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Autore: thebrightstarofthewest    06/01/2016    2 recensioni
Nella mia follia di fangirl, ho immaginato la mia versione della galassia lontana lontana trent'anni dopo gli avvenimenti narrati ne Il Ritorno dello Jedi. Questa è completamente diversa da Il Risveglio della Forza, senza quei personaggi, e con altri da me creati. Dal prologo:
"Trent’anni dopo la caduta dell’Impero, la Pace regna sulla galassia.
La Repubblica è rinata, nuovamente con sede su Coruscant, e grazie all’impegno dei suoi funzionari i pianeti vivono in una quiete e prosperità che da decenni non era che un miraggio.
Luke Skywalker, con l’aiuto della sorella Leia, decide di rifondare l’Ordine dei Jedi, nel quale decine di nuovi allievi si allenano per mantenere la giustizia nella galassia.
In questo clima di gioia, tutto sembra andare per il meglio… Eppure non tutti la pensano allo stesso modo. Tim, giovane Cavaliere Jedi, ha ragione di credere che qualcosa di oscuro si celi sotto il velo di tranquillità creatosi, e si reca nei bassifondi di Galactic City in cerca di risposte…"
Spero di avervi almeno incuriosito!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Han Solo, Luke Skywalker, Nuovo personaggio, Principessa Leia Organa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II - Incontri, bugie e scoperte

Fu un rumore indistinto a svegliarla, uno stimolo uditivo che dapprima le parve estraneo e confuso, ma che pian piano riconobbe come un mormorio piuttosto concitato.
Meera dischiuse le palpebre a fatica ed al principio non vide nulla. La luce le ferì gli occhi, costringendola a richiuderli di scatto. Tentò nuovamente di guardarsi attorno e stavolta cominciò a farsi chiarezza: come già aveva immaginato, non si trovava nella sua stanza. Al posto del familiare soffitto color ocra sotto al quale era solita svegliarsi, uno bianco come il latte la salutava dall’alto, dandole in qualche modo un senso di sicurezza.
Decise di mettersi a sedere, facendo leva sulle braccia, ma una improvvisa fitta di dolore alla spalla la costrinse a riabbassarsi. Annaspò, tentando di comprendere quale fosse l’origine di quella sensazione sgradevole… Poi i ricordi cominciarono a riaffiorare. Rivide con chiarezza il Cavaliere Jedi, la sua spada laser celeste, il suo sprinter e la loro folle fuga; poi un colpo di blaster l’aveva centrata in piena spalla e da quel momento era lentamente scivolata in una sorta di torpore a cui tutt’ora faticava a trovare una spiegazione razionale. A meno che quel ragazzo non le fosse davvero entrato nella testa…
Nuovamente udì il mormorio che l’aveva svegliata e tentò di comprendere da dove provenisse; certo, dalla posizione supina in cui si trovava, non era la più banale delle operazioni.
“Non era quello che intendevo e lo sai bene”, sbottò la voce di un ragazzo, infastidita.
Non era quello che intendevi? Vuoi forse farmi credere che avevi tutto sotto controllo?”, stavolta a parlare era stata una voce più modulata di donna; nel suo tono profondo si percepiva una grande esperienza e saggezza, ma anche una buona dose di carattere.
“Sì, esattamente”, controbatté il giovane, ironico. Meera strinse appena gli occhi, come per concentrarsi meglio nell’ascolto: che quell’uomo fosse Tim?
“Avere tutto sotto controllo significa avere un piano senza falle”, rispose asciutta la donna, “Non dare il via ad una rissa con un intero plotone di contrabbandieri. E per cosa, poi? Informazioni che neppure ci servono!”.
Prima che giungesse una risposta, Meera, con uno sforzo non indifferente, distese le braccia sottili, mettendosi così finalmente a sedere sul letto, e si lasciò crollare contro la spalliera con il fiatone. A quel punto le voci che aveva udito assunsero finalmente dei volti.
Si trovava in una stanza ampia e luminosa, con un’immensa vetrata che dava sulla città ed una grande vasca ricolma di liquido bacta proprio di fianco al letto. Davanti a lei, Tim stava in piedi, le guance appena arrossate di chi si è arrabbiato molto. Era la prima volta che lo vedeva chiaramente in viso. Accanto al giovane Jedi, una donna sulla cinquantina se ne stava impettita, ma con la fronte corrucciata. Se già Tim era minuto, lei era addirittura più bassa di lui, ed aveva una contorta capigliatura intrecciata a decorarle i capelli castani che ormai andavano sbiadendo in sfumature argentee. C’era qualcosa di familiare, in lei. Qualcosa che sul momento Meera non seppe spiegarsi.
“Ti sei svegliata”, constatò Tim, scuro in volto, e le concesse un sorriso tirato.
“Ti avevo detto di non gridare”, lo rimproverò la donna, lanciandogli un’occhiata torva. Poi il suo sguardo si posò sul volto di Meera ed allora si raddolcì. “Mia cara”, mormorò, sedendosi sul bordo del letto, “Mi sento nell’obbligo morale di informarti che, dopo esserti ferita durante la fuga, adesso ti trovi nell’ala infermieristica del Palazzo della Nuova Repubblica. E’ stato un gesto molto generoso da parte tua aiutare un Cavaliere Jedi. Come ti senti? La spalla fa male?”.
La ragazza non rispose subito. C’era qualcosa che le sfuggiva, ne era certa, ma proprio non riusciva a capire che cosa fosse. Lanciò uno sguardo nervoso a Tim, che però sembrava perso nei propri pensieri; a quel punto si girò nuovamente verso la sconosciuta ed annuì col capo. “Sì, abbastanza”, ammise, “Ma credo sia naturale”.
La donna le sorrise. Aveva un bellissimo sorriso, che le illuminava il volto ricolmo di piccole rughe d’espressione e le faceva brillare gli occhi scuri. “Anche io, quando ero un po’ più grande di te venni colpita da un blaster. Non fu piacevole, ma vedo che non sei il tipo di persona che si piange addosso”.
Non lo era? In realtà Meera non ne era così ciecamente certa.
“Comunque”, continuò l’altra, prendendole una mano tra le sue, “Permettimi di presentarmi. Io sono Leia Organa Solo, rappresentante al Senato del Concilio dei Jedi”.
Per un attimo fu come se i suoi polmoni fossero prosciugati dall’aria: Leia Organa Solo? Quella Leia? Le sembrava impossibile. La principessa Leia di cui tanto si parlava in tutta la galassia era stata una dei protagonisti della Ribellione, che aveva permesso in prima persona di rovesciare il potere dell’Impero. Era una donna che aveva avuto il coraggio di mettere tutta la propria vita in gioco e, nonostante avesse perso la propria famiglia ed il proprio pianeta, aveva continuato a combattere, fino alla vittoria. Dopo il trionfo era stata addestrata alle misteriose vie della Forza dal suo fratello gemello, Luke Skywalker, ed insieme avevano rifondato l’Ordine dei Jedi. Era per tutti un esempio da seguire, una figura quasi leggendaria e, per molti, anche la legittima regina di Alderaan, sebbene fosse stato spazzato via dalla Morte Nera.
Leia dovette accorgersi che Meera era rimasta esterrefatta ed il suo sorriso si dischiuse e distese ancora di più. “E tu sei…?”, le domandò, probabilmente per metterla a proprio agio.
“Meera, Meera Russell”, mormorò la ragazza, inciampando sulle parole. La sola idea di essere di fronte ad un’icona di quel livello la metteva in soggezione: e se avesse detto qualcosa di sbagliato?
La senatrice annuì col capo, abbassando gli occhi. “Come immaginavo”, sillabò piano, “Quando Timothy mi ha comunicato il tuo nome ed i Russell hanno denunciato l’improvvisa scomparsa della loro unica figlia nell’underworld ho fatto uno più uno, ed ho compreso che si dovesse trattare di te. Li chiamerò personalmente e li informerò che stai bene. Ne saranno sollevati”.
Inizialmente non comprese a chi si riferisse quando nominò ‘Timothy’, poi, vedendo Tim che sbuffava vistosamente di fianco al letto, realizzò.
“Sì, tutto molto bello e toccante”, esclamò il ragazzo, la voce intrisa di sarcasmo, “Una famiglia felice che si ritrova. Adesso, puoi considerarmi un istante?”.
Meera si domandò perché diamine si stesse riferendo a lei in quel modo. Che gli aveva fatto di male? Fece per biascicare una risposta, confusa, ma la senatrice la precedette. Allora capì: con quel tono strafottente non si stava indirizzando a lei, ma a Leia. Inarcò le sopracciglia, tanto perplessa quanto sorpresa.
“Timothy, ci siamo già detti tutto quello che dovevamo dirci, io e te. Hai contravvenuto ai miei ordini, hai agito di tua iniziativa e con il tuo amico avete preso la nave di tuo padre senza alcun permesso. Non ho intenzione di  punirti, finché rimarrai su Coruscant, ma farò sì che, una volta tornato all’Accademia, tuo zio prenda provvedimenti per il tuo comportamento. Non ti abbiamo tagliato la treccia da padawan solo per vederti far danni in giro per la galassia”.
L’intensità delle parole era cresciuta, pian piano, ed adesso la senatrice sembrava furiosa. Dal canto suo, Meera era piuttosto confusa: le minacce proferite in quella ramanzina sembravano così accorate che la sensazione che qualcosa le sfuggisse si acuì notevolmente.
Tim si passò la lingua sulle labbra. “Allora”, cominciò, con un tono compassato e quasi scanzonato che irritò la ragazza, “Prima di tutto, non tirare Grym in mezzo a questa storia. Lui non voleva averne niente a che fare, sono stato io a convincerlo”. Fece una pausa, come se si attendesse di essere interrotto. Quando ciò non accade, proseguì. “Secondo, avevo le mie buone ragioni per fare ciò che ho fatto. Ma tanto tu e papà non volete ascoltarmi”.
In quel medesimo istante, la porta scorrevole della stanza si aprì con un rumore secco e sulla soglia, la fronte corrucciata e le mani chiuse a pugno, apparve un uomo dai capelli grigi scompigliati e gli occhi nocciola che immediatamente saettarono rivolti a Tim. Quello, per tutta risposta, sbuffò nuovamente e rivolgendo lo sguardo verso l’alto, imprecò a denti stretti.
Tu!”, esclamò imbestialito il nuovo arrivato entrando a passo militare nella camera e puntando l’indice con fare accusatorio verso il giovane Jedi. Gli si parò davanti e Meera notò che, nonostante fosse molto più anziano di lui, lo sconosciuto superava Tim di almeno quindici centimetri in altezza. Era piuttosto perplessa, ma rimase zitta: aveva la netta impressione di trovarsi nel bel mezzo di una faida con cui non aveva nulla da spartire, ma certamente non poteva alzarsi ed andarsene. Optò per rimanere immobile ad osservare l’evolversi della situazione.
“Sei fortunato che non abbia portato con me Chewie”, continuò l’uomo, marcando ogni parola con forse eccessiva furia, “Perché se lo avessi fatto…”.
“Cosa?”, domandò retoricamente Tim, “Mi avrebbe staccato le braccia? Sono ventiquattro anni che me lo dici, prima o poi accadrà davvero, immagino”.
“Non eri mai arrivato a prendere il Falcon senza permesso. Questa volta non la passi liscia”, controbatté l’altro. Il Falcon? Che parlasse del Millennium Falcon? Se fosse stato così, allora…
“Muoio di paura, papà!”, rise Tim, dandogli una pacca sulla spalla. Leia scattò in piedi, frapponendosi tra i due. “Han! Timothy!”, gridò, con un’autorevolezza che sembrava impossibile una donna così piccola potesse avere, “Smettetela di bisticciare come bambini”.
Han? Han… Solo? Quel Han Solo? Il contrabbandiere che si era sacrificato per la causa dei Ribelli e che con il suo carisma era stato una pedina fondamentale nella lotta all’Impero, dalla distruzione della prima Morte Nera alla battaglia di Endor? Poteva significare soltanto una cosa…
Leia si girò verso Han e gli posò le mani sottili sul petto, cercando il suo sguardo. A quel tocco delicato, l’uomo parve notevolmente acquietarsi. Dopotutto, a quanto ne sapeva Meera, erano sposati da poco meno di trent’anni e nonostante si mormorasse di continui bisticci tra i due, erano sempre rimasti l’uno di fianco all’altra.
Vedendo i tre accanto, adesso, Meera comprese perché sin dall’inizio aveva percepito qualcosa di familiare nei lineamenti di Leia: erano esattamente quelli di Tim. Avevano le stesso naso, lo stesso mento sottile, le stesse sopracciglia scure. Gli occhi del giovane però, ammiccanti e spavaldi, sembravano decisamente essere quelli del padre.
“Avrai modo di discutere con tuo figlio più tardi”, gli disse, sfiorandogli la guancia, “Non mi sembra il caso di far sapere a tutti delle sue bravate”. E con quelle parole, ammiccò con un cenno del capo verso Meera. Il comandante Solo sembrava non averla notata; si girò verso di lei, perplesso, e vedendola per la prima volta le rivolse un sorriso sgangherato, seguito da un gesto imbarazzato della mano.
“Ormai la ragazza si sarà certamente abituata ai gossip della famiglia Solo-Skywalker”, sogghignò Tim, “Un po’ come l’intera galassia”.
“Hai poco da scherzare, tu”, borbottò Han, puntandogli nuovamente l’indice contro. Meera non era bene sicura se quella scena la faceva ridere o la lasciava perplessa.
“Avanti, andiamo, lasciamo la ragazza a riposare”, mormorò Leia, trascinando il marito per il colletto della giacca, “Così potrò contattare i suoi genitori e dir loro che hanno una figlia davvero coraggiosa”. Le rivolse un sorriso, poi aprì la porta e fece cenno a Tim di seguirla. Quello scosse il capo.
“No, io rimango”, le disse, pacatamente, poi, prima che la donna potesse protestare, protese avanti le braccia, “Non farò confusione, lo prometto, mammina. Voglio soltanto scambiare due chiacchiere con Meera. Siamo compagni di sventure, dopotutto”.
La Senatrice Organa Solo parve piuttosto stupita dalla richiesta, ma, senza dire una parola, uscì dalla stanza. Han Solo la seguì, non senza aver scoccato un’occhiata velenosa al ragazzo. Per tutta risposta, Tim gli sorrise e gli fece l’occhiolino.
La porta si richiuse ed i due rimasero soli. Meera non riusciva a staccare il proprio sguardo pieno di curiosità ed interrogativi dal giovane Jedi che, sempre vestito interamente di stoffa nera, come quando lo aveva visto la prima volta, stava appoggiato alla finestra, la mano posata distrattamente sulla cintura dove la spada laser penzolava, all’apparenza innocua.
“Devi scusare i miei genitori”, le mormorò distrattamente, “Sono vagamente teatrale. Mia madre, poi, poteva chiamarmi nel suo ufficio, invece di venire fin qui per litigare”.
Meera lo osservò con perplessità: cosa poteva volere da lei? A tratti, mentre discuteva con Leia, nemmeno l’aveva degnata di uno sguardo, ed adesso sembrava più che intenzionato a parlarle.
“Oh no”, esclamò improvvisamente il giovane, con un sogghigno. Anche la bocca era quella di suo padre, a quanto pareva. “Conosco quella faccia, piccoletta”. Meera alzò un sopracciglio, interrogativa. Lui rise. “E’ la classica faccia da ‘oh diamine, mi trovo davanti al figlio dei due ribelli più importanti dell’intero universo, nonché nipote del fondatore del nuovo Concilio dei Jedi… cosa dovrei fare? Come devo comportarmi? Cosa potrà mai volere uno così da me?’”.
Le guance di Meera si arrossarono appena. Tim aveva decisamente colto nel segno.
“Ebbene sì”, continuò lui, come se non avesse notato la sua reazione, “Sono Timothy Solo, ma credimi, non sono niente di speciale: ho ereditato da mia madre la mia modesta altezza e da mio padre il carattere… complicato. Il mio sangue non mi concede alcun diritto. Quindi, ti prego, comportati con me nel modo che ritieni più giusto: se pensi che sia un idiota –ed avresti ragione di crederlo-, insultami pure; se ti sono un po’ più simpatico… Beh, che ne so, almeno sorridimi”.
Meera ricordò come il giovane Jedi le fosse gentilmente entrato nella mente mentre era ferita e si domandò se adesso non stesse facendo lo stesso. Aveva colto al volo i suoi pensieri e ciò la turbava.
“Uno Wookiee ti ha mangiato la lingua?”, domandò lui, avvicinandosi al letto.
“Scusa”, balbettò frettolosamente lei, “Ero… distratta e turbata”. Cambiò leggermente posizione nel letto, imbarazzata. “Per caso tu mi leggi la mente?”, chiese, arrossendo di nuovo.
Timothy sgranò gli occhi, senza smettere però di sorriderle. La ragazza non riusciva a capire se la prendesse in giro o tentasse di metterla a proprio agio.
“Non posso leggerti la mente, piccoletta”, le assicurò, “Perché questa domanda?”.
“Beh, non lo so… Durante la fuga, ho sentito la tua voce, nella mia testa. Sapevo che eri tu, anche se era tutto confuso. E quindi mi chiedevo se non stessi facendo lo stesso adesso”.
“No”, sorrise lui, gli occhi leggermente sognanti, “Non funziona così la Forza. Se fossi mio zio Luke, forse adesso potrei leggerti la mente, comprenderla ed analizzarla. Egli è impassibile e dall’animo puro, non sente le cose, ma l’essenza che fluisce in esse, tra esse… Ma scusa, sto divagando. Io sono da poco uno Jedi, sono impulsivo e spesso stupido… Ciò comporta che i miei poteri siano ancora limitati. Sono riuscito ad entrare tra i tuoi pensieri unicamente perché eri ferita e la tua mente in confusione, dunque meno protetta. O almeno così credo… Mi sembrava la cosa giusta da fare: farti scivolare in un sonno profondo, così avresti smesso di agitarti e non avresti percepito il dolore”.
Vederlo parlare con tanta passione fece apparire un timido sorriso sulle labbra di Meera. Non sembrava più cinico ed ironico, ma pieno di sogni e speranze. “Ti ringrazio di cuore”, mormorò lei.
“Ed io ringrazio te, piccoletta. Con quel tuo sgambetto mi hai aiutato non poco”, esclamò Tim, poi  aggrottò la fronte all’improvviso, come se un pensiero gli fosse appena balzato in testa. “Adesso”, continuò, incupito, “Ti dirò perché sono rimasto qui invece di seguire i miei genitori”. Sospirò, poi cominciò a parlare. “Come avrai notato, io e mia madre stavamo litigando quando ti sei svegliata. La ragione della discussione era, appunto, la confusione che ho creato l’altra notte nell’underworld, quando ci siamo incontrati. Bene, come avrai certamente notato, il gonzo che ho minacciato mi ha dato una card, quella sera. Mia madre non deve assolutamente saperlo, capito?”.
Meera si stupì di quelle parole. Le aveva pronunciate con decisione, quasi rabbiosamente, e le parevano assurde. “Cosa intendi dire?”, gli domandò cautamente.
“Probabilmente, quando ti sentirai meglio, mia madre ti porrà delle domande. Vorrei che tu non le rivelassi che ho ottenuto una card in quell’incontro. Un giorno ti spiegherò il perché, ma adesso non posso, non capiresti”.
“Mi domandi di mentire ad una senatrice ed eroina e non vuoi dirmi perché?”, sbottò lei.
“Ehi”, ribatté lui, scrollando le spalle, “io sparo balle a lei e all’altro eroe di guerra da quando ho cominciato a parlare”. Rise. “Mio padre maledice continuamente quel giorno”.
Il rumore della porta che si spalancava li fece girare entrambi prima che la ragazza potesse dire qualsiasi cosa: un’infermiera dal volto cadente entrò, trascinandosi dietro un carrello pieno di attrezzi medici sconosciuti. Immediatamente, Tim si avvicinò a Meera, così da poterle sussurrare in un orecchio.
“Conosco Bata, è un’infermiera inamovibile e mi butterà immediatamente fuori di qui”, bisbigliò, “Ti prego, ricordati delle mie parole. Non dire nulla a mia madre”. Poi, la mano rugosa della donna lo afferrò per la spalla per tirarlo su.
“Perché ti trovo sempre qui, Solo?”, bofonchiò lei, “Com’è che i tuoi amici finiscono sempre all’ospedale?”.
“Non so”, ribatté lui, abbracciando Bata, “Forse dovresti chiederlo a loro, non a me”.
Poi uscì, senza neppure guardarsi indietro, lasciando Meera piuttosto interdetta e piena di dubbi. Era di certo il ragazzo più strano che avesse mai conosciuto: amava la sua famiglia, ma non si faceva problemi a prendersi gioco di loro; sembrava un bambino quando parlava dei Jedi, eppure subito si faceva cinico quando si trattava di discutere altri argomenti. E poi quella richiesta che le aveva fatto… Mentire per lui? Ed a Leia, riconosciuta da tutti come una donna rispettabile… Perché avrebbe dovuto domandarle una cosa del genere? Diamine, era sua madre!
Bata, con un grugnito, la spinse nuovamente a stendersi sul letto e le iniettò qualcosa nella vena del braccio. Un dolore acuto le pervase le membra, facendole scordare, almeno per il momento, i suoi dilemmi. Dire una bugia ad un’eroina di guerra o non farlo? Avrebbe avuto tempo per pensarci. Al momento, doveva limitarsi a stringere i denti.

***

Tim uscì dalla stanza dell’ospedale e subito portò la mano al comlink, cercando di entrare in comunicazione con Grym. Aveva bisogno di parlargli, di fargli sapere quello che aveva detto sua madre. A grandi passi si avviò verso l’uscita dell’edificio, tentando ripetutamente di entrare in contatto con l’amico… invano. Imprecò e, in modo quasi naturale, le trame della sua mente confluirono ad un unico pensiero: Meera, la ragazza magrolina dai capelli color biondo cenere. Non doveva avere più di diciotto anni, eppure era stata coraggiosa. Non aveva idea del perché una con i genitori che lavoravano nella Repubblica fosse finita in piena notte nel bel mezzo dei bassifondi di Galactic City, ma di certo non aveva disdegnato il suo intervento, quella sera.
Sperava davvero che mantenesse il silenzio che le aveva domandato. Sapeva che non era facile mentire a sua madre, perché era importante, intelligente, carismatica e cose del genere. Ma era necessario che lei lo facesse. Se soltanto avesse potuto spiegarle…
I suoi pensieri furono interrotti da una voce conosciuta che lo chiamava. Si riscosse e vide davanti a sé un Neimoidiano, vestito con un lungo camice, che gli parlava velocemente. Si trattava di Raymoore, il capo medico dell’ospedale.
“Frena, frena!”, esclamò Tim, “Non ti stavo seguendo. Che dicevi?”.
Sulla faccia gommosa e bluastra dell’alieno si aprì un largo sorriso. “La ragazza”, blaterò, entusiasta, “Avevi ragione a riguardo! Avevi ragione! Dai un’occhiata”. Gli porse un datapad ricolmo di numeri e risultati di un’analisi del sangue; in particolare, i dati si concentravano sulla quantità di midi-chlorian. Tim strabuzzò gli occhi.
“Sono i suoi parametri?”, domandò, incredulo.
“Esattamente”, rispose ridendo Raymoore, “Ci avevi visto giusto, furbacchione”.
Quando era penetrato nella mente di Meera, il giovane Jedi aveva provato qualcosa: era la primissima volta che si intrometteva in una testa altrui e lo aveva fatto quasi disperatamente, senza credere che ci sarebbe riuscito sul serio. Si era aspettato di provare disagio, nel navigare nei pensieri di un altro essere vivente ed invece la sua esperienza era stata diversa: era stato come se migliaia di voci gli avessero parlato all’unisono, alcune grevi e profonde, altre alte e melodiose, in un messaggio criptico che non aveva saputo decifrare, ma che era potente e bello.
Più tardi ne aveva parlato con Grym, che era un Jedi come lui, ed i due avevano convenuto che c’era una possibilità che ciò che Timothy aveva percepito fossero i midi-chlorian, minuscole forme di vita che dettavano l’esistenza stessa dell’universo e controllavano il volere della Forza. Entrambi avevano compreso che, se davvero erano quelle minuscole particelle ciò che il ragazzo aveva percepito, allora Meera doveva essere capace di utilizzare la Forza.
Le mani gli tremarono appena: quei dati che stava leggendo confermavano la sua teoria. Meera era una di loro e non lo aveva mai saputo: non aveva dei parametri strabilianti, va bene, ma aveva le potenzialità per divenire un Cavaliere Jedi. Forse era per questo che aveva deciso di aiutarlo, quella notte? Non ne aveva idea, ma lo turbava la consapevolezza di aver percepito il potere dentro un’altra persona… Era come se non si sentisse all’altezza, come se si trattasse di un fardello che non gli era proprio.
Raymoore stava continuando a parlargli, ma lui non lo ascoltava. Socchiuse gli occhi e con la mente compì un balzo, spingendosi lontano, oltre lo spazio oscuro. Toccò i pensieri di un altro essere, così familiari, così gentili e severi al tempo stesso.
Maestro, mormorò nella propria testa, in un richiamo interiore.
Ti ascolto, rispose una voce bassa e lenta.
La Forza scorre in lei, maestro, come credevo, spiegò. Seguì una breve pausa.
E’ un po’ vecchia per iniziare l’addestramento, eppure tu vorresti che le insegnassi. Forse lo desideri perché hai un cuore gentile e vedi in lei una potenziale alleata; forse lo fai per egoismo, perché ti bei dell’idea di aver percepito in lei il potere; non è forse vero?, domandò ancora la voce.
Tim storse la bocca, infastidito. Diamine, zio, odio quando mi leggi la mente.
Da qualche parte nella galassia, Luke Skywalker sorrise sotto la folta barba brizzolata. Portala da me, ragazzo mio, voglio vederla coi miei occhi, concluse e poi si allontanò dalla sua mente, scomparendo lentamente.
Il giovane Jedi riaprì gli occhi. Stringeva ancora il datapad tra le mani, Raymoore ancora lo inondava di parole. Si girò di scatto. C’era solo una cosa che doveva fare: portare Meera all’Accademia di suo zio. E sperare, per una volta tanto, che sua madre fosse d’accordo con lui.

Angolo dell'autrice:
Salve a tutti e rieccomi con un secondo capitolo, con cui spero di far chiarezza (o meglio, fare in parte chiarezza) ad alcuni quesiti che il primo capitolo può aver suscitato... con l'aggiunta di qualche vecchia conoscenza dai film.
Vorrei ringraziare DownInTheHole_ (come sempre :3) per aver recensito, Deadly special per aver a sua volta lasciato una review e aver seguito, Lapeck99 per aver seguito e messo tra i preferiti, ed infine bulmettina, che ha seguito.
Spero che questo lungo capitolo possa soddisfarvi e spero lascerete qualche recensione.
Un bacio da Wookiee,
thebrightstarofthewest
  
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