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Autore: laragazzadislessica    02/01/2016    1 recensioni
È stata nascosta in un corpo non suo. Ha dovuto combattere nonostante nessuno le avesse insegnato a farlo, ma è ancora viva. Avrà una seconda possibilità per poter vivere la vita che le è stata strappata troppo presto?
Dal Testo:
...- Lo so bene. È per questo che ora andrò a New Orleans. –
- Cosa? No, no, no. Caroline non puoi… - Bonnie venne presa dal panico e lo si sentiva bene.
- Bonnie ho tutto sotto controllo...
Genere: Fantasy, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: CarolineKlaus, Elijah, Hayley, Klaus, Nuovo, personaggio | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Darkshines
Parte Prima

 
 
"Passandomi accanto tu illumini i miei cieli più oscuri
Pochi secondi e mi trascinerai dentro
Quindi sii mia e la tua innocenza io consumerò..." 
Muse - Dark Shines




L’effetto del potere di Bry, durava in media due ore. Ne erano passate molte di più, ma Hayley non si era ancora svegliata. Elijah era nella sua stanza e attendeva che rinvenisse accanto al suo letto.
Il corpo di Hayley si animò. La testa si mosse in uno scatto impercettibile. Pochi secondi dopo la ragazza spalancò gli occhi con un grande espiro. La prima cosa che fece da sveglia, fu quella di mettersi una mano sulla pancia. Al tatto, si rese conto che il rigonfiamento era sparito e fu presa dal panico.
- Va tutto bene. La bambina sta bene. – Elijah gli prese le mani rassicurandola dolcemente. Hayley lo guardò, ma non sembrò riconoscerlo e corse via da lui. Elijah sapeva bene dove stava andando. La trovò nella camera accanto, in piedi vicino alla culla di sua figlia. Hayley guardò la sua bambina che piccolissima dormiva avvolta in morbidi panni, poi si voltò verso di lui con gli occhi pieni di lacrime. Elijah la prese tra le sue braccia e sul suo petto, Hayley liberò le sue lacrime.
- Ero morta… io… io –
- Va tutto bene. Sh! Va tutto bene. – gli ripetette accarezzandole i capelli. Hayley si calmò a poco a poco, cullata da quelle possenti braccia.
- Chi è stato? Io… io non ricordo niente. – la sua voce tremò per gli spasmi dell’agitazione, Elijah l’abbracciò ancora più forte.
- Forse le streghe, forse altri nemici, non lo sappiamo ancora, ma quando lo saprò la vita di chi ha osato attentarti non vedrà un'altra alba. Te lo prometto. – le baciò la fronte ed Hayley chiuse gli occhi per poter trattenere tutte le sue nuove sensazioni.
- Perché sono ancora viva? – gli chiese poi imprigionata in quelle braccia dalla quale non avrebbe mai voluto essere scarcerata.
- Tua figlia. Il suo sangue. – parlò stretta a lei e non era chiaro se fosse lui a sorreggerla o viceversa.
- Come può essere già così grande, ero incinta di soli tre settimane. –
- La Divina Brynhild, l’ha salvata dalla tua trasformazione e… -
- Cosa? – solo allora Hayley alzò il viso. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito. Elijah le mise una mano sulla guancia e Hayley a quel contatto chiuse gli occhi, doveva ancora abituarsi a quel suo nuovo modo di sentire.
- Gli ibridi hanno bisogno del sangue dei loro creatori per vivere e se ti saresti trasformata con lei in grembo, la tua sete… -
- Non ho sete ora. – lo interruppe, perché solo adesso ci stava facendo caso. Elijah la guardò nei suoi occhi castani, quegli occhioni che aveva creduto di non vedere più.
- È l'effetto del potere di Bry – Elijah appoggiò la testa alla sua e chiuse gli occhi respirando il suo profumo.
- Allora ricordami di ringraziarla. –
Rimasero abbracciati per chissà quanto tempo. Nessuno dei due aveva il coraggio di allontanarsi, nessuno dei due voleva farlo.
- Non ricordi niente? – le chiese di nuovo Elijah rompendo il silenzio. Da quando l’aveva appoggiata sui tavoli del cortile, con il cuore muto da oramai diversi minuti, non si era dato pace. Aveva ripassato in mente ogni dannato minuto che avevano trascorso su quel battello, e non aveva trovato un cavillo. Forse…
- Ricordo… io e te che ballavamo… - Hayley gli parlava senza staccarsi da lui, con gli occhi ancora chiusi e le braccia attorno al suo collo. – Ricordo una adorabile vecchia signora, mi ha accarezzato la pancia e poi… -
- Ricordi di aver sentito qualcosa di strano all'ora? – solo a quel punto Elijah alzò la testa dalla sua. Era l’unica possibilità. Solo quella signora si era avvicinata a tal punto da poterle fare qualcosa e se Klaus avesse ragione, se i viaggiatori c’entrassero qualcosa e avessero usato la loro magia per sanare vecchi conti? Se quella anziana signora fosse una di loro?
- Niente. –
- Niente, perché non ricordi o niente… -
- Elijah! – Hayley gli prese la testa con le mani per tranquillizzare l’agitazione che stava mostrando. – Io sto bene. La bambina sta bene. Noi stiamo bene e non è stata colpa tua e non è stata quella signora. Era solo una semplice umana. Lo sai anche tu, altrimenti non l'avresti fatta avvicinare. – disse di un fiato. Elijah annuì tra le sue mani e poi ne baciò il dorso. Hayley sentì come se le avesse baciato tutto il braccio.
- Avevo così paura di perderti. – e delle lacrime da troppo tenute nascoste, gli scesero sulle guance. Hayley le asciugò usando i pollici, tenendo ancora le mani alle sue guance. 
Lo sentiva.
Elijah.
Lo sentiva dieci, cento, mille volte di più di come lo sentiva prima.
Qualcuno le aveva detto che i vampiri avevano questa capacità, ma non aveva mai capito di che si trattasse. Ora lo sapeva. Il suo cuore batteva per lui, forte prima, fortissimo adesso. Le sue mani volevano toccarlo prima, il desiderio era irrefrenabile adesso. La sua bocca voleva baciarlo prima ora… Lei lo aveva pensato, ma fu Elijah a farlo. L’aveva baciata mentre lei scrutava i suoi nuovi sensi e non sé ne era neanche accorta, ma ora sì. Lo baciò e tutto il suo corpo sentì quel contatto. Elijah. Il suo Elijah. La teneva stretta a sé come se non volesse lasciarla andare. Hayley sentì il suo corpo sul suo e non seppe come… erano ritornati nella sua stanza. Era stato lui o lei? Elijah la baciò sul collo. Le sue labbra erano morbide e calde, e a ogni loro tocco Hayley si sentiva morire. Prese la sua mano e lo portò fino al suo letto, dove si sedette. I suoi occhi non lo lasciavano. Non si sarebbe accontentata di un solo bacio, non ora che poteva sentire in quella maniera, non ora che era appena tornata dalla morte. Ogni secondo che passava tra loro, rendevano Hayley sempre più agitata. Sapeva bene che c’era una grande probabilità che Elijah la lasciasse lì, per uscire dalla sua stanza e fuggire dai i suoi sentimenti, come aveva fatto finora. Se l’avesse fatto, Hayley non glielo avrebbe mai perdonato. Elijah rimase al suo posto per tre interminabili secondi e poi si avvicinò. La baciò. Aveva scelto lei. Aveva scelto di amare lei.

Stava dormendo.
Quel letto era davvero comodo e le coperte così morbide da far desiderare a Caroline di non svegliarsi, almeno non per ora. Quella città era una meta famosa per il turismo e trovare un hotel grazioso, pulito e accogliente fu facilissimo, trovare invece un pigiama alle cinque del mattino un po’ meno. L’unica cosa che aveva scovato come tale era una di quelle magliette nere con il logo della città scritto in caratteri cubitali che si trovavano in tutti gli autogrill della nazione. Ne prese una più grande di quattro taglie così da stare comoda. Lo era. Era da tempo che non dormiva così profondamente e… poi un rumore le disturbò il sonno. Era basso e cupo. Di nuovo. Caroline non voleva aprire gli occhi, stava così bene nella sua coperta morbida da hotel semi lussuoso, ma quel rumore si fece risentire e i suoi sensi da vampiro si attivarono. Aprì gli occhi nel momento in cui realizzò che i tonfi non erano altro che bussate alla sua porta. Si scoprì le gambe che nude si gelarono al contatto con l’aria più fresca. Si stropicciò gli occhi, mentre un'altra bussata, stavolta più forte, la fece alzare dal letto che non voleva lasciare. Chi poteva essere a quell’ora? Ma che ore erano? Cercò un orologio intorno a sé e trovò la sveglia elettronica sul comodino, lampeggiava un dodici e un zero cinque in rosso. Cosa? Aveva dormito fino a tanto?
- Ti sento, sei proprio dietro alla porta. –
Quella voce.
La sua voce.
Suonò da dietro alla porta proprio come se fosse già entrato in stanza.
Caroline corse ad aprire.
Klaus.
Klaus era in piedi fuori alla sua porta.
Era lì a un passo da lei.
- Cosa ci fai qui? – le chiese entrando nella sua stanza e chiudendo la porta alle sue spalle. Aveva la sua solita espressione arrabbiata, col le sopracciglia unite e la mascella chiusa. Era arrabbiato con lei? A Caroline non le importò, era così vicino da farle mancare il respiro.
- Te l’ho detto, sono qui per i Viaggiatori e per tua sorella che… -
- Bugiarda! – continuò ad avvicinarsi a lei, Caroline si trovò a indietreggiare quasi come a voler scappare da lui, dal suo corpo, dai suoi occhi, dalla sua bocca, dal suo profumo, dalle sue spalle, dal suo petto… i passi di Caroline si interruppero, la stanza era finita e ora era con le spalle al muro. Non aveva più via di uscita. Klaus l’aveva messa in trappola. – Dimmi la verità, perché sei qui? – erano così vicini che i loro nasi potevano sfiorarsi, ma a Klaus non gli bastò, mise le mani al muro imprigionandola. Caroline non riuscì a parlare. Non riusciva a fare altro che guardare nei suoi occhi verdi e sperare di ricordare di respirare. Klaus le accarezzò una guancia con un dito e quel contatto fievole le fece perdere ogni appiglio con la sua ragione.
- Sono qui per te. –
Gli rispose.
Finalmente ci riuscì, ma Klaus non le permise di dire altro. La baciò. Lei glielo permise.
Si aggrappò a lui mettendogli le mani al petto e sentendo i suoi muscoli sotto alla sua maglia sottile aumentò l’intensità del bacio. Lei non era una prigioniera, lei possedeva le chiavi.
Klaus mise le sue mani nei suoi capelli, tirsndola a se. Aveva ancora gli occhi aperti. Voleva vedere tutto. Voleva vedere lei e non perdersi un attimo di loro. Caroline espirò dal naso desiderosa di lui e questo fece scattare qualcosa in Klaus. La foga. La portò al letto e la spinse sul materasso, Caroline atterrò sulle coperte morbide tirandosi sui gomiti mentre Klaus si sfilò via la maglietta. Si chinò su di lei a dorso nudo e prese di nuovo le sue labbra nelle sue. Caroline lo voleva, voleva lui e tutto quello che significava. Era pronta, ma Klaus si fermò. I suoi occhi la stavano guardando in silenzio e Caroline non riusciva a capire cosa c’era che non andava, poi lo udì anche lei… un tonfo. Due. Tre.
Caroline si svegliò.
Si alzò di mezzo busto. Aveva la gola arida e la pelle sudata. Corse in bagno a sciacquarsi il viso. Quella non era la prima volta che sognava Klaus, ma mai era stato così… intenso. Caroline alzò lo sguardo allo specchio sospirando. Cosa aveva fatto? Forse era ancora in tempo per tornare a casa. Forse c’era un altro modo per salvare Elena. I tonfi alla porta si fecero sentire di nuovo, Caroline non li aveva sognati. Cercò l’orologio, segnava mezzogiorno e venti, un quarto d’ora più tardi del sogno, ma la fece rabbrividire comunque. Caroline guardò la porta, impaurita. Quella situazione assomigliava così tanto al suo sogno da metterle i brividi. La persona fuori alla porta non parlò, semplicemente perché non possedeva i sensi per udirla. Caroline lo sapeva, sentiva le sue vene umane pulsare dal retro della porta e il suo stomaco brontolò. Aveva detto che avrebbe lasciato la stanza alle undici e aveva sforato di gran lunga il termine. Aprì la porta e una donna sulla quarantina vestita in veste da cameriera le fu davanti. Caroline la guardò diritta negli occhi e le sue pupille si allargarono.
- Hai bussato e hai visto che la signorina della 206 era andata via, ma hai tanto di quelle cose da fare che aspetterai un’ora abbondante prima di avvisare la reception e dare a me così il tempo di una doccia. – chiuse la porta sorridendole. Odiava ammaliare la gente per cose frivole e infatti l’igiene personale non lo era. L’unica cosa che aveva portato con se erano i vestiti del giorno precendete, quindi la seconda cosa che avrebbe fatto prima di recarsi alla villa di Klaus, sarebbe stata quella di comprarsi degli abiti nuovi. La prima era nutrirsi.

- Sveglia dormigliona. –
Katherine era completamente sommersa dalle coperte e si aprì uno spiraglio. Giusto quel poco da poter vedere il sorriso di Stefan andarle incontro.
- Che ore sono? – gli chiese poi coprendosi gli occhi dal sole che entrava dalle finestre dalle tende tirate.
- Quasi le dieci. – Stefan si sedette su una parte del letto libero e probabilmente non si sarebbe alzato finché non avesse ottenuto quello che voleva.
- Ma non è sabato? – si buttò di nuovo sul materasso cercando di trovare la stessa posizione in cui era prima, era davvero comoda. Dormire le era sempre piaciuto e odiava quando la svegliavano a mattina "presto".
- È mercoledì. – Stefan la scoprì tirando via le coperte che Katherine si era tirata su fino a coprirsi la testa, ma Katherine afferrò un cuscino e sé lo mise in faccia. – Dai, Enzo è con Damon, dopo sarà il turno di Tyler. Abbiamo due ore libere. So che dopo tutto quello che è successo hai bisogno di svago e io so cosa ti piace fare per svagarti. –
Katherine uscì allo scoperto con il viso corrucciato dal sonno e uno sguardo incuriosito.
- Non stai parlando di sesso, giusto? – forse era il sonno ad annebbiarle la mente, perché quella decisamente non era una frase da Elena, ma da Katherine. Stefan scoppiò a ridere, neanche lui se lo sarebbe aspettato da lei, anche se sapeva benissimo chi fosse e che parte stava recitando. Fu difficile tornare serio e di interpretare la sua di parte, cioè di intrattenitore pronto a flirtare leggermente, ma stando sulle sue, perché in fondo quella era sempre l’ex di suo fratello.
- Sto parlando della mia motocicletta. – Stefan gli sventolò le chiavi sul viso. – Su, se ti prepari in fretta te la lascio guidare. – si alzò dal letto. Katherine lo guardò uscire dalla camere e ancora non aveva capito come aveva ottenuto un appuntamento con Stefan, senza fare il minimo sforzo, ma era quello che voleva, quindi decise di scendere dal letto. Sbadigliando ancora un po’ lanciò le mani al cielo per stirarsele, poi fece un gesto comune a quella generazione, controllò il suo telefono. La bustina dei messaggi stava lampeggiando. Era un messaggio vocale di Caroline e di quella stessa notte. Curiosa Katherine spinse play.
“Ho pensato a quello che mi hai detto. Di tutta la situazione con Klaus, New Orleans e altro e… e… forse, non lo so, forse dovrei andare da lui e se provo quello che credi che io provo, che in realtà non provo, almeno lo saprò. Insomma hai capito? Ti chiamo appena posso. Ciao.”
No. Katherine non aveva capito niente. Le sembrava solo una voce stridula e tanti blablabla, allora decise di riascoltarlo e stavolta capì il senso. Caroline era andata a New Orleans, l’aveva convinta, ci era riuscita e non sé ne sorprese perchè era esattamente la cosa di cui era più brava in assoluto. I suoi piedi toccarono il caldo parquet dei Salvatore in quella che si sarebbe rivelata una gran bella giornata.

L’unico bar aperto di mattina in quella cittadina dimenticata da Dio, era proprio l’unico bar di quella cittadina, eppure gli unici suoi clienti erano lei e il piccolo ibrido Tyler. Nadia era al quarto bicchiere ed era solo l’inizio di quello che era abituata a bere normalmente, quindi spinse il suo bicchiere vuoto verso il barista che glielo riempì, guardandola sottocchio.
- Le occhiate di disapprovazione sono incluse nel prezzo? – gli disse poi con la testa china.
- Se fossero escluse questo bar guadagnerebbe il triplo. – Tyler seduto alla sua destra alzò il bicchiere verso la sua unica compagna di bevute.
- Ragazzi, non sono affari miei, ma io credo possiate fare di meglio che restare a ciondolare qui ogni giorno della vostra vita. – Matt allargò le mani mettendo in mostra il suo punto di vista.
- Certo e io partirò con l’andarmene da questa inutile ramanzina. – Tyler scese dal suo sgabello infilandosi il giubbotto nero di pelle. – Matt, figlia di Katherine, ci si rivede alla prossima ora di rimpianti e commiserazione. – lasciò i soldi sul bancone e andò via.
- Io non capisco quel ragazzo. È un ibrido adesso, può fare quello che vuole della vita, perché invece rimane in questa città? – e con un solo sorso Nadia tracannò il suo drink.
- E tu? Perché sei ancora qui? – Matt prese il suo bicchiere vuoto sciacquandolo sotto al getto dell’acqua calda, prima di metterlo in lavastoviglie.
- Non ho finito! – protestò la sua unica cliente, ma Matt non la stette a sentire.
- Rispondimi prima. – si appoggiò al bancone sporgendosi verso di lei.
- Lo sai che potrei ucciderti e in un solo secondo. –
- Ok, volevo solo farti parlare un po’, ma se credi che la bottiglia sia una amica migliore di uno in carne ed ossa… - le mise un nuovo bicchiere vuoto e glielo riempì con il suo drink preferito. – sei servita. –
- Amico? – Nadia lo guardò per cercare di vedere se quel biondino si rendesse davvero conto di quello che stava dicendo, ma poi forse esserle amico avrebbe aiutato sua madre a sapere di più su Elena.
- Va bene. Sono ancora qui, perché l’unico motivo della mia immortalità era quello di ritrovare mia madre e ora che lei è morta, mi prendo qualche giorno per vedere in quale direzione deve andare la mia vita immortale. – disse di un fiato mentre gli occhioni blu di Matt seguivano il suo discorso.
- Sai, il mio capo mi ha chiesto di selezionare del personale. – e da sotto il bancone Matt prese uno dei moduli di richiesta di lavoro. – Perché non lo compili, visto che hai deciso di sprecare qui i tuoi giorni, almeno mi aiuti. –
- Sei uscito fuori di testa? – ma Matt le aveva anche procurato una penna. – Non posso. –
- Perché? Hai mai lavorato prima? –
Nadia si limitò ad alzare le spalle e Matt non potette crederci.
- Cosa? – scoppiò a ridere incurante che quella che stava prendendo in giro era una vampira pericolosissima. – Non riesco a crederci. –
- Dammi qua! Quanto può essere difficile. – prese da un impeto orgoglioso Nadia iniziò a scrutare le domande di quel foglio, pronta a dimostrare a quel umano che nessuno poteva prendersi gioco di lei.
- Io sono in magazzino, se c’è qualcosa che non capisci… - ma gli occhi carbone di Nadia lo fulminarono. Con le mani alzate e un gran sorriso entrò nel magazzino. Lì si recò alla friggitrice che aveva acceso in precedenza e calò nell’olio bollente il cesto con le patatine fritte. Con quel casino, prese il cellulare e chiamò Bonnie.
- Pronto Matt! Allora? -
- Va tutto bene. Ho trovato il modo per trattenerla qui. –
- Perfetto. –
La sua amica attaccò. Faceva tutto parte del loro piano. La notte prima Bonnie era andata a casa sua e gli aveva chiesto delle cose che non riusciva a ricordare, come del pugnale dei viaggiatori. Era stato soggiogato altre volte, quindi la sensazione che si provava quando un ricordo ti viene rimosso forzatamente dalla tua mente gli era assolutamente chiaro. Ieri sera aveva ricominciato a bere la verbena e non avrebbe mai più smesso.
Il piano dei ragazzi era più tosto semplice in realtà, Matt occupava Nadia, Stefan intratteneva Katherine, Bonnie tentava di trovare tracce del pugnale, mentre Caroline avrebbe dovuto chiedere a Klaus di far cessare qualsiasi cosa avesse fatto sua sorella alla magia, e quest'ultimo punto si sarebbe rivelato il più complicato di tutti.

Forse era capitata in un periodo dell’anno particolare, perchè le strade erano sempre piene di persone mascherate che marciavano, bande che suonavano strumenti e Caroline ne fu rapita per un po’. C’erano addirittura gli sbandieratori che facevano roteare i loro stendardi al suono di enormi tamburi, ma quello che la sorprese di più fu il tempo. Burrascoso e nuvoloso, anche il vento era freddo come se non sé lo fosse mai aspettato in una città del sud. Un odore gli trapanò le narici, portandola via da ogni altro pensiero. Era corposo e delizioso. I suoi occhi cercarono cosa potesse avere tale profumo, poi vide il rosso scuro del suo unico alimento. Una bambina, era caduta dal marciapiede e si era sbucciata un ginocchio. Le bastò guardare a chi appartenesse quella gambina minuscola per ritornare in se. Questo era la cosa che odiava di più del suo stato da vampiro. La sete ingorda che ti rendeva completamente cieco, anche davanti ad anime innocenti. Doveva nutrirsi. Decise di seguire una coppia di innamorati, i morsi quando guarivano lasciavano l’alone rosso simile a quelli dei succhiotti, quindi erano semplici prede. Entrarono in un vicoletto, forse diretti a uno di quei bistrot nascosti per una cena romantica. Era così vicina da poterli toccare… una forza la tirò via e si accorse di essere trascinata da un vampiro solo quando sentì il vento forte batterle in faccia, respirandolo, poi, si rese conto di chi era quel vampiro. Lo stesso della casa con le M incise sui pilastri. Lo stesso della camera dei quadri. Lo stesso… sempre lo stesso.
Si trovò su una cima di un palazzo. La corsa di un originale era più veloce di quella dei vampiri ordinari e la testa le girò per un attimo, poi vide. Lo vide. Davanti a lei. Con le mani nelle tasche di un cappotto blu scuro, in un maglione grigio a collo alto, in dei pantaloni grigio scuro e stivali scuri. Lui. Klaus. Le sorrideva. Si. In un modo felice. Si, Klaus era felice. Dalla sua tasca le lanciò una cosa che solo quando afferrò al volo, Caroline vide essere una sacca di sangue.
- Questa giornata va di bene in meglio. –
Era la sua voce e stava ridendo. Caroline gli vide una felicità che non gli aveva mai visto prima. Gli sembrava diverso.
- Non sai quante volte ho sognato questo momento, ma devo dirti che qui le cose vanno diversamente dalla tua cittadina, qui se mordi un umano sei morto.  – si rimise la mano in tasca, bhè si, era proprio una fredda giornata.
- E chi ha fatto questa stupida regola? – strappò il tappo del sangue che le aveva portato Klaus, in quello che poi si era rivelato un altro suo salvataggio.
- Io. – alzò le spalle sorridendole. Irradiava una strana luce e Caroline capì che era lei l’artefice della sua felicità. Il cuore le diede un battito traditore, ma che riuscì a mascherare sotto a dello schermo.
- E da quando in qua ti preoccupi per gli umani. – diede un sorso e finalmente la sua sete si attenuò.
- Dai, hai sempre saputo che in realtà sono uno buono… -
E il sorso le andò di traverso per poter ridere a quella sua affermazione. Quando riuscì a deglutire come una persona normale, fece spazio alle risate.
- Eccola qua! La risata che mi è mancata tanto. – finì poi per guardarla come usava fare, come se lei fosse la cosa più bella che esistesse su questa terra. Le era mancato sentirsi così, così desiderata. 
I due si scambiarono un lungo sguardo. La distanza tra di loro era meno di cinque passi e anche se la Caroline riflessiva non l’avrebbe mai ammesso, la realtà e che non c’era nessuna distanza tra loro. Caroline lo capì. Erano passati delle settimane dal loro ultimo incontro ed era come se non fosse passata nemmeno un’ora. Il silenzio tra i due era durato troppo e Caroline sapeva di dover dire qualcosa.
- Come hai fatto a trovarmi? – disse poi mentre giocherellava con il tubicino di plastica della sacca che usava come cannuccia.
- Io governo questa città e un’altra delle mie regole è quella di sorvegliare l’ingresso a nuovi esseri soprannaturali che vi entrano. I miei vampiri mi hanno detto che una nuova vampira era in città, poi il tuo odore sparso per tutta la mia casa ha fatto il resto. – le sorrise malizioso. Come originale non aveva solo la corsa più sviluppata ma anche l’olfatto, avrebbe dovuto pensarci prima.
- Oh, il tuo più grande sogno si è avverato. Un intera città ai tuoi piedi. Che cosa interessante. – il suo sarcasmo tornò utile al momento giusto. Vederlo le aveva fatto un certo effetto.
Klaus allargò le braccia girandosi verso il panorama che lì circondava. New Orleans nel suo affascinante tempore.
- Per quanto mi credi astuto Caroline, non è stato facile rendere questa città la mia casa. In ogni angolo sono nascosti nemici sempre più agguerriti nel volere fare del male a me e ai miei cari, quindi mia dolcezza… - si voltò verso di lei e stavolta il suo sorriso era scomparso. – cosa ci fai qui? –
- Lo sai perché… tua sorella, la storia con i Viaggiatori… -
Con uno scatto Klaus le si avvicinò e Caroline si terrorizzò all’idea che potesse iniziare ad urlarle Bugiarda!, come aveva fatto nel suo sogno.
- Ti ho detto che avrei provveduto io quando potevo, non sei al sicuro qui. – ma si fermò a una distanza molto più lontana da quella del suo sogno.
- Stiamo parlando di Katherine, Klaus! È venuto fuori che è una viaggiatrice ed ha impossessato a nostra insaputa il corpo di Elena. Non posso aspettare. Se si accorge di qualcosa, se solo si insospettisce, scapperà in capo al mondo, troverà una strega e si farà proteggere da lei, lo sai Klaus, hai passato cinquecento anni nel rincorrerla. La mia migliore amica è in pericolo. – un soffio di vento gelido le fece scompigliare i capelli e si dannò di non essersi portata nulla con se.
- Quindi Katherine è ancora viva. – tra tutte le parole nel suo appello disperato, Klaus parve capire solo quello. “OH NO. NO. NO!”
- Non per molto. C’è un coltello che può uccidere i Viaggiatori, solo che è sparito. Mi serve un incantesimo di localizzazione, solo un semplice incantesimo. – disse cercando di non sembrare terrorizzata per la sua amica. Klaus voleva Katherine morta e Caroline sapeva bene che non si sarebbe fermato nell’ucciderla, anche se questo avesse significato uccidere anche Elena. Era riuscita a tenerselo per sé finora, come aveva fatto a farselo scappare?
Klaus le sorrise brevemente prima di risponderle.
- Ok! – e alzò le spalle come se non fosse una cosa di grande importanza.
- Solo ok? – tutto il suo corpo le stava dicendo di stare zitta, di approfittare del suo buon umore, ma fu più forte di lei.
- Si. Voi a Mystic Falls volete Katherine morta tanto quanto lo voglio io e so che ci riuscirete. – le continuò a sorridere e Caroline ne rimase completamente sbalordita. Chi era quell’uomo e che fine aveva fatto il Klaus rancoroso e vendicativo che aveva conosciuto a Mystic Falls?
- Quindi, sei qui per sapere se è la Divina Brynhild la causa della scomparsa del potere delle streghe? – le chiese poi e Caroline gli rispose annuendo. – Mia sorella non ha fatto cenno alla cosa, ma c’è una grande probabilità che sia così. Per quanto abbia capito, non le sono mai piaciute le streghe, ma per la conferma dovremo aspettare. –
- Aspettare? Aspettare quanto? – Caroline si agitò. Quale parte della frase non c’è tempo, Klaus non aveva capito?
- Non molto e ti offrirei di passare il tempo facendoti vedere New Orleans, se non fosse pericoloso per te. – alzò la parte destra della bocca mostrando un chiaro disappunto a quella cosa a cui sembrava non avesse potere, poi il silenzio scese di nuovo tra loro. Lui la stava guardando con le sue mani in tasca e il suo viso bellissimo e Caroline sapeva che stava solo aspettando un suo cenno per poterla stringere tra le sue braccia. Era sempre stato così, dall’inizio. Lui avrebbe aspettato lei e forse per sempre.
“…intendo essere il tuo ultimo”
- E tu? Tu sei al sicuro qui? – disse poi perché il suo corpo iniziava a darle dei segnali che non avrebbe dovuto darle. La stava tradendo. 
- No. –
Bastò solo quella semplice risposta a far impazzire le sua gambe. Caroline concentrò tutta la sua forza sui suoi piedi, piantandoli a terra. Stavano correndo da lui, perché il Klaus preoccupato che le aveva telefonato la sera prima, adesso le stava davanti. Cosa le stava succedendo? Perché le importava così tanto?
- Allora perché non te ne vai! Cosa hai qui che non puoi trovare da un’altra parte? – i suoi piedi la tradirono e con tre passi si avvicinò a lui, ma riuscì a stringersi forte le braccia per non farle fare qualcosa di stupido, come abbracciarlo.
- Molto più di quanto credi. – le sorrise di nuovo come se qualcosa di unico e magnifico gli fosse tornato in mente. – un miracolo. –

Il rumore della serratura lo svegliò. Damon aprì gli occhi e vide la stanza illuminarsi dalla luce delle lampade del corridoio. In quella luce, un'ombra di un corpo di ragazza si allungò sul pavimento.
- Chiunque tu sia spero, che abbia con te la cena - si alzò da terra e adesso poteva vedere la sua nuova guardia. L'apprendista strega Liv.
- Certo che si - la ragazza si allontanò dalla porta facendo posto a un altro corpo più robusto e alto. Enzo. Aveva una persona accasciata sulla spalla sinistra, come una asciugamano da palestra. Entrò nella cella e rovesciò l’individuo a terra. Un vampiro.
- Bon appétit - disse poi il suo amico, facendo segno di servirsi pure. Sul dorso, il vampiro svenuto, aveva vari fori di proiettile da cui uscivano getti di sangue vivo. Damon non riuscì più a resistere. Corse verso la sua preda con gli occhi iniettati di vene blu, ma le catene lo bloccarono a mezz'aria.
- Scusami, non ci avevo pensato - Liv si affrettò a liberarlo. Prese dalla tasca il mazzetto di chiavi che aveva rubato a Tyler, l’incaricato del turno successivo e a cui le aveva rubate, e aprì i catenacci. Enzo però, uscì prima dalla stanza.
- Meglio essere sicuri - disse poi nel corridoio una volta chiusa la porta della cella. Damon, libero, aggredì la sua cena. Il sangue di quel vampiro aveva un sapore diverso, non era verbena e quindi andò bene comunque. Dopo solo alcuni minuti, aveva prosciugato tutte le vene di quel vampiro. Si sedette a terra riprendendo fiato. Liv si abbassò sulle gambe, in modo tale da guardarlo negli occhi.
- Non è uno spettacolo adatto ai bambini – le disse poi nel suo sarcasmo, ma Liv non si mosse.
- Guardami – gli disse invece e gli occhi di Damon furono su di lei. - Alzati - gli diede un altro comando e Damon si alzò. - Tu non morderai Enzo, né attenterai alla sua vita, né farai altro per succhiargli via il sangue. -
- Scusami ragazzina. Questo sarebbe psicoanalisi? Sai sono un po' arrugginito al riguardo. - Damon le mostrò un sorriso sporco di sangue muovendo la testa di lato.
- Enzo entra! - Liv di nuovo non gli diede retta chiamando il vampiro che stava aspettando in corridoio. Enzo aprì la porta.
- Wow!Wow!Wow! Non farai sul serio - Damon si allontanò, ma dietro aveva il muro. Liv si avvicinò a una mensola e con difficoltà, riuscì a spezzare un pò di legno. Con quel paletto fatto in casa tagliò la mano di Enzo. Il sangue dell'amico gocciolò a terra. - Nooo! - Damon afferrò le catene per bloccare l'attacco omicida che il suo corpo avvelenato da quel siero mangia vampiri, compiva ogni volta che vedeva un vampiro. Chiunque esso sia. Non arrivò. Rimase lì dov’era. - Come? Non sento la voglia di bere il suo sangue. Cosa è successo? - chiese alla strega che forse aveva trovato la soluzione al suo problema.
- Diciamo pure che ora sei asservito a me begli occhioni. Adesso andiamo. – disse poi uscendo dalla porta e Damon la seguì.
- Dove andiamo? – chiese ad Enzo, ma lui mosse la testa mostrando che non ne aveva proprio idea e si incamminò superandoli entrambi.
- Lei mi ha detto che poteva curarti e mi è bastato solo questo. – 
- Eh no inglesino. Mi servi anche tu. –
Sentendosi chiamare dalla strega, Enzo si voltò e qualcosa nel suo sguardo sembrò diverso dall’ultima volta che si erano visti.
- Non sono asservito a te, non puoi comandarmi. – Enzo si rivoltò con l’intento di andare via.
- Si, ma posso comandare lui nell’ucciderti, io non mi darei le spalle. –
Si, era proprio cambiata. Enzo la guardò mentre era lei a superare lui. Non avevano altra scelta, dovevano seguirla.
- Solo per chiedere, dov’è che stiamo andando? – chiese Damon, mentre stava provando con tutto se stesso a comandare i suoi stessi piedi di scappare via, ora che poteva.
- Tu e tuo fratello avete nascosto qualcosa tempo fa e io lo voglio. -
   
 
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