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Autore: Robin Nightingale    06/01/2016    2 recensioni
Piccola raccolta di ricordi.
Kanon di Gemini ricorda vari momenti della sua vita: dall'infanzia, all'adolescenza, alla sua vita al Santuario e, soprattutto, ciò che di più prezioso possiede.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Perché piangi, fratellino?
 

Il giorno tanto agognato era finalmente arrivato.
Eravamo entrambi all’interno dell’arena, l’uno di fronte all’altro, sotto lo sguardo attento e curioso di un centinaio di persone.
Tra di esse vi era persino il Grande Sacerdote.
Era strano trovarsi occhi negli occhi dopo così tanto tempo e dopo tutte le nostre incomprensioni.
Mi ero quasi dimenticato di quella strana sensazione che mi assaliva e che, nonostante l’abitudine, mi dava la pelle d’oca, nel vedere un individuo perfettamente identico a me, come se fosse il mio stesso riflesso.
 

Chi ti ha fatto quell’occhio nero?!


Un ragazzo grande e grosso mi ha picchiato.
Si è preso il mio giocattolo.
 

Non mi aspettavo di vederti stranito quanto me, eppure dovevo immaginarlo: in fondo, non abbiamo mai smesso di pensare o intuire le stesse cose; abbiamo sempre agito e pensato come un unico individuo e quel giorno non avrebbe di certo cambiato la nostra natura.
Avevo sempre sognato quel momento, in ogni minimo particolare. Nella mia fantasia io ne uscivo sempre vincitore, riuscivo a batterti senza difficoltà; quando misi piede nell’arena, però, mi sono reso conto che la fantasia e la realtà sono due mondi ben distinti e che mai avrebbero avuto a che fare l’uno con l’altro.
Sono stato uno stupido a confonderli; sono stato uno stupido anche solo a pensare di riuscire a sfiorarti con un pugno, o con un calcio.
Eravamo fermi di fronte all’altro da ben dieci minuti e nessuno di noi si era ancora deciso a far la prima mossa.
 

Stai parlando del mio regalo?

Sì. E quando ho cercato di riprenderlo, mi ha picchiato.
 
Non piangere. Tutto si sistemerà.
 

Un incontro noioso, era questo ciò che intuivo dalle urla di disappunto dei nostri compagni. Ci incitavano a scontrarci senza alcuna pietà, come due bestie addestrate appositamente per distruggersi a vicenda, e solo per il piacere di qualcuno: dio o mortale non aveva importanza.
Mi guardavo intorno e tutti ripetevano la medesima cosa: colpiscilo!
Tu mi guardavi sofferente, rassegnato; hai allargato le braccia, come a chiedermi cosa stessi aspettando, mentre una lacrima rigava il tuo volto.
L’avevo vista, ne ero sicuro, ed era bello sapere che, a modo tuo, mi volevi ancora bene; cos’altro potevano mai significare quelle lacrime, se non riluttanza nel fronteggiarmi?
Probabilmente non avevi mai smesso di tenere a me.
 

Fratellone, perché hai un occhio nero?
 
Perché sei mio fratello.
 

Tu hai sempre odiato la violenza, hai sempre preferito la diplomazia, il dialogo, la ragione; tutto ciò non ti apparteneva, l’unica volta che hai fatto a botte con qualcuno avevi cinque anni e l’hai fatto per difendere me.
 

Ti fa tanto male?
 

Un po’.
Non ho recuperato il tuo giocattolo. Mi dispiace.
 

Ti sei battuto per me?
 
Sì, e lo farei altre cento volte.
Tieni.
 
Questo trenino te l’ha regalato papà..
 
Sì. E ora voglio che lo abbia tu.
 

Credevo di aver rimosso quel ricordo, come credevo che tu avessi rimosso il vero te stesso. Non capivo perché tutto stesse riaffiorando proprio in quel momento; mi chiedevo se tu ricordassi ancora i bei momenti passati insieme, anche se potevamo contarli sulle dita di una sola nostra mano.
Cercavo di comprendere le tue intenzioni, se fossi rinsavito quanto me.
Sospirasti profondamente, dopodiché il tuo sguardo divenne duro e hai cominciato a girarmi attorno, mentre io ti guardavo perplesso.

<< Che cosa stai aspettando? Era ciò che volevi, o mi sbaglio? >>
 
Alzasti la voce, ma non troppo: non volevi che gli altri sentissero, anche se era impossibile provare ad udire le nostre parole a causa della confusione.
 
<< Non era questo ciò che sognavi? >>
 
Riuscivo a percepire la rabbia che vi era nascosta dietro quelle innocenti parole.
Non saprei dire per quanto tempo rimasi lì a pensare, ponendomi più volte la tua stessa domanda.
Sì, era ciò che volevo.
Sì, lo avevo sognato più volte.
No, non era più importante di te.
Non ero in me; tutto ciò che ho detto, pensato, non era altro che la rabbia accumulata, il tuo distacco che ho tanto sofferto, ma che allo stesso tempo mi aveva fortificato.
Non riuscivo a trovare spiegazione migliore, altrimenti avrei iniziato subito a combattere,  e invece scossi la testa rassegnato: non riuscivo a scagliarmi contro di te, perché nonostante tutto l’odio provato, tu eri sempre mio fratello, il mio mondo.
Eri l’unica persona che amavo.
 
<< Ascoltali! Per loro ho già vinto. Sono già stato proclamato Gold Saint, e senza fare alcuno sforzo. Non vuoi smentirli? Perché non mi attacchi? Credevo volessi farmela pagare, dopotutto ti ho rovinato la vita, non è così? >>
 
Allargasti le braccia, invitandomi a fare la prima mossa.
Ancora una volta scossi la testa.
 
<< Sì, volevo >>

<< Volevi? >>

<< Sì, ma non ci riesco. Non posso >>

<< Perché? >>

<< Non lo immagini? >>
 
Un altro sospiro. Un’altra lacrima.
Per quale motivo siamo rimasti lì, in mezzo a quelle antiche colonne distrutte dal tempo, quando avremmo potuto andar via, rinunciare a tutto e crearci tutt’altra vita?
Non eravamo costretti a farlo, è stata una nostra scelta. Una tua scelta, ad essere precisi, perché se solo mi avessi dato l’occasione di avvicinarti e parlarti, probabilmente, né tu e né io saremmo arrivati a tanto.
Il rancore, la rabbia, l’odio, sono tutte emozioni che non avrei mai sognato di provare nei tuoi confronti, eppure era successo, e tutto per un’armatura.
Se solo ci fossimo fermati  un secondo a riflettere e chiederci se davvero valeva la pena perderci, chissà se sarebbe andata diversamente.
 

Non devi mai aver paura quando sei con me.
Io ti difenderò da tutto il male del mondo
 
 
Tutto accade per un motivo.
Doveva andare così.
Era troppo tardi per i ripensamenti, ma niente mi impediva di prenderti per mano e trascinarti via con me. Ed è ciò che ho tentato di fare, ma tu hai ripreso a girarmi intorno e con uno strano ghigno in volto.
 
<< Era il tuo sogno >>

<< No, non lo è. Non lo è mai stato >>
 
Eri tu il mio sogno! Ma non avevo bisogno di dirtelo, perché in cuor tuo l’hai sempre saputo.
 
<< Sai qual è la verità? >>

<< No >>
 
Risposi semplicemente; in realtà, speravo che quella pantomima che avevi messo in atto volgesse al termine. Sembravi un avvoltoio, un sadico avvoltoio privo di scrupoli.
 
<< La verità è che- >>
 
Quella piccola pausa mi sembrò eterna. Avevo come l’impressione che stessi cercando le parole giuste, o forse avevi solo timore di completare la frase.
 
<< Perché non parliamo un po’ di me, ti va? Si parla sempre di te, del povero, piccolo, emarginato Kanon, che dice sempre di sentirsi solo ed infelice, ma non si accorge di quanto, in realtà, sia egoista >>

<< Io, egoista?! Smettila di farneticare! Non fare di me il cattivo della situazione: l’unico vero egoista sei tu! >>
 
Un altro giro. Un altro ghigno. E non hai neanche tentato di nasconderlo.
 
<< Stiamo parlando di me, adesso! >>
 
Urlasti quelle parole con quanto più fiato avevi in gola, facendomi persino sobbalzare.
Avevi l’aria disorientata, forse un tuo solito segno di squilibrio.
 
<< Sei tu ad aver rovinato la vita a me, non il contrario! Dimmi una sola ragione per cui io sarei egoista. Ti ho dato i miei giocattoli, il mio stesso cibo, i miei vestiti! Ti ho sempre difeso, ho passato la mia intera vita a prendermi cura di te, e solo perché tu non eri in grado di farlo! Hai idea di quanto sia stato frustrante? Non fai un passo senza di me, non ne sei capace. E’ proprio vero che sei la mia ombra! Non riuscirai mai a smentire i nostri compagni, perché sei- >>

 
La tua voce era strozzata dai singhiozzi; a quella pausa susseguì un lieve sospiro, susseguito dal mio sgomento.
 
<< Sono cosa?! >>
 
Risposi indispettito ed impaziente.
 
<< Sei…un fallito, e l’ho sempre pensato. Non è vero che non vuoi colpirmi, non puoi, è diverso. E non guardarmi con quella faccia incredula, so a cosa stai pensando: sono perfettamente lucido, non c’è niente che non va in me. Tutto ciò che ho detto, lo penso sul serio! >>
 
Non si torna indietro, mi sono ripetuto nella mia testa; tu non lo volevi e io non ti avrei mai immaginato così subdolo e spregevole.
Deciso di assecondarti: così ti ho colpito, eccome se ti ho colpito, e l’ho fatto con tutta la forza che avevo in corpo e il volto ricoperto di lacrime.
Dagli spalti si alzò un boato fragoroso: finalmente l’incontro era iniziato e non facevano altro che pregarci di continuare.
Sono sempre stato emarginato e malvoluto da tutti, ma nessuna parola o insulto mi aveva mai ferito così tanto come avevano fatto le tue parole; ho sentito il mio cuore andare in frantumi, letteralmente.
Dal tuo naso uscivano rivoli di sangue, ma non mi pentivo di ciò che avevo appena fatto.
 
<< Avanti, finisci ciò che hai iniziato. Prendi l’armatura >>
 
Accovacciato ai miei piedi, mi pregavi con gli occhi di porre fine allo scontro, mentre con la mano tentavi di fermare l’emorragia senza alcun risultato.
 
<< Fallo! O lo fai tu, o lo farà qualcun altro >>
 
Non ho capito fino in fondo le tue parole, né mi sono preoccupato ulteriormente di trovarvi un senso. Dopotutto, erano sempre più rare le occasioni in cui dicevi qualcosa di sensato.
Ti ho preso per i capelli, ho stretto con forza ed ero pronto a sferrarti un altro pugno, poi ho allentato la presa.
 
<< Ho capito cosa stai cercando di fare, ma con me non funziona! Cambia tattica: non voglio combattere in questo modo >>

<< Non c’è nessuna tattica! Prendi l’armatura! >>
 
Se fantasia e realtà non erano altro che due mondi distinti e separati, per una volta avrei fatto in modo che coincidessero.
Decisi di giocare la tua stessa carta, in fin dei conti anche io avevo il diritto di divertirmi; ti ho lasciato andare e a braccia conserte ho aspettato una tua reazione, una mossa degna di un cavaliere. L’unica cosa di cui non avevo tenuto granché conto, era che tu, in quel gioco, eri molto più esperto: se a me bastava ignorare la tua autorità di fratello maggiore, tu avevi il coltello dalla parte del manico e sapevi perfettamente quali punti toccare per mandarmi fuori di testa.
Ti alzasti e una volta ripulito dal sangue, mi hai preso il volto tra le mani e ti avvicinasti al mio orecchio.
 
<< Hai ragione: forse è un bene che la prenda io la Gold Cloth, così potrò passare molto più tempo con Aiolos invece che con te >>
 
Non ci ho visto più. Il nome di quel damerino mi aveva mandato letteralmente il sangue al cervello; ti ho colpito allo stomaco, lasciandoti cadere ai miei piedi ansimante.
Ti diedi persino un calcio, facendoti rotolare di qualche metro.
Ero io ad avere la voce strozzata, un terribile nodo in gola che quasi mi impediva di respirare, mentre cercavo una risposta al perché mi stessi costringendo a vivere tutto ciò.
 
<< Vuoi sapere perché sei un maledetto egoista? Perché per tutta la vita non hai fatto altro che difendermi e prenderti cura di me, ed è quello che stai facendo anche adesso. Hai paura che perda, vuoi risparmiarmi quest’umiliazione, ma se vuoi che prenda quell’armatura, allora devi batterti seriamente con me! Non ho bisogno del fratello maggiore che si sacrifica per me. Credi che non sia forte abbastanza? E’ per questo che non vuoi lottare e lasciarmi vincere? >>
 
Ho continuato a colpirti imperterrito, parlando come un fiume in piena, fino a quando non sei riuscito a reagire e mi hai fermato il pugno a mezz’aria.
Ti sei alzato con sguardo truce, mentre con tutta la forza possibile cercavi di mettermi in ginocchio.
 
<< Non sei costretto a farlo >>

<< Ma io voglio! >>
 
Gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Mi sono liberato dalla tua stretta e con un rapido gesto riuscii a girati il braccio verso la schiena, ribaltando completamente la situazione: eri tu quello in ginocchio, ma nessun rantolo di dolore uscì dalla tua bocca: troppo orgoglioso.
 
<< Adesso  lascia che sia io a farti una domanda >>
 
Sibilai al tuo orecchio.
 
<< Non vuoi batterti seriamente perché hai paura che il tuo fratellino sia diventato così forte da poterti battere, o sei davvero così egoista da umiliarmi e lasciar credere a tutti che abbia ottenuto l’armatura solo perché tu mi hai fatto il favore di concedermela? >>

<< Non lo farei mai >>

Non ti ho dato il tempo di proseguire, ho tirato talmente forte che, per un attimo, ho temuto di averti spezzato il braccio. Eri ai miei piedi, sotto gli occhi increduli dei nostri compagni e, se solo avessi potuto vederli, ero convinto che anche il Grande Sacerdote fosse particolarmente colpito.
Vedevo la rabbia nei tuoi occhi, anche se non lo davi a vedere: ti stavo umiliando anche io e non potevi permettermelo. Tu eri il dio del Santuario, un eroe, non potevi farti sconfiggere da me, la tua ombra; nonostante tutto, però, non accennavi a reagire, così decisi di giocare la tua stessa carta.
 
<< Allora è vero che hai paura…e come non averla: io mi sono forgiato dai miei stessi sacrifici, tu solo da belle parole, mi sto forse sbagliando? >>
 
Mi sono ritrovato steso a terra dolorante; con le mani premevo forte la testa, alla quale sentivo un dolore lancinante. Ero ai piedi di una colonna, sulla quale avevo sbattuto, a un paio di metri lontano da te.
Il tuo Cosmo era così potente da avermi scaraventato via senza problemi.
I tuoi muscoli erano tesi, il tempo per le parole era finito, e non vi era regalo più bello che potessi farmi, se non quello di lasciarmi andare con le mie stesse gambe.
Ti bruciava tutto questo, non riuscivi a sopportarlo.
Dovevi avere tutto sotto controllo, persino me.
Quante lacrime abbiamo versato durante quell’incontro? Tante. Forse troppe.
Finalmente ti riconoscevo e riuscivo a vedere in te il fratello di sempre, che pur di vedermi felice avrebbe rinunciato a tutto; non era facile acconsentire a una tale richiesta, vero? Ma ero forte abbastanza da tenerti testa e non avrei mai scelto la via più facile. Ero orgoglioso anche io.
 
<< Non puoi semplicemente ascoltarmi? >>
 
Scossi la testa con strafottenza, strappandoti persino un sorriso. Poi, con la stessa arroganza, ti avvicinasti alla velocità della luce, colpendomi sul naso.
Eravamo pari, pensasti con un sorriso fin troppo divertito.
In un primo momento non riuscii nemmeno a togliere la mano dal setto, come se mantenerla su di esso alleviasse il dolore; non mi aspettavo mi colpissi con così tanta forza e rabbia; eppure il tuo viso era così angelico, tranquillo, rilassato; avevi ragione: non vi era nulla che non andava in te, nessuna personalità cattiva.
Per un attimo avrei preferito combattere con i tuoi stessi demoni: ammetto che sarebbe stato molto più facile per me.
Picchiavi forte, come se stessi scaricando tutta l’odio accumulato; io non ero da meno e dopo aver esploso il mio cosmo, scaraventandoti nel bel mezzo dell’arena, illuminato da un’immensa luce dorata, ero pronto a farti io una sorpresa, sicuro che avresti gradito, a differenza mia.
Incrociai lo sguardo di Aiolos tra gli spalti, sbigottito quanto te; ghignai, convinto di avere la vittoria in tasca, sicuro e fiero per via della tua faccia, un misto tra paura e incredulità.
 
<< Non è possibile...tu non puoi… >>

<< Credevi non ti avessi mai visto farla? >>
 
Risposi con ira, la stessa che sentivo scorrere nelle vene; la stessa che sentivo riaffiorare piano piano insieme ai mille ricordi negativi, le illusioni e i dispiaceri che mi avevi arrecato.
Gridai due semplici parole:
 
<< Galaxian Explosion! >>
 
Le uniche parole che, ero sicuro, mi avrebbero portato alla vittoria che mi spettava.
La mia esplosione ti aveva travolto inesorabilmente; andato via il polverone, ti trovai steso a terra privo di forze.
Il Grande Sacerdote si alzò in piedi, tutti erano con il fiato sospeso e io mi avvicinai, pronto a sentirmi proclamare legittimo proprietario della Gold Cloth dei Gemelli.
Mi dispiaceva per te, ma non l’ho mai dato a vedere.
Mi guardavi sorridente dal basso, sembravi fiero di me; allungasti la mano, forse per congratularti.
Non l’ho mai saputo ad onor del vero, perché non te l’ho mai stretta.
 
<< Hai vinto >>

<< Sì >>

<< Sono… >>

<< Fiero di me, lo so >>
 
Tra tosse e affaticamenti vari facevo persino fatica a capirti. Barcollavi e a stento eri riuscito a sederti per terra, eppure il tuo volto serafico non era mai andato via.
 
<< Sono contento che abbia vinto tu e non qualcun altro >>

<< Ma di cosa stai parlando? >>
 
Alla mia domanda rispondesti con una risata isterica che cercai in tutti i modi di nascondere da occhi indiscreti; allo stesso tempo tenevo d’occhio il vecchio Shion, che sembrava pronto ad investirmi cavaliere, ma non appena ti vide in piedi, tornò a sedersi, forse convinto che tu volessi continuare a combattere.
Lo ero anche io finché non mi sei inciampato addosso.
 
<< Ora che sei cavaliere, devi promettermi una cosa >>

<< Che cosa? >>

<< Proteggi Athena, anche a costo della tua stessa vita. Ha fatto tanto per noi >>

Ti ho spinto via come se mi avessi appena insultato; mi sono liberato dalle tue mani bruscamente e ti ho guardato davvero come se fossi uno psicopatico.

<< Fatto cosa?!>>

Urlai, senza curarmi di farmi sentire o meno.
 
<< Separarci? Metterci l’uno contro l’altro? Arrivare al punto che ti odiassi? Sono queste le grandi cose che la Grande Dea ha fatto per noi?! Ti ha portato via da me e dovrei anche proteggerla?! >>

<< Non dire sciocchezze, è lo scopo di ogni cavaliere! Donarle la vita, lottare per lei! >>

<< Ma che mi importa di Athena?! >>
 
Ti diedi un pugno, talmente forte da buttarti in terra.
Prima ancora che potessi toccare terra, un fascio luminoso mi tagliò la strada e mi accecò gli occhi. Non vedevo più nulla. Una volta svanito, sbiancai e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi.
Perché l’armatura d’oro, tutto ad un tratto, era indosso a te?
Mi voltai verso il Grande Sacerdote, ma sembrava stupito quanto me.
L’arena avvolta da un religioso silenzio, interrotto solo da irritanti bisbigli.
Ero un perdete? Ero la tua ombra? Era questo ciò che dicevano? Probabile, molti di loro mi stavano già schernendo, altri non credevano ai loro occhi, proprio come te.
Ti guardavi le mani ricoperte d’oro esterrefatto, sebbene non mi sia sfuggito il tuo sorriso entusiasta. Come non mi è sfuggito il tuo sguardo d’intesa con il tuo maledetto compagno.
Solo dopo ti sei ricordato di me e l’entusiasmo era finalmente svanito.
 
<< Io…mi dispiace Kanon >>
 
Balbettasti imbarazzato.
 
<< No...ha vinto il migliore, giusto? >>
 
<< Fermati e ascoltarmi..>>
 
Prima che tu potessi inventare chissà quali altre scuse, io mi ero allontanato con assoluta freddezza e in altrettanto silenzio avevo lasciato l’arena.
Una volta messo piede fuori la sentì esplodere in un fragoroso boato di gioia: il primo Gold Saint del Santuario era stato proclamato, dopo anni una delle dodici case delle zodiaco aveva finalmente un nuovo custode, e costui non ero io.
Mi ero lasciato sfuggire la vittoria dalle mani, neanche il tempo di poterla pregustare.
Avrei dovuto tener conto della tua furbizia: sapevi sempre come ottenere ciò che volevi, persino imbrogliando.
E come uno sciocco mi sono lasciato ingannare.
Proteggi Athena…certamente l’avrei protetta, dopo averti trasformato nel subdolo stratega quale eri diventato, avrei certamente dato la mia vita.
Non ero pentito delle parole che avevo detto, e perché avrei dovuto? In fondo, era la verità, ma eri troppo cieco per rendertene conto.
Ero così furioso che non ci pensai due volti a scagliarmi contro la tua stessa dea, frantumando una delle sue piccole statue sparse per tutto il Grande Tempio.
Arrivato a casa mi sedetti sulla solita sedia di legno, vicino alla finestra, intento a meditare.
Era vendetta ciò che volevo; ne ero talmente accecato che la mia mente si macchiò persino del tutto delitto.
Fortunatamente rinsavii un secondo dopo e pur di cancellar via quei perfidi pensieri, sciacquai abbondantemente il viso, finché le lacrime non furono completamente nascoste dall’acqua stessa.
In quel momento qualcuno entrò in casa; pensai subito a te ed ero pronto ad implorare il tuo perdono, ma una volta girato vidi solo una giovane ancella con un enorme vassoio di biscotti in mano.
Lo poggiò sul tavolo, mi sorrise e andò via.
 
<< Kourabiedes >>
 
Il loro odore era inconfondibile, ma non capivo il perché si trovassero lì. Guardai verso il calendario e capii il perché di quel dono.
Era il trenta Maggio; io e te compivamo gli anni.
Quattordici lunghi anni insieme, e sembrava solo ieri quando il vecchio Shion ci portò con sé.


Non voglio il tuo trenino.
Tienilo tu.
Papà me ne ricomprerà un altro.

 
 
   Prendilo.
Buon compleanno, fratellino.
 
 
Io e te saremo amici per sempre, vero?
 

 
Finché avrò vita.
Anzi, lo saremo anche quando non ne avrò più.
 
 
Mi prometti una cosa?
 
 
Cosa?
 
 
Quando accadrà, mi porterai con te?
 
 
Sempre.
 

Ero sicuro che avessi dimenticato anche quella promessa. Avevi dimenticato ogni cosa, persino quanto mi facesse soffrire l’idea di perderti.
Mi lasciai cadere sulla sedia, con i gomiti poggiati sul tavolo e lo sguardo perso tra quei meravigliosi biscotti, mentre, sempre più malinconico, ricordavo i momenti passati.
Aspettai a lungo quel giorno; non toccai i biscotti perché, una volta calmato, aspettavo pazientemente il tuo ritorno a casa.
Poi li mangiai.
Ad uno ad uno. Pezzo per pezzo.
La rabbia e la sete di vendetta erano tornate.
Fu il primo compleanno che non passammo assieme.
Sapevo che non saresti venuto, perché stavi festeggiando con Aiolos.
E io ero tutto solo.


Note
Buonasera cari lettori, eccomi di nuovo qui, su questa storia.
Avevo detto che il capitolo precedente sarebbe stato figlio unico in termini di lunghezza? Beh, mi sbagliavo. E d'ora in poi ho deciso di tenere la bocca chiusa a riguardo.
Mi scuso anche qui per non essere riuscita a postare prima per farvi gli auguri di Natale e di buon anno, quindi, anche se in mega ritardo, li rinnovo anche qui e, per tutti coloro che hanno sempre desiderato sentir parlare Saga, eccovi accontentati.
Non sono sicura che sia proprio questo che volevate sentirvi dire, ma sempre meglio di niente, no?
E come accennato da qualcuno, Kanon perde la sua occasione per...nulla, apparentemente per nulla.
Ah, se solo non gli avessi dato la parola.
So che l'incontro non è super dinamico e super epico come forse immaginavate, ma era da un po' che non ne scrivevo uno e devo riprenderci la mano.
Ah, se notate qualcosa di "diverso" in questo capitolo, non è nulla, solo mi piace sperimentare. Inutile dire che a destra troviamo Saga e a sinistra Kanon, lo avete già capito.
Finito il solito sproloquio, io vi ringrazio come sempre tutti, soprattutto per la pazienza e spero di tornare il più presto possibile.
Un bacio a tutti e buona lettura.
 
  
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