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Autore: Riley Bee    05/01/2016    3 recensioni
Castiel fa lo scrittore e passa le sue notti alla ricerca di idee mentre, nella casa affianco, un ragazzo di nome Dean con la passione per la cucina è sveglio tanto quanto lui intento a preparare dei dolci. Il primo abita lì da anni, ma la metà della cittadina non sa che esista, il secondo, appena trasferitosi, aspetta l'arrivo del fratello approfittandone per cucinare nelle sue uniche ore libere. Si incontrano (sbadatamente) nelle loro notti in bianco a discutere degli argomenti più vari.
Castiel, freddo e scostante, si ritrova a non capire cosa gli sta accadendo. Come nella canzone dei Led Zeppelin, "the Rain Song", sente il ghiaccio del suo cuore sciogliersi sempre di più all'aumentare degli incontri notturni con Dean, senza capire cosa gli causa realmente questa sensazione.
(AU, Castiel scrittore, Dean cuoco)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Quinta parte

Castiel sarebbe dovuto uscire di casa. Di nuovo. Non credeva assolutamente di potercela fare ma, il costante pensiero di Dean, del fatto che lo avesse invitato, rendeva tale sacrificio molto ma molto più sopportabile.

Entrato in casa si appoggiò con la schiena sulla porta d'ingresso e, scivolando pian piano sempre più in basso, fissò il vuoto davanti a se incapace di formulare pensieri razionali. Lasciò scivolare, con la schiena, entrambe la gambe fino a ritrovarsi seduto, per terra e con le gambe dritte davanti a se a pensare a che diavolo stava davvero succedendo. Si portò una mano alla bocca trascinandola verso il basso a seguire la linea del proprio mento e, di nuovo, si guardò la mano con incredulità.

Aveva tenuto la mano a qualcuno e, diavolo, se adesso aveva bisogno di scrivere. Guardò distrattamente la porta del suo studio chiusa come al solito. Si alzò lentamente usando entrambe le mani appoggiandole sul pavimento di legno scuro.

Era da tanto che non gli tornava la voglia di scrivere, Balthazar sarà felice finalmente. - Balthazar? - Guardò il calendario cercando di capire che giorno fosse. Venerdì? Giovedì? Non ricordava. Ma ricordava di aver promesso a Balthazar un manoscritto completo per l'inizio del mese, cosa che non aveva assolutamente fatto. Lo stupido manoscritto di quel libro che aveva finito per odiare se ne stava riposto (più probabilmente nascosto alla vista) in mezzo ai vari libri dello studio, impolverato e lasciato allo sbando tra i Dickens e le enciclopedie.

Forse avrebbe dovuto chiamarlo. Avrebbe potuto se avesse avuto un telefono a portata di mano o, più esattamente, se si ricordasse dove lo avesse messo l'ultima volta che lo aveva usato, secoli fa. Si guardò in giro con discreta attenzione ma abbandonò le ricerche dopo pochi secondi e in tutta tranquillità. Dio solo poteva sapere dove diavolo fosse finito.

 

« Finalmente sei tornato. La prossima volta respira per l'amor del cielo, non si sente quando cammini » Una voce squillante provenne dalla cucina alla sua sinistra. Castiel lo guardò stringendo lo sguardo in un sottile – Perchè sei qui? -. Si irrigidì e sospirò copiosamente abbassando il mento ed inclinando la testa di lato.

 

« Come sei entrato? » disse portandosi indice e pollice sull'attaccatura del naso nel tentativo di calmarsi.

 

« Potrei e dico potrei avere una copia delle tue chiavi di casa. Ma ricorda che sto usando il condizionale » Castiel fu indeciso se sbatterlo fuori a calci o se ucciderlo ma non voleva sporcarsi troppo le mani e, Balthazar, poteva benissimo riuscire a sopportarlo.

 

Aveva uno scollo a V che pendeva esageratamente sulla maglietta color rosa stinto. Sopra portava un semplice blazer nero che accentuava le forme spigolose del suo busto. Teneva in mano un calice di vino che, Castiel, non sapeva di avere in casa.

 

« Perchè mi sorprendo ancora della tua follia altalenante? » disse Castiel sbuffando.

 

« Ammetti di amarmi, su. Ah, e in ogni caso: il vino e il calice li ho portati da casa. Mai che ci sia uno straccio di alcol in questo posto. » disse scherzosamente alzando il calice. Castiel riprese a sorridere ma tornò subito su un tono più serio ma dispiaciuto.

 

« Non ho il manoscritto. »

« Chissà perchè lo sospettavo. Non sono qui per costringerti ma, Cassie-boy, devi davvero iniziare a scrivere qualcosa. Il capo non mi da tregua e tu sei il nostro scrittore di punta » Disse prendendo un altro sorso dal sottile bicchiere. Castiel rimase in silenzio.

 

Balthazar lo guardò e, cercando di sdrammatizzare ma senza perdere il suo tono strafottente, disse « Comunque Jimmy Novak è un nome terribile ».

 

« Mi piace. E' migliore di Castiel Milton e i lettori se lo ricordano più facilmente »

 

Balthazar si mise a ridere. « Come vuoi Cassie» Ancora silenzio da ambo le parti.

 

« Sono solo preoccupato per te. » disse prendendo improvvisamente un tono più calmo « Sei sempre chiuso qui a respirare polvere, provando a scrivere senza riuscirci e ordinando sempre più libri da amazon prime » Sospirò guardandolo apprensivo « Non ti farà bene »

 

Castiel non rispose di nuovo e Balthazar dovette ricominciare con il sarcasmo per uscire dalla conversazione tesa che si era creata.

 

« Come non ti fa bene possedere ancora quei, a dir poco terrificanti, dischi di Celine Dion » Castiel si mise a ridere e lo guardò con occhi più addolciti e calmi di prima. « Tanto lo sai che non lo farò. Come sai che non smetterò di darti i manoscritti in ritardo ».

 

Balthazar stava per aprire bocca quando Castiel lo interrompette « Giusto poco fa. Mi è venuta voglia di scrivere » disse, sentendosi incredulo tanto quanto doveva sentirsi lui.

 

« Mi prendi in giro, vero? » Disse portando la testa all'indietro quasi infossandosela nelle spalle e alzando il palmo della mano sinistra verso l'alto.

 

« No. E adesso devo uscire. » Gli rispose guardando l'orologio appeso al muro. Gli occhi di Balthazar si spalancarono e la sua mascella cadde di colpo. « Okay. Aspetta un momento » disse gesticolando con le lunghe dita ed indicandolo spesso e volentieri con incredulità.

 

« Devo vedermi con un amico tra due minuti esatti. Quindi, per quanto la tu visita sia, diciamo gradita per non dire altro, devi davvero andare » disse spingendolo verso la porta.

 

Balthazar gli regalò uno sguardo che, si potrebbe dire, parlasse. Castiel lo guardò alzando un sopracciglio e vide il suo volto dire rimorchi-e-devi-raccontarmi-ogni-singolo-dettaglio. « Non è come credi. » Disse non volendo dare altre spiegazioni.

 

Balthazar alzò le braccia e rispose « Okay, lascerò stare per oggi dato che devi “uscire”» disse in tono plateale mimando le virgolette con le dita. Ora Castiel si ricordò chi gli aveva attaccato quel maledettissimo gesto.

Ormai fuori dalla porta Balthazar sbatté le ciglia e assunse una posa ridicola portando entrambi i pugni in basso e alzando le spalle. « Ricordati che poi sono geloso »

 

« Vai. Ora. » disse Castiel soffocando una risata. Balthazar si abbottonò il lungo cappotto e ripiegò il colletto verso l'alto a coprigli il collo. « Tu sai di amarmi » Disse mentre si incamminò per il vialetto alzando una mano in segno di saluto.

 

« Idiota » Sbuffò Castiel.

 

« Ti sento » gli rispose Balthazar già di spalle intento ad uscire dal cancello.

Ritornò in casa e salì al piano di sopra. Dato che la temperatura si stava abbassando e non sapeva quanto sarebbe stato fuori, decise di indossare una camicia sotto il precedente maglione ed una sciarpa di lana. Perchè, nonostante non soffrisse affatto il freddo, poteva comunque prendersi un malanno, cosa che voleva sicuramente evitare.

Uscito fuori allungò un braccio dentro la porta, afferrò le chiavi e la chiuse velocemente dietro di se. Si strinse nel suo over coat beige e si avviò.

 

°

 

PIE. Era venerdì. Il primo del mese oltretutto. Ed era la pie di Ellen.

Non riusciva a pensare ad altro, come non riusciva a capacitarsi di come abbia potuto dimenticarsi di qualcosa di tanto fondamentale. In più, il pensiero di poterci portare Castiel, diede a tutto un sapore più dolce.

Entrato in casa approfittò di quel lasso di tempo per chiamare Sam. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un vecchio cellulare pieghevole e si buttò sul divano disordinatamente.

 

« Ehi, Sammy » Disse euforico e con un sorriso a 32 denti che gli occupava il viso.

 

«Ciao – uff - Dean » rispose la voce dall'altro lato del telefono, stanca e ansimante. « Scusami. Jogging ».

 

« Jogging? E' terribile Sam! Insomma, capisco che ti tiene in forma, ma a che costo? » Disse Dean mortalmente serio.

 

« E' salutare. Dovresti farlo anche tu » disse alzando gli occhi al cielo continuando ad ansimare tra una parola e l'altra.

 

« Certo. Magari poi mi metto a mangiare anche erba e radici » rispose sarcastico e con un ghigno stampato in volto.

 

« Non sei divertente »

 

« Ehi, ehi Sammy.» Chiese mettendosi seduto sul divano e alzando una mano davanti a se. « Chi pensi sia la vegetariana più sexy: Pamela Anderson, Natalie Portman o tu? »

 

« Idiota »

 

« Puttana » Disse ricominciando a sorridere.

 

« Okay, che c'è? » Chiese Sam sospirando.

 

« Cosa? »

 

« Sento il tuo sorriso imbecille da qua. Cosa c'è? »

 

« Perchè pensi sempre ci sia qualcosa? » Disse sbuffando, portando le gambe sopra lo schienale e mettendo la testa a mezz'aria tra il divano ed il pavimento.

 

« Dean. » Disse piano e con la sua classica voce da mamma-Sammy che non si addiceva davvero ad un ragazzino della sua età.

 

« Okay. Forse sono riuscito a socializzare e a farmi un amico in questo posto dimenticato da Dio. Contento? » disse cercando di non stare troppo a pensare sulla parola “amico” che era appena uscita dalle sue labbra.

 

« Dean, tu non ti fai “amici” » disse trattenendo una risatina.

 

« Dammi tregua. Davvero. E' un nostro vicino di casa e l'ho aiutato ad aggiustare il campanello. Tutto qua . Piuttosto » disse senza permettere a Sam di intervenire ulteriormente « Papà? »

 

« Come al solito non si è visto. Da quando gli hai presentato la lettera con i documenti per il cambio di residenza non si fa più molto vedere » Dalla cornetta si sentì una porta cigolante aprirsi e i pesanti passi di Sam che salivano su per le scale. « Io ho già tutto pronto. Arriverò domani con il camion di Bobby ed il resto della mia roba. Hai bisogno che ti porti qualcosa? » chiese gentilmente.

 

Ci fu un attimo di pausa.

« Hai del tè? » disse mentre si morsicava il labbro nervosamente.

 

°
 

Dean andò in bagno a lavarsi il viso e, salendo al piano di sopra, cercò velocemente una sciarpa più pesante. La temperatura si stava decisamente abbassando e, come spesso diceva a se stesso, sapeva essere un freddoloso di merda.

Ne trovò una di lana spessa e verde che Sam gli aveva regalato tempo prima. Se la portò in salotto e se la avvolse attorno al collo diligentemente. Si sistemò la pesante giacca di pelle e uscì a prendere la macchina.

Nel piccolo e ristretto vialetto di casa c'era uno spiazzo di terra chiara e leggermente sabbiosa nel quale Dean era riuscito a parcheggiare l'impala. La sua, a detta di Dean, non era un'auto qualunque. Era una Chevy Impala Sport Sedan del '67 ed era la cosa più sexy sulla quale Dean avesse mai messo gli occhi, insieme alla Pie di mele.

Ogni tanto, solitamente quando era ubriaco, Sam si divertiva a farlo parlare della sua “bambina” e lo lasciava, nel bel mezzo dei festeggiamenti, a ripetere a macchinetta un vecchio documentario che guardavano da bambini e che, ormai, conosceva a memoria a discapito delle persone che lo circondavano: “il 21 aprile del 1967 la centomilionesima automobile della General Motors lasciò la catena di montaggio nello stabilimento di Janesville. Ma tre giorni dopo..” (questo era il punto in cui Dean partiva a raccontare con tono euforico, gesticolando apertamente, quasi come se stesse presentando le gesta eroiche di sua figlia ad un pubblico entusiasta) “un'altra auto lasciò la stessa catena di montaggio. La chevrolet Impala del 1967”. La gara al “facciamolo smettere” era il passatempo numero uno a questo tipo di feste.

 

Dean aveva riposto, sotto i divanetti in pelle dell'auto nera, una scatola di cartone contenente tutte le audio cassette più varie della sua infanzia. Di certo non poteva cadere nell'abominio di inserire un triste lettore cd nella sua bambina. Dean aprì la portiera ed inserì la sua audiocassetta preferita, Led Zeppelin, Houses of the holy. Uscì di nuovo ed ascoltò il primo brano, “The song remains the same”, mentre aspettava. La osservò da vicino come un padre orgoglioso e si appoggiò ad essa con le mani nelle tasche dei jeans ed un sorriso ebete in volto.

 

Castiel arrivò alla fine del brano con il suo solito trench coat usurato ma, questa volta, indossava una camicia di jeans azzurrina sotto lo stesso maglione blu. Intorno al collo portava una sciarpa, sempre blu, scura e di lana sottile.

 

« Ciao Dean » disse avvicinandosi. Tese la testa in su ad ascoltare e iniziò a muoverla a destra e a sinistra in lunghi e lenti movimenti « Che canzone è? »

 

« The rain song. Dei Led Zeppelin » gli sorrise Dean con fare orgoglioso.

 

Castiel si fermò ad ascoltare per un po' e non proferì parola. Ascoltò attentamente le parole e a Dean sembrò in trance. Lentamente un sorriso, che per un istante a Dean parve amareggiato, si formò sul suo viso.

« E' bellissima » Tirò fuori dalla taschina interna della giacca un piccolo taccuino pieno di pagine scarabocchiate e si segnò il nome della canzone. « Conosco i Led Zeppelin ma questa non l'avevo mai sentita » Disse sorridendo come se avesse aggiunto la canzone alla lista dei suoi tesori. Le spalle improvvisamente più leggere.

 

« Possiamo ascoltare l'intero album mentre andiamo » disse Dean abbassando la testa a guardarlo. In cambio ricevette lo stesso sguardo felice di quella mattina ma questa volta non si dissolse in un istante. Il cuore di Dean si riempì di gioia.

 

Entrambi entrarono in auto quando la canzone finì. Gli occhi di Dean si soffermarono su quelli di Castiel per un istante, per poi riportarli al mangianastri sul cruscotto.

« Oh, fanculo » Disse quando premette il tasto per riavvolgere l'audiocassetta. Al rumore del nastro che si riavvolgeva Castiel parve confuso ma, appena Dean lo fece ripartire, gli sorrise apertamente e gli occhi gli si illuminarono di nuovo. In auto non parlarono e l'aria fu piena delle note di “The Rain Song” che continuava ad essere mandata a ripetizione dalla, già molto consumata, vecchia audiocassetta.

Dean non amava le canzoni lente e neanche quelle sdolcinate. The Rain Song era entrambe con un tocco di psichedelico anni 70 in più. Ma se questa canzone gli avrebbe permesso di vedere quell'espressione allora l'avrebbe ascoltata anche per sempre.

 

°

 

Castiel in auto imparò a memoria ogni singola parola. Gli piaceva. Gli ricordava la musica classica mischiata alle canzoni che suo fratello, Lucifer, ascoltava sempre nella sua fase ribelle, quando papà gli dava del piccolo furfante e lo metteva sempre in punizione.

 

Castiel potè vedere il paesaggio cambiare velocemente dal finestrino. Dalla zona erbosa della loro cittadina si passò gradualmente alle zone desertiche del Nebraska. Passando per l'interstatale, ed altri paesini minori, si fermarono in un grande spiazzo a lato della strada con qualche spoglio albero che faceva da ombra a decine di motociclette. La fila di moto, tra Harley e Indian d'epoca, continuava fino alle porte di una vecchia Roadhouse.

Era piccola e disordinata con una luminosa insegna al neon rossa e gialla che indicava “Harvelle's ROADHOUSE”, con “roadhouse” scritto in grandi lettere in stile las vegas formate da tanti bulloni luminosi, che stava esattamente al di sopra di una larga tettoia rivestita di lastre di metallo. Il posto ricordava a Castiel i vecchi saloon americani, il Whisky clandestino e il biliardo. Tutte cose di cui Castiel non sapeva assolutamente nulla ma che, in qualche modo, poteva collegare a quel posto dall'aria consumata.

Dean gli sorrise ed uscì dall'auto « Qui è dove lavoro io »

Castiel non seppe cosa rispondere al momento, ma riuscì ad immaginare perfettamente Dean in questo genere di luogo, a lavorare tra il bancone del bar ed i clienti ai tavoli. Gli calzava a pennello.

 

« Mi piace » disse sinceramente.

 

« Aspetta di vedere dentro »

 

Appena entrati Castiel notò subito il grande bancone di legno disposto a ferro di cavallo sulla destra circondato da sgabelli da bar, tutti diversi tra loro, neri o di legno. Il bancone era un classico piano bar con bottiglie e bicchieri vari con dietro una piccola finestrella che mostrava la cucina ed una porta d'accesso ad essa subito affianco.

Le pareti erano di legno, come il parquet rovere, con appese varie decorazioni tra animali impagliati, bottiglie d'epoca e targhe americane. Tutto intorno al bancone si apriva una serie di tavolinetti, più bassi, di legno scuro e consumato con sopra vari sottobicchieri verdi e neri. Probabilmente intonati ai tavoli da biliardo che stavano su un basso soppalco infondo alla stanza.

Le lampade erano basse e mandavano una luce soffusa in tutta la stanza che, andando a colpire il fumo di sigari e sigarette, tagliavano queste nubi dando al tutto il classico aspetto di un bar d'altri tempi. Al bancone stava una donna sulla cinquantina portata molto bene. Aveva la pelle chiara ma rosea ed i lineamenti del viso erano affilati a contornare dei piccoli occhi rivolti all'insù. Aveva un portamento quasi regale ma le movenze erano quelle di una mamma severa e buona allo stesso tempo. Indossava una camicia di jeans marrone aperta davanti con, sotto, una canottiera grigia. Stava al bancone a ripulire i bicchieri con un vecchio strofinaccio passandoli uno ad uno, con movimenti rapidi e svelti, senza lasciare una macchia.

Il suo sguardo si posò su Dean e sorrise allungando in modo affettuoso gli angoli della bocca e, subito dopo, guardò Castiel attentamente e con fare confuso ritornò con gli occhi su Dean che, nel frattempo, aveva appeso le loro giacche sull'appendiabiti vicino al bancone.

 

« Non mi presenti il tuo nuovo amico? » disse sorridendogli e dandogli un sonoro colpo sulla spalla con lo straccio che aveva ancora in mano.

 

« Ellen Castiel, Castiel Ellen » disse in modo annoiato.

 

« E' un piacere conoscerla » rispose con il suo classico tono monocorde e mantenendo una rigidità assoluta.

 

« Zuccherino, dammi pure del tu. Non sono ancora così vecchia » Castiel la guardò confuso entrando nel panico per un istante.

 

« Non intendevo questo. Lei è... in forma » Ellen gli rispose con un'allegra risata per poi rivolgersi a Dean.

 

« Mi piace il tuo amico. E' sempre bello avere persone ottimiste intorno, ogni tanto » sorrise a Castiel con quel fare da mamma e continuò « Cosa posso portarvi ragazzi? »

 

« Pie. » rispose diretto Dean « Due fette per me e una per lui ».

 

« Perchè perdo tempo a chiedertelo? » disse alzando gli occhi al cielo. Ripose lo strofinaccio sul bancone e andò in cucina con fare spedito « Arrivano subito ».

 

Dean prese uno sgabello e si sedette al bancone e, quando si girò, ritrovò Castiel in piedi, rigido, nello stesso identico punto dove lo aveva lasciato. Lo guardò nello stesso modo con cui si potrebbe guardare un coniglietto impaurito « Cas. Puoi sederti qua » disse indicando lo sgabello di fianco al suo.

 

Castiel guardò lo sgabello e, con un semplice “oh”, si avvicinò per sedersi.

 

« Amico, rilassati. E' solo un bar. Ed è casa » disse per rassicurarlo. « Se ti fa stare meglio: Ellen già ti adora »

« Mi adora? » chiese inclinando la testa di lato e rivolgendosi vero Dean.

 

« Ti adora » confermò inclinando la testa mentre, portandosi in avanti oltre il bancone, si servì da solo una bottiglia di birra. Castiel voleva chiedergli il motivo e di come, esattamente, Ellen possa averlo informato della cosa nei cinque minuti nei quali si sono visti, ma la donna si intromise nei suoi pensieri arrivando con i piattini subito dopo.

 

« Eccole qua » disse appoggiando i piattini davanti a loro mentre si sedeva dall'altra parte del bancone rivolgendosi verso Castiel « Devi sapere ragazzo che questo manigoldo qui » disse indicando con il pollice Dean e coprendosi un lato della bocca con l'altra mano « Ogni primo venerdì del mese, che sarebbe oggi, si presenta qui e mi finisce mezza torta da solo ».

 

« PIE » rispose Dean masticando.

 

« Pie, pie, pie. Come vuoi moccioso » disse guardandolo storto « E non si parla con la bocca piena ». Dean ingoiò subito quello che stava mangiando e gli diede un piccolo sorriso divertito in cambio.

 

« Cas assaggiala. Ti piacerà » Gli disse Dean indicando la sua fetta di torta con la forchetta. « Perchè se così non fosse dovrei ucciderti »

 

Castiel osservò il suo piattino bianco e, prendendo la forchetta, ne assaggiò un pezzetto. « E' squisita » disse guardando Ellen stupefatto e, rivolgendosi a Dean riprese « Come i tuoi...».

 

Dean sapalancò gli occhi terrorizzato e iniziò a fare dei veloci piccoli movimenti con la mano retta sotto il proprio mento. « Come i tuoi spaghetti » disse infine guardando Ellen « Erano terribili. Mai avessi accettato quell'invito a pranzo » continuò ridendo nel tentativo di nascondere il panico.

 

Ellen si mise a ridere. « Posso solo immaginare »


Dean cercò di rimanere al gioco e continuò « Non erano COSI' terribili » disse evidenziando in tono ironico l'intera frase. Castiel e Dean si passarono un'occhiata complice e iniziarono a ridere insieme a Ellen « Mi piace il tuo amico. Portalo quando vuoi ma, adesso, devo andare a servire gli ultimi tavoli » disse sorridendo e prendendo il taccuino delle ordinazioni per avviarsi ai tavoli in fondo alla sala.

 

« Visto? Ti adora » disse appoggiandosi sullo schienale dello sgabello e portandosi le mani alla pancia. « E io adoro questa maledetta Pie »

 

Tra loro tornò il silenzio. Dean non sembrava preoccuparsene troppo e, in quel momento, quando Castiel sapeva non essere attento, susurrò un piccolo grazie. Dean lo sentì di sfuggita e lo guardò addolcendo di colpo gli occhi e inclinando leggermente la testa a guardarlo.

 

« Intendo davvero » riprese. Dean lo guardò ancora.

 

« Non avevo mai mangiato una “pie” ne dei “cupcakes” e ne, tanto meno, avevo mai visto un posto del genere e conosciuto persone così accoglienti e ospitali » Continuò tutto d'un fiato. « Grazie »

 

Dean volle per un momento abbracciarlo. Voleva stringerlo a se e voleva sentirlo parlare dei suoi libri e usare il suo sarcasmo completamente fuori luogo. Voleva scoprire quante altre cose non aveva mai fatto questo esserino spettinato e fargliele provare una ad una per riuscire a vedere tutte le espressioni che normalmente non mostrava. Avrebbe voluto così tanto.

Con un semplice gesto prese la mano di Castiel, appoggiata sul bancone di legno, senza rispondere e facendo attenzione che nessuno stesse guardando in quel momento. Castiel sentì di nuovo quella mano bollente nella propria e, per una volta, si sentì a casa.

   
 
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