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Autore: deborahdonato4    02/01/2016    2 recensioni
Leo Valdez, deluso dal suo primo amore Calypso, è tornato al Campo Mezzosangue con suo figlio James. Decide di dedicarsi completamente alla crescita del figlio.
Will Solace, rientrato al Campo dopo un anno passato a lavorare in un ospedale umano, ha una sola missione: confessare il suo amore verso Nico di Angelo. Mal'amore ha promesso per lui, e per Nico, un destino diverso.
Due ragazzi che diventano prima amici, poi qualcosa di più.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando Will Solace entrò al Campo Mezzosangue dopo più di un anno, si ritrovò stranamente bene. Un sorriso spontaneo gli comparve in volto, mentre un pensiero lo attraversava.

Quest'anno sarà diverso.

E lo sarebbe stato davvero. Will intendeva confessare il suo amore per una cara persona che viveva al Campo. E sapeva che appena avrebbe confessato i suoi sentimenti, sarebbe stato meglio per lui, per quella persona, per tutti quanti.

Will si avviò a passo spedito verso la cabina numero 7, la cabina dei figli di Apollo. Esitò un momento davanti alla porta, poi l'aprì.

Individuò subito gli occhi celesti di Angel posarsi su di lui.

«WILL!» urlò Angel, correndogli incontro, lasciando perdere la cucitura alla pesca con cui si stava allenando. «Sei sopravvissuto!»

Will rise, ricevendo la prima stretta da suo fratello minore. «Diciamo che ho perso la testa in molte occasioni.»

Angel rise con lui e lo stritolò per bene, mentre gli altri figli di Apollo si avvicinavano a loro. Will si lasciò stringere, rispondendo alle mille domande sul suo anno sabbatico.

«Sì, ho studiato molto. Sì, mi sono laureato. Sì, ho iniziato a lavorare in ospedale. Sì, pediatria. Sì, i bambini sono fantastici. No, non ho mollato perché non mi sentivo a mio agio. No, per un po' resterò qui. Sì, mi tengono il posto. No, non ti dirò come ho pagato gli studi.»

Will si sentì soffocare dopo la centesima domanda, e si scusò, dicendo di essere stanco, e si chiuse nella sua stanza. Anzi, nella sua ex camera. No, forse la sua metà camera. Will guardò dubbioso il secondo letto spinto quasi a forza nella stanza, e spalancò di nuovo la porta.

«Chi è il mio compagno di stanza, di grazia?» sbottò Will. Era stato via quasi sedici mesi, per perfezionare i suoi studi di medicina, e i suoi fratelli gli avevano bullizzato la stanza.

«Ehm, io.» disse Austin, andandogli incontro. «Sai, è la stanza del Capo cabina, e tu mi hai dato l'okay...»

Will annuì, sospirando. Giusto. Gli aveva dato l'okay. Sembrava passata una vita da quando era partito.

«Scusa Austin.» disse Will.

«Tornerai ad essere capo cabina?» chiese Austin, mordendosi il labbro.

«Ehm, non lo so.»

«Possiamo esserlo entrambi. Cioè, se ti va.»

Will sorrise. «Chi farà il lavoro sporco?»

«Io.» rise Austin.

«Allora va bene. Faccio la doccia.»

Will chiuse la porta della sua camera, e lasciò la borsa sul suo letto. Non aveva coperte, ma era troppo esausto per pensare di farlo subito. Senza contare che odorava ancora di mezzi pubblici.

Si spogliò e andò nel bagno. La presenza di Austin era un po' ovunque. Gli aveva cambiato tutti i prodotti per il corpo e per i capelli... Non c'erano più spazzolini, e biancheria sporca era sparsa sul pavimento.

Will si nascose il volto tra le mani. La sua mania di controllo si stava facendo sentire. Quando c'era disordine, non riusciva a non riordinare. Iniziò a gettare i vestiti sporchi di Austin nel cestino; buttò via i flaconi di shampoo vuoti, e riordinò anche il suo letto. Aprì tutti i cassetti, uno dopo l'altro, cercandone uno vuoto. Austin aveva occupato anche il suo spazio. Fu sul punto di svuotare anche i cassetti quando si aprì la porta.

«Wow.» fischiò Austin, affrettandosi ad entrare e chiudere la porta. «Dovrò riabituarmi alle tue chiappe.»

«Spero di non dovermi abituare al tuo disordine.» sbuffò Will, scoccandogli un'occhiataccia, senza provare nemmeno a coprirsi. La nudità era frequente nella cabina di Apollo. Erano tutti in pace con il loro corpo.

«Ehm, a proposito, scusa il disordine.»

Will sbuffò sonoramente e andò in bagno. Prima di infilarsi sotto la doccia urlò al fratello di lasciargli qualche cassetto libero, e l'armadio.

 

Leo Valdez aveva appena chiuso gli occhi quando suo figlio James cominciò a piangere. Leo si mise a guardare il soffitto, mentre la testa gli doleva e gli occhi bruciavano per il poco sonno.

Si rimise in piedi, prima che i suoi fratelli potessero lamentarsi, e andò subito alla culla. Incrociò gli occhi del bambino, pieni di lacrime.

«Pa-pa?» lo chiamò il bambino, inclinando un po' la testa di lato, guardandolo.

Leo si sciolse in un sorriso, dimenticando la stanchezza.

«Sono papà.» annuì Leo, allungando le braccia verso di lui. Il piccolo si lasciò prendere in braccio docile, e Leo gli schioccò un bacio sulla fronte prima di portarlo nella cucina. La cabina di Efesto vantava tante agevolazioni.

«Hai fame, piccolo?» domandò Leo, strabuzzando gli occhi, cercando un orologio. Erano le otto del mattino. Di nuovo, aveva lavorato tutta la notte, e si sentiva come se avesse... be', forgiato e perfezionato armi tutta la notte.

James annuì, e con un braccio solo Leo si affrettò a preparargli il biberon. Lo posò sul fornello e infilò la mano sotto, facendola andare a fuoco. Il bambino lo adorava.

Leo sorrise nel sentire la sua risata, e gli si colmò il cuore di gioia. Si era pentito spesso di ciò che era successo negli ultimi cinque anni, e suo figlio era l'unica eccezione. Amava il suo bambino. E nelle notti più tetre pensava che avrebbe rivissuto tutto quanto, pur di riavere James al suo fianco.

Leo chiuse un momento gli occhi, mentre una seconda risata si univa a quella del figlio. Una risata dolce, femminile, che apparteneva ad una persona che aveva amato tanto, e troppo, e di cui l'amore ormai era...

Non pensare a lei.

Leo spense la mano e controllò sul proprio polso quanto scottasse. Dovette fare uno sforzo per notare che era qualche grado più del solito, ma a James piaceva il latte caldo. E spesso lo teneva solo in mano, guardando il padre con i suoi occhioni scuri.

Il figlio di Efesto ringraziò che il bambino avesse i suoi occhi.

Si sedette al tavolo della cucina e porse il biberon al bambino. James bevve un sorso di latte prima di iniziare a emettere gorgogli e tentativi di parole. Leo era troppo stanco per prestargli attenzione, fino a quando non si sentì irrigidire.

«Ma-ma?» mormorò James, fissandolo.

Leo si morse il labbro. Come poteva spiegare a suo figlio di quasi tre anni che la mamma non sarebbe più tornata da loro? Come poteva dirgli che lei non voleva una famiglia?

Quando aveva posto la domanda ai suoi stessi fratelli, gli altri figli di Efesto, si erano divisi in due schieramenti: metà diceva che doveva dirglielo al più presto, altri che non era necessario. Leo pensava a sua madre, morta ormai da anni, che non gli aveva mai detto nulla di suo padre, il dio Efesto. Avrebbe preferito saperlo da piccolo?

Lentamente, Leo scosse la testa.

«No, piccolo, la mamma non è ancora tornata.»

Leo si morse il labbro. Odiava mentire al proprio bambino. Avrebbe compiuto tre anni da lì ad un paio di settimane, e sapeva che non avrebbe mai ricordato le sue bugie a otto, nove anni. Ma gli dispiaceva ugualmente.

James iniziò a ciucciare, continuando a guardarlo con i suoi occhioni, e Leo inspirò profondamente.

«Ma chi abbiamo qui?»

Leo sussultò e alzò lo sguardo sulla porta. Sua sorella Nina gli stava sorridendo, gli occhi gonfi dal sonno e i capelli scompigliati.

«Ciao Nina.» sorrise Leo, anche se sapeva che la sorella non ce l'aveva con lui.

«Jamie!» esclamò Nina, ignorando completamente il fratello e prese il bimbo in braccio. James rise di gusto, la zia Nina gli piaceva molto, soprattutto quando lo coccolava. «Il mio ometto!»

Leo la guardò sorridendo. Nina aveva detto per mesi che odiava i bambini, ma quando James Valdez era entrato nella cabina di Efesto, sua sorella si era lasciato scappare un verso di apprezzamento, assieme a tutte le altre sue sorelle. Si erano sciolte completamente davanti a quel piccolo dagli occhi di cioccolato, dai riccioli scuri e dal sorriso facile. Le sue sorelle si erano contese James per mezz'ora, strillando e lanciandosi bulloni e cacciaviti, e Leo aveva ringraziato mentalmente: non avrebbe più sofferto per l'assenza di babysitter.

«Ehi, tu.»

Leo guardò Nina sbattendo le palpebre. «Io cosa?» domandò, confuso.

Nina lo fissò con attenzione. «Hai dormito almeno un'ora?» gli chiese.

«Ehm, no.»

«Cinque minuti?»

«Non ho proprio dormito.»

Nina sbuffò. «Quindi non mi fai il caffè?»

«No.»

«Vai a letto, Valdez.»

«Con piacere.»

«Il piccolo Valdez lo tengo io.»

Leo annuì, grato, e le stampò un bacio sulla guancia. Nina si trattenne dallo sbuffare di nuovo.

«Ci vediamo più tardi, piccolo. Non fare impazzire la zia.» mormorò Leo, dando un bacio sulla testa del bambino, che aveva già iniziato a giocare con il bullone tenuto come collana di Nina.

Leo superò i suoi fratelli e le sue sorelle, attirati dalla parola "caffè", che si avvicinavano speranzosi. I più furbi si affrettarono ad andare in mensa.

Leo chiuse la porta della sua camera, lanciò un'occhiata alla culla di James vuota, e si buttò sul suo letto. Si addormentò ancora prima di toccare il cuscino e, come sempre quando si trovava in stanza da solo, ebbe un incubo.

 


Ciao!
Scusate se ci ho messo un po' a caricare il nuovo capitolo...
Sapete com'è Capodanno :P
Un bacione, alla prossima
Debby

   
 
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