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Autore: l_s    05/01/2016    0 recensioni
Una manciata di personaggi con nazionalità, accenti e storie diverse passano, si sfiorano per un attimo e si disperdono subito dopo in un club di Varsavia.
C’è un’ambulanza davanti allo Specchio alle dieci di domenica mattina.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                C’è un’ambulanza davanti allo Specchio alle dieci di domenica mattina.

                “Che significa il tatuaggio che hai sul cuore?”

                “Maciej, lo sai che non si chiede il significato dei tatuaggi”, mentre una parola misteriosa le si arrotola sulla pancia, al di là del vedo-non-vedo della maglietta nera, ma forse metà del mistero risiede nella luce innaturale di quelle cinque del mattino artefatte, che ti si arrampicano sulle ciglia, rendendole quasi trasparenti. E i tuoi occhi delle cinque del mattino con la stanchezza e tutta la notte scritta dentro, codificata in troppe pagliuzze.

 


                Saluta come se mi avesse cercata per tutta la sera – i soliti va tutto bene e le rassicurazioni mentre persegue i movimenti ipnotici e simmetrici del suo ballo e muove la testa a tempo come ha imparato a Newcastle a dodici anni e non ha più dimenticato – ha preso di tutto come sempre perché per qualche motivo non dice mai di no anche a trentadue anni quando si dice che è troppo vecchio per questo ritmo – ma sai quando cominci a fumare a nove anni tra i geordie puoi solo vivere come vivi e anche se ti sforzi di ammorbidire il tuo accento per gli stranieri – e di parlare un Inglese proper e gli hanno dato qualcosa che non sa come si chiama perché in Polonia la cocaina non piace e quando c’è non è buona come quella inglese – quella arriva direttamente da Amsterdam e l’ecstasy invece non arriva proprio anche se si trovano gli ingredienti e la potrebbe fare lui anche se è un ingegnere e non un chimico – comunque spende mille zloty stasera e non lo ferma niente perché se non può ballare comincerà a raccontare di quando gli è morto il gatto a dodici anni – o dei presentimenti sulla morte di suo padre più tardi e gli piace questa canzone è polacca o russa – forse l’ha sentita a San Pietroburgo di cui ha quelle tre foto sul cellulare che mostra a tutti  con un certo orgoglio anche se i polacchi odiano la Russia ma tanto lui non si fida


 

                C’è un’ambulanza fuori dallo Specchio alle dieci di domenica mattina.

                “Dai, non fare tanto la preziosa, vai a casa con lui!” i passanti fastidiosi delle cinque di mattina artefatte, mentre cerco di baciare tutti i riflessi della luce che pretenziosa gioca ad arrossare la tua barba, a disegnare lentiggini sulla tua pelle lattea.

                “Oh, sei italiana anche tu! Italia: pizza, mafia e vino; io sono la seconda.”

                La tua nuca nasconde un mistero, la tua pelle è lì tessuta in maniera diversa e forse reca un messaggio criptato, un segreto che è indiscreto chiedere, come per i tatuaggi.

                “È perché mi piace il fascismo. No, non sono razzista, no, mi piace l’ideologia, l’ordine.”

                E il punto del tuo collo in cui la pelle si tende e arrossisce e sembra sussurrare poesie che non odo se non mi avvicino ancora un poco. E poco oltre la tua camicia inghiotte tutto, segreti, paure, supposizioni, poesie sotto una mano di bianco come la sirena di Picasso. E il tuo sguardo ironico, il mio sguardo spaventato vengono cancellati in un respiro appena più corporeo.

                “E c’era un altro italiano dentro: hai conosciuto Paolo?”


 

                C’è stato un momento quando è entrata in cui la musica è sparita, come se l’avesse inghiottita, e la sensazione di pienezza nello stomaco l’ha quasi sopraffatta e ha avuto paura. Succede tutte le volte, prima che la musica torni e l’appiattisca contro il muro lercio del piano di sotto vicino ai bagni, in attesa che un ragazzo la inviti ad andare con lui nella stanza tra i bagni che non ha nulla fuorché un tavolo che è uno specchio. E a volte le chiedono se sta bene e lei risponde di sì in automatico come tutti, per poi chiedersi cos’è che li faccia dubitare così, se sia l’evidente anoressia o i suoi occhi troppo grandi che l’hanno sempre fregata, ma mentre la musica cambia si rende conto che no, non è mai stata così felice in vita sua.
Ci sarà un fuori, un domani, la luce del sole bandita da questo non-luogo come da un covo di vampiri, ma la futile felicità di questo momento, di questa droga, di questa musica, di questa sospensione, di questo vita, è così totalizzante che la urla fuori, così totalizzante che nessuno neppure lo sente questo suo urlo, estasi pura.
 



                È una storia che ha raccontato loro la guida quella mattina, durante il tour della Città Vecchia. Non sa perché gli torni in mente adesso, ma come la maggior parte degli Australiani che non sa reggere l’alcool ha imparato a non farsi troppe domande sui suoi ubriachi collegamenti mentali. Ha chiesto a una ragazza di entrare con lui, nel caso in cui gli facessero obiezioni per la sua mancata sobrietà, lei ha riso e gli ha detto che aveva un sorriso da schiaffi, ma l’ha accontentato senza contrarietà, tentando persino un Polacco un po’ zoppicante. Lui le ha pagato il biglietto e ha parlato un po’ con lei, prima che lei finisse tra le braccia di un Irlandese conosciuto in ostello. Ma non gli dispiace: quando è così ubriaco, non ha voglia dei soliti giochi di seduzione, vuole solo parlare e raccontare e ascoltare storie. È abbastanza sicuro di averle raccontato quella della guida di oggi: durante il Comunismo, Picasso aveva alloggiato a Varsavia, in una appartamento qualsiasi, sulla cui parete il pittore aveva dipinto la sirena, simbolo di Varsavia. Quando Picasso era andato via da Varsavia, l’appartamento era stato riassegnato a una famiglia. La gente, tuttavia, venuta a conoscenza della sirena di Picasso nell’appartamento, accorreva a tutte le ore del giorno chiedendo di vederla. La famiglia, stufa, alla fine mandò una lamentela al governo.


 
                “Cosa?”

                La musica che impazza al nostro secondo bacio, tu che la segui con movimenti goffi, stretto in una camicia bianca che ti rende dolcemente overdressed e vuoi portarmi in tutti i club di Berlino perché sono un valido accompagnamento alla tecno, mentre mi esponi le tue condizioni.
La musica ha un andamento insensato e vagamente inconsistente: la incoraggi con le mani, mi sorridi, ti fai serio, me lo spieghi che prendi droghe abbastanza spesso eccetera; lo dici con gli occhi attenti a verificare che io non bari.

                “Non giudicarmi. Mai.”


 

                C’è un’ambulanza davanti allo Specchio alle dieci di domenica mattina, a cancellare le prove del misfatto, come gli imbianchini mandati dal governo che un  giorno hanno finalmente bussato alla porta di quella famiglia.

                E forse il modo in cui mi parli è solo l’ennesimo tentativo di riscaldare il sole freddo della Polonia, di ignorare le nostre passioni che si spengono come stelle cadenti, in un battito di ciglia.
 

 

                Sono le sue imprecazioni che mi svegliano.

Nel suo accento geordie sembra sempre imprecare mentre implora qualcuno di lasciarlo salire anche se non ha un letto per stanotte e sembra che le sue dita si siano mosse spasmodiche a mandarmi messaggi chiedendomi di aiutarlo.


                Intorno, un’ennesima notte di preservativi abusati da gente ubriaca nel letto accanto di una stanza di ostello da dieci, annegati in proposte già consunte. Quando sale e gli cedo il mio letto per andare a cucinare pasta con i broccoli, la tua pelle lattea è già troppo lontana.


 

                perché è tutta la notte che getta le braccia in giro a caso – a un certo punto lui e il suo amico indiano hanno trovato questa ragazza magra come quell’uccellino che una volta da piccolo – ma poi si sa i ragazzini non poteva andare altrimenti e sua madre quella volta – ma l’importante è l’avere un letto sa che quelle scarpe sono incollate ai piedi non si toglie nemmeno il giubbotto – e sono stati buttati fuori alla fine forse perché l’amico come al solito ha cominciato una rissa infatti ha il naso ammaccato – e poi chissà che fine ha fatto la ragazza a quel punto non era già più lì da un po’ chissà con chi altro era andata nella stanza tra i bagni – che poi loro non hanno neanche avuto la pazienza di fare la fila hanno sniffato lì davanti che tanto poi – a casa non ci può tornare che la vecchia polacca che gli ha affittato la stanza non lo fa entrare strafatto né dopo mezzanotte in teoria gli fa da mangiare però è sempre poco e lui fa vedere a tutti quanto è dimagrito – si deve arrotolare i jeans sulla vita tre volte per farli star su come quando sua sorella si arrotolava le maniche delle sue maglie smesse e a scuola la prendevano in giro e allora lui – che da un lato pensa che si è fottuta il cervello con tutte quelle stronzate religiose lei e suo marito e la loro casetta e i figli e le lezioni di religione a scuola – forse anche lui può restare e insegnare Inglese stavolta o forse lo può fare in Russia vicino alla sua fidanzata di cui non  parla mai eccetera – comunque un corso l’ha fatto e così può rimanere con i suoi amici eccetera – sente ancora la musica polacca o russa che conosceva ma questa volta deve solo sforzarsi di dormire ma poi com’era quella canzone che


 

                C’è un’ambulanza davanti allo Specchio alle dieci di domenica mattina.

                “Il solito morto della festa!” la ragazza col tatuaggio intravisto sulla pancia scruta ironica i turisti che attaccano il Museo nazionale dall’altra parte della strada.

                Ma le strade, a Varsavia, sono abbastanza larghe per tutti.




 
   
 
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