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Autore: Elissa_    06/01/2016    1 recensioni
La 30 days OTP Challenge versione Johnlock. Aspettatevi tanto fluff e le occasionali AU.
Day 1 -Holding hands (high school AU, ovvero Quella Volta In Cui Sherlock E John Origliarono. Dentro Un Armadio.)
Day 2 -Cuddling somewhere (established relationship, o In Cui Sherlock Holmes E' Un Polipo (E A John Non Dispiace Per Nulla))
Day 3 -Watching a movie (parentlock, o Delle Epifanie Tardive Di Sherlock Holmes)
Day 4 -On a date (post-molto-post-s3, developing relationship, o Le Cose Che Non Cambiano)
Day 5 -Kissing (retirementlock o Di Quella Volta Che John Fece Gli Auguri A Sherlock A Mezzanotte)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Possibili avvertimenti: retirementlock super self-indulgent (no, seriamente, non è quantificabile quanto sia self-indulgent questa fanfiction) con hints di parentlock (nello stesso universo di questa roba qui, ma leggibile anche senza se tenete a mente che Gloria Scott è il nome che darei ad un'eventuale Pargola Watson cresciuta da John e Sherlock). Vorrei sottolineare che c'è la menzione velatissima blink-and-you'll-miss-it delle tendenze suicide che sembrano avere sia John che Sherlock in ASiB. Il tutto, per festeggiare il compleanno del nostro amato Sherlock. (E giuro che si mantiene fluff!)
Ci si vede alla fine della shot per le ulteriori note.


Quando si passa larga parte della propria vita a dormire meno di sei ore per notte, si immagina che, una volta andati in quella che è una -più che ben meritata- pensione, si recupererà il tempo perduto; d’altronde, si dorme solo da morti e tutte queste cose qua, e cos’è la vecchiaia se non il passo più vicino alla morte? E invece, alle 23:50 di quella che potrebbe sembrare una banale nottata di Gennaio, alla veneranda età di 63 anni e mezzo -che sembrano pochi solo quando non si è passata la vita a rincorrere criminali- John si ritrova a leggere un libro, disteso a letto per evitare il mal di schiena, ad attendere lo scoccare della mezzanotte come un bambino alla Vigilia.
È un bel libro, quello che sta leggendo, uno di avventure e misteri come non se ne vedono più, e John si sente un po’ in colpa quando si ritrova a notare questa o quella imprecisione di cui è costellata la narrazione, ma ormai è una seconda natura. Sbuffa, irritato da se stesso, e osserva l’orologio (23:56), ché questa, nonostante tutto, non è una notte normale, e John lo sa bene. Perciò, con meticolosa cura, infila il segnalibro nel libro e ripone il tutto sul suo comodino, come tutte le notti. Non spegne l’abat-jour, non accende la luce: si muove nella penombra. Mette le pantofole, circumnaviga il letto (detesta profondamente il fatto che il suo lato sia quello lontano dalla porta, gli impedisce di affrontare eventuali pericoli per primo, ma dopo cinque anni in questa casa, ci ha quasi fatto l’abitudine) e scende le scale, al buio, guidato solo dalla luce soffusa dietro di sé e da quella che proviene dal piano di sotto. Fa il minimo rumore possibile, nella speranza di non essere udito, e segue la luce, attraversando l’ingresso e la sala, ancora addobbati per le feste -non molto, l’indispensabile perché Gloria e i bambini non si sentissero a disagio- per approdare in cucina, dove trova Sherlock, chino sul tavolo, che osserva qualcosa al microscopio. John è tentato di fargli notare che non può lamentarsi dei mal di schiena se poi a mezzanotte, con il freddo umidiccio che nemmeno i condizionatori riescono ad eliminare, si mette in questa posizione. Se John glielo dicesse, finirebbero per battibeccare come al solito, a rimproverarsi le reciproche cattive abitudini, perché sono due vecchi che vivono assieme da decenni. E John glielo direbbe davvero, perché ce l’ha sulla punta della lingua ed è già pronto a discutere con un sorriso mentre mette su il the, ma è già il primo minuto del sei Gennaio e loro sono qui, e hanno superato prima i quaranta poi i cinquanta e poi i sessanta, insieme, nonostante nessuno dei due pensasse di sopravvivere al 2010, e improvvisamente si sente così grato alla vita che accoglierebbe volentieri gli acciacchi lui stesso.
Sherlock alza la testa, finalmente; lo fissa, e il suo sguardo curioso è lo stesso di quando aveva 34 anni e gli ha letto il passato nel corpo -ignorando di tenere il futuro nelle sue mani. Ci sono tante rughe di espressione, su quel viso, e i capelli hanno perso il loro peculiare color corvino diversi anni fa, ma John è grato, è immensamente grato di aver visto ognuno di questi cambiamenti, perciò, senza dire una parola, attraversa la cucina e lo bacia, con la stessa deliziata meraviglia all’idea di poterlo fare, quiadessoeora, del loro primo bacio. Gli afferra il viso tra le mani, e imprime le sue labbra su quelle dell’altro uomo, e poi risale su a baciargli la fronte, la tempia, lo zigomo e di nuovo le labbra, stavolta con più decisione, finché Sherlock non cede alla sua insistenza e lo lascia entrare. Ed è un bacio antico, come se esistesse dalla notte dei tempi, come la sensazione di tornare a casa e respirare a pieni polmoni l’odore delle proprie cose. Sente le mani -gelide- di Sherlock passargli sul collo, e il freddo metallico della fede ancora più pungente di quello dei polpastrelli che gli sfiorano l’attaccatura dei capelli. Non pare sorpreso da questo bacio, non più di quanto non lo sia regolarmente -perché John ha imparato, con gli anni, che l’unico modo sempre efficace per sorprendere il suo personale consulting detective è baciarlo- e ci mette il solito entusiasmo nell’esaminagli la bocca, quasi fosse parte di un esperimento.
 
(“Pensavo ti avrebbe stancato, prima o poi. Il sesso, le effusioni… insomma, queste cose” aveva confessato, una sera come tante. Erano stesi sul letto, nudi sotto le coperte; Sherlock aveva sollevato la testa, distratto dalla sua occupazione post-orgasmo del momento -riconoscere la posizione dei nei sul petto di John col viso affondato nel materasso e solo la memoria muscolare a guidarlo- e l’aveva fissato con gli occhi sgranati di un bambino con i capelli striati di grigio. “John, ogni incontro presenta un numero di variabili tali da renderlo praticamente irripetibile. È un modo straordinariamente interessante per raccogliere dati, e rilascia endorfine. Come potrebbe stancarmi?”
“E poi” aveva aggiunto, stavolta guardando ostentatamente la testiera del letto “è con te” aveva terminato, come se servisse a spiegare tutto.)
 
Si separano dopo un tempo irrisorio, perché il fiato non è più quello di un tempo, ma Sherlock poggia la fronte sulla sua e lui lascia che una mano scivoli dalla guancia fino al collo e poi giù, a stringergli il fianco, e l’amore che prova è qualcosa di fiero e solido, come l’imponente statua di un leone.
“Auguri” mormora, a un soffio dalle sue labbra, e realizza dalla sua voce roca che è la prima parola che dice da quando è sceso, forse la prima da quando hanno finito di pranzare, e non perché si evitino, ma perché a volte le parole sono solo ingombranti accessori per gli sguardi e i gesti. Sherlock non ci prova nemmeno a parlare, ma gli regala un sorriso di comprensione che rende molto meglio il messaggio, e John a quel punto deve baciarlo di nuovo, perché hanno 62 e 63 anni e si capiscono senza parlare e John, fondamentalmente, è un ingordo e non vuole perdere nemmeno una goccia di questo miracolo che è il tempo regalato loro.
 
(Lui l’aveva sempre saputo che la pallottola aveva fatto centro e che i medici avevano quasi spento tutti i macchinari, perché era un medico e conosceva il rumore della morte su un tavolo operatorio, il silenzio che fa ronzare le orecchie a tutti. Che lei aveva voluto mirare per uccidere e c’era riuscita, che non aveva nulla a che fare con un’operazione chirurgica e le altre stronzate che avevano cercato di rifilargli entrambi.
Perciò l’aveva confrontato, con quel sorriso sbilenco di quando doveva trattenersi dal distruggere qualcosa; gli aveva ricordato che sapeva leggere una cartella clinica e sapeva riconoscere una ferita mortale quando la vedeva e “Con che coraggio mi chiedi di fidarmi di lei se ti ha ammazzato?” aveva chiesto, ma era sembrato un ringhio aggressivo persino alle sue orecchie, mentre percorreva la stanza d’ospedale di Sherlock come un animale in gabbia.
“Sono ancora qui, mi pare.”
“Già, per miracolo.”
“Non essere stupido, John, non c’entrano i miracoli o i poteri sovrannaturali. Non ero sicuro se fosse un pericolo o meno, ovviamente non potevo lasciarti da solo.”
E John era rimasto a boccheggiare in mezzo alla stanza, stringendo i pugni per ancorarsi a terra e non correre verso il lettino e fare qualcosa di idiota, come baciarlo.
“Ovviamente” aveva ripetuto, realizzando solo in quel momento quanto ognuno di quei secondi fosse realmente il più prezioso dei miracoli, unicamente per lui.)
 
“Vieni a letto” gli chiede, infine.
Sherlock occhieggia il microscopio con -John lo nota solo ora- un pezzo di lievito sul vetrino, e poi guarda lui, chiaramente tentato.
“Se domattina riordini tu” propone, e il baritono roco della sua voce lo distrae come la prima volta, come non smetterà mai di fare. Appena registra il significato della richiesta gli scappa una risata. Osserva il tavolo, dove oltre al microscopio c’è l’impasto di una torta lasciato a metà, un biscotto della pasticceria giù in paese, e della cioccolata. Un altro dei suoi esperimenti culinari, riflette: ultimamente sono una sua fissazione -e il giro vita di John, molto ammorbidito rispetto agli anni passati, ne è testimone.
Gli bacia l’angolo della bocca, ancora sorridente, e poi, a malincuore, si separa da lui, prendendogli la mano. “Andiamo a letto”, ripete, e quando Sherlock lo segue con un sorriso, John realizza di non essersi mai sentito così vivo in vita sua.


Note: l'ultima volta che aggiornavo questa Challenge, era Settembre e stavo aspettando i risultati del test della facoltà dei miei sogni. Turns out che a volte questi sogni si avverano e ti devi trasferire dall'altra parte del tuo mondo e il tempo per scrivere se ne va, insieme ai neuroni necessari per farlo. Perciò, eccomi qui, a chiedere disperatamente perdono per questo ritardo e sperare accettiate questa shot come dono.
E parlando della shot: prima di tutto i ringraziamenti vanno -come sempre- alle insostituibili
Chiara e Frà, che dovrebbero diventare sante per tutte le volte che le ho consultate nel corso della serata; poi, come è normale che succeda quando decidi di postare su Facebook una richiesta d'aiuto disperata, devo ringraziare Giusy, che ha sprecato tempo prezioso che avrebbe potuto usare per guardare TPLoSH per parlare con me; e Olimpia, che ha letto e i cui suggerimenti sono stati utilissimi.
Ogni orrore rimane mio, ma senza di loro sarebbe stata decisamente una schifezza più grande di ciò che è.

Volevo terminare queste note ringraziando chi legge, chi ha messo nei preferiti/nelle ricordate/nelle seguite, e chi ha recensito: senza di voi tutto questo avrebbe ben poco senso.
E infine, reitero i miei auguri a quell'uomo senza tempo di Sherlock Holmes: che tu possa avere, dopo 162 anni, una gioia (e un limone, che non guasta mai).

Per tirarmi pomodori in altri luoghi mi trovate su: ask, Tumblr, faccialibro.

 
  
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