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Autore: Curiosity    03/01/2016    6 recensioni
“Sarebbe stato davvero così orribile, Will? Venire via con me?”
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AU post Mizumono (2x13). Dopo che Hannibal lascia Will a dissanguarsi sul pavimento quest’ultimo cade in depressione e non lo insegue. Ritrovare la strada che porta all'altro non è semplice come sembra. Che sapore ha un cuore spezzato?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: Questo doveva essere l’ultimo capitolo ma pare che io non riesca a smettere di scrivere, per cui a quanto sembra ce ne sarà almeno un altro, se non due.

Even Lovers Drown

di Curiosity

5. I’ll Die If You Deny Me

"My love for Heathcliff resembles the eternal rocks beneath: a source of little visible delight, but necessary.

Nelly, I am Heathcliff! He's always, always in my mind: not as a pleasure, any more than I am always a pleasure to myself, but as my own being.

So don't talk of our separation again: it is impracticable."

                                   (Catherine Earnshaw, Wuthering Heights)

Quando rientrarono in casa il sole iniziava ad alzarsi nel cielo, e il randagio a cui Will dava spesso da mangiare scodinzolava sul portico in attesa di ricevere qualcosa per colazione. Will tirò fuori una coscia di pollo dal frigo e lo lasciò a rosicchiarne l’osso sulle tavole di legno della veranda che andavano scaldandosi alla luce mattutina. Scorse una macchina parcheggiata poco lontano dalla sua abitazione e suppose fosse l’auto con cui Hannibal doveva essere arrivato fin lì - una vecchia Ford, di certo nulla a che vedere con la Bentley che l’uomo aveva posseduto a Baltimora.

Rientrò dentro, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando che Hannibal gli togliesse la giacca dalle spalle per appenderla. Si accorse di sentirsi stanco, o meglio, svuotato. Non aveva la più pallida idea di quale fosse la direzione che la sua vita stava prendendo ma non aveva la forza per curarsene.

“Quanto ti fermerai?”, chiese.

Sembrava un quesito così banale, così… fuori luogo. Come se Hannibal fosse un vecchio amico in visita, e non l’uomo che l’aveva quasi ucciso.

“Hai così fretta di mandarmi via?”, sorrise l’altro.

“No”, rispose sinceramente. “Ma la casa è stata pensata per una persona sola. Oltre a non esserci cibo ho un solo letto e ben pochi vestiti da prestarti.”

“Per i vestiti non devi preoccuparti”, disse Hannibal indicando con un cenno del capo un borsone scuro che Will prima non aveva notato, appoggiato vicino al suo sgangherato armadio. Per qualche motivo gli veniva difficile immaginare che Hannibal potesse viaggiare con solo quella misera quantità di vestiti. Non poteva esserne certo, ma scommetteva che nella sua vecchia vita lo psichiatra avesse posseduto una cabina armadio, di quelle abbastanza grandi da ospitare comodamente una famiglia intera.

“Per la sistemazione notturna posso dormire sul divano”, continuò Hannibal. “Sono più adattabile di quanto tu non creda”.

“Non la penserai così quando ti si conficcheranno le sue vecchie molle tra le costole mentre dormi.”

Hannibal sorrise.

“Cosa suggerisci, allora?”

“Ci dormo io, tu puoi prendere il letto. Da qualche parte devo avere delle lenzula di ricambio.”

“Non è necessario, Will”, ribatté l’altro. “La tua forma fisica non versa nelle condizioni migliori. Preferirei saperti in un letto comodo, considerando il fatto che suppongo tu continui ad avere episodi d’insonnia. Non è così?”

Will non poté negarlo, quindi si limitò a scrollare le spalle. Cercò di non concentrarsi troppo sul modo in cui Hannibal sembrava preoccuparsi per la sua salute, o avrebbe iniziato a chiedersi il perché e a cercare segni di manipolazione dietro ogni sua parola.

“Come vuoi, ma non dirmi che non ti avevo avvertito”, disse infine, passandosi una mano sugli occhi. Ora che era completamente sveglio poteva sentire la testa pulsargli ritmicamente coi postumi della sbornia.

Hannibal gli posò una mano sulla spalla senza preavviso, e Will quasi sobbalzò.

“Non hai dormito abbastanza”, osservò l’uomo ignorando la reazione istintiva di Will e lasciando la mano lì dov’era. Terapia comportamentale tramite esposizione, suggerì la mente di Will senza che lui glielo chiedesse. La ripetizione di uno stimolo temuto finché la paura non diminuisce con l’abitudine.

Will si autozittì mentalmente.

“Sto bene”, rispose teso.

“Dovresti riposare”, ribatté l’altro. “Nel frattempo io farò un salto in città a comprare qualcosa da mangiare.”

“Dubito che al supermercato abbiano il tipo di carne che preferisci”, disse prima di riuscire a trattenersi.

Hannibal si limitò a guardarlo.

“Credo di poterne fare a meno per qualche tempo. Ti fidi di me?”

“Assolutamente no”, rispose Will senza alcuna esitazione.

Gli occhi scuri di Hannibal assunsero una luce divertita.

“Lo immaginavo. Motivo per cui puoi star certo che farò quanto è in mio potere per essere sincero in questo frangente e riconquistare la tua fiducia.”

Will lo squadrò accigliato.

“Sono sicuro che questo ragionamento nella tua testa abbia senso, ma non ce l’ha”, lo informò. “E’ come se il lupo chiedesse a Cappuccetto Rosso di fidarsi dopo averla già mangiata, con la scusa che farebbe qualsiasi cosa pur di guadagnarsi nuovamente la sua fiducia e poterla mangiare di nuovo.”

Hannibal non sembrò minimamente offeso dal paragone, e gli scoccò un’occhiata quasi allegra mentre si infilava la giacca di pelle. Will non l’aveva notata la sera prima.

“Per quanto sono certo che cibarmi di te sarebbe un’esperienza che ricorderei per il resto della vita, Will, non è al momento tra le mie intenzioni.”

Al momento.

Will emise un sospiro, andando a sedersi sul letto e aprendo il cassetto del comodino in cerca di un analgesico.

“Lo sai, vero, che c’è una taglia sulla tua testa?”, gli ricordò.

Hannibal sembrò oltremodo divertito.

“Oh, sì. Mason Verger ha apparentemente quantificato il valore della mia vita in due milioni di dollari. Ho chiamato il suo numero un paio di volte da Firenze, tanto per divertirmi.”

Hannibal posò una mano sulla sua prima che potesse inghiottire una pillola, esaminando la scatola di antidolorifici e leggendone i componenti prima di lasciarlo andare, il medicinale avendo evidentemente passato la sua ispezione. Will cercò di non sentirsi irritato ad essere trattato come un bambino.

“E nessuno in tutto questo tempo ti ha riconosciuto?”, chiese invece, ingollando la pastiglia a secco.

“No. Non è poi così difficile essere invisibili se sai come farlo”, rispose l’altro sfilando un paio di occhiali da sole dal taschino della giacca e indossandoli.

Will impiegò qualche secondo per capire che l’uomo stava facendo sul serio.

“Chi credi di essere, Clark Kent?”

“La gente è cieca, Will. Vede solo ciò che vuole vedere”, affermò  Hannibal. “L’immagine che i media hanno fornito di me sono quelle del mostro in camicia di forza e maschera antimorso o quelle dello scapolo altolocato avvolto in un completo su misura. Non si aspettano di trovarsi davanti una persona normale in abiti dozzinali.”

Will ridacchiò.

“Il fatto di indossare una giacca di pelle non ti rende automaticamente working class, Hannibal, soprattutto se è chiaramente pelle vera e cucita a mano. E scommetto che quei pantaloni erano parte di un completo.”

Hannibal sollevò un sopracciglio.

“L’importante è che non diano nell’occhio”, disse senza negare né confermare l’intuizione di Will. Il profiler lasciò cadere l’argomento solo perché in effetti, essendo neri tinta unita, davano decisamente meno nell’occhio di uno qualsiasi degli atroci abiti a fantasia scozzese che l’uomo aveva usato portare.

“D’accordo, la massa è facilmente sviabile”, concesse Will. “Ma l’FBI?  Jack sta cercando sia me che te, anche se per ragioni diverse. Se tu sei riuscito a trovarmi può farlo anche lui.”

Le labbra di Hannibal si piegarono appena in un’aria soddisfatta.

“No, lo escludo.”

Will sbatté le palpebre.

“Li hai depistati”, intuì.

L’altro inclinò la testa in segno di assenso.

“Il dottore della clinica non sapeva dove tu fossi diretto, ma un rapido controllo incrociato delle auto rubate nella zona e di quelle di cui era stato denunciato un cambio di targa non autorizzato mi ha permesso di seguire le tue tracce fino in Alabama. Un vero peccato che molti di quei documenti siano andati inspiegabilmente persi nell’archivio prima che l’FBI avesse il tempo di consultarli.”

“Ho capito, sei stato estremamente cauto. Questo ancora non spiega come sei arrivato qui.”

Hannibal scrollò appena le spalle.

“Ho supposto che ti saresti recato in un luogo che ti fosse congeniale, isolato ma abbastanza familiare da non farti sentire spaesato. Ho escluso la Louisiana perché sarebbe stato troppo ovvio, e ho optato per il luogo analogo più vicino all’ultimo posto dove sapevo che eri passato.”

L’ex profiler lo squadrò per qualche secondo.

“Vuoi dirmi che hai percorso la Florida a casaccio fino a trovare il giusto meccanico solitario con la tendenza ad alzare il gomito tra le centinaia che devono esistere in questo stato?”

“Perché credi che abbia impiegato mesi a trovarti?”

Will si passò una mano tra i capelli. Se non avesse saputo che l’altro era serissimo si sarebbe messo a ridere per l’assurdità delle sue affermazioni.

“Ho bisogno di dormirci sopra”, mormorò, scuotendo la testa.

Il pensiero che Hannibal avesse passato mesi a cercarlo col rischio di farsi scoprire, per nessun altro motivo se non per vederlo, era decisamente troppo da digerire in un colpo solo.

Alla fine lasciò che Hannibal si recasse in città - non c’era poi molto che avrebbe potuto fare per fermarlo, anche volendo - e per tutto il tempo in cui l’uomo stette via Will non riuscì a staccare gli occhi dalla porta, le orecchie tese a carpire il minimo rumore che potesse assomigliare al crepitare delle ruote di un auto sullo sterrato che portava a casa sua. Continuava a ripetersi che si trattasse di apprensione al pensiero di cosa Hannibal avrebbe potuto combinare se avesse deciso di lasciarsi andare ai suoi istinti, ma sapeva che era una menzogna.

Quello che temeva, era che non tornasse. E che tornasse, in egual misura.

Quando infine lo sentì rientrare si finse addormentato, e fu grato del fatto che il senso più acuto di Hannibal fosse l’olfatto e non l’udito, o era certo che sarebbe riuscito a sentire il cuore che gli galoppava nel petto senza che riuscisse a quietarlo.

*

Era strano, come il tempo riuscisse a rendere normali anche le cose più bizzarre. Se qualcuno solo un mese prima avesse detto a Will che si sarebbe ritrovato a convivere piuttosto pacificamente con Hannibal Lecter si sarebbe probabilmente messo a ridere. E invece, i giorni iniziarono a passare uno dietro l’altro trasformandosi in settimane, e una sorta di strano equilibrio si creò tra loro.

Will ogni mattino prendeva un quaderno e vi disegnava un orologio per ricordarsi che quella era la realtà.

Mi chiamo Will Graham. Sono le 7:45 del mattino e mi trovo a Naples, Florida. Sono in piedi nel mio soggiorno e ho un serial killer ricercato dall’Interpol che mi prepara la colazione in cucina.

La realtà non era mai stata più surreale, e Will scoprì di non avere la forza per curarsene.

Hannibal iniziò ad aiutarlo a rimettere in sesto la catapecchia in cui viveva - vivevano, adesso - e Will dovette abituarsi all’immagine del suo aristocratico ‘ospite’ che svolgeva lavori manuali come una persona normale. Per qualche motivo gli veniva difficile credere che l’uomo potesse usare la sua considerevole forza fisica per qualcosa che non fosse uccidere, o che potesse abbandonare i suoi capi firmati per i jeans e la maglietta da lavoro che Will gli fornì. Nonostante ciò, Hannibal si dimostrò più che utile, e mai una volta si lamentò del fatto che Will si approfittasse della sua disponibilità appioppandogli i lavori più pesanti tanto per fargli dispetto.

In compenso, l’uomo diveniva irremovibile quando si trattava di cibo; esigeva che il profiler terminasse ogni pietanza da lui posta nel piatto - per tacito accordo sempre pesce o verdura e mai carne - nonostante l’appetito di Will fosse ai minimi storici. Lentamente, Will notò che i vestiti gli calzavano meglio, e scoprì di avere più energia durante il giorno, ma si rifiutò caregoricamente di ammettere che fosse merito di Hannibal. Anche la politica dell’uomo circa il consumo d’alcool era una spina nel fianco, Will vedendosi concesse solo due dita di whiskey la sera prima di dormire. Notò anche che il suo solito dopobarba era magicamente sparito, sostituito da una versione ben più costosa e raffinata che probabilmente Hannibal non riteneva altrettanto offensivo per il proprio naso.

Da parte sua il profiler si consolava osservando la schiena di Hannibal farsi sempre più rigida man mano che l’infausto divano su cui dormiva gli distruggeva le vertebre una dopo l’altra, finché una sera, cogliendo lo sguardo di silenzioso deploro che l’uomo rivolgeva al pezzo d’arredamento prima di coricarvisi, Will ebbe pietà di lui e prendendolo per un braccio lo tirò verso il letto.

Il suo ultimo pensiero prima di dormire fu che avere Hannibal così vicino a guardia completamente abbassata avrebbe dovuto terrorizzarlo. Così non era, per cui lasciò che fosse quel pensiero a terrorizzarlo invece mentre scivolava nel sonno.

*

Più difficoltoso fu convincere lo psichiatra a lasciarlo andare in città da solo. Comprensibilmente, Hannibal non si fidava di lui, il ricordo del suo tradimento ancora troppo fresco nella memoria per non pensare che alla prima opportunità Will avrebbe chiamato l’FBI per disfarsi di lui.

“Sei ancora arrabbiato con me, ammettilo”, esclamò esasperato il profiler dopo l’ennesima discussione sull’argomento.

Hannibal lo guardò come se stesse decidendo se dire o no la verità.

“Una parte di me lo è”, ammise infine.

“Hai detto di avermi perdonato”, gli ricordò Will.

“Mi è stato fatto notare che il perdono è qualcosa di troppo grande per un persona sola”, rispose l’uomo. “Ne necessita due, il traditore e il tradito.”

“Chi di noi è quale?”

“Entrambi siamo l’uno e l’altro, credo.”

Era prima mattina ed erano seduti al tavolo della cucina, il ronzio del vecchio frigorifero l’unico rumore che riempiva il silenzio oltre al lontano scroscio delle onde.

“Quindi sta a noi perdonarci a vicenda?”, chiese Will.

Hannibal prese un respiro più profondo degli altri, quasi un sospiro.

“Il perdono è simile all’amore. Non si può decidere di chi innamorarsi.”

Will sbatté le palpebre, fissando la sua tazza di caffé. Anche quello era migliorato da quando Hannibal era lì, nonostante la miscela fosse sempre la stessa. Will odiava l’uomo anche per la sua capacità di rendere migliori cose che aveva accettato anni prima sarebbero sempre state mediocri nella sua vita.

“Dove hai lasciato Bedelia?”, si ritrovò a chiedere senza sapere esattamente da dove gli fosse uscita.

“A Firenze.”

“Viva o morta?”

Hannibal sollevò un sopracciglio.

“Ha tentato di fermarmi quando ho espresso l’intenzione di venire a cercarti. Tu cosa credi?”

“Credo che diresti qualsiasi cosa pur di diminuire il mio astio nei tuoi confronti, anche darmi la risposta che sai che voglio sentire.”

L’altro lo osservò con aria curiosa.

“Credi che pensi che vorresti Bedelia morta?”

“Credo che tu sappia che non nutro alcuna simpatia per lei. Non dopo…”, si interruppe appena in tempo.

Non dopo che ha preso il posto che avrei dovuto occupare io.

Scrollò le spalle senza finire la frase, fingendo di non sapere che Hannibal potesse leggergli il resto in faccia.

“Ti sei mai pentito di non essere venuto via con me, Will?”, chiese l’uomo dopo qualche secondo, a testimonianza del fatto che sapesse esattamente che filo avevano seguito i suoi pensieri.

“Ti sei mai pentito di avermi aperto in due con un coltello?”, sibilò lui pur di zittirlo.

“Sì”, rispose Hannibal, cogliendolo del tutto di sorpresa. Non si era aspettato una risposta, tantomeno quella risposta. “Per le conseguenze che quell’azione ha avuto.”

Will osservò la sua espressione aperta, il modo sicuro con cui lo guardava. Deglutì.

“Esattamente che conseguenze credevi avrebbe avuto l’accoltellarmi?”

“Forse sarebbe più corretto dire che mi sono pentito di non aver preventivato certe... conseguenze inaspettate che mi avrebbero di certo fermato la mano.”

Will si portò una mano al punto in cui il naso incontrava la fronte, chiudendo gli occhi accigliato. Dover sempre leggere tra le righe con Hannibal gli dava il mal di testa. Forse era così che si sentivano le persone normali, quando dovevano decifrare le azioni altrui senza l’aiuto di una spropositata empatia. Bello schifo.

“Non ti aspettavi che ti mancassi così tanto”, elaborò a bassa voce, traducendo da quel groviglio di significati reconditi che erano le esternazioni di Hannibal.

“Tu ti aspettavi di sentire la mia mancanza?”, gli chiese l’uomo candidamente, e Will dovette mordersi la lingua per non negare categoricamente quell’affermazione come un bambino che si discolpa da una marachella.

Era inutile continuare a prendersi in giro. La verità, anche se non espressa, la sapevano entrambi.

“È diverso”, disse infine.

“Cosa è diverso?”

“Il modo in cui abbiamo… necessità dell’altro”, rispose cercando di sembrare il più distaccato possibile. “Tu hai bisogno di me perché vuoi essere compreso. Io ho bisogno di te perché voglio comprendere me stesso.”

“Il motivo è irrilevante, è il risultato che conta”, ribatté Hannibal. “Ed è la codipendenza, per quanto sanguinosa essa sia. Siamo come una stella binaria. Due soli che ruotano senza posa l’uno intorno all’altro, attraendosi e respingendosi allo stesso tempo.”

“Succubi di una gravità che non lascia loro scampo.”

“Eppure più brillanti di qualsiasi altra stella del cielo. Siamo come Sirio, Will. Due stelle, una sola luce. Vorrei solo che tu riuscissi a vederla come la vedo io.”

Will si lasciò sfuggire una risatina.

“È un po’ difficile quando non hai fatto altro che darmi ragioni per pensare che averti intorno sia una pessima idea.”

Hannibal lo osservò con l’aria distaccata che aveva usato in passato quando erano in seduta, una maschera che rendeva ancora più difficoltoso riuscire a leggere i suoi pensieri.

“Se la pensi così mi chiedo perché tu abbia sentito la mia mancanza. Se tutto ciò che ci unisce è il male che ci siamo fatti non sarebbe più semplice lasciarci andare una volta per tutte?”

Will si grattò il collo, a disagio. Non era mai stato bravo a dar voce a quello che provava, anche quando quello che provava non riguardava un serial killer cannibale. Aveva l’impressione che Hannibal sapesse perfettamente ciò che stava per dire, ma che per puro principio volesse sentirglielo enunciare a voce alta.

“Immagina di aver rotto una tazzina, la tua preferita”, iniziò, usando le stesse parole che l’Hannibal nella sua testa aveva usato con lui tempo addietro. “Giace ridotta in mille pezzi sul pavimento, spezzata senza possibilità di riparazione. Tu sai che la tazzina è rotta. Sai di non poterla riparare. Ma non riesci a trovare la forza di buttarla via perché sai che quando lo farai, nel momento in cui ne terrai in mano i frammenti, improvvisamente la sua irreparabilità diventerà reale. E tu non vuoi che sia reale.”

Hannibal lo ascoltava in silenzio, la posa rilassata, reclinato contro lo schienale della sedia traballante della cucina come se fosse stata una delle eleganti poltrone del suo studio.

“Quindi la lasci sul pavimento, lasci che si ricopra di polvere”, continuò Will. “Lasci che coloro che ti stanno attorno vi inciampino, ferendosi i piedi o sbriciolandola ulteriormente. Lasci che tu stesso ti ci ferisca e la sbricioli, lasci che le sue schegge ti entrino sotto la pelle, tanto ti ha già fatto sanguinare oltre ogni possibile guarigione. La conservi così com'è, come una scena del crimine. Perché in realtà, in fondo, vuoi che continui a farti del male. Non vuoi mai dimenticare né il male che ti ha fatto né il piacere che ti ha dato quando era ancora integra.”

Will tacque, sentendosi allo stesso tempo come se avesse detto troppo e troppo poco. Come si poteva mettere in parole un rapporto come il loro?

“Non ti chiedo di dimenticare, Will”, disse Hannibal dopo qualche minuto.

“Nemmeno io. Ma ho bisogno che mi concedi un minimo della tua fiducia, come io ho fatto con te.”

Le labbra di Hannibal si piegarono impercettibilmente in quello che in chiunque altro sarebbe stato un sorriso malinconico.

“E’ difficile disfarsi della sensazione che tu abbia sempre l’odore del tradimento addosso.”

“Come per me è difficile dimenticare la sensazione che tu mi stia ancora puntando un pugnale al ventre”, lo rimbeccò Will. “Se fidarsi fosse semplice non avrebbe una così grande importanza.”

Hannibal sembrò soppesarlo con lo sguardo.

“Devo chiudere gli occhi e saltare, sperando che tu mi prenda?”

“Sì”, rispose semplicemente Will.

Hannibal non rispose e si alzò in piedi, portando le tazze al lavandino per lavarle. Will lo osservò per qualche minuto in silenzio, chiedendosi come avrebbero fatto ad andare avanti così senza finire per ammazzarsi sul serio a vicenda. Quando aveva ormai perso quasi del tutto le speranze, Hannibal parlò.

“Sarò qui, quando tornerai.”

*

Da quel giorno le cose si erano fatte marginalmente più facili. Decidere di fidarsi non equivaleva a riuscirci subito, ma era un passo nella giusta direzione. Entrambi sembravano aver deciso che valesse la pena tentare di sopravvivere a quella convivenza. Lentamente Will smise di chiedersi perché l’altro fosse ancora lì, e Hannibal smise di chiedersi perché l’altro lo facesse ancora restare.

Insieme finirono di riparare il tetto, passando alla balaustra della veranda, e il profiler iniziò pian piano ad abituarsi a sentire gli occhi dell’altro che lo seguivano quasi costantemente, soprattutto quando si metteva a riparare i motori delle barche sul retro. Hannibal in genere si sistemava su una vecchia sdraio lì dove era sicuro che non avrebbe dato fastidio, un bicchiere di vino in mano e uno dei libri di Will sulle gambe, gli occhi che molto spesso abbandonavano i ghirigori d’inchiostro per osservarlo attenti, quasi fosse stato uno spettacolo degno di Broadway.

Era una vita molto più semplice di quella che Hannibal aveva conosciuto a Firenze, o a Parigi, o a Baltimora, ma non poteva dire che gli pesasse. Will sopperiva con la sua compagnia alle mancanze della sistemazione spartana, e ben presto smisero di girarsi intorno come fiere guardinghe e ripresero le loro conversazioni. Era come se non fosse passato un singolo giorno. Avere a disposizione la mente di Will con cui confrontarsi era come infilarsi il proprio maglione preferito, comodo e familiare. Più conversavano, più si chiedeva come fosse riuscito a fare a meno della sua brillantezza e delle sue risposte brusche ma sincere. Bedelia, Anthony Dimmond, persino Chiyoh, impallidivano al confronto. Aveva pensato che il pianoforte che aveva rimpiazzato il suo adorato clavicembalo a Firenze sarebbe stato l’unico misero sostituto con cui avrebbe dovuto convivere nella sua vita in fuga, ma si era sbagliato.

Will aveva impiegato un po’ ad accorgersene, ma Hannibal aveva preso a disegnarlo. Di tanto in tanto lo vedeva afferrare un quaderno e una matita e sistemarsi in un angolo. Inizialmente erano solo disegni del paesaggio che si intravedeva dalla finestra, o di città che Will non conosceva ma che la memoria dell’altro riproponeva con perfetta attenzione ai dettagli, ma ben presto iniziò a scorgere se stesso spiccare sulle pagine bianche, ritratto sempre e comunque a suo parere in un una luce ben più lusinghiera di quanto non fosse la realtà. Ogni volta che vedeva lo sguardo incerto di Will nel vedersi così rappresentato Hannibal sorrideva, assicurandogli che gli occhi di un artista erano sempre mille volte più affidabili di quelli dei propri modelli.

Will un giorno tornò a casa con un vecchio giradischi e un sacchetto pieno di pezzi d’opera e di musica classica, allungandoli a Hannibal mentre tentava e falliva di fingere che non fosse un gesto gentile. Hannibal gli sorrise e gli posò una mano sulla spalla, e Will finse di non notare quanto a lungo l’altro protrasse quel contatto. L’apparecchio era vecchio, e ogni volta che lo attaccavano finiva per mandare in cortocircuito il mini-generatore che Will teneva nel capanno e che gli forniva elettricità, motivo per cui quando lo usavano erano costretti a spegnere ogni altra luce in casa. Quelle serate umide, colorate del grigio dei frequenti temporali pomeridiani della Florida, buie per la coltre di nubi e la mancanza di luce, erano diventate una piacevole routine tra loro.

Di tanto in tanto la mano di Hannibal scivolava alla base del collo di Will, guidandolo gentilmente fino al divano perché nel buio non inciampasse nel tappeto che avevano comprato per coprire le macchie di umido sul pavimento. Will si sarebbe stupito del modo inquietante in cui l’uomo sembrava essere in grado di vedere perfettamente al buio come un felino se non fosse stato troppo preso a congelarsi puntualmente sul posto, senza nemmeno respirare.

Dopo tutto ciò che gli era successo e tutto ciò che aveva fatto a se stesso, si era realmente reso conto di quanto provata dovesse essere la sua psiche solo quando aveva realizzato con quanta facilità si sarebbe volentieri lasciato andare al suo tocco. Aveva sempre evitato il contatto fisico come la peste, e ora lo inseguiva come un cane che cerca le feste del padrone. O come qualcuno che aveva subito un abbandono e doveva convincersi che non sarebbe più accaduto.

Ogni volta che Hannibal lo toccava Will era mortalmente combattuto tra ciò che sapeva avrebbe dovuto provare - rabbia, disgusto, persino paura - e ciò che provava realmente - sollievo, calma, voglia di chiudere gli occhi e non pensare più a niente. Il risultato era quella specie di paralisi che lo prendeva da capo a piedi, come un topolino tra le spire di un serpente.

Una sera, con l’Aida che suonava in sottofondo, la reazione che ebbe fu così vistosa che perfino Hannibal, che fino ad allora aveva accuratamente ignorato i suoi segnali di diasagio, fu costretto a menzionarli.

“Se vuoi che smetta di toccarti, Will, devi solo chiedermelo”, si offrì. Dietro il suo tono gentile Will poté avvertire la riluttanza con cui lo stava proponendo. Era quasi più facile decifrare le mille sfaccettature dell’uomo, senza l’intensità del suo sguardo a distrarlo nel buio.

“No”, rispose Will un po’ troppo in fretta. Si schiarì la voce, continuando con tono più controllato. “So che vuoi riabituarmi al contatto fisico con te dopo che mi hai quasi ucciso, ma non ce n’è bisogno. Non ho paura di quello che potresti farmi.”

“Non si direbbe.”

Will prese un respiro profondo, appellandosi a tutta la sua concentrazione per cercare di sciogliere i muscoli irrigiditi.

“Il tuo tocco mi calma. L’idea del tuo tocco mi manda nel panico.”

Scorse Hannibal sorridere nel buio, un singolo istante in cui i suoi canini balenarono nella luce fioca, la mano ancora posata saldamente sulla sua nuca.

“Mi stupirei del contrario. E’ semplice istinto di sopravvivenza, Will. Mi fa piacere vedere che ne hai ancora uno.”

Will esalò una risata ironica.

“Se funzionasse a dovere mi renderebbe insopportabile il contatto con te, non solo il pensiero del contatto.”

“Allora sono felice che non funzioni.”

Nonostante le sue parole lo lasciò lentamente andare, e Will si  passò stintivamente una mano sul collo come per cancellare la sensazione del tocco dell’altro. O per trattenerla.

“Nessuno mi ha mai toccato tanto spesso e con tanta insistenza quanto te”, osservò a bassa voce. “Nemmeno le donne con cui ho avuto delle storie.”

“Hai sempre dato l’impressione di non essere una persona che gradisce il contatto fisico. Suppongo tu le abbia scoraggiate.”

Hannibal non lo stava più toccando ma era rimasto comunque vicino, e Will avvertiva la presenza dell’altro come una pressione sulla pelle.

“Mentre tu hai sempre ignorato i miei tentativi di scoraggiare te”, si ritrovò a ridacchiare suo malgrado.

Avvertì il divertimento di Hannibal senza nemmeno doverlo vedere, come se ormai avesse sviluppato un sesto senso quando si trattava di lui.

“Non è mai stata mia intenzione metterti a disagio.”

“Certo che no”, rispose. “Eri curioso di vedere cosa sarebbe successo se avessi continuato, e se sarei caduto nella più vecchia delle manipolazioni. Questo”, armeggiò con le mani al buio per indicare la situazione corrente, sicuro che l’altro l’avrebbe visto,  “È esattamente quello che volevi.”

“Che fossi combattuto?”

“Che formassi con te un legame nonostante tutto quello che mi hai fatto”, puntualizzò. “Il contatto fisico crea la falsa premessa di un rapporto ben più sano e familiare del nostro. Anche la frequenza con cui chiami per nome le persone intorno a te, me compreso, è un modo per manipolarle. Convince l’ego del tuo interlocutore di avere tutta la tua attenzione, come se non vedessi nessun altro al mondo.”

Stava parlando con tono analitico. Di tutti gli aspetti negativi di Hannibal quello era uno dei meno gravi, in fondo. La manipolazione era ampiamente diffusa anche tra le persone normali, senza che potessero addurre la scusa di essere degli psicopatici.

“Hai fatto sì che mi abituassi all’ubiquità della tua presenza nella mia vita, e che fossi abbastanza psicologicamente danneggiato da soffrire la tua partenza”, continuò stringendosi nelle spalle. “E adesso stai raccogliendo ciò che hai seminato.”

“Credi che abbia indotto in te una Sindrome di Stoccolma?”

Il tono di Hannibal era tutt’altro che offeso, quasi curioso.

“Non lo credo, lo so. È così ovvio e banale che non riesco nemmeno ad avercela con te, perché avrei dovuto accorgermene subito. È la reazione standard di una psiche che ha subito un abuso da parte di una persona vicina. La vittima che cerca conforto nel proprio tormentatore. Siamo programmati per sopravvivere, non per essere sani di mente.”

“Ti consideri una vittima?”

“Ti considero il mio carnefice. Ciò che ero non esiste più. Di me rimangono solo frantumi, e sei tu a tenerli insieme.”

Fuori aveva iniziato a piovere. Will pensò marginalmente alla vernice ancora fresca sul parapetto della veranda che aveva dipinto quella mattina, ma ormai era troppo tardi per andarla a coprire.

“Hai passato la vita a tenere insieme i brandelli della tua mente, Will, come se temessi che qualcuno dall’esterno potesse penetrare fra le tue crepe”, considerò Hannibal con tono quasi gentile. “Ti è mai venuto in mente che magari la fragilità che senti è qualcosa che hai dentro che tenta di uscire?”

“Un mostro sotto la pelle?”

“Una metamorfosi. Una falena che emerge dalla crisalide.”

Will emise uno sbuffo divertito, scuotendo la testa, la tensione che lasciava il posto a una sorta di esasperato divertimento.

La teiera che Hannibal aveva messo sul fuoco una decina di minuti prima iniziò a fischiare, e l’uomo si avviò in cucina per versare loro del té. Era divenuto quasi un rituale tra loro, quello, nonostante Will continuasse a preferire il caffé, Hannibal aveva avuto da ridire sulle quantità da lui consumate anche di quello. Will si era ritrovato a sperare che l’uomo si ustionasse con la sua maledetta teiera almeno una volta quando con ridicola nonchalance versava il té al buio, ma ovviamente non era così fortunato.

“Perché non mi stupisce che tra la farfalla e la falena tu abbia scelto quest’ultima come metafora?”, chiese a voce alta perché l’altro lo sentisse mentre si sistemava sul divano. “Vive meno, è meno bella ed è mortalmente attratta da ciò che può benissimo distruggerla.”

“Non è il destino di ogni essere umano?”, chiese placidamente l’altro tornando in soggiorno con due tazze fumanti, allungandone una a Will con attenzione.

“Credevo fosse quello di uccidere l’oggetto del proprio amore”, osservò Will con un sorrisetto.

“Anche. Dovresti averne avuto più di una dimostrazione.”

Fu allora che qualcosa nella mente di Will scattò. Come se un pezzo di mosaico fino ad allora rimasto sfuso avesse finalmente trovato il proprio posto, donando finalmente un ordine anche a tutti gli altri. I suoi pensieri furono costretti a riorganizzarsi intorno a quella nuova consapevolezza, e improvvisamente divenne tutto così ovvio.

Appoggiò la tazza sul tavolino accanto al divano, alzandosi in piedi e andando a staccare il giradischi, interrompendo bruscamente la musica.

“Will?”

Hannibal fu costretto a socchiudere gli occhi quando le luci tornarono ad accendersi bruscamente, le pupille ormai adattatesi all’oscurità. Will era in piedi accanto all’interruttore del salotto, a braccia conserte, e lo fissava con uno sguardo a metà tra l’accusatorio e l’incredulo.

“Tu credi di amarmi”, mormorò.

Hannibal, a suo merito, non mostrò minimamente di essere stato preso in contropiede. Sbattè le palpebre una volta, senza nemmeno cambiare espressione, e quella fu la totalità della sua reazione.

“Lo dici come se il solo pensiero ti sembrasse ridicolo”, osservò con una calma snervante.

Will rise, non sapendo che altro fare, passandosi le mani tra i capelli con più forza di quanto non fosse necessario.

“Dell’amore”, sibilò, “Tu non sai nulla”.

“Perché? Perché ti ho fatto del male?”, ribatté Hannibal. “L’amore genera più mostri di qualsiasi altra emozione, Will. Mai ci fu più grande sofferenza di quella causata da coloro che, accecati dall’amore, sarebbero disposti a tutto pur di soddisfare i loro desideri.”

Will scosse la testa. Hannibal non stava negando la sua intuizione, e la sua mente era nel caos.

“Non stai facendo sul serio.”

"L'arte è un autoritratto dell’artista, Will", affermò Hannibal con quel suo insopportabile tono saccente. “Cosa credi che abbia voluto dire lasciandoti il mio cuore?”

“Tu sei una maledetta metafora ambulante, Hannibal, per quanto ne so il tuo regalo poteva essere il tuo modo per ricordarmi che se ho ancora un cuore nel petto è perche tu sei stato così gentile da non strapparmelo!”

“Perché menti a te stesso, Will? Nessuno mi conosce meglio di te. Sai benissimo qual è la verità anche se ti ostini ad ignorarla.”

Will non rispose. Era assurdo, era semplicemente assurdo, eppure… eppure aveva perfettamente senso. Hannibal era l’essere più razionale che avesse mai conosciuto, ma il suo debole per lui, quella che fino a poco prima avrebbe detto essere semplice fascinazione, lo aveva più volte portato ad agire in maniera irrazionale. Lo aveva fatto scarcerare dopo che lui stesso lo aveva incastrato per i suoi omicidi, semplicemente perché aveva sentito la sua mancanza. Subito dopo aveva abbassato la guardia, fidandosi di lui e cadendo magistralmente nella trappola di Will, nonostante tutte le volte che il profiler gli aveva promesso che gliel’avrebbe fatta pagare. Aveva ucciso Abigail per ferirlo, ma lo aveva lasciato in vita perché non era riuscito a fare altrimenti. Aveva rischiato di far saltare le proprie coperture in Italia pur di inviargli un messaggio, pur di farsi trovare, e quando Will era stato in fin di vita aveva lasciato tutto e aveva passato mesi a cercarlo.

Non era solo irrazionale. Era semplicemente folle.

Shakespeare non era mai stato più corretto. Love makes fools of us all.

Improvvisamente l’idea di restare lì gli divenne insopportabile. Prima che potesse ripensarci girò sui tacchi e marciò fuori dalla stanza. Afferrò la giacca e la infilò sbrigativamente, uscendo nel temporale senza curarsi di prendere un ombrello, ignorando la voce di Hannibal che lo chiamava. Salì in macchina che era già fradicio, mettendo in moto ed allontanandosi verso la strada statale, la testa che ronzava di pensieri e le nocche sbiancate dalla forza con cui stringeva il volante.

Quella notte non tornò a casa.

  
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