi insulti? Ma che razza di amica sei? –
Per la prima volta con lui, dopo una sua frase con tanto di parolacce, non mi ero soffermata alle prime parole, ma proprio alla penultima, che nemmeno aveva accentuato più di tanto con la sua voce. Amica. Lui mi vedeva come un’amica? Ma dove?
Mi aveva preso, ribaltato, triturato, stravolto e bruciato la vita senza nemmeno rendersene conto, e mi aveva chiamata perfino con quell’appellativo. Dio Santo, per me l’amicizia non esisteva, era solo una mera definizione per giustificare tutte quelle persone che usano gli altri. Io ero solo una ragazza, la sorella del suo fidanzato. Ero l’unica che conosceva il loro segreto. Niente di più.
- Non ho mai detto di esser tua amica. – Risposi io, mezza alterata e con gli occhi che per l’ennesima volta tornavano a fiammeggiare, e senza però accennare a qualche azione omicida nei suoi confronti. Mi allontanai solo di qualche passo da lui, e con la testa alta presi fiato, cercando di controllare quel mio bellissimo carattere.
- Sono solo la tua ultima spiaggia, quindi piantala di recitare il bravo ragazzo e tira fuori queste dannate palle. Il mondo non aspetta nessuno, quindi muoviti e fa la tua scelta, prima che ti travolga -
E detto ciò, con una calma ormai del tutto abbandonata, mi girai senza aspettare una sua risposta e me ne andai, lasciandolo solo, in mezzo a quel piccolo parco giochi, con le chimere che aveva nella mente. Doveva decidere, a costo di ferire qualcuno e non l’avrei fatto io per lui, ma solo lui e mio fratello.
Era giusto così.


 
Angolo Autrice
Buon Primo dell’Anno a tutti, è sempre quella solita petulante che per una volta si scusa, al posto di parlare a vanvera.
Sì, scusatemi, chiedo umilmente venia per questo colossale ritardo creato dalla gita scolastica, la magia del Natale e la pigrizia da fine abbuffata, condito anche dalla mancanza di fantasia. Vi prometto che da ora, per quanto una povera umana altamente bugiarda possa promettere, che pubblicherò i capitoli ogni venerdì, e magari comparirà, a caso e per farmi perdonare, qualche capitolo anche di lunedì, scuola e fantasia sempre permettendo.
Detto questo, vi auguro un Buon Anno tutto da vivere!
Quella scrittrice fallita fissata con le canzoni natalizie
Hailie
   
 
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