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Autore: Cat in a box    12/03/2009    1 recensioni
Da anni una nuova minaccia spinge sull’orlo della distruzione il popolo degli Elfi Necromanti. Creature con membra umane e animali, create grazie alla suprema Scienza di folli scienziati, assediano le terre delle Tempre d'Ombra. I popoli circostanti sono stati costretti a lasciare le proprie terre, o a perire sotto le mostruose fauci di queste creature infernali. Il Mondo sanguina. L’ultima stirpe superstite al massacro, gli Elassar, provano a fronteggiare la minaccia…ma lo scontro ne determina la morte di ambi due gli avversari. La guerra non è ancora vinta, molto presto…ne torneranno degli altri. L’unico sopravissuto è il piccolo Principe Luthien, che viene affidato alla Bianca Madre, poiché possa crescerlo e allevarlo…cossichè un giorno possa rivendicare il trono del defunto Padre , difendere i popoli attaccati e salvare la donna che ama.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco a voi il seguito…beh, non ho avuto particolari problemi a scrivere questo capitolo^^. E’ stato abbastanza facile e ‘veloce’, poiché mi ero lasciata trasportare molto dalla trama della storia. Mettendomi un po’ nei panni di tutti i personaggi, devo dire che mi sono lasciata prendere con entusiasmo^^. Comincio ad affezionarmi molto alla trama di questa storia, anche se ammetto che non ho ancora pensato ad un finale…senz’altro ci saranno altrettanti capitoli da scrivere e da leggere! In questo capitolo, per la prima volta, ho introdotto i Demoni. La parte, forse, più complessa è stata proprio quella di cercare dei nomi adatti. Vi aspetterete delle sorprese, ma per ora…mantengo il mistero e vi auguro ancora una volta una buona lettura!

 

Capitolo IV – La quarta Luna – L’inganno

 

 

I cavalli respiravano ormai con molto affanno. Erano stanchi, per via dei giorni interi trascorsi a galoppare per le lande sterminate, attraversando i difficoltosi sentieri delle montagne e i passi innevati. Persino i cavalieri erano abbastanza esausti, ma ancora non demordevano. Avevano dormito poche ore la notte, e passato parecchi giorni a correre più veloci del vento, senza sapere quale sarebbe stato l’oggetto della loro missione. Calimon era stato misterioso al riguardo, aveva solo espresso con chiarezza che sarebbero dovuti giungere, il più presto possibile, in una città tra le montagne di nome Oldrid. Pareva che vi fosse una Matrona molto importante, ma più di questo non sapevano. Più volte avevano scortato l’Elfo in vari incarichi, che lo stesso Re Herimeldië gli affidava. Era senza ombra di dubbio un ottimo condottiero, e inoltre uno dei migliori che il Re potesse mai avere. A corte erano sempre soddisfatti delle sue grandi imprese, difatti era più stimato di ogni altra persona, e non si poteva negare che la stessa Atanvarnië lo guardava di nascosto con ammirazione. Tuttavia, si era sempre dimostrato disinteressato nei confronti delle bellissime Dame, che dimoravano presso la corte. Faceva parte ormai delle fantasie più ardite di qualsiasi donna l’avesse visto. Si vociferava che persino la Principessa avesse dei riguardi sulla sua piacevole presenza alla corte. Non di meno, per suo capriccio, era persino diventato la sua guardia personale. Un incarico che durò poco, poiché Re Herimeldië bandiva severamente l’unione tra Elfi e Uomini, aveva cominciato a destare sospetti. Riteneva tale unione, impura. Non che a Calimon fosse dispiaciuta questa improvvisa decisione, anzi, proprio il giorno in cui venne assolto dall’incarico di guardia personale della Principessa, tirò persino un sospiro di sollievo! Ma a parte i pettegolezzi di corte, ora aveva ben altro a cui pensare. Il suo spirito era determinato come non mai, a giungere a destinazione al più presto, e sarebbe riuscito a portare Eledhwen in salvo a Fànon, prima che Re Herimeldië si accorgesse della sua assenza al palazzo. Ora stavano oltrepassando il sentiero in mezzo ad una boscaglia di alberi sempreverdi, che facilmente davano l’inganno che l’autunno fosse volato d’altra parte. Era quasi buio pesto, ma i sassi bianchi sul terreno battuto dal vento, riflettevano la luce della Luna ormai piena, che pareva volesse aiutarli a trovare il giusto cammino. Ad un tratto quel paesaggio gli parve molto familiare. Si volse indietro e urlò ai suoi uomini. “Ci siamo! Manca poco…”. Si girò di nuovo in avanti e proseguì la frase. “Eledhwen, sono qui.”.

***

 

L’Elfo inarcò le braccia dietro alla schiena, e fissò per un’ultima volta la Luna. Quella sera non era del tutto piena, poiché mancavano ancora due o tre notti prima del Plenilunio, e non avrebbe potuto evocare efficaci incantesimi d’Ombra. Si fece via via sempre più pensieroso, mentre il tempo scorreva come sabbia tra le mani, e l’ora si attardava sempre più. In tanto Carnil si era addormentata appollaiata sulla sponda del letto a baldacchino. La testa era rivolta verso il basso, mentre il collo stava arcuato in modo da non sbilanciare la Fenice.  Ysuran la fissò per qualche attimo. “Almeno tu puoi avere sogni sereni…”. Disse quasi in un sussurro, ma l’animale non lo destò del suo interesse. Stava ancora pensando a ciò che Minuial aveva detto. In qualche modo, quelle parole lo avevano bloccato e gli avevano confuso le idee. Se avesse seguito il suo cuore, avrebbe fatto ciò che desiderava da tempo, ma avrebbe condotto su una via pericolosa Eledhwen. Tuttavia aveva una promessa da mantenere, e non aveva intenzione di mancare al giuramento che aveva prestato a Eledhwen. Non avrebbe permesso a suo Fratello di portarsela via. Se avesse preso una decisione, ora sarebbe stato consapevole, che ne sarebbero derivate delle conseguenze. E di certo non si sarebbe più potuto voltare indietro. Non poteva esitare a lungo, ma quale decisione avrebbe potuto prendere? Minuial, a sua insaputa, era entrato da poco nella stanza e rimase a fissarlo per un istante, prima di proferire qualcosa. “E così te ne vuoi andare?”. Chiese. Ysuran si sentì scivolare dalle nuvole, ma prese in mano la situazione e controbatté con una risposta secca. “Sarei partito comunque, avevo detto.”. Minuial lo guardò con disappunto, senza che egli se ne accorgesse o ricambiasse lo sguardo. “Per quale altro motivo te ne saresti andato?”. Ysuran sospirò, allorché il Saggio Minuial intuitivamente capì di cosa si stava trattando. “Penso di aver inteso per quale motivo il tuo cuore è tanto tormentato...”. Minuial si avvicinò dietro a lui, e si sedette su una sponda del letto, accarezzando il capo di Carnil, ancora addormentata. “Sei confuso ragazzo mio, e vedi la tua vita come un bivio. E’ difficile accettare il proprio destino, quando si è scoraggiati e indecisi…ma il tuo destino può cambiare la vita di numerose persone, e la tua scelta sarà decisiva.”. Ysuran si voltò verso il Mago, e prese a parlare. “Sarei un codardo se mi tirassi indietro e non voglio farlo, altrimenti i vostri sforzi di predispormi a diventare quello che devo essere, sarebbero stati vani. Anche se, io vorrei solo una cosa…”. Prese una pausa. “… vorrei che Eledhwen fosse felice.”. Minuial si alzò in piedi, portandosi Carnil ciondolante sull’avambraccio, che pareva ancora un poco assonnata. “Se vuoi renderla felice e proteggerla, sarebbe il caso di non portarla con te nel tuo pericoloso viaggio.”. L’Elfo si voltò con un’espressione corrucciata in viso. “No! E’ l’unico modo…lei non ha vie d’uscita…come me…”. Minuial lo bloccò sulla frase. “Non credo che tu abbia inteso precisamente la tua situazione. Tu hai un destino Luthien, che non potrà essere mutato, e dovrai accettarlo nel bene e nel male…ma non ti chiedi se anche la tua Amata sia pronta per accettarlo allo stesso modo? Il destino di Eledhwen è ben diverso dal tuo, e lei può scegliere un’altra strada, sicuramente più sicura. Sei tu, quello a non avere vie d’uscita, sei stato predestinato dagli Dei a sconfiggere il male, e così dovrai fare. Non avrai scelta, se non quella di lasciare l’opportunità alle persone più care di seguirti, ma ciò a cui vanno incontro…è un pericolo mortale.”. Ysuran serrò le braccia e appoggiò la schiena ad una parete, mantenendo costante il suo sguardo rivolto verso la Luna. “Forse non ti sarei di alcun aiuto, ormai…quello che ti ho insegnato era tutto ciò che sapevo, e sei diventato un Necromante di nobile ingenio…non posso fare altro che dirti di sfruttare le tue capacità per ottenere ciò che desideri. Ma pur sempre, usando il lume della ragione, e non la follia…Luthien.”. Minuial terminò il discorso, mentre il Principe Elfo fissava costantemente il buio della notte, che si addentrava sempre più del paesaggio. Il Mago uscì dalla stanza, portando con sé la Fenice, e lasciando nel bel mezzo di pensieri tormentati, Ysuran. Fu inghiottito da un’ondata di pensieri, nefasti e grigi, avvolti da una trama amara. Le oscure colline si confondevano nel vellutato cielo blu che si stava oscurando. I freddi campi, le boscaglie, le case dei contadini e le taverne…erano solo blocchi di figure inanimate. Spostò il suo sguardo verso Est, in direzione della radura sterminata che si trovava poco distante dalla cattedrale. Qualcosa si stava muovendo nel buio, furtivamente e con velocità. Distinse le prime quattro figure in testa, e poi i successivi gruppi da tre. Erano cavalieri, a quanto pare diretti verso la cattedrale. Quelle figure non li piacquero per niente. Era tempo di prendere una decisione, e subito.

***

Le luci della cattedrale erano quasi tutte spente, eccetto per la luce fioca di una candela, che si trovava proprio sul davanzale della finestra di Eledhwen. Aveva preparato una piccola bricolla da portare con sé durante il viaggio. Dentro vi aveva messo quel poco denaro che aveva, forse qualche ricambio e qualcosa per sopportare il freddo della notte, delle fiale di erbe medicinali e qualche cosa per il medicamento. Aveva indosso un mantello nero pregiato, con il cappuccio a punta, e ornato di ricchi motivi floreali. Indossava un semplice vestito color blu notte, con una scollatura a barca e ornato anch’esso di vari ricami di fili d’argento. I lunghi capelli biondi erano nascosti sotto il mantello, ma alcune ciocche scomposte le erano andate a finire di fianco alle gote del viso. Volgeva di continuo il suo sguardo a Est, ma ancora non vi era l’ombra di Ysuran. Oramai era mezzanotte passata, e cominciava a chiedersi se mai fosse arrivato per lei. Si allontanò dalla finestra, per mettersi a sedere sul suo letto a contemplare una bambola in pezza, che ora teneva tra le mani, ripensando alla sua solitaria infanzia. Sospirò. Quella donna non le aveva permesso di vedere nessuno, né prima né dopo, il suo incontro con Ysuran. Aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a studiare libri di teurgia e Alchimia, sotto la guida e l’insegnamento della Matrona stessa. Era diventata il suo orgoglio, poiché nessuno prima d’ora, era riuscito ad esercitare incantesimi con una tale perizia. Tuttavia era una dote comune nella casata dei Mìriel, per cui la Matrona non ne fu molto sorpresa, ma rimase soddisfatta, poiché ciò che lei voleva, lo stava a poco a poco realizzando. Obbediente, laboriosa ed educata. Poteva Eledhwen permettere alla Matrona di illudersi di averla sottomessa? –Certamente no- pensò tra sé e sé. Per quello sarebbe fuggita, e non sarebbe mai più tornata.  Il nitrito di un cavallo spezzò l’armonia dei suoi pensieri, e si affacciò alla finestra ansiosa. Dalla lontana radura scorse le figure di quattro cavalieri a cavallo, seguiti da altri. Erano dieci in tutto. Pareva si stessero dirigendo proprio verso la cattedrale. Non potevano essere dei banditi, erano troppo vestiti bene per esserlo. Il primo cavaliere, su un cavallo bianco, era in particolare quello che mostrava di avere più fretta degli altri. Era avvolto da un mantello scuro, ed era incappucciato, per cui il viso non era ben visibile. Riuscì però a scorgere il luccichio di un paio di occhi color dell’ametista, il che non le prometteva nulla di buono. “Calimon?”. Soggiunse con voce strozzata. Perché aveva pensato proprio a quel nome? Quegli occhi le erano così familiari, non poteva che esser lui, ne era quasi certa. Si inginocchiò stravolta di fianco alla sponda del letto, e tra i singhiozzi e le lacrime, pianse in silenzio.

***

Uno strano sigillo era tracciato sul pavimento con un carboncino nero. Era delimitato da una cerchio e tre triangoli concentrici, che formavano una specie di stella a nove punte. All’interno vi erano tracciate per ogni lato delle lettere in lingua elfica seguite da numeri arabi. Una figura nera si avvicinò al cerchio, e iniziò a recitare una formula, prima in elfico e poi in lingua comune. “SA-MA-EL…SA-MA-EL…SA-MA-EL! Demone della battaglia, diretto da *Adramelch! Porgo una mano sulle tue ceneri, e ti ordino di risvegliarti…il tuo tempo è giunto! Ti chiedo aiuto…”. Il sigillo magico si illuminò di una luce argentea evanescente, e cominciò ad emanare piccole lingue di fuoco, che zampillavano al suo interno. Un forte vento sinistro iniziò a levarsi in alto, tanto era forte che le finestre si spalancarono da sole, e alcuni oggetti nella stanza caddero a terra rompendosi. La luce del cerchio si fece via via sempre più luminescente ed intensa, mentre le lingue di fuoco si innalzarono talmente alte, che diventò difficile intravedere quel che accadeva all’interno del cerchio. Ad un tratto un forte ruggito fece tremare l’aria. “*Samael!”. Le lingue di fuoco si abbassarono improvvisamente, mentre la luce si faceva sempre più debole, tanto da diventare quasi evanescente come prima. All’interno del cerchio vi era una figura nera e alata, tutto fuorché umana. Si trovava ancora accasciata a terra, e alzava e abbassava il busto ad ogni respiro, mentre batteva a piccoli colpi le grandi ali da pipistrello. L’oscura figura si avvicinò al demone. “*Mae govannen Samael.”. Soggiunse ancora la stessa voce di prima. Il demone si alzò in ginocchio, sollevando il capo sommerso da una folta chioma rossa. Il volto pareva quasi umano, fatta eccezione per i fini lineamenti e le lunghe orecchie puntute. Gli occhi erano più neri del nero, e sembravano due profondi pozzi infernali, dalla quale non vi era ritorno. Le labbra erano leggermente pronunciate, nere come se fossero state già macchiate dal sangue di orco. Il resto del corpo era perfetto, facilmente confondibile con quello di un umano. Il demone si alzò in piedi, e batté le ali, come per scollarsi qualcosa di dosso. “E’ fastidioso dover rinascere dalle ceneri ogni volta!”. Proferì il demone, con tono quasi amichevole. La nera figura avanzò di qualche passo, lasciandosi illuminare il viso dalla raggiante Luna. “Peggio ancora se ti avessi dovuto far rinascere dal tuo cadavere in putrefazione, non trovi?”. Soggiunse l’Elfo, il demone allora annuì divertito. “Ma ora dimmi, per quale motivo mi hai evocato, Ysuran figlio di Minuial?”. L’Elfo scosse con il capo. “No…ora non più Samael…”. Fece per prendersi un pausa, e poi proseguì. “Sono Luthien, figlio di Lord Elassar, Nobile stirpe di Elfi necromanti.”. Il demone lo guardò con disappunto. “Sembra molto lungo come appellativo…come posso chiamarvi ‘Vostra Altezza’?”. Ironizzò contraendo la faccia in una smorfia divertita. “Chiamami Luthien.”. Rispose impassibile, il demone colse il suo sguardo vitreo e si fece serio anche lui. “Che è successo nell’*Assiah durante la mia assenza?”. Chiese. “Il mondo dei vivi è intimorito dalla Morte. Una minaccia incomberà molto presto su queste terre, si dice che temibili creature siano state create grazie alla Suprema Scienza, e che non esiste modo di fermarle…”. Il demone cominciò a sventolare le ali, compiaciuto di quello che stava sentendo. “Secondo il futuro che ha previsto Minuial, il mondo sarebbe destinato a cessare con un massacro, e ogni cosa che precedente era in vita…sarà morta, e dopodiché…saranno i Ghoul a pensare al resto….”. Samael lo interruppe sulla frase. “I Ghoul!? Quegli sporchi odiosi esseri succhia-anime! Se Adramelch udisse queste parole, non esiterebbe un secondo, e sarebbe qui pronto a massacrare quei luridi…”. Luthien lo fermò. “Ed è per questo che ti ho chiamato! Voi Demoni di Nobile stirpe avete da sempre odiato i Ghoul, poiché vi rubavano le anime dimoranti all’Inferno, e per questo gli avete esiliati nel mondo dei vivi…’ove non gli era possibile divorare anime, dal momento che i morti riposano in terreni consacrati, e non gli è consentito l’accesso. Ma se il mondo cadrà sotto questo massacro, i terreni macchiati dal sangue non saranno più protetti, e a quel punto le anime vagheranno sulla terra, in preda ai Ghoul, anziché seguire il cammino dell’Al di là.”. Il demone fece una espressione dubbiosa e pensierosa. “Non ci sarebbe più gusto senza più anime da torturare all’Inferno…qual è il piano?”. Ysuran parve divertito nell’udire quella domanda. “Raggiungi il consiglio supremo negli Inferi, e convoca i diciotto Re infernali, e chiedi loro di arruolare un esercito di Demoni. Dì loro che Luthien figlio di Lord Elassar, ti manda da loro.”. Il demone annuì. “Non c’è niente che possa fare nel frattempo?”. Domandò Samael. “No, questo è tutto. Ti prego di non prendere iniziative, e segui ciò che ti ho detto alla lettera. Confido su di te…amico.”. Il demone lo fissò per qualche attimo. “Lo farò, ritornerò tra tre giorni. Quando la Luna sarà piena, e mi sarà possibile tornare senza che tu mi evochi dalle ceneri.”. A quel punto il demone fece un cenno di saluto con la mano, e scomparve in mezzo al cerchio tra lingue di fuoco rosso. Luthien restò a fissare il sigillo demoniaco, che a poco a poco scompariva sul pavimento di pietra grigia. “Ho fatto quello che mi hai detto tu Saggio…Eledhwen…perdonami per quello che sto per fare.”. Bisbigliò, chinando il capo.

***

Calimon giunse dinanzi alla cattedrale. Scese prontamente dal suo destriero, e senza far caso ai suoi uomini, si avvicinò alla porta e prese a bussare. Non passò molto tempo quando una serva venne ad aprire. “Chi siete straniero?”. Domandò questa. Pareva a dir poco spaventata dalla possente figura che le stava davanti, tanto che dallo sgomento le scappò un breve sussulto. A Calimon questo non sfuggì. “Desidero vedere la Matrona, fatela chiamare.”. La serva non esitò neanche alla richiesta dell’Elfo, tanto era misteriosa la sua figura, che le incuteva timore. Non aveva intenzione di fermasi a conversare ancora a lungo con lui. Gli fece strada, con un candelabro, e lo fece sedere su una panca di legno all’interno della cappella. Lui accavallò le gambe, e a braccia conserte iniziò a dondolare energicamente la gamba destra. Era piuttosto spazientito e non aveva ormai altro a cui pensare ora, se non di tornare con Eledhwen al più presto al palazzo Reale, per prenderla in sposa. Ma a sua insaputa, in un’altra stanza della cattedrale, Eledhwen era scossa dai singhiozzi e dalle lacrime. “Non voglio…non voglio che finisca così…non era così che doveva andare!”. Erano parole così soffocate, che l’Elfa proferiva quasi con rabbia mista a sofferenza, mentre con il capo chino stava accovacciata a piangere su un cuscino. Le sembrava tutto così strano, poiché non avrebbe mai pensato per tutto quel tempo, che sarebbe andata a finire così. Ormai era quasi l’una, e Ysuran non si era ancora presentato, ma Calimon non mancava…e già poteva udire i passi che echeggiavano per i lunghi corridoi in pietra, che presto si sarebbero avvicinati alla sua stanza. Era quasi in preda allo sconforto. Il vento iniziò a levarsi forte, e sentiva provenire da fuori i fruscii delle foglie, che venivano trascinate e sbattute via per le strade e i campi. Aveva cominciato a farsi più freddo, e un brivido le percorse la spina dorsale. I lunghi capelli sciolti, che le ricadevano come una matassa di fili dorati lungo le schiena, erano leggermente mossi dal vento. Il suo corpo era percosso in continuazione da brividi, tanto che cominciò a tremare. Si sentì accarezzare i capelli, da qualcosa di molto freddo, quasi come se fossero delle mani a toccarla. Sollevò il capo e si voltò. Il buio. La candela che aveva lasciato alla finestra si era spenta, e nella stanza ora regnavano solo le ombre. “Ysuran sei tu?”. Domandò speranzosa in una risposta. Ma nulla. Sospirò, come per ricordarsi del fatto che ormai non sarebbe più venuto a prenderla. Si scostò dalla sponda del letto, e si mise a fissare quel incompleto specchio argenteo, che brillava alto nel cielo stellato. Si asciugò con la manica del vestito il volto inumidito dalle lacrime. Era sola e infelice. Ad un tratto un improvviso rumore la fece sobbalzare. Proveniva dall’interno della sua stanza. Aveva sentito qualcosa strisciare sul pavimento di pietra. Si guardò intorno, ma nel buio non riuscì a vedere nulla. Forse era solo la sua immaginazione, forse erano solo paranoie…forse era solo disorientata. Si alzò, per dirigersi alla finestra, ma una scura figura vi si materializzò dinanzi. Eledhwen cadde indietro dallo spavento, ma per fortuna atterrò sul letto. Stropicciò gli occhi, ma la vista non l’aveva affatto tradita, una scura figura alata le si trovava di fronte a poca distanza da lei. –Non avere paura di me Eledhwen, sono qui per aiutarti…- La ragazza rimase impietrita per qualche attimo, come se le parole le si fossero congelate in fondo alla gola. La creatura si fece sempre più vicina alla sponda del letto, dove Eledhwen si trovava accovacciata. Pareva quasi che quella sinistra figura fluttuasse nell’aria. “Non ti avvicinare Demone!”. Urlò disperatamente. Quella specie di spettro svanì improvvisamente. Si guardò intorno sbigottita, ma non vide nulla…era scomparso. Che cos’era stato? Era veramente un Demone? Oh bel momento per lasciarsi prendere dal panico. Ad un tratto un alito di vento gelido le sbuffò appena dietro alle orecchie. –Eledhwen, non avere paura…ora verrai via con me…- Quella voce la terrorizzò, ma soprattutto perché sta volta, la sentì proprio dietro di sé. Si sentì avvolgere da un paio di scure ali piumate, e si abbandonò al loro morbido tocco. “Ysuran…”. Fu l’ultima parola che proferì dalle sue labbra, prima che sprofondasse nel sonno profondo.

***

 

In quel momento, la Matrona giunse nella cappella dove si trovava seduto impaziente su una panchina, un Elfo a dir poco innervosito. “Nobile Calimon, gli Dei hanno benedetto la vostra grazia con l’immortalità! La vostra regale figura è degna di venir riconosciuta quanto quella di un vero Principe!”. Disse fieramente la donna, inginocchiandosi dinanzi a lui. “Risparmiatemi le adulazioni, sono di nuovo di fretta, e vengo qui solo per mia Sorella.”. Lei si rialzò, in una maniera a dir poco impacciata, e sorrise all’Elfo che non ricambiò il suo sguardo. “Ma certo! Si trova nella sua stanza in questo momento, starà riposando, ha avuto una giornata stancante.”. Rispose la donna, facendo cenno di seguirla. Vennero scortati da due serve della Matrona, che illuminavano le scale e i corridoi con delle lanterne, nel loro cammino. Quando giunsero davanti alla porta di Eledhwen, la Matrona tirò fuori un mazzo di chiavi. “Scusate il tempo che vi faccio perdere, ma di solito la chiudiamo a chiave…”. Calimon inarcò un ciglio. “Per quale losco motivo dovreste chiuderla a chiave?”. La Matrona non seppe cosa rispondere, si sentì solo profondamente imbarazzata dinanzi a lui. “Beh…per la sua sicurezza! Non volevano che qualcuno potesse entrare nelle sue stanze…”. Bofonchiò la donna, ma l’Elfo capì perfettamente che si trattava solo di una scusa. La verità era un’altra. “Oh ecco! Ho trovato la chiave, questa è quella giusta.”. Riprese a parlare con la stessa euforia di prima. Provò a spingere la porta, ma non si aprì. “Ma che cosa…!?...”. Non terminò la frase che cominciò a spingere la porta con tutta la forza che aveva. “Forse ha sbagliato chiave.”. Osservò Calimon, del tutto spazientito. “No, no. Vi posso giurare che la chiave era questa, e per giunta è l’unica che possiedo! Non riesco a capire come mai la porta sia bloccata.”. Rispose continuando a spingere. “Eledhwen!? Eledhwen cara, potresti aprire la porta?”. Ma non rispose nessuno. “Eledhwen? Non fare questi giochetti nel pieno della notte…ho una persona da presentarti!”. Disse ancora la donna. Ma i suoi tentativi si rivelarono vani. “Fatevi da parte, ci penserò io.”. Disse l’Elfo scostando la donna. Tirò fuori una spada e prese a colpire più volte la serratura, finché non sfondò nel legno. Provò ancora a spingerla, ma non si mosse. “Qui deve trattarsi di un incantesimo…”. Soggiunse l’Elfo, posando una mano sopra al legno della porta. “…e per giunta demoniaco!”. La Matrona rimase sconvolta, al punto che impallidì come un lenzuolo e cadde all’indietro svenuta. Le serve la soccorsero immediatamente, cercando di sollevarla per portarla nei piani inferiori. “Portatela nella cappella! E richiamate i miei uomini!”. Disse. Le serve eseguirono i suoi ordini, e quando se ne andarono, la porta si spalancò da sola. Calimon vi entrò a passo felpato. “Fatti avanti Demone!”. Nella stanza aleggiava un forte odore metallico, intriso dall’odore della terra. “Mostrati a me Dannato! Temi un Elfo di nobile casata?”. Avanzò di qualche passo, e vide sdraiata sul letto una fanciulla dai lunghi capelli biondi. “Eledhwen?”. L’Elfo lasciò cadere distrattamente la spada a terra. Una possente figura si materializzò dinanzi a lui. Era una nera figura alata. Lo poteva vedere chiaramente, nei minimi particolari. Aveva grandi ali grigie, lunghi capelli argentati, profondi occhi rossi che parevano due pozze insanguinate, e labbra nere quanto un cielo senza stelle. “Ave a te Elfo di nobile casata!”. Rispose sarcasticamente il Demone, con un ghigno che prometteva poco di buono. “Io sono *Ehumiel, Demone del Sangue e del Fuoco, appartengo alla Nobile Casata dei *Galb. Non c’è nulla per te Elfo, se non la Morte. Ti lascio l’opportunità di scappare!”. Rispose il Galb in tutta sicurezza. Calimon non batté ciglio, e rimase a fissarlo per un poco, finché non prese a parlare. “Chi ti manda?”. “Non sono affari tuoi. Se fossi in te non esiterei a starmene lì impalato dinanzi ad un Demone spietato come me.”. “Non mi conosci bene Demone…”. Calimon sfoderò la daga e scagliò un potente fendente nel ventre della creatura alata. “Non sei così spietato come dicevi di essere, Ehumiel!”. Soggiunse l’Elfo, estraendo la daga e osservandone la lama intrisa dal sangue. “Sono spietato…solo quando mi fanno alterare…”. Rispose questi dopo un po’, senza il minimo affanno. La profonda ferita si rimarginò in breve tempo, e scomparve la macchia di sangue persino dalla suo lungo abito nero, come se non fosse mai stato trafitto. La lama dell’Elfo si polverizzò immediatamente. “C-come?”. Calimon rimase stupito, con il manico ancora in mano. “Ho promesso di non fare del male a nessuno, ma devo dire che tu sai essere incredibilmente fastidioso…mi hai rovinato l’abito, hai visto?”. Soggiunse adirato Ehumiel, scrutando il tessuto lacerato del suo abito. “Ti taglierei la gola volentieri, ma dal momento che non mi è possibile, ringrazia gli Dei per quello che ti concedo!”. Il Demone lo avvolse tra le sue ali, e in breve tempo Calimon cadde a terra in un tonfo.

***

 

Le prime luci dell’alba erano ancora assai lontane, nonostante la coltre della notte stava cominciando a schiarirsi, in sfumature verdognole e azzurrine. Le secche strade battute dal gelido vento autunnale, erano silenziose e vuote, mentre il paesaggio circostante sembrava morto. Una folta nebbia cominciò ad addensarsi su Oldrid, nascondendo le case e persino i grandi edifici. Un’ombra veloce viaggiava immersa in quella foschia, non poteva che essere lui, Luthien. Aveva atteso questo momento, per ingannare tutti, e fuggire verso l’ignoto. Ma prima doveva portare a termine una promessa. Giunse col suo nero destriero dinanzi alla cattedrale, una densa aura a lui familiare, avvolgeva l’intero edificio. Con un salto scese da cavallo, e accompagnò la bestia di fronte al portone, lasciandola brucare i ciuffetti d’erba che crescevano in mezzo alle mattonelle. Il portone era socchiuso, vi entrò senza temere nulla e a passò veloce percorse l’intera cappella, facendo attenzione a non calpestare i corpi accasciati a terra delle serve e dei cavalieri. Si avviò per una rampa di scale, che lo portò dritto per i piani superiori, e si ritrovo in uno stretto corridoio in pietra. Accese una torcia, e si fece strada, seguendo l’aura demoniaca che si faceva via via sempre più intensa, finché non giunse ad una stanza con la serratura della porta sfondata. Scorse per prima la creatura alata, che era voltata di schiena mentre scuoteva ad ogni poco le ali, nel frattempo che era rivolta a contemplare il paesaggio al di fuori della finestra. “Credevo che non avresti usato la violenza.”. Soggiunse il Principe-Elfo con sarcasmo, il Galb si voltò. “Sapevo che me l’avresti detto! Ma devo darti una delusione, è stata tutta colpa di quel maledetto belloccio-biondo che voleva mostrarsi tanto cavaliere!”. Disse indicando il corpo di Calimon, che giaceva a pochi passi dalla porta. “Non avrei mai pensato che il Fratello di Eledhwen fosse tanto schiocco da abbassare la guarda con un Demone…”. Ehumiel lo interruppe. “Ehi! Non sono un insulso Demone! Sono uno dei più grandi Angeli Caduti ed è stato tanto per me, essermi trattenuto dal tagliarli la gola! Se avessi voluto, l’avrei ridotto ad un ammasso di carne ed ossa in poltiglia! Altroché se l’avrei fatto…”. Rispose con un ghigno. Luthien trattenne una risata con sorriso, e si avvicinò al corpo dell’Amata. Il suoi fini lineamenti si erano composti in un’armoniosa espressione, era ancora più bella di quando l’aveva vista l’ultima volta. Era cambiata certamente, ma senz’altro aveva mantenuto quella innocenza che la ricordava ancora quando lei era ragazzina. Gli si inginocchiò di fianco e prese ad accarezzarle le morbide guance rosate, scostando alcune ciocche di capelli, che le coprivano i contorni del viso. “Eledhwen…sei bellissima.”. Bisbigliò. Il Demone fece finta di non sentire, in un primo momento, ma pensando che la cosa sarebbe andata per le lunghe, soggiunse. “La devo risvegliare?”. Chiese in tono cinico. “Vorrei che si risvegliasse domani, tra le mie braccia, alle prime luci dell’alba quando saremo abbastanza lontani da questo posto…”. Il Demone scrutò fuori dalla finestra, e disse. “Beh, allora sarebbe bene che partissi! Mancano meno di quattro ore all’alba!”. Luthien prese tra le braccia Eledhwen, e fece un cenno di riconoscimento al Demone. “Ci rivedremo presto Ehumiel, insieme agli altri…”. Si voltò in avanti, e senza guardasi tanto indietro, si incamminò con la sua Amata tra le braccia. Presto avrebbe rivisto i suoi ipnotizzanti occhi viola, avrebbe risentito la sua candida voce…e avrebbe potuto riaverla tra le braccia, ma questa volta non per asciugarle le lacrime, ma per condividere la sua felicità con lei.

***

 

 

*Adramelch, c’è anche un gruppo Heavy Metal italiano che si chiama così…ma non ho preso da qui il riferimento >.< E’ un grande demone cancelliere degli Inferi, capo dell’alto consiglio dei Diavoli ed è l’ottavo dei dieci Arcidiavoli. Governa i Samael, demoni battaglieri.

*Samael, è uno dei 72 demoni citati nel libro di demonologia del ‘600: ‘La Piccola Chiave di Salomone’ detto anche ‘Lemegeton Clavicula Salomonis’. Samael è un demone minore, secondo gli ebrei era spesso raffigurato come Angelo della Morte, poiché era un accusatore del genere umano. Tuttavia il suo allineamento è neutrale, leggermente tendente al male (essendo pur sempre un demone).

*Mae govannen, secondo un sito di frasi elfiche, dovrebbe essere la traduzione di ‘Ben trovato’. L’iniziativa di usare qualche parola in elfico, mi è venuta in mente dal fatto che stavo cominciando ad abituarmi troppo a scrivere ‘…e disse in elfico’ ecc…sembrava troppo monotono! >.<

*Assiah, è uno dei quattro mondi ‘materiali’ secondo la Qabbalah, e corrisponde al Mondo dei Vivi. L’ho appreso da un manga che mi passa una mia amica (Angel Sanctuary). I miei ringraziamenti alla Vale *.*

*Ehumiel, appartiene alla seconda categoria di Angeli Caduti, raggruppati secondo i Cabalisti.

*Galb, sono i demoni incendiari. Spiriti di collera diretti da Asmodeo e Samaele nero. Appartengono principalmente al culto della religione ebraica, e secondo le gerarchie demoniache, sono subordinati alla V categoria.

 

   
 
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