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Autore: Blablia87    04/01/2016    6 recensioni
DAL TESTO:
"Venti minuti fa, cosa? Concentrati, per l’amor del cielo.
Come sono arrivato fin qui? A osservare uno sconosciuto con… cos’è questa? Paura? No. Invidia? No. Quali altre emozioni sono abituato a riconoscermi senza minare troppo la mia idea - piuttosto artefatta, ma d’altronde ci ho lavorato su per anni! - di me stesso?
Ah, già.
Ira."
E se Sherlock non fosse riuscito a dedurre davvero tutto di John Watson, il giorno in cui si sono incontrati? E se il passato del soldato tornasse a far loro visita?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Minuti

Aveva ragione, dunque.
Sorprendentemente, oltraggiosamente, ragione.
 
Jim.
 
Riesco quasi a immaginarlo, qui, in piedi tra me e lui, con aria divertita. Oh, sì.
Lo riesco a vedere perfettamente, passo ondulante e testa leggermente inclinata da una parte,  obliqua come il suo sorriso, muoversi tra John e lui.
 
Eppure, neanche venti minuti fa (18 minuti, 34 secondi, 35, 36…)… Tengo gli occhi fissi all’orologio della cucina, posso vederlo perfettamente da questa posizione, se lui non deciderà di spostarsi verso il camino, superando la poltrona dove era seduto fino ad un attimo fa…
 
 
 
Venti minuti fa, cosa? Concentrati, per l’amor del cielo.
 
Come sono arrivato fin qui? A osservare uno sconosciuto con… cos’è questa? Paura? No. Invidia? No. Quali altre emozioni sono abituato a riconoscermi senza minare troppo la mia idea - piuttosto artefatta, ma d’altronde ci ho lavorato su per anni! - di me stesso?
Ah, già.
Ira.
 
Ira. In effetti posso sentire le mie mani contratte in una stretta attraversata da piccoli spasmi stanchi.
 
Quando ho iniziato a stringere i pugni?
 
CONCENTRATI!
 
 Ero solo, 19 minuti e 46 secondi fa.
 
Seduto sulla mia poltrona, le mani giunte sotto al mento. Stavo riordinando. Sistemavo il mio Mind Palace. Se tutto non è predisposto e catalogato con cura, perderò qualcosa. A tal proposito, è assolutamente necessario che trovi un posto dove poter sistemare…
 
Sistemare cosa?
 
Sistemare…questo.
 
Il latte sul pavimento.
 
Gli occhi (non i miei).
 
Jim.
 
I pugni chiusi, che adesso aprirò lentamente. Naturalmente.
 
Sherlock, per l’amor di dio, CONCENTRATI!
 
Dio, quanto odio aver dato a questa parte della mia mente la tua stupida voce, fratello.
 
Occhi, dicevamo.
 
E occhi siano.
 
21 minuti e 09 secondi fa.
 
 
 
Occhi.
 
Azzurri, una piccola macchia – un’isola - marrone (che paragone assurdo e illogico!) in quello destro.
 
Erano fissi nei miei. Davanti a me.
 
La poltrona di John. Ma non John.
Il cliente, Sherlock.
 
Il cliente.
 
Bussa pacatamente alla porta.
 
Apro gli occhi lentamente, voltando la testa verso l’ingresso.
 
Uomo, 1.88 circa. Ex atleta (Atleta?), o comunque uno sportivo. Spalle larghe, schiena dritta.
 
40 anni, o poco più. Capelli mossi, più corti ai lati, quasi totalmente grigi. Leggere rughe di espressione, incarnato roseo, sicuramente in salute.
Un bell’uomo.
Oh, ti prego. Sta zitto.
 
“Chiedo scusa, la signora, di sotto, mi ha detto che potevo salire.”
 
Annuisco appena, gli mostro la poltrona davanti a me con un rapido gesto della mano.
 
“Mi perdonerà se non offro del the. Il mio coinquilino è fuori, e di solito pensa lui a queste cortesi idiozie.”
 
Qualcosa passa nei suoi occhi. Mi sfugge. Non lo riconosci.
Mi sfugge. Troppo fugace.
 
Fa segno di sì con la testa e accenna un sorriso, avvicinandosi alla poltrona di John.
 
Si siede, lasciandosi andare contro lo schienale. Non è teso. È in attesa
 
“In cosa posso esserle utile?” Il tono è volutamente scontroso. Non noto in lui indizi di grosse disgrazie, quindi sarà di certo una grossa seccatura e una equiparabile perdita di tempo. Deve sbrigarsi. Ho da fare.
Nel tuo mind palace.
Sì, che per inciso è anche la cosa più preziosa che possegga.
 
Bugia.
Oh, TACI!
 
“Avrei bisogno – si schiarisce la voce, un attimo di esitazione prima di tornare del tutto privo di stimoli visivi apprezzabili – del suo aiuto per rintracciare una persona.”
 
Ho alzato gli occhi al cielo? Se l’ho fatto, è stato per un attimo. Mi capita, quando non c’è John a controllarmi. Il mio interlocutore non sembra notarlo.
 
“Sembra incredibilmente – noioso, vorrei dire, ma mi mordo la lingua - avvincente.” Cerco di rendere il sarcasmo evidente. Ancora una volta, l’uomo di fronte a me non da segno di avermi visto.
 
“Chi sarebbe la persona in questione?” Noia. Mi annoio terribilmente. Inizio a valutare contro cosa rivolgere la canna della mia pistola, quando finalmente sarò di nuovo solo.
 
“Un mio vecchio compagno di liceo – comincia, lo ascolto distrattamente e lascio vagare lo sguardo per la stanza, in cerca di possibili bersagli – o forse dovrei dire un vecchio compagno di armi. È stato entrambe le cose, in effetti.”
 
La sua voce è calma, ma lo sguardo si vela appena. Lo noto spostando gli occhi dal teschio sul camino verso il cuscino che si trova ai suoi piedi. La sua… tristezza? è sulla traiettoria della mia caccia.
 
Più di un amico, quindi.
 
Lo invito a continuare, con un gesto della mano.
 
“Ci siamo conosciuti al liceo, durante l’ultimo anno. Era appena uscito da una storia difficile ed io…Beh, io credo di non aver mai pensato ad una storia seria, prima di incontrarlo. Era… incredibile. Mi deve credere, mai visto un ragazzo come lui. Suonava la chitarra, il pianoforte, era bravissimo in tutte le materie, geniale. Un giorno, per vincere una scommessa con due suoi amici, riuscì a suonare un violino semplicemente imitando in modo speculare i gesti che uno dei ragazzi compiva sul suo. Non è mai stato in grado di suonarlo da solo – “Chi suona il violino ha per me una mente diversa, fuori dalla mia portata!” diceva sempre – ma ciò nonostante è riuscito a copiare fino all’ultima nota.”
 
Sposto lo sguardo su di lui, la pistola è dimenticata. Più di un amico. Ma non è questo a interessarmi. Persino Anderson sarebbe stato in grado di dedurre una cosa simile. No. È altro ad attrarre la mia attenzione.
 
Lo guardo negli occhi e resto in silenzio. Aspetto.
 
“Credo di aver capito di amarlo quando mi disse che aveva intenzione di arruolarsi. Non avevo mai pensato alla carriera militare, né me la propose. Ma sapavo, sentivo, che non sarei stato in grado di vivere lontano da lui. Sa quanto prese ai test di valutazione dei QI?”
 
Faccio cenno di no. Trattengo il fiato.
Curiosità.
 
Timore.
Non dire assurdità.
 
“132. Capisce?”
 
Ti è andata bene fratellino, il tuo è comunque più alto. Di poco, ma più alto.
 
Espiro profondamente. Sì, certo che capisco.
 
“Era incredibile. Durante gli allenamenti più di una volta riuscì a scansare, letteramente scansare i proiettili di gomma con i quali ci addestravamo. Era diventato praticamente una leggenda alla base. Lui rideva, la sera, quando ci ritrovavamo a passeggiare per il campo. “Alla fine anche una pallottola è solo un insieme di calcoli matematici. Traiettoria, accellerazione, distanza, arma…se hai tutti i dati, hai la risposta. È come parare un rigore.” Diceva. Sempre col sorriso e gli occhi pieni di allegria.”
 
“Sembra ragionevole”, mi lascio sfuggire a mezza bocca. E lo è.
La polizia usa la stessa tecnica per valutare il punto di partenza di un colpo.
Certo, applicarla ad un bossolo che viaggia a tutta velocità verso di te…
beh, notevole.
 
Timore.
Rispetto. O qualcosa di simile. Ammirazione, forse. Blanda, ad ogni modo.
 
“Quando vi siete visti l’ultima volta?” Inizio a fremere all’idea di iniziare questa indagine. Strano. Ma il pensiero di trovare qualcuno che possa essermi così…
 
Simile? Ti ricordo che lui ha avuto amici, storie romantiche…
Simile.
Ti piacerebbe studiarlo, vero? Capire come ha fatto. Sempre che alla fine non si drogasse pure lui…
Oddio, sei così insopportab…
 
“Otto anni fa. In un ospedale.”
 
“Mi sta chiedendo di rintracciare un morto?”
 
Lo temi, vero?
 
“Oh, no… “ Abbassa gli occhi. Ora sono sicuro che sia tristezza ciò che li appanna per un attimo.
 
“Le sto chiedendo di aiutarmi a ritrovarlo, per fargli sapere che sono morto io,  quando ho deciso di uscire da quella stanza, quel giorno. Le sto chiedendo di aiutarmi a tornare a vivere.”
 
“Racconti dell’ospedale. Perché eravate lì?”
 
L’uomo fa un respiro profondo.
 
“Gli anni degli allenamenti e dei bossoli di gomma erano finiti. Lui aveva fatto carriera in fretta, io mi ero accontentato di essere assegnato sempre alle sue divisioni, anche se come semplici soldato. La guerra si porta via qualcosa di te ogni giorno. Ma lui era sempre lì, pronto a raccogliere i cocci di ognuno di noi, morali e fisici, a rimetterli insieme. A farci pensare a casa, a farci ridere. A leccare le mie ferite ogni sera, a prendere su di sé le paure. Quel giorno… toccava a me l’onore delle riprese. Mi fissai la microcamera sul casco, la accesi. Lui mi aiutò a stringerlo bene, e mi accarezzò una mano prima di andare a dare le disposizioni. Nessuno doveva fare l’eroe. In caso di conflitto a fuoco, avremmo dovuto fare subito riferimento a lui, senza esporci a inutili pericoli. Io… lo seguivo, come sempre. Fu in una vecchia fabbrica, distrutta dai combattimenti. Lo ricorderò per sempre. Al piano terra, davanti all’ingresso, solo io, lui e il soldato Wind. Un attimo, un sibilo, e il ginocchio di Alex Will esplode, facendolo chinare in avanti. Io indietreggiai, mentre lui, invece, gli si face vicino, lo prese per le spalle, lo sorresse. Un secondo fischio, e l’unica cosa che riescii a vedere fu Alex cadere a terra, una parte del viso completamente distrutta. Il casco si slacciò e rotolò lontano, mentre si afflosciava a terra.
Urlai. È in quel momento che si voltò verso di me. Del sorriso radioso dell’uomo che sapeva schivare le pallottole non era rimasto niente. Era una maschera di sangue, di parti di Alex, di dolore. Ma non aveva paura, no. Si voltò verso di me per un attimo, facendomi cenno di andare, urlandomi di andare, ma nell’orrore riuscivo solo a vedere le sue labbra muoversi, senza riuscire a sentirlo. Un altro colpo, e lo vidi cadere a terra. Fu più forte di me, mentre lo guardavo contorcersi da dolore, a terra. Scappai, con l’onta di quel gesto ben impressa negli occhi, e sulla pellicola che solo più tardi – molto più tardi – mi ricordarono avessi io.”
 
“Ma lui sopravvisse. E quando finalmente trovò il coraggio di andarlo a trovare in ospedale, lui non ne volle sapere, di lei.”
 
Tu senti ma non ascolti.
 
“Al contrario…” Un sorriso aspro gli increspa le labbra. “Mi perdonò.”
 
Scuote per un attimo la testa, ed io ho l’ennesima conferma di non riescire a sondare a pieno le profondità dell’animo umano, dove albergano, a me sconosciuti, quelli che gli altri amano definire sentimenti.
 
Perchè perdonare?
Già, Sherlock, perché qualcuno dovrebbe perdonare chi lo ha ferito?
 
“Fui io a non riuscire a perdonarmi. A non riuscire a sopportare quello che la guerra gli aveva tolto, quello che ci aveva tolto. Aveva deciso di punirsi, di portare su di sé i segni del suo ultimo – a suo avviso – grande fallimento. Se non aveva potuto salvare il soldato Wind, avrebbe potuto però portare per lui la sua croce, e i suoi segni. Fui sempre io a non accettare che avesse deciso deliberatamente di accecare le sue capacità intellettive, perché “una mente fotografica non può che prendere nota di ogni cosa”, e lui ricordava ogni singola goccia di sangue che si era posata attorno a lui. Gli occhi di Alex. Le urla. Le lacrime. I miei passi – anche se non me lo ha mai detto – che si allontanavano da lui. “Come può qualcuno semplicemente decidere si rinunciare ad una parte della sua mente?” gli chiesi una volta, in una delle nostre ultime conversazioni. Mi spiegò che se si immagina la propria mente come una strada, si poteva decidere in quale casa collocare tutto ciò che non si voleva più, e poi la si poteva demolire. Gli dissi di metterci dentro tutto il dolore e l’orrore allora, non quella parte di lui così speciale. Mi rispose che non avrebbe potuto. Che avrebbe dovuto dimenticare troppi amici morti, che non sarebbe stato giusto per loro. Fu allora che capii. Che non avevo meritato un solo attimo accanto ad un uomo così speciale. Gli diedi un bacio, e presi la mia decisione.”
 
Per un attimo c'è solo silenzio.
 
Il rumore lontano delle macchine su Baker St.
 
Aveva avuto un Mind Palace anche lui, quindi. E vi aveva rinunciato.
 
Impressionato?
Estrerefatto. Come può un uomo dalla mente così sofisticata decidere di menomarla? È una contraddizione in termini.
Capisco. No, non capisci. Oh. Sentimenti? Sentimenti.
 
 
22 minuti e 03 secondi fa.
 
“Ma sono sicuro che lei saprà aiutarmi, signor Holmes.”
 
Annuisco, distratto. Ma certo che saprò aiutare.
 
Cosa ti turba fratellino?
Non lo so. C’è qualcosa…
Piccoli frammenti di dialoghi, schegge di memoria. Non le ritenevo importanti, le ho accantonate da qualche parte.
 
Secondo me è il violino.
 
Rumori dal piano di sotto. La porta d’ingresso cigola, sbatte contro il muro. Sospiro rumoroso.
Ha le mani occupate.
 
I gradini scricchiolano, il decimo si lamenta un po’ di più, come al solito.
È appesantito.
 
“Sherlock – ansima, ormai vicino alla porta – succederà mai che tu mi venga incontro, sapendo che sto trasportando su per queste maledette scale due buste stracolme di cose che, tanto per cambiare, sarebbe stato il tuo turno di comprare?”
 
“Ecco, penso che adesso potrà avere il suo th…”
 
Con la coda dell’occhio, vedo l’uomo alzarsi. Solo in quel momento realizzo di non avergli chiesto come si chiama.
 
“Giuro che a costo di morire di fame questa è l’ultima volta che ti permetto di rimanere a casa beato mentre io faccio la spesa per tutti e d…”
 
Uova.  Le sento, non le vedo, ancora gli occhi fissi sull’uomo di fronte a me.
Latte, vetro. Si infrange poco più in là. Mi sorride.
Rumori indistinti, qualcosa rotola vicino al mio piede.
 
“Non avevo nessun dubbio sul fatto che lei avrebbe risolto il mio caso.” Ha gli occhi che ridono, mi guarda come se mi fosse davvero grato.
 
Mi sta deridendo?
È sollevato.
 
John.
 
“John”.
L’ho detto ad alta voce?
 
No, lo ha fatto lui, fratellino.
 
22 minuti e 30 secondi.
 
 
 
Aveva ragione, dunque.
Sorprendentemente, oltraggiosamente, ragione.
 
Jim.
 
“I have been reliably informed that I don't have one.”
“But we both know that's not quite true.”
 
Deve essere vero. Perché mentre osservo le lancette dell’orologio muoversi, lo sento contorcersi, assieme alle mie mani.


Angolo dell'autrice: 
Buona sera a tutti! Mi presento, sono Blablia (per gli amici questo è il mio nome anche nella "vita reale"), e questa è in assoluto la prima ff che provo a scrivere. Adoro Sherlock, e per più di un anno ho accumulato idee, accantonando poi ogni volta il tutto per il terrore di non riuscire a rendere giustizia a questo show meraviglioso. Alla fine, sulla scia dell'emozione dello Special (ho ancora gli occhi a cuore) mi sono fatta coraggio. Non sono sicura di essere riuscita a trasmettere la complessità (e il peso!) di quello che il nostro ospite misterioso ha raccontato, ma spero di riuscire a chiarire tutto passo passo lungo la strada. I commenti sono più che i benvenuti, considerando poi che è il mio primo "approccio alla materia", li reputo quasi indispensabili! Un saluto a tutti!
   
 
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