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Autore: Mue    06/01/2016    2 recensioni
La partenza di Dana per l'università è imminente quando il padre le comunica di aver sventatamente venduto l'appartamento in cui vivono a un vecchio e ricco impresario di città.
Dana, caustica e dall'arrabbiatura facile, ha così l'occasione di scontrarsi con Max, il lusinghiero, contraddittorio e spocchioso nipote del suo nuovo proprietario di casa.
Il loro incontro sarà solo l'inizio di una serie di vicende e personaggi che li porteranno a ritrovarsi e scontrarsi di nuovo sullo sfondo magico e affascinante di Venezia.
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«Salve, Dana. Tutto bene?»
Dana aprì la bocca. Poi la richiuse. Poi la riaprì. «Max?»
«In carne, ossa e tutto il resto, come puoi constatare» rispose lui con un sorriso scintillante.
Il Vetril, pensò subito Dana, senza alcuna logica.
Lo squadrò da cima a fondo, ancora un po’ stordita. «In carne, sigarette e Armani, vorrai dire» osservò critica.
«No, Versace.»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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II.

MARTINI E CIOCCOLATO

 
 
 
 
«COSA?!» sbraitò Elia.
«Che diavolo urli? Non ti ho mica detto che voglio buttarmi nel lago!»
«Quel giorno sarebbe eletto come festa nazionale per tutta Italia! L’acidissima e disfattista Dana Maniani che finalmente libera il mondo dalla sua presenza! Dicevo, davvero ci hanno invitato al cinque stelle a trovarli?»
Dana fece una smorfia al fratello. «Ma allora sei duro di comprendonio! Mi hanno detto che se volevamo andare a trovarli eravamo i benvenuti. Ma era solo un modo educato di salutare, non ci hanno invitato davvero.»
«E chi te lo dice? No, aspetta, fammi indovinare» disse, bloccandola mentre gli stava per dare una rispostaccia. «Il tuo intuito da algidissima single imperitura? Allora posso tranquillamente dubitare.»
Dana gli schizzò addosso una manata di schiuma dal lavandino. Stavano lavando i piatti in cucina -per la precisione lei lavava, lui faceva finta di asciugare ma in realtà stava fumando, fregandosene altamente del suo compito.-
Elia protestò vivacemente tastandosi la T-shirt inzuppata. «Ehi, è la mia maglietta preferita!»
«E sai quanto me ne frega?», ribatté Dana.
«Se continui ad andare avanti di questo passo non mi stupisce che non riesci mai a trovarti un ragazzo», disse lui malevolo.
«Se continui ad andare avanti di questo passo non so come farà una qualsiasi donna a sopportare uno sfaccendato come te», replicò Dana.
«Se continuate ad andare avanti di questo passo sarà davvero un piacere sbattervi fuori di casa appena comincerà l’università ed avere un po’ di pace!», disse il loro padre dal salotto, mettendo fine alla discussione.
Elia e Dana finirono diligentemente il loro compito e raggiunsero il genitore davanti alla televisione.
«Chi sta vincendo?», chiese Elia.
Dana sbuffò: calcio, sempre calcio. Proprio non riuscivano a capire che la parola «sport» includeva anche altre attività fisiche oltre al rincorrere un pallone rotolante?
«Perché non giri sul settimo canale? Ci sono gli europei di karate», tentò senza troppe speranze.
Le occhiate incredule e indignate che i due le lanciarono, nemmeno avesse appena annunciato di voler far loro sorbire Tre metri sopra il cielo o roba simile la fecero desistere.
«Fate come vi pare, vado a guardarlo da qualcun altro», borbottò alzandosi.
«Le chiavi di casa sono sopra il cassettone», la informò il padre senza staccare gli occhi dallo schermo.
«Grazie per l’interessamento», rispose lei sarcastica. 
Niente, nessuno diede cenno di sentirla, ormai erano caduti entrambi in quel catartico limbo maschile che era il calcio. Sbuffando, si chiuse in bagno, si fece una doccia rapida e si vestì in modo presentabile. «Mi raccomando, non aspettatemi svegli e non preoccupatevi troppo per me», ironizzò mentre usciva, vedendo le facce ebeti dei due incollate alla partita.
 
 
La piccola cittadina dove abitava era un bel posto: il sabato sera si riempiva di ragazzi che affollavano i bar e passeggiavano su e giù sul lungolago o sulla via interna e, fattore importante, gli stormi di piccioni erano tutti a dormire, quindi non rischiavi bombardamenti aerei da un momento all’altro. Anche l’aria insopportabilmente afosa delle giornate estive dopo il tramonto si raffreddava piacevolmente. 
Dana s’incamminò per la discesa che da casa sua portava in centro, oltrepassò il bar dell’angolo, già ricolmo di un discreto numero di crocchi di persone piene di piercing,  capelli dai colori improbabili, magliette di gruppi metal e roba da fumare non identificata -Elia li aveva rinominati "i Mohicani"- e approdò alla via principale. Non aveva chiamato nessuno per uscire: sapeva che le tre amiche che aveva erano coi rispettivi ragazzi e di fare il reggimoccolo non aveva proprio voglia; quanto a tutte le altre sue conoscenze... be', alla maggior parte di loro Dana avrebbe preferito una colonscopia, quindi si tenne alla larga da tutti i bar più popolari tra la gente del suo ormai ex-liceo. 
Sul lungolago s’infilò nella gelateria dell’angolo, praticamente deserta; quella in fondo alla strada, a dire il vero, faceva gelati molto più buoni, ma considerando la coda chilometrica che ci trovava sempre il sabato, preferì un posto dove sedersi ed essere servita subito. Il Riva era un locale abbastanza elegante, con un grande bancone di marmo e un’immensa vetrina con gusti di tutti i tipi. Dettaglio trascurabile per Dana, che, puntualmente, ordinò un’enorme coppa di solo cioccolato. Mentre aspettava, con l’acquolina in bocca, si girò a guardare fuori la gente che passava, quando una figura alta e vagamente familiare entrò dalla porta.
«Ciao», fece appena la vide.
«Ciao», rispose Dana immediatamente. 
Sì, era proprio lui: Massimo. Anzi, Max, si corresse.
«Dana, giusto?», chiese lui con un sorriso, facendo tintinnare le chiavi dell'auto che aveva in mano. Dana non ne riconobbe la marca ma era pronta a giurare tutti i suoi cappelli che non era una Fiat Panda. 
«Esatto» disse alzando un pollice. «E tu sei Max.»
Lui annuì, poi vide la coppa di gelato che la ragazza del bar aveva riempito e spinto verso di lei e inarcò un sopracciglio. «Ma tu vai avanti solo a cioccolato?»
Dana, che si irritava facilmente, assunse subito un tono polemico. «E tu solo a sigarette oppure ogni tanto ti riempi anche lo stomaco di qualche cosa di insano, oltre che i polmoni?»
Max sorrise. «Penso che tu abbia ragione.» Si rivolse alla barista con un sorriso scintillante. «Mi fai un Martini Bianco?»
La ragazza annuì e si affrettò con foga alla zona drink, neanche le avesse fatto un’ordinazione il Presidente della Repubblica. Lui sorrise compiaciuto e si sedette accanto a Dana. «Tu non bevi niente?»
Lei fece spallucce. «L'avrei fatto, ma preferisco non umiliarmi chiedendo una spremuta d'arancia dopo la tua sofisticata ordinazione.»
L'altro rise. «Non apprezzi i cocktail?»
«Non apprezzo l'ostentazione» replicò lei serafica.
Max inarcò un sopracciglio. «Ah, è così? E da cosa desumi che non l'abbia ordinato per il semplice motivo che sia di mio gusto?»
«Non l'ho desunto. Lo so e basta» fu la risposta di Dana, detta in tono di sfida.
Max rise di nuovo ma invece che replicare tacque e osservò Dana; la sua mancata risposta la punse sul vivo e si volse di nuovo verso il gelato, ignorandolo.
«Buono?», domandò lui di punto in bianco.
Dana lo scrutò da cima a fondo, sospettosa. «Perché?»
«Era solo una domanda. Sai, per fare conversazione», rispose lui, divertito dalla sua diffidenza.
Dana si accigliò e ingranò il cervello per dargli una risposta a tono. «Com’è che avete voluto comprare casa proprio qui?», cambiò argomento leccando il suo cucchiaino.
Max la fissava con due occhi strani, come se stesse cercando di leggerle il pensiero. «Perché?»
«Era solo una domanda per fare conversazione», osservò in tono casuale Dana.
Lui ridacchiò. «Okay, uno pari. Facciamo una tregua?»
Dana fece un'espressione innocente. «Tregua? Non siamo mica in guerra.»
La barista arrivò in quel momento con il bicchiere per Max, che pagò senza parlare.
«Spero che il gusto sia degno del suo nome altisonante», disse Dana, incuriosita dall'aspetto raffinato del cocktail.
Max sorrise e glielo porse. «Lo è. Prova.»
«Io non bevo alcolici», chiarì subito Dana, rifiutando con un gesto.
Lui si accigliò. «E allora perché mi hai chiesto se è buono?»
«Non te l'ho chiesto. Ho solo detto che spero sia buono», replicò Dana.
Max alzò di nuovo un sopracciglio. «Di solito quando si commenta qualcosa che l'altro si accinge a bere o mangiare, è implicito che si voglia assaggiare.»
«Ah sì? Quindi prima volevi un po’ del mio gelato?»
Max rise. «Sei una tipa strana, lo sai?»
Dana scrollò le spalle. «Me lo dicono spesso.»
«Forse perché è vero», insinuò lui, mandando giù un sorso.
Stavolta fu Dana a non ribattere: il fatto di essere diversa dalle altre ragazze, lungi dal non disturbarla, l'aveva anzi sempre resa fiera ma non voleva passare per una vanesia alternativa quindi tacque e si godette quello che, anche se da lui poteva essere un'affermazione sprezzante, per lei era un autentico complimento.
Fece tintinnare il cucchiaino sul fondo della coppa, un vizio che aveva fin da piccola: le dava una sensazione piacevole, evocava lo stomaco gradevolmente pieno di qualche cibo succulento dopo aver vuotato il piatto fino all'ultima briciola.
«Posso chiederti una cosa?», chiese a un certo punto Max, i cui occhi Dana s'era sentita addosso per tutti quei minuti mentre stavano in silenzio a osservare la gente passare dall'altra parte del bar, fuori dalla vetrata.
«Se non è matematica, fai pure», rispose Dana senza distogliere gli occhi dal cucchiaino.
Con la coda dell’occhio gli vide le labbra fremere in una risata repressa. «Ma tu sei sempre così acida o nel gelato che hai mangiato stamattina c’era yogurt scaduto?»
Dana fece una smorfia. «Prova a vivere con un tipo come mio fratello e in una casa di soli uomini per diciassette anni filati e se non diventi acida vuol dire che ti sei trasformata in un uomo anche tu.»
«Perché, tua madre dov’è?»
«Morta», rispose Dana laconica.
Ci fu una pausa di silenzio.
«Mi dispiace.»
Dana scosse le spalle di nuovo. «Non me la ricordo nemmeno», disse indifferente. «Allora?»
Lui parve spiazzato. «Allora cosa?»
«La tua domanda. Quella vera», specificò con un sorriso.
Max posò sul bancone il bicchiere vuoto. «Era quella che ti ho fatto.»
Dana esitò, poi spinse anche lei la coppa vuota. «Allora la nostra conversazione è finita.»
Si alzarono in contemporanea e si diressero all’uscita insieme. Max la superò e aprì la porta, ma non la attraversà e si mise di lato con un cenno elegante per farla uscire per prima.
Dana rimase colpita. «Grazie», balbettò.
Un lampo negli occhi di Max la fecero pentire di essersi fatta sorprendere. «Prego.»
«Educazione borghese?», chiese lei uscendo.
Lui ammiccò. «No, si chiama "cavalleria." Mai sentita?»
Dana sorrise. Okay, che avesse la battuta pronta doveva ammetterlo. «Credo che quella parola sia sconosciuta ai dizionari della maggior parte dei maschi che conosco.»
«Suppongo di sì, o non saresti così mordace. Ci vediamo in giro. Buona serata.»
E, congedandola così su due piedi, si voltò e se ne andò. Dana gli fissò le spalle larghe, coperte dalla camicia Armani da quattrocento euro minimo e non riuscì a trattenersi.
«Max!», lo chiamò.
Il ragazzo si voltò. «Sì?»
«Un vero cavaliere dovrebbe anche fare il baciamano alle signorine o sbaglio?» lo canzonò.
Lui fece quel suo sorriso che sembrava mandare più luce di tutti i lampioni lì vicino. «Può darsi, ma qui di signorine non ne vedo.»
E se ne andò.
Dana si incamminò nella direzione opposta, accigliata. Non era educato, si corresse; anzi, era una grande, grandissima carogna.
 



Note:
Man mano che posto la storia sto cercando di correggerne la versione originale ma si sta rivelando un compito piuttosto arduo. Ci sono interi pezzi che riscriverei o interi eventi  che cambierei ma se lo facessi anullerei totalmente l'intento originale con cui scrissi questa storia, ovvero quello di creare qualcosa di leggero, con poca introspezione psicologica e tanta azione, e con una protagonista atipica e probabilmente anche antipatica.
Spero, comunque, che nella sua "antipatia" vi riesca a incuriosire e spingervi a seguirla perché ne succederanno delle belle. Intanto che impressione ne avete avuto? Credete che ci voglia qualche descrizione psicologica in più? Aspetto le vostre opinioni o suggerimenti.

Mue
   
 
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