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Autore: keepcalm    05/01/2016    5 recensioni
André è un uomo e per questo dubita, vacilla, si arrabbia. In quanto uomo ha paura. Oscar è una donna e per questo dubita, vacilla, si arrabbia. In quanto donna ha paura. La differenza è nel momento. è lì che si incontrano le solitudini. Una storiella senza pretese che spero tenga compagnia. Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Basta.

Seriamente, ne ho fin sopra ai capelli di questa situazione a dir poco malsana!

Io ti amo, Oscar, e questo è indubbio, ma non posso sopportare questo stillicidio un minuto di più! Sono nato servo, sono  a malapena un essere umano agli occhi di questa società ma anche io ho il mio limite. E lo valicato abbondantemente, molto tempo addietro.
Non sono altro che la più bassa forma d'uomo: quale aggettivo potrebbe essere dato ad un figuro che si fa trattare come fosse una marionetta, che si fa sballottare come una bambola di pezza dagli eventi senza affrontarli, che vive all'ombra di una donna che non lo vede davvero neanche quando ce l'ha a pochi centimetri dal naso, che si strugge per quell'amore come fosse una damina svenevole?
Ma maggiormente, come mi posso fregiare del titolo di uomo se abbandono il campo di battaglia senza combattere? Che razza di uomo innamorato posso mai essere se lascio che la donna in questione corra tra le braccia di un altro, senza esalare un singolo fiato? Sono un servo, e tanto basta a giustificare il mio comportamento da agnellino! Beh, allora non ci sto! Io non sono solo quello, io sono tutto quello che va aldilà di una mera categoria: io sono la somma di tutte le scelte che compio.
Per ora, non sono stato altro che un vermiciattolo, che si nasconde nella mela e si nutre di essa senza che si possa notarlo; lui si nasconde, viscido e insulso come solo poche cose lo sono sulla faccia della terra. Ma ora la musica cambierà. Renderò finalmente fieri i miei genitori, diventando una persona onorevole.

E, purtroppo, questo non include Oscar: il suo unico desiderio è recitare la parte dell'uomo in maniera impeccabile e non riuscirebbe a reggere il confronto, se davvero decidessi di mostrarle la mia vera natura. Dunque, arriverei a dissuadermi da questa idea, per il suo bene, e seguiterei a vivere come ho sempre fatto!

No! è il momento di essere fermi e rigidi nelle proprie decisioni: andrò via questa notte stessa. Raccatterò le poche cose che mi appartengono e lascerò questa casa, dicendo finalmente addio a tutte quello che mi ha reso il burattino che sono oggi. Gli agi di una dimora lussuosa, la fittizia gentilezza con cui sono trattato, la compagnia e l'amicizia di una nobile: tutte zavorre che mi hanno impedito di scappare, convinto di essere troppo leale per poter tradire la benevolenza di cui ero stato dispensato fino  quel momento, effettivamente fuori dal comune.
Ed invece non c'è niente di più disonorevole e disumano di questo mio muto servilismo, di questa mia patetica accondiscendenza. Insomma, ho perduto un occhio c'è il serio rischio che anche all'altro sia riservato il medesimo destino, rendendomi completamente cieco, tutto questo per lei, per un suo sciocco piano, per una sua vanagloria, per il suo discutibile senso di giustizia.
Per salvarla.
E a me? Lei pensa a me? Oppure si ricorda che esisto solo quando ormai il danno è bello che fatto e cerca vendetta, così, come se ancora una volta fosse stata lei ad essere colpita in prima persona? Come se questo fosse un modo per riparare al suo, di onore ferito, perché tanto del mio non si è minimamente preoccupata di chiedere? Tutti gli anni della mia vita passati seguendo una donna che si veste da uomo, si atteggia come tale e molti scambiano tale (non so come possano essere tanto ottusi, ma tant'è!) mentre io le ricordavo ogni giorno che, invece, avevo ben chiaro che lei era una donna, bella oltre ogni dire.
In tutti questi anni, tuttavia, non mi sono mai reso conto di una verità tanto lampante quanto avvilente: è lei ad non essersi avveduta che io sono un uomo. Eppure non vado in giro in gonnella! Ce n'è davvero abbastanza per togliersi la vita! Ho speso tutti i miei anni in una missione fallita in partenza. Allora, cosa sono per lei? Un giocattolo? Un bambino? Una donna? No, temo proprio che la risposta sia molto più semplice: sono solo un servo, ai suoi occhi. Un essere asessuato, incapace di provare emozioni ma che, se eventualmente potesse provarne, è suo dovere gestire e cestinare. Sono una forma di vita, di cui non c'è necessità di curarsi più di tanto.

Non posso assolutamente credere che non si sia mai accorta di quest'amore così feroce che mi lega a lei: è vero, sono sempre stato bravo a celarlo tra le pieghe del mio cuore, del mio volto, dei miei occhi, ma come avrebbe potuto essere così cieca da non vedere, così stupida da non capire, così sorda da non udire? Tanto cinica da non sentire. Ricordo ancora le parole che le ho detto quando mi ridestai dal mio sonno forzato, dopo che avevo volontariamente sacrificato la luce del mio occhio sinistro per soccorrerla, ricordo la commozione che ho sentito nel vederla così scossa per la mia sorte. Le ho detto che non doveva scusarsi o sentirsi colpevole, che non ce n'era alcun bisogno, perché così poco gliel'avrei donato quando voleva. Cos'è un occhio in confronto alla consapevolezza di saperla sana e salva?! E gliel'ho confessato con uno sguardo che non poteva non riflettere quello che alberga in me, quell'amore che ho sempre tentato di nascondere ma che, in quel momento, con ancora il corpo intossicato dalle droghe, non sono riuscito ad arginare.
Gliel'ho detto come l'avrei detto che l'amavo.
E lì, in quello sguardo a metà, non ha potuto essere così ottusa.
A questo punto, la mia vita si trova nel bel mezzo di un bivio, dovendo scegliere la mia prossima mossa sulla base di quello che credo si celi in lei; secondo quello che la logica mi permette di dedurre dalle sue azioni. Ci sono solo due motivi per cui lei reciti ancora, spudoratamente, il ruolo della gnorri: il primo lo posso ricondurre al fatto che lei non provi lo stesso per me e che, per evitare un confronto che, con ogni probabilità, ci porterebbe a separare i nostri cammini definitivamente, lei finga indifferenza ed ignoranza.
Lo capisco, e sarebbe una giustificazione così razionale, così da Oscar, che spero sia quella vera, sia perché la mia seconda ipotesi è molto più amara e sia perché non richiederebbe per forza un epilogo  triste.
L'altra motivazione che ho potuto addurre al suo atteggiamento è che lei non pensa che quello che vede in me sia amore, affetto, amicizia: crede che sia fedeltà, lealtà.

Servilismo.

Ed è qui, a questa soluzione alla sciarada che per me lei ha sempre rappresentato, che io abbandono il mio sentiero sterrato che corre di fianco al suo, che smetto di spianare le strade di entrambi mentre tento di non rimanere indietro, perché lei non si accorge del mio immane lavoro e non si cura di attendermi. Sarò sempre un uomo del popolo e non potrò mai fregiarmi di quei privilegi e di quelle libertà di cui i nobili godono; il mio nome, affiancato al loro, varrà sempre meno di niente, ammesso che mi sia concesso il paragone. Ma almeno potrò vantare diritto sulla mia vita, sul mio destino e sulle mie scelte.
Posso accettare che nel suo cuore non ci sia io, che non potrò mai esserci e che dovrò accontentarmi, per il resto dei miei giorni, del ruolo di confidente e amico, ma questo no. Non posso convivere con la consapevolezza che io per lei sia alla stregua di un cagnolino, di una suppellettile. Non posso avere ragione del fatto che nella sua mente e nel suo cuore io non sia associabile neanche ad un uomo. Significherebbe rinunciare io stesso al diritto di poter usufruire di questo dono di madre natura, di questo unico titolo onorevole di cui mi abbia dispensato; significherebbe sputare in faccia all'infanzia che abbiamo vissuto insieme, a tutti i bei ricordi e alla felicità che ci hanno uniti, voltare le spalle ancora una volta all'uomo che sono, perché sono stati quegli anni e quei momenti a fare di me ciò che sono diventato.

"Ho indugiato anche troppo su questi pensieri, ho lasciato anche troppo spazio a quest'inclinazione da damina svenevole che mi ritrovo: ora è il momento di agire"  penso, prima di alzarmi dal letto, su cui sono stato seduto, per tutta la durata di questo soliloquio interiore, con la testa fra le mani, come a darle un aiuto per il troppo peso che sta sopportando.
 Ma ho oramai deciso, e sembra che parte di quel malessere si sia magicamente dissolto, cominciando, tuttavia, a mutare forma e a trasformarsi in un'agonia lieve ma palpabile: non un sentimento intenso e per questo fugace, ma di quelli che si insinuano con naturalezza, che si plasmano e si modellano ad immagine e somiglianza dell'anima, che si cuciono su essa e non vanno più via. Quei sentimenti così belli, nella propria tragicità, che non ti abbandonano più.
So che porterò sempre con me questo dolore, dovunque andrò, ovunque la vita deciderà di condurmi, e per un verso ne sono felice: non voglio dimenticare, e non c'è nulla di più indelebile della sofferenza.
Sono perfettamente conscio del fatto che, tra vent'anni, mi soffermerò a guardare il mare, in un mattino di inverno come in un tramonto estivo, e seguiterò a vederci i suoi occhi, come se non avessi fatto altro che osservarli fino a qualche istante prima, ricordandone ogni sfumatura. Ho passato la mia gioventù a serbare l'amore che ho sempre provato per lei, ad illudermi che fosse tanto forte da poter fluire fuori di me e invaderla, un giorno o l'altro, come pura energia, come fosse fatto di materia, tanto lo ritenevo potente. Ora so che sarà un amuleto che mi accompagnerà nel mio cammino, che mi proteggerà nei momenti che precedono l'alba, rischiarandolo.
E quindi metto nella mia sacca, ripiegati con la cura che si riserva alle reliquie dei santi, le centinaia di parole che ho vergato su altrettanti fogli fino al giorno prima, tutte per lei, tutte su di lei, tutte frutto delle mie notti insonni trascorse nel tentativo di donare una seconda memoria a lei ed un po' di sollievo a me.

Avevo pensato, quando ho iniziato a scrivere questa sorta di diario, che le sarebbe stato d'aiuto, quel giorno che avrebbe finalmente smesso la sua corazza e si sarebbe arresa alla sua natura sì, di donna, ma principalmente di persona dal cuore puro e in grado di sentimenti teneri e sinceri, poter rivivere tutte quelle emozioni che aveva sempre rifiutato e che con il passare del tempo aveva inevitabilmente dimenticato, che avrebbe imparato ad amare se stessa per quello che è attraverso le mie parole. Perché tutte, nessuna esclusa, sono intrise dell'amore più profondo e puro.
Ora, invece, salveranno me.
L'ultima camicia, un paio di calze, l'anello di mia madre nel taschino interno del mio gilet, un piccolo cofanetto con all'interno una ciocca di capelli di Oscar (rubatale senza il suo consenso, s'intende!), la miniatura di un cavallo in legno che mi aveva regalato al mio primo compleanno insieme (per dirmi che io sarei stato per sempre il suo compagno di giochi e che saremmo stati sempre uniti), un bottone cadutole dal farsetto bordeaux che amavo tanto vederle indosso, un nastro blu dell'unico abito mai indossato da lei, anche se non è stato per me.
Chiudo la sacca, per nulla pesante, mi accascio sul letto e scoppio a ridere: voglio scappare da lei ma anche il mio misero bagaglio è un simulacro della sua persona! Voglio abbandonare tutto portandomi appresso tutto! Sono proprio uno sciocco! Sono davvero un debole. Ma mi permetterò quest'ultima cedevolezza, poi tappezzerò il mio cuore di indifferenza. Resto a guardare il soffitto ancora un po', giusto il tempo di accomiatarmi dovutamente da quelle mura, che se potessero parlare dovrei buttare giù per non far sapere ad Oscar il motivo per cui vado via ora, e  quello per cui non l'ho mai fatto in tutti questi anni.
Mi alzo dal letto con solennità, mi avvicino allo scrittoio e mi accingo a lasciare due righe alla nonna, per farle sapere che sto bene e non farla preoccupare più del dovuto quando scoprirà la mia partenza.  



Mia adorata nonna,
quando leggerai questa lettera sarò già lontano ma sano e salvo: il più grande pericolo, per me, era all'interno di questo palazzo. Non riuscirei a trovare delle parole degne di poter descrivere la gratitudine e l'affetto che provo per te, quindi spero di essere stato un nipote devoto e onorabile, in tutta la mia vita fino ad ora, e di essere riuscito a farti comprendere con un linguaggio muto questi sentimenti che mi hanno sempre accompagnato. Ti ringrazio per avermi cresciuto come fossi tuo figlio, per avermi donato l'affetto di una madre e la solida presenza di un padre, di avermi concesso di poter vivere una vita che una persona come me non è in grado nemmeno di sognare in quanto a ricchezza e bellezza. Ma ora devo lasciarti: è arrivato il momento, per me, di dire addio al ragazzino che sono stato e cominciare ad essere l'uomo che avrei dovuto diventare già molti anni addietro. Quell'uomo che avrebbe reso fieri i miei genitori. Se rimanessi qui morirei da servo, ed è l'ultima cosa che voglio. Spiega tu al generale il motivo della mia partenza: dì che ho conosciuto una donna è che volevo costruirmi un futuro con lei lontano da qui. Dì che sono stato sempre devoto e leale alla sua famiglia, al suo casato, al mio dovere e a suo figlio. Dì che ho ottemperato ad ogni mio compito con  solerzia e perizia, andando spesso e volentieri oltre le mie mansioni, tutto per la gratitudine incommensurabile che sento per lui. Tutto per il bene sincero e imperituro che ho sempre provato per suo figlio, non dimenticando mai il mio posto nel mondo. Dì che sono andato via così, senza preavviso, per causa di forza maggiore e perché non volevo impensierire o intristire nessuno con un addio, specialmente Oscar. A lei, poi, non dire nulla: è da quando avevo otto anni che condividiamo tutto, saprà capire ogni cosa senza che glielo dica. Se così non fosse, non c'è alcun motivo per scriverglielo. Una sola cosa, tuttavia, voglio che sappia: dille che starle sempre accanto era il mio lavoro ma che non è mai stato un dovere. Dille che io non ho mai dimenticato che prendevo ordini da una donna ma che questa cosa non mi è mai pesata: non ero leale ad un genere, solo ad Oscar. Spero di non farti soffrire troppo con questa mia repentina scelta, ma ti voglio rassicurare sul fatto che non è un addio. Ti farò avere mie notizie non appena potrò e, quando avrò trovato una degna sistemazione, potrai venire a trovarmi. Tu lo sai, nonna, perché devo andarmene. Tu hai sempre saputo tutto.
Ti voglio bene,
André.



Ripiego con attenzione la lettera e la metto in tasca: lasciarla nella camera di Nanny sarà l'ultima cosa che farò, prima di abbandonare definitivamente palazzo Jarjayes. Borsa in spalla e mi avvio verso la porta della mia stanza, come sempre perfettamente in ordine. Indugio sulla soglia un attimo ancora, donando un ultimo sguardo a quelle mura che sono state molto più di questo, e chiudo la porta.
Mi incammino verso le scuderie, per sellare il mio cavallo e preparare ogni dettaglio, e, nel farlo, passo per le cucine, cosa che mi riporta una miriade di ricordi alla mente, tutti insieme, come fossero una secchiata d'acqua lanciatami in pieno volto: perdo la sicurezza nel passo, per un attimo, ma persisto stoicamente nel mio intento.
E sono davvero fiero di me stesso per la prima volta dopo molti anni. Arrivo finalmente alle stalle, andando verso Cèsar che, quasi intuendo il mio stato d'animo, inizia a sbuffare e muovere la testa nella mia direzione, come se tentasse di avvicinarsi a me. Lo accarezzo dolcemente, parlandogli sottovoce:
"Eh sì, vecchio mio, mi sa che dobbiamo salutarci. Mi mancherai davvero tanto. Mi raccomando: prenditi cura di lei e non far impazzire troppo Gerard! Ora sarai tu a frenare i suoi colpi di testa, quindi ricordati di non saltare se l'ostacolo è molto in alto o troppo lontano o se ci sono pericoli. Te l'affido" e gli poso un bacio sulla fronte.
Sto per fargli un' ultima carezza quando una voce proveniente dall'entrata principale mi fa sobbalzare:
"André, ma che fai! Ora ti metti a discutere persino con i cavalli?! Ti sei definitivamente ammattito?" e ne segue una fragorosa risata, sinceramente divertita.

è la sua.

"Mi sa che hai ragione, Oscar: forse ho qualche rotella fuori posto!" e rido anche io, nonostante tutto felice di questo momento di scherzosa complicità fra noi.
L'ultimo.
Mi scopro davvero grato di questo inaspettato e non convenzionale addio: poteva essere una di quelle volte in cui lei era di pessimo umore, cosa che succedeva abbastanza spesso, e il ricordo che ne avrei serbato sarebbe stato molto più amaro.
Tuttavia, questa sua disposizione d'animo mi fa ulteriormente vacillare nel mio intento, poiché non credevo di incontrarla, in special modo quando lei è...così. Vestita alla maniera cui è solita quando è a casa, ma leggermente più elegante poiché, oltre ai calzoni bordeaux e alla camicia di batista bianca, indossa anche quel maledetto farsetto, ovviamente dello stesso colore dei calzoni. Ingoio a vuoto, cercando di ripescare una forza dentro di me che, d'improvviso, sembra non essere mai esistita.
"Che ci facevi qui, da solo, a quest'ora, nelle stalle, con César?". Bella domanda. E la risposta?
"Beh, sai, io...non...non avevo ancora finito di strigliarlo, da quando sei tornata, e contavo di farlo prima dell'orario di cena..." Innalza un sopracciglio, perplessa e sicuramente scettica.
E come posso biasimarla? Neanche io credevo a quello che avevo detto. Eppure era una scusa plausibilissima! Fece un'espressione si sufficienza, inclinando le labbra verso il basso, e poi disse:
"Capisco...Però, vedi, puoi tranquillamente evitare quest'incombenza: infondo, non l'ho fatto correre molto e non sono andata poi così lontana quindi non ce n'è questo gran bisogno...piuttosto...ti va di bere un bicchiere di vino davanti al camino? Fa davvero freddo ed è un po' di tempo che io e te non ci concediamo qualche ora per fare una bella chiacchierata" il tutto detto con una naturalezza sconvolgente, un sorriso sghembo, uno sguardo tremendamente intenso ed un vago sentore di dolcezza che forse non era riuscita a celare.
Perfetto! Ed io, adesso, cosa dovrei fare?! Se fossi cresciuto in strada avrei tranquillamente iniziato ad usare un linguaggio molto più triviale!
Ecco che il cuore diventa nuovamente teatro di scontro tra il mio orgoglio e l'amore per lei!
Ed ecco che il risultato non cambia:  a vincere, ancora una volta, è lei.
Mi imbonisco, però, e mi dico che sarà questo il mio addio. Infondo, me lo merito un ricordo dolce e prezioso da conservare, prima di fare quel passo così importante e difficile. Sospiro:
"Certo, Oscar, mi farebbe molto piacere. Precedimi e attendimi nel tuo salotto: io intanto vado a scegliere il vino e a prendere i bicchieri." le dico con un sorriso stupito, colmo di tenerezza.
"Ah, hai qualche predilezione, stasera?" e una nuova risata ci colpisce entrambi.
Continuando in quello stato di felice serenità, lei mi risponde:
"Nessuna, a dire il vero. Mi fido dei tuoi gusti...anche perché sono identici ai miei!" e di nuovo il riso ad illuminarle il volto.
" Ti aspetto, allora"
" A tra poco, Oscar". Si allontana , ripercorrendo la strada che l'aveva condotta qui a ritroso.
Mi volto verso César e gli dico:
"Amico mio, la tua padrona finirà per uccidermi, te lo dico io!"e scuoto la testa amareggiato dalla facilità con cui ho ceduto a quel diavolo biondo.
Lascio la sacca, che avevo abilmente nascosto dietro le gambe, e la metto al sicuro da sguardi indiscreti nel giaciglio del mio cavallo. Mi dirigo verso le cucine, alla ricerca del bottiglia che eravamo soliti condividere con maggior piacere, e a prendere due bicchieri dalla credenza. Una volta preso tutto, mi dirigo con la calma di un vero attendente verso le sue stanze. Mettendo nuovamente alla prova la mia vista e le mie capacità mnemoniche, riesco a raggiungere la sua porta e a bussare, lievemente ma senza esitazioni, nello stesso modo in cui facevo da una vita.
"Avanti" a parlare è la sua voce gelida, quella con cui convivo la maggior parte del tempo, da molti anni.
Sospiro affranto, supponendo che il momento di magia è durato quanto una cometa che squarcia il blu della notte, e mi accingo ad entrare, dandomi mentalmente dello stupido per aver sprecato quell'occasione perfetta per scappare seguendo nuovamente un'illusione.
"Oh, vieni André, posa pure il vassoio sul tavolino qui di fronte".
Se fossi stato abbastanza vicino, sono sicuro che sarei potuto morire assiderato per il gelo con cui il tutto le uscì dalle labbra. Sospiro (pare che stasera non riesca a fare altro!) e faccio ciò che mi dice.
Rimango un po' imbambolato lì, non sapendo di preciso come agire: insomma, vuole che le faccia compagnia o ormai è svanito il momento e vuole che la lasci sola? Mi decido per andare a controllare il fuoco nel camino e darle così il tempo per farmi sapere cosa fare. Finisco di ravvivarlo e, non avendo più scuse plausibili, mi alzo lentamente e mi volto a guardarla: ha un'espressione vuota che non riesce a distogliere dalle fiamme. Faccio per proferire parola e chiedere, così da non indugiare in quell'attimo di indecisione generale, ma lei mi batte sul tempo, riavendosi dal suo torpore e sostituendolo con una sincera gentilezza nello sguardo:
"Vieni, André, vieni a sederti vicino a me e versati un po' di vino! Io, intanto mi servo da sola!"
Mi accomodo al suo fianco, abbastanza lontano a che i nostri corpi non possano sfiorarsi, ma abbastanza vicino da poter avere una conversazione intima, come sapevo erano le nostre. Mi riempio il bicchiere:
"Era da tempo, come ti ho detto, che non onoravamo più questa nostra consuetudine. Sul momento non ci ho fatto caso: o capitava che ero presa dai miei impegni oppure da...i miei pensieri. Però, oggi, mentre ancora una volta indugiavo nella cupezza del mio stato d'animo, mi sono accorta che mancava qualcosa ai miei giorni, una cosa che prima facevo e che mi dava un po' di sollievo. Sai, la tristezza riesce a cancellarti la memoria: sembra che tutto, all'infuori del problema che ti affligge, perda importanza, e inizi a mollare la presa dalla realtà. Ti sembra di brancolare nella nebbia e non riesci a riconoscere le cose belle, le cose che ti facevano stare bene senza sforzo. Mi sono arrovellata il cervello tutto il giorno, ripercorrendo a ritroso questo mio ultimo periodo, e, d'improvviso, ho trovato la risposta: non parlavamo più come prima. Non c'era più la nostra chiacchierata davanti al fuoco".
Io, che ancora mi sto maledicendo per essere stato educato come un damerino e di non riuscire, per questo, ad essere scurrile ed imprecare dovutamente contro il Fato, non faccio altro che risponderle con degli occhi sbarrati per la durata di un attimo, sorriderle e risponderle:
"è vero, Oscar, è passato molto tempo da quando abbiamo parlato da amici l'ultima volta. Io ho voluto rispettare la tua riservatezza, non forzandoti a parlarmi dei motivi della tua tristezza e accettando quel cambio di...abitudini con comprensione e pazienza. Se devo essere sincero ho fatto un bello sforzo per non rimanerci male!" .
Tanto dopo sarei andato via, quindi perché non togliersi qualche sassolino dalla scarpa?! Se poi aggiungiamo che i miei sono macigni è facile comprendere quanto, segretamente, sto godendo di questo mio tentativo di metterla in difficoltà!
Lei mi regala una smorfia confusa e leggermente offesa, per poi passare al più genuino senso di colpa. Decido di rincarare la dose:
"No, Oscar, non devi sentirti in colpa: tu non hai fatto nulla. Infondo, non mi devi nulla. Non avevo il diritto di venire da te e dirti di quella mancanza, perché se tu non la percepivi come tale sarei sembrato solo ridicolo e disperato! In più, come ho detto, non ne avevo il diritto perché non posso vantarne alcuno: tutto quello che tu mi concedi, quando e come vuoi, non è che un privilegio per uno come me!"
Non mi sono reso conto di quanto quella cosa mi abbia deluso fino ad ora in cui, questa rabbia senza nome (in realtà, ne ha ben due!), mi porta ad essere più duro ed impertinente di quanto vorrei. Cionondimeno, sono oltremodo stanco di dover raccattare le briciole che, con grande magnanimità, lei mi cede ogni tanto: è vero che non ho nessun diritto su di lei come uomo perché del popolo, ma ne ho un milione come amico
"Ti sento molto sarcastico stasera, André, e questo tono non mi piace affatto - dice ritornando gelida. Poi sembra ravvedersi e continua più gentilmente - Se fosse vero ciò che dici, se io ti considerassi come tu  credi che io faccia, dopo un commento del genere saresti stato come minimo punito! Per non tenere in conto il fatto che tutta questa conversazione non avrebbe mai avuto luogo!" sorrido a sbeffeggiarla
"Hai ragione, Oscar: se fossi stato l' attendente - dico marcando ancora più sarcasticamente la parola - di un altro nobile - altra spolverata di sarcasmo - sarei stato strigliato a dovere per la mia insolenza. Tuttavia, come ti ho già detto, ti sono sempre grato della libertà e della confidenza che mi elargisci - sarcasmo a profusione - così generosamente - e un'ultima pioggia di sarcasmo.
Per il momento, ne ho utilizzato abbastanza, direi.
Lei mi guarda ancora una volta in cagnesco ma, come è accaduto prima, sembra calmarsi:
"Forse sei particolarmente ottuso - diamo inizio alla battaglia: chi sarà più pungente tra me e lei? - stasera: può darsi che sia  perché sei arrabbiato con me, nel qual caso ti capisco, o magari per motivi a me sconosciuti. Ad ogni modo, mi pare di essermi spiegata abbastanza eloquentemente prima, quando ti ho detto che io non ti considero un attendente e che io non ti elargisco nessuna libertà. Sei tu ad essere libero e tu ad esercitare questo tuo diritto in ogni momento, senza impedimento alcuno. Difatti, mi sembra di averti detto che questo tuo atteggiamento mi infastidiva, eppure hai ignorato bellamente le mie parole e hai proseguito secondo il tuo desiderio!"

Facendo una stima veloce, quanto sarcasmo credo che sia finita in parità; quanto a logica, purtroppo, mi sa che il premio sia suo.

Ora boccheggio nel tentativo di controbattere senza finire con il litigare o con il dire più del dovuto. Mi viene incontro lei, prendendo di nuovo parola:
"Ritengo che ci siamo debitamente liberati dei sentimenti più negativi, non ti pare?" mi fa con aria di superiorità, concludendo con un sorso di vino, gesto involontariamente sensuale.
Io ingoio a vuoto e mi avvicino il bicchiere alle labbra a mia volta nel tentativo di bere, mentre cerco di ignorare la stretta allo stomaco che mi si è generata a quella visione, e mi focalizzo sul fastidio che quella sconfitta nel dibattito che mi è stata appena inflitta mi causa. Purtuttavia, mi trovo concorde nel voler archiviare questa disposizione d'animo nei suoi confronti e nel voler proseguire la serata nel migliore dei modi: tutto quello che voglio è un ricordo. Con un'espressione di rassegnazione poco convinta, le dico:
"Sì, Oscar. Perdonami se sono stato scortese"
"In realtà, André, non ne vedo il motivo né sento il bisogno: non sei stato l'apoteosi della gentilezza, è vero, ma ciò che più mi ha ferita è stata questa tua rabbia nei miei riguardi e quest'opinione, che spero sia dovuta ad un momento di sconforto, che tu hai di me. So di aver sbagliato con te, so di averti trattato con indifferenza  non meritandolo e posso anche arrivare a comprendere il modo in cui tu hai giustificato questo mio allontanamento. Ma non capisco come poi tu abbia potuto seriamente convincertene, tanto da sbattermelo in faccia, cosa assolutamente non tipica di te. Insomma, sono sempre io! Sono sempre Oscar! Quando mai ti ho dato modo di credere che ti consideri come un servo?! Cos'è che ti ha portato a credere che io fossi così meschina?!" ogni cosa mi arriva come uno schiaffo in pieno volto, caricato dalla forza della verità.
"Devi perdonarmi, Oscar, hai perfettamente ragione. Non credo seriamente alle cose ti ho detto ma, come hai indovinato, è stata la delusione a parlare per me"
"Sei tu che devi perdonarmi: non volevo farti arrivare questo punto. Non ho pensato di ferirti con il mio comportamento. Non ho fatto nemmeno caso al fatto che stavo cambiando, che stavo iniziando a sparire. Però mi fa piacere avere l'unica sicurezza di cui necessito per evitare di perdermi del tutto..."
Spalanca gli occhi, certa di aver dimenticato di censurare i suoi pensieri, e poi si volta verso il fuoco, mentre prende un altro sorso. Ed io, lì, su quel divano, mi sento come se avessi appena corso a perdifiato, sento l'emozione liquida che mi irrora le viscere* e che mi fa tendere le labbra in un sorriso dolce, saturo di speranza. Mi sporgo vero di lei, il mio gomito sinistro sul ginocchio e il bicchiere tra le dita, la mano destra a fare leva sul divano:
"Io non ho nulla di cui perdonarti. Mi dispiace di non esserti stato vicino in quei momenti" lei si gira e pianta gli occhi nei miei, stupita perché sa che anche il mio è un azzardo, e così le sorrido teneramente, causando uno virginale e delizioso rossore sulle sue guance e il suo voltarsi nuovamente verso il camino.
In tutta risposta, faccio fatica a non prenderlo come un segno del fatto che, forse, posso continuare a sperare.
"Sono stata io che non te l'ho permesso. Ma avrei voluto. Cercherò di ricordarmelo, la prossima che mi capita".
Ormai ho dimenticato del mio piano di fuga ma, mentre penso a cosa sto per dirle, me ne sovviene subito e mi decido ancora una volta a portarlo a termine, il tutto solo per potermi giocare l'opportunità di essere franco con lei e di ottenere da lei altrettanta franchezza, ben sapendo che non riuscirebbe a sopportarla tanto da permettermi di restare un minuto di più, dopo.
"Oscar, posso parlarti con schiettezza? Non sono affatto convinto, però, che questa cosa ti piacerà" le dico con aria grave. Lei sospira e, con un cenno di assenso un po' sconfitto, mi invita a continuare:
"Non ti amerà mai - e a quel punto poggia i gomiti sulle ginocchia e la testa le si abbassa un po' sul peso di questa verità - lui ama un'altra donna, in una maniera così totale che neanche sette anni ed un oceano hanno potuto nulla contro questo sentimento. E anche se non l'amasse, sappiamo entrambi benissimo che non è il più grande esempio di... fedeltà. Io ti conosco, Oscar, in molte occasioni più di quanto non faccia tu stessa, e so che, anche se lui non l'amasse, anche se potesse interessarsi a te, lui non riuscirebbe a mutare la sua natura. Tutt'ora non l'ha fatto. E tu, Oscar, che sei una donna d'onore, una donna dal cuore puro e dai retti principi, l'Oscar che ho imparato a conoscere da più di vent'anni, beh, so che non si accontenterebbe. Tu, la mia Oscar, meriti un amore completo, l'amore di qualcuno che viva per te e che riesca a capire che donna straordinaria tu sia. E credimi, lui non si interessa a te perché non è abbastanza uomo da andare oltre la tua uniforme. Si ferma all'apparenza. Non sei tu ad essere mancante. Sei troppo donna per lui e lui è troppo poco uomo per te. Chiunque vorrebbe che un angelo come te posi il suo sguardo su di sé, anche solo perché tu possa rivolgergli un sorriso. Chiunque, Oscar."  e calco questa asserzione con la profondità di un sentimento che giunge da lontano dentro di me.

Lei chiude gli occhi e li serra, come a voler eliminare quella realtà che le fa male dalla sua mente. Come a voler piangere. Allora, nonostante che significhi infliggere dolore a me per primo, vado avanti con la mia cruda verità, perché so che è quello di cui lei ha bisogno:
"Io non ce la faccio a vederti così, non riesco a rimanerne indifferente: è per questo che ero così risentito dal tuo avermi allontanato proprio nel tuo momento più buio. Vorrei aiutarti, Oscar, vorrei che si potesse prendere a due braccia la sofferenza, come fosse un masso, e poggiarlo sulle mie spalle, sgravando finalmente le tue. Ma non posso" lei incurva tristemente la bocca a questa affermazione
"Però, se me ne concedi l'opportunità, posso alleviare il peso che porti. Tutte le pene sono più leggere se condivise con un amico sincero!" stavolta il sorriso diventa più dolce. Si gira verso di me e, con lo sguardo un po' bagnato mi dice:
"Sei molto saggio, André. E sei l'amico più sincero che possa esistere. Sono molto fortunata, anche se tendo a dimenticarlo. è vero, ora mi sento molto meglio. Ora che mi sei vicino sembra che tutto sia più sopportabile e che non sia così oscuro come mi era parso nella solitudine della mia anima" e si passa svelta l'indice sotto la palpebra per cancellare quell'unica traccia di pianto che ha vinto sulla sua volontà.
Si lascia attraversare il volto da quel solito sorriso di scherno che usa quando sente di non essere stata abbastanza forte, abbastanza uomo e dice:
"Sono sicura che ora starai ridendo di me. Starai pensando che è davvero buffo che una come me, che ha sempre aborrito queste debolezze, ora stia piangendo come una donnicciola!"  so che non sta scherzando, so che lo fa per sdrammatizzare ma so anche che se ridessi ora le causerei solo male.

"No, Oscar, sei in errore. Sto pensando che, come al solito, mi stupisce con quanto coraggio e con quanta innocenza tu affronti la vita. Sto pensando, ancora una volta, se è umanamente possibile essere stupidi quanto lo è lui..."
Tanto me ne sarei andato di lì a breve, vero? I sassolini li ho tolti ( e mi sono stati educatamente rigettati in faccia), la rabbia è sfumata, l'amarezza è andata via. L'unica cosa che lascerei incompiuta in quella casa sarebbe lei.
Noi.
Tanto vale donarle almeno un seme, una piccola promessa, la speranza che qualcosa potrebbe germogliare in lei e dare dei frutti.
Amore.
Sto davvero mettendo alla prova l'idea che lei ha sempre avuto di me, stasera, perché, quasi dopo ogni mia affermazione, mi trovo i suoi occhi spalancati sul mio viso. Io, che mi sto ponendo le stesse sue domande, dato che anche stento a riconoscermi io stesso, non posso far altro che sorriderle, e asciugarle un'altra goccia birichina sfuggita al suo controllo, detergendola con il dorso del mio indice e facendola assomigliare il più possibile, senza rendere il tutto troppo palese, ad un carezza.
Lei abbassa la testa e mi dice, con il volto nascosto e la voce di una bambina che ha appena finito di piangere:
"Grazie, André"  solleva di nuovo gli occhi e li pianta nei miei.  
Le regalo la visione più dolce di tutti i miei denti
"Di nulla, Oscar. Spero di esserti stato utile come confidente...d'amore! Sai, non ho mai dato suggerimenti su tale spinoso e delicato argomento! Ho temuto di ferirti, di essere inopportuno o...inconcludente!" Mi schernisco io, ora.
Poggia una mano sulla mia
"Beh, possiamo dire che sei gentile, ammodo, educato e raffinato in ogni occasione ma stasera...sei stato l'esatto opposto! Ed era proprio quello di cui avevo bisogno. Non mi hai offesa in alcun modo  e non mi hai assolutamente ferita: mi hai medicata. Non sei stato inutile bensì indispensabile per farmi aprire finalmente gli occhi. Te ne sono davvero grata. Come farei senza di te!" e ride, sinceramente divertita, perfettamente serena.
Ed io mi sciolgo, prevedibilmente innamorato.
Mi  unisco a lei e mi rendo conto che non ho rammento più perché ho pianificato la mi fuga: io sono uomo e lei lo sa, lo vede.
Non mi ritiene solamente un servo ma il suo più solido appiglio durante la tempesta.
Non mi considera alla stregua di un pezzo del mobilio ma come il suo affetto più sincero.
Io e solo io ho il privilegio di potermi addentrare nei segreti del suo cuore, di poter vedere i suoi momenti più bui come quelli più luminosi.
Io conosco tutto quello che c'è da sapere per amarla, e di questa mappa nessuno potrà mai averne una riproduzione tanto federe quanto lo è la mia: ci ho messo vent'anni per compilarla, ed è ancora in fase di correzione.
Mi porterà a lei, ora ne sono certo, mi permetterà di starle così vicino che dormirei finalmente tra le pieghe del suo cuore. Non mi riconosce ancora in mezzo a queste, è vero, ma lei arriverà a me: le lascerò degli indizi lungo la strada, così come lei ha fatto con me stasera, anche se involontariamente.

Mi tocco il taschino del gilet alla ricerca dell' anello di mia madre, l'ultima cosa rimastami di lei, e penso al mio desiderio porla al dito di mia moglie, un giorno: so che lei condividerebbe questo mio sogno.
E non posso seguitare a mentire a me stesso, dicendomi che troverò qualcuna che prenderà il suo posto, che sarò più felice in una vita più facile.
Guardo l'anulare sinistro della mia Oscar, mentre è impegnato a sorreggere il calice con il vino che sta bevendo silenziosamente, spoglio e affusolato: sarebbe perfetto ornato da quel cerchio d'oro.
Sarebbe l'unica visione che so che renderebbe fiera mia madre.
Sentirmi pronunciare quel "sì" sarebbe l'unica cosa che so che renderebbe fiero mio padre.
Sentirla pronunciare quel "sì"  e vedere la commozione nei suoi occhi mentre lo fa, sarebbe l'unica maniera per poter essere finalmente fiero di me stesso.
Andrò a raccogliere la mia sacca dalle stalle, dopo. Darò fuoco alla lettera. Rimetterò i miei scritti, i miei vestiti e tutti i ricordi che le ho rubato al loro posto.
Ma quel cerchietto rimarrà lì, nel taschino del mio gilet, all'altezza del mio cuore, a siglare la promessa che ho fatto questa sera ai miei genitori, a impregnarsi di tutto l'amore che alberga nel mio cuore fino al giorno in cui lo toglierò.
Fino a quando non andrà, benedetto dal Signore, dal mio petto a cerchiare il suo dito.





* L'adrenalina venne isolata per la prima volta nel 1901 dal chimico Jokichi Takamine. (Wikipedia)



Continuo con i missing - moments, con l'introspezione a randello e con una trama praticamente nulla! Continuo a tentare di farvi innamorare, tanto quanto me, di quello che questi due personaggi si portano dentro, oltre all'indiscutibile ed inviolabile amore.
Dedico questa mia storia ad una ragazza molto dolce che mi ha confessato che ama le fanfiction narrate da André e che, se ne avrà piacere, la nominerò, dato che non le ho preventivamente chiesto il consenso. Spero ti piaccia!
Come spero che sarà per chiunque la legga.

P.S. chiedo perdono per tutti gli errori, le ripetizioni e la cattiva consecutio temporum ma trovo davvero difficile utilizzare il presente per narrare, così ho voluto mettermi alla prova. Durante il percorso, tuttavia, o dimenticavo che lo stavo usando, e andavo di passato, oppure non mi suonavano bene le frasi. Le ho corrette queste ultime ma ancora non mi sembrano orecchiabili. Per cui, se avete critiche e consigli anche e sopratutto per la forma non esitate: mi aiuterete solo a migliorare!
  
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