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Autore: David89    10/03/2009    2 recensioni
...Era lì. Potevo ucciderlo, fargli saltare il cranio. Premere il grilletto. Si, era lontano, ma in Russia addestrano anche i migliori cecchini del pianeta. Dicono. Cosa, cosa m'ha spinto a non ucciderlo? La croce del mio M40 con la sua bella faccia in mezzo. Vento leggermente da Ovest. Stavo mirando alla donna a fianco a lui, sapendo che tanto avrei colpito la sua fronte, un buco in testa. PUM! Un lavoro pulito. Sarei ora in qualche isola del Pacifico. Sole, caldo, soldi e donne. Cosa potevo desiderare di più?...
Genere: Thriller, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6.




-Ancora un po' di rane, messer Collard?
Perchè un francese?
Potevo essere un impiegato americano, un pizzaiolo napoletano, un indigeno, un fottutissimo cazzo di eschimese. Ma un francese... Emily mi voleva male.
-Buonissime, veramente. Magari anche un po' di pane...-
Stavo per vomitare.
-Ma certo George... Vino?-
Il mio bicchiere era ancora pieno.
-Ma no, grazie. Basta così....-
Ero cotto.
-Mi stavo chiedendo da dove veniste... Il vostro accento m'ha creato un po' di problemi... Provenza? O Normandia forse?-
E per fortuna che Emily gli aveva detto tutto.
-Normandia- sorrisi, sorseggiando il vino. Meglio che niente, ma speravo in qualcosa di più buono.
-Ci avrei giurato! Infatti c'era qualcosa che mi diceva che non potevate essere del Sud. Vi confesso: forse la Bretagna, ma avevo subito pensato alla Normandia. Emily m'ha detto che giocate a tennis. E' vero?-
-Sono momentaneamente a riposo, sapete... Vacanze... -
-Fate bene... Anch'io vorrei tanto prendermi una vacanza. Sapete: staccare un po' da questo schifo di metropoli. Certi quartieri! -
Annuii. Sapevo poco dell'ordine a Parigi. E francamente me ne interessava poco. Cosa ci facevo esattamente qui? Perché ero capitato proprio a Parigi? Era un caso, o una meta precisa?
Di certo Jean non mi sarebbe stato d'aiuto. Chissà che cosa gli aveva raccontato Emily, di me...
-Qualcos'altro da mangiare? Vi preparo un caffè?-
Apprezzai la sua gentilezza. Non potevo rifiutare. - Merci-
S'alzò in piedi, portando via i piatti su cui avevamo mangiato. Iniziò a smanettare con pentole strane. Lo lasciai fare.
Squillò il telefono. Come un razzo Jean si precipitò in sala. Confabulò qualcosa a distanza, ma non riuscii a capire.
-Messer Collard! Penso che sia per lei!-
Chi poteva mai essere? Mi diressi in sala, tendendo la mano per prendere la cornetta. Unii le prime due dita sul pollice, le altre chiuse a pugno. Scuotei il polso avanti e indietro. Chi era?
-Non si sente bene, la linea è un po' disturbata...-
-Pronto?-
-chhh..... Geor... George... Sono Emily... Io sono... chhh... Dobbiamo parlare... chhhbzzchhue Ubert... Dove c'è l'Opèra. Tra mezz'ora...chhhh.. Al Cafè de... Paixchhhhh...C'è un telef.....chhhzz....-
-P..Pronto? Pronto?-
Aveva riattaccato. Emily...
-Avranno sbagliato numero probabilmente. Ma mi pareva una voce femminile. Chiedeva di voi...- Jean, dalle cucine. Si sentiva un buon profumo di caffè.
-Già... Ascolta... Io adesso avrei bisogno di uscire un attimo fuori. Sai dove posso trovare un tabaccaio?-
-Ehm... Sì, è appena qui fuori.... Uscito dal palazzo, rifate la stradina che abbiamo fatto con la macchina. Sulla destra. E' Rue Saint-Lazare ! Ma il caffè?-
-Un'altra volta magari... Devo andare... Scusatemi! A dopo! - avevo poco tempo. Non potevo fermarmi ancora.
Presi la giacca che avevo appoggiato sulla gruccia. Aprii la porta di casa, richiudendomela subito dopo. Corsi giù per le scale. Dov'era l'Opèra?
Feci lo stesso la strada per il tabaccaio. Forse qualche passante poteva...
-Excuse-moi.- Una donna, probabilmente sui trenta, mi evitò.
-Excuse-moi. L'Opèra di Parigi? Dovrebbe essere da queste parti.-
-Scenda giù per Rue de Caumartin. Quella strada davanti a lei! Al secondo incrocio sulla sinistra. E poi sempre dritto!-

-Merci, merci beaucoup! -
Iniziai a correre. Doveva essere nelle vicinanze, altrimenti Emily non mi avrebbe detto che mi avrebbe richiamato tra mezz'ora. E se era una trappola? Nessuno sapeva che ero qui. Ma ne ero sicuro? Era la sua voce. Probabilmente era ancora lì nei dintorni Los Angeles a cercar informazioni.
Aveva qualche novità, forse. Speravo.
Mi stava venendo un po' il fiatone. Non correvo così da tanto tempo. Schivai un bel po' di persone.
Stavo per rimetterci la pelle, con un cazzo di ciclista.
Dove cazzo sono? Merda, non mi dire che mi sono perso....
-Excuse-moi.L'Opèra?-
Mi indicarono di girar a sinistra.
Rue Aubert. Finalmente! Guardai l'orologio. Erano quasi passati venti minuti da quando aveva chiamato.
Dovevo trovare il Cafè.
Davanti a me si stava delineando sempre più un gigantesco edificio. L'Opèra, pensai. Stavo arrivando. Cazzo di semafori. Rosso. Diamine, non posso rischiare di essere tirato sotto. Quasi mi ascoltò. Diventò verde dopo pochi secondi.
Corsi ancora, per diverse centinaia di metri.
Una piazza. Un traffico di gente e macchine. Sulla sinistra l'Opèra. Cercai di prender fiato. Mi guardai attorno.
A destra un Cafè. Ma la prospettiva non m'aiutava. Mi spostai meglio.
Cafè de la... Paix... Ero arrivato. Avevo notato diverse cabine telefoniche durante la mia corsa. Ma non pensai che Emily si rivolgesse a quelle. Forse il Cafè aveva qualche apparecchio telefonico all'interno.
Non potevo aspettare ancora. Entrai.
Appena varcai la soglia, rimasi stupito dalla sfarzosità e dall'eleganza dell'ambiente. Luogo di borghesia, probabilmente di stampo ottocentesco. Colonne dai lineamenti classicheggianti. Dipinti sulle pareti e sui soffitti.
I miei vestiti stonavano con l'alta classe dei numerosi clienti che addocchiai, intenti a consumare con estremo bon ton il loro pranzo. Dovevo cercare un telefono. Rimasi per un attimo sulla soglia.
-Un tavolo messere?- mi domando uno dei camerieri, elegantemente vestito, passandomi di fronte.
-C'è per caso un telefono pubblico qua dentro? E' abbastanza urgente...- Non conobbi educazione. Nella situazione in cui mi ero cacciato non potevo dilungarmi troppo. Emily mi avrebbe chiamato a momenti.
-C'è un telefono vicino al bagno, ma è riservato ai clienti...- Che coglioni.
-Ascolti. Devo fare una chiamata urgente. Gliela pago anche il doppio se vuole, ma devo farla! Mi capisce?-
-Monsieur, c'è una cabina telefonica pubblica proprio appena uscito da qui, dietro di lei. Se deve fare la sua chiamata la faccia lì.-
Mi stavo innervosendo.
-C'è qualche problema?- un uomo con giacca e cravatta, tirato a nuovo, si intromise nella conversazione. Ben piazzato come fisico, il viso sereno e ben curato. Non un capello fuori posto. Da dove era sbucato?
-Questo gentiluomo vuole fare una telefonata dal telefono del Ristorante. Ma se non è un cliente, non ho il permesso di fargliela fare. - Che pezzo di merda. Fulminai con uno sguardo quel cazzone di cameriere. Il mio occhio scese sull'orologio. Merda. Cinque minuti di ritardo.
-E chi vi ha detto che non è un cliente? - quell'uomo mi guardò, per poi sorridermi. - Ti stavamo aspettando... Dov'eri finito?- Ma che cazzo...
-Traffico... - risposi. La prima scusa che mi passò per la testa.
-Conoscete quest'uomo?- il cameriere era confuso. Io lo ero il doppio.
-Naturale. E non lasciatevi trarre in inganno dal suo abbigliamento poco consono. E' un mio lontano amico. Viene dalla Normandia... Giusto?- Stavo impazzendo. Come cazzo sapeva...?
-Giusto. Purtroppo non ti ho visto, perdonami. Ma dovevo fare questa telefonata. Sai, impegni di lavoro. Dove vi siete messi?- cambiai tono. Feci il suo gioco.
-Proprio lì a sinistra. Vicino alla finestra. Guarda... Lì! Vedi? - mi indicò il tavolo con lo sguardo. Sedute composte altre cinque persone elegantemente vestite. Non sapevo minimamente chi potevano essere...
-Ah si... Si... Si... Vedo....Ah ecco, siete lì...- annuii, come se avessi riconosciuto tutti quanti.
-Beh, se il vostro amico è con voi, io avrei da servire i clienti... - aggiunse il cameriere, notando il cambio di situazione.
-Andate andate.. Abbiamo risolto... Grazie... - l'uomo fece un sorriso quasi esagerato. Appena il cameriere si allontanò, mi sussurrò all'orecchio – Dobbiamo parlare. In fondo sulla destra ci sono delle scale. Portano ai bagni. Ci vediamo tra cinque minuti.-
Non risposi. Semplicemente mi diressi dove mi aveva indicato. Forse sapeva qualcosa di Emily. Forse era un informatore. Avevo ancora qualche speranza.
Attraversai con tranquillità tutto il corridoio, evitando di guardarmi alle spalle. Scesi le scale.
Un piccola saletta. A destra e a sinistra due porte. Signori e Signore. Mi girai un attimo. Un telefono. Era ancora uno di quelli vecchi. La cornetta e il filo. E la ruota con i numeri da girare. 
Rimasi a guardarlo. Forse Emily poteva ancora richiamarmi.
Passi sulle scale. Feci finta di dirigermi verso il bagno, per poi guardare verso le scale. Era lui.
Mi si avvicinò. Portò una mano in una tasca, per poi sorridermi.
-Messere... Abbiamo bisogno di discutere di alcune cose...
Un rapido gesto. Mi abbassai di colpo, mentre sentii un colpo di pistola silenziato bucare la porta dietro di me. Ero disarmato. Altri colpi sui muri, mentre cercavo di evitarli, buttandomi per terra. Mi lanciai verso la porta del bagno, aprendola con una forte spallata. Scivolai per terra, trascinato dalla mia ricorsa. Mi salvo il culo, perché un proiettile sibilò vicino al mio orecchio, spaccando una mattonella di fronte a me. Mi arrotolai su me stesso, spostandomi verso destra. Altri due colpi che andarono a vuoto, bucando il pavimento. Clang... Klang.
Aprii la porta di uno dei wc. Che cazzo stava succedendo?
-E' inutile che si nasconde, messer Collard. Ormai è senza scampo.-
Mi fiondai dall'altra parte, ma a metà strada mi sentii spingere di lato. Mi aveva colpito la spalla. Caddi violentemente per terra. Urtai la porta del wc di fronte, già aperta. Sbattei la testa contro la porcellana del water. Ahhh.... Diamine....
Cazzo.. cazzo.
Mi misi una mano sulla fronte. Sangue. Un dolore lancinante alla spalla. Sperai che mi avesse colpito di striscio. Ma ovunque c'era sangue.
Sentii la porta del bagno chiudersi con una mandata di chiave.
Le sue scarpe facevano scricchiolare i pezzi di mattonella spaccati per terra, man mano che si avvicinava verso di me. Riconobbi la Beretta 92Fs con il silenziatore appena me la mostrò, puntandomela in testa.
-Capolinea, messer Collard.- Forse avevo visto giusto.
Clik.
Con un colpo di reni, gli diedi un calcio sulle gambe, facendolo cadere per terra. Aveva finito i colpi. Li avevo contati. Solitamente sono quindici. Ma la modifica statunitense ne conteneva solo dieci. Mi aveva salvato la vita.
Cercai di riacquistare un po' di forze. Ero ridotto veramente da cani. Gli diedi un altro calcio sulla pancia, poi uno sulla faccia. Svenne per terra.
Alcuni colpi sulla porta. -Aprite! Cosa sta succedendo?- Merda.
Il bagno era un macello. Grondavo di sangue dalla spalla e dalla fronte. Per uscire sarei dovuto passare dall'ingresso. E lì non sarei passato inosservato.
Mi guardai attorno. Nessuna finestra.
Ero in trappola.
  
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