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Autore: Castiga Akirashi    06/01/2016    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Quel pomeriggio, Joshua stava tornando tranquillamente a casa, pensando a Lily e a come fare colpo su di lei, quando una voce alle sue spalle chiese: «Sei tu Joshua Blade?»
Lui si voltò, perplesso, e vide un bambino che lo fissava arcigno; sempre più perplesso, rispose: «Sì, perché?»
«Per non sbagliare persona.»
Giovanni tirò fuori la sua mazza da baseball e si avvicinò minaccioso, con un pericoloso scintillio negli occhi. Joshua fece lo spavaldo. Cosa mai poteva fargli un ragazzino? Anzi, era solo un bambino.
Sbaglio però i conti. Giovanni furioso era una vera macchina da guerra. Avvicinatosi, alzò la mazza e colpì.
Si fermò solo quando il suo nemico svenne. Poi girò sui tacchi e tornò a casa, con la mazza in spalla, soddisfatto del lavoro. Vendetta era stata fatta.
Il ragazzo invece si risvegliò alcune ore dopo, lì dove quel bambino l'aveva pestato. Tornò a casa e si curò come meglio poteva da solo, per evitare i pettegolezzi. Non disse mai a nessuno quello che era successo, ma qualcuno aveva ripreso tutto il pestaggio con il cellulare e il video aveva fatto il giro del web. L'ovvia conseguenza era semplice: cominciarono tutti a deriderlo. Il grande Blade, il playboy e il galeotto, si era fatto pestare da un bambino di nemmeno dieci anni. Ci sarebbe voluto un vero miracolo per recuperare tutta la popolarità perduta.
La voce arrivò anche all'orecchio di Lily e di Raphael, il quale andò in prigione per essere sicuro che Athena non c'entrasse. Non era ancora riuscito a parlarle da quando era successo il fatto e voleva capire la situazione e quanto fosse realmente arrabbiata. Gli era parso strano che il ragazzino fosse uscito dal carcere incolume. Aveva sperato, doveva ammetterlo, che Athena avrebbe fatto quello che lui non poteva fare.
«Certo.» rispose lei all'ovvia domanda: «L'ho minacciato ben bene. Sa che non deve più toccarla. Se mi arriva solo mezza voce, sa cosa gli aspetta. Tu stai tranquillo e stalle vicino.»
«Quindi non hai detto tu a Giovanni di prenderlo a mazzate?» chiese lui, cercando di capire.
Athena lo guardò perplessa e replicò: «Giovanni cosa c'entra?»
Raphael sorrise, ma mormorò: «Da una parte sono contento. Se l'ha aggredito vuol dire che Lily comincia a piacergli. Ma dall'altra, non sono un amante di questi comportamenti.»
«Disse quello che ha come fidanzata il Demone Rosso.» sogghignò lei, facendolo arrossire: «Di' pure al mio bambino che se si azzarda di nuovo ad alzare la mazza su qualcuno, suo padre avrà il diritto di sequestrarla.»
Raphael annuì, anche se non era proprio di quella idea, visto che aveva eseguito solo i suoi più reconditi desideri, ma Athena aggiunse: «Stalle vicino, Raphael. Ne ha passate troppe per avere solo quindici anni.»
E lui eseguì, sospendendo per un po' il processo e cercando di essere più padre e meno avvocato. La vedeva giù di corda, sfuggente, più chiusa del solito. E doveva fare qualcosa. Aveva dalla sua che sapeva come prenderla. Erano praticamente cresciuti insieme. Così, una domenica, la prese e la portò via, al parco naturale di Fiordoropoli: era il posto che la ragazzina amava di più in assoluto. Si circondava di Pokémon, giocava, correva... lì riusciva a rilassarsi e a svuotare la mente da tutte le sue preoccupazioni. Fu una giornata che le rese tutto molto più facile: giocava con Flamey, si riposava nell'erba, mangiarono un gelato... Nel tornare a casa, la sera, strinse la mano del padre e mormorò: «Grazie, papà. Mi ci voleva.»
Lui le sorrise ma, preso dai sensi di colpa, mormorò: «Senti, piccola, io devo scusarmi con te. Non sono mai stato davvero presente nella tua vita ma ho cercato di fare il possibile. Fortunatamente ora c'è anche tua madre, però... se ti succede qualcosa, vorrei che me lo dicessi. Vorrei essere lì per te, nei limiti del possibile. E se necessario, anche nell'impossibile. Vorrei essere un buon padre...»
Lei si bloccò. È vero, aveva taciuto tante cose, ma lui era sempre stato così distante, per la scuola prima e il lavoro poi. Però forse, si poteva ancora rimediare. Si era accorto dei suoi errori, le stava tendendo la mano. Ora toccava a lei. Lo abbracciò e mormorò: «Ti voglio tanto bene, papà.»
«Anche io, piccola. E se Giovanni non gli ha fatto troppo male, posso dargli la seconda dose.»
Lily ridacchiò ma prontamente rispose: «Sei un pacifista, papà, lascia stare. In caso esce la mamma.»
«Spero non le venga in mente questa splendida idea.»
Ridendo e scherzando, tornarono a casa. Ma lei voleva vederci chiaro: così, il giorno dopo, a scuola, andò a cercare Joshua e, fissandolo con il peggior sguardo che riusciva a fare, chiese: «È vera la voce?»
«Vuoi ridere anche tu?» sbottò secco lui, guardandola attraverso gli occhiali da sole che teneva sempre per nascondere l'occhio nero: «Guardati quel bel video. Comunque, sì è vero. E spero proprio che tutti loro incontrino quella belva.»
«Sono spettacoli più da mia mamma che da me...» borbottò lei, alzando gli occhi al cielo, ma poi fattasi seria, aggiunse: «Lo conosci?»
Joshua scosse la testa, rispondendo solo perché era lei. Se fosse stato qualcun altro, l'avrebbe di certo presa a pugni, cosa che in verità aveva fatto parecchie volte in quei giorni: «No. So solo che era furioso e mi ha urlato "Lascia stare mia sorella", come se io sapessi chi è sua sorella.»
Lily ebbe la sua conferma e sorrise. Non le serviva il video per capire chi fosse stato. Ripensando a quel sorella, e non sorellastra, Lily passò la mattinata, ignorando la presenza quasi costante alle sue spalle di Blade, e poi tornò a casa. Giovanni era scontroso come sempre, ma era diverso. Come se lo facesse per far vedere che la odiava, ma che in realtà non la odiasse per niente. Arrivata in camera, lei controllò la porta. Non vedendo arrivare nessuno, prese la mazza di Giovanni e vide delle tracce di sangue che lui aveva cercato di lavare via, ma che erano rimaste impregnate nel legno. Sorrise, rimettendola al suo posto. Quella notte, andati a dormire, Lily attese che si facesse buio e che non girasse più nessuno per casa, poi sussurrò: «Mostriciattolo?»
Lui rispose con un grugnito assonnato.
«Grazie.»
Lily sorrise e si voltò su un fianco; lui sorrise e pensò: “Prego.”
Il loro rapporto era cambiato in meglio, senza che nessuno dei due potesse controllarlo.
La mattina dopo, lei si svegliò sbadigliando per andare a scuola. Giovanni era come sempre già uscito molto presto, prima dell'alba, e lei era sola in camera. Poco dopo, pronta per partire, prese la cartella, ma vide un bigliettino posato sulla scrivania.

"Sapientina...
Se ti fa ancora qualcosa, dimmelo.
Mamma non serve che si disturbi.
Posso uccidere anche io."

Lily rabbrividì. Era un'espressione di affetto in fin dei conti, ma la pazzia di Giovanni era comunque inquietante. Però tutto sommato ne era felice. Voleva dire che le voleva davvero bene sotto sotto e che forse potevano essere davvero fratelli, anche dopo quella convivenza forzata e sofferta. Voltato il biglietto, rispose:

"Ti ringrazio... fratellino.
Ma avendo conosciuto nostra madre, gli è passata la voglia di fare qualunque cosa."

La ragazzina uscì dalla stanza ma prima di andare a scuola, incrociò N. Da parecchi giorni lo trovava in cucina, sveglio prima di lei e la sera gli sembrava sempre di notarlo fuori dalla porta. Aveva uno sguardo preoccupato, apprensivo, con delle vistose occhiaie, ma non le aveva mai detto niente. L'aveva solo vegliata, come un'ombra silenziosa. Si fece coraggio, almeno per vederci chiaro, e chiese: «N... che cos'hai?»
«Io niente. E tu?» rispose lui.
Lei sorrise, cercando di trasmettergli serenità, e replicò: «Sto bene. Davvero.»
Lui annuì e tornò a fare quello che stava facendo ma non era convinto. Sentì una mano posata sulla sua; spostò lo sguardo alla sua destra e la vide lì, vicino a lui. Lily si posò al suo braccio, chiudendo gli occhi e mormorò: «Se mai dovesse andare storto qualcosa, sarai il primo a saperlo.»
Lui le accarezzò la testa con l'altra mano, stringendola, e rispose: «La prendo come una promessa.»
Lei sorrise, perdendosi nei suoi occhi, ma sentì dei passi giù per le scale. Si allontanò di qualche passo da lui, mentre N uscì direttamente. La ragazzina ridacchiò, con il cuore in gola dallo spavento, mentre salutava il padre. Fatta colazione, andò a scuola, ma nel viaggio vide uno Swellow lontano dallo stormo, troppo vicino a loro. Ridacchiando, pensò: “Zoroark mi starà seguendo da tutto il mese. Probabilmente è d'accordo con Pidg. Vi voglio bene, ragazzi”. Arrivata all'edificio, salutò lo zio, entrò e vide Joshua, guardando con quasi soddisfazione il braccio al collo e i lividi sparsi. Doveva ammetterlo, Giovanni sapeva provare anche dei sentimenti. Il diciottenne, però, meditava vendetta. Nessuno, soprattutto un bambinetto, poteva umiliarlo pubblicamente così. Stava faticando non poco per tornare a farsi rispettare e si era beccato una mezza dozzina di denunce per aggressione. Non sopportava di venire deriso e scattava più del solito, irritato dalla situazione e dal fatto che non avesse guadagnato il minimo di terreno in più con Lily. Anzi, la cosa pareva peggiorare. Doveva scoprire chi fosse la sorella e avrebbe trovato anche quel maledetto bambino. Visto che minacciare, picchiare e spaventare non era stato per niente fruttuoso, si costrinse a pensare a tutte quelle che aveva abbordato negli ultimi tempi. Era sicuramente l'unica cosa fatta su una ragazza che avrebbe potuto far arrabbiare un famigliare. L'ultima era stata ovviamente Lilith, ma era stata la prima dopo una lunga pausa. Dal ragionamento quindi, la famosa sorella era proprio lei, però risultava l'unica figlia di Raphael Grayhowl, senza contare la sorellina a metà Martha. Gli venne un'idea. I bambini piccoli erano piuttosto facili da manipolare. Trovata Martha, si finse suo amico e la convinse a vuotare il sacco, scoprendo così del piccolo Giovanni, figlio della compagna di suo padre, della quale però lei non conosceva nemmeno di nome. Sapeva solo che il papà aveva ritrovato una sua vecchia fiamma, della quale era molto innamorato, e che lei aveva un bambino che viveva con loro. Joshua diede quasi per scontato si trattasse del Demone Rosso, sia perché la donna era in galera e quindi non poteva prendersi cura del figlio, sia perché quel bambino era un violento, come lei. Ingegnò quindi una trappola, mettendo in giro la voce che voleva riprovarci con Lily e stavolta riuscire nel suo intento. Il bambino abboccò all'esca, beccandolo solo in un vicolo.
«Aspetta, aspetta.» esclamò il diciottenne, quando lo vide, armato e furibondo, alzando le mani per dargli un segno di resa e poter parlare in pace: «Tu vuoi solo proteggere Lily, giusto?»
Giovanni fermò la mazza e annuì sospettoso. Joshua sorrise e disse: «Ascolta, io non le voglio fare del male, ok? Però non posso proteggerla come vorrei perché mi ritiene un violento e in effetti non fa bene alla mia reputazione... ma se...»
«... io li pesto, tu hai la fedina pulita.» finì la frase Giovanni, intendendo l’assurdità di quel discorso.
«Esatto.»
Giovanni rialzò la sua arma, scrutandolo come per scannerizzarlo, e ringhiò: «Non mi fido di te.»
«Lecito.» ribatté il ragazzo, annuendo e aspettandosi la sua ostilità, ma poi aggiunse, per convincerlo: «Senti, se la tocco tra te e tua madre non so se ne esco vivo. Quindi direi che potresti fidarti. Non sono così stupido e non ho manie suicide.»
Il bambino ci pensò su. In effetti, se l'aveva minacciato la madre, quel tipo era del tutto innocuo. Così mise via la sua mazza e gli disse: «D'accordo, ci sto. Ma non fare mai il mio nome.»
Lui annuì, vittorioso.
Una sera invece, poco tempo dopo, nel suo appartamento all’Altopiano Blu, Lance stava guardando pacifico la televisione, quando vide un messaggio sul cellulare. Perplesso, lo lesse: era un invito a cena del procuratore. Sbuffando si alzò per prepararsi e uscire. Non aveva molta voglia ma non poteva rifiutarlo perché quella donna era potente e rischiava problemi mettendosela contro come stava facendo Raphael. Era il Campione ma non un dittatore. Così le rispose che avrebbe accettato e uscì, trovandosi mezz’ora dopo con la donna in un ristorante di Fiodoropoli, a Johto. La serata passò tranquilla, tra discorsi politici ed economici, e Lance smise di stare in guardia. Non sembrava ci fossero doppi fini, quindi non doveva preoccuparsi come stava facendo. E fu in quel momento che lei attaccò. Lo fece ubriacare, ma non troppo perché si dimenticasse ciò che era successo. Doveva ricordare tutto. Sarebbe stata una dolce vendetta vederlo macerare nel senso di colpa per aver provocato un casino. La donna ormai era certa che il Campione nascondesse qualcosa in merito all’alleanza del buon avvocato Grayhowl con la Bestia del Continente e quindi doveva scoprire tutto. Troppo brillo per star zitto, Lance rispose a tutte le domande senza rendersi conto di cosa stava facendo. In quel vicolo, loro due soli, il procuratore seppe tutto. Lo lasciò lì, senza preoccuparsi di riportarlo in un luogo decente, pronta per spalare fango su quell’avvocato arrogante che aveva osato sfidarla.

  
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