Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Rocco_Castrogiovanni    07/01/2016    0 recensioni
Ritornare dove si è nati quando si è stati lontani per molti anni. Trovare che tutto è cambiato eppure tutto è com'era. Trovarsi cambiati eppure immobili.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1.
Vera camminava sul ciglio della strada tra il paese e casa sua. A dire il vero, il paese non era proprio il paese, quello stava su, in alto, ma una frazione a valle. Le case nuove però erano tutte lì e ormai era grande quasi quanto quello. Grande poi, tra centro e frazioni arrivava più o meno a seicento abitanti.
Pioveva di una pioggia fitta e insistente. Un temporale estivo che veniva a lenire un po’ le sofferenze di giorni di afa. Un caldo inusuale per quelle parti. L’aria sapeva di terra bagnata e l’asfalto, raffreddandosi, cacciava vapore come nebbia.
Vera aveva un ombrello rosso e camminava a passo svelto. Non si voltò quando i fari della macchina la illuminarono. Indossava un vestitino corto e scuro, sulle spalle aveva messo una sciarpa ampia a mo’ di scialle.
Quando si accorse che la macchina dietro di lei, invece di sorpassarla in fretta come si aspettava, andava rallentando, allora si voltò, stringendo gli occhi per i fari che le sparavano un fascio di luce in viso.
La macchina le si affiancò e si abbassò un finestrino.
 – Non dirmi che sei Vera –
Era china in avanti ma senza sporgersi all’interno dell’auto. Il vestito era scollato e un po’ floscio sul seno, piccolo e tondo. Aveva il viso schizzato di pioggia e qualche ciocca umida dei suoi capelli rossi appiccicata al viso.
 – No, sono il suo fantasma perduto nella notte –
Risi alla sua battuta.
 – Sempre uguale. Non dirmi che ti ricordi di me?-
Erano almeno otto anni che non tornavo al paese e Vera a quel tempo stava finendo le elementari. Sorrise.
 – Come no. L’architetto, quello che vive a Milano –
 – A ecco, quindi il mio nome non te lo ricordi… -
 – Marco. Beh, mi dai uno strappo o avevi solo voglia di farmi prendere più acqua? –
Le aprii la portiera. Salì.

2.
Allacciandosi la cintura il vestito le si attorcigliò sulle gambe. Feci un rapido calcolo, doveva avere diciotto anni, più o meno.
 – Vai ancora a scuola? –
Chiesi tanto per essere sicuro. Mi sembrò di scorgere con la coda dell’occhio un sorriso ironico sulle sue labbra.
 – Mm –
 – Ultimo anno? –
 – No.. –
Cerco l’errore nei miei calcoli.
 – Farò il quarto, per la seconda volta, mi hanno bocciata quest’anno –
Aggiunse, quindi niente errori nei calcoli.
 – E come ti sei fatta bocciare? –
 – Buff –
Si spostò una ciocca di capelli bagnati dal viso. Scalando la marcia le sfiorai appena un ginocchio. Freddo.
La strada era asfaltata di recente, tutte curve e senza striscia in mezzo. Luccicava bagnata sotto i fari.
 – Beh? Non ti ricordi più dove abito? –
 – Eh? -
 – Casa mia era quella lì –
Indica la casa bianca che abbiamo appena lasciato dietro la curva.
 – Cazzo, è vero. Aspetta che appena c’è uno spiazzo mi giro –
 – Non ti preoccupare, lasciami qui che vado a piedi. Sono due passi –
Scese dalla macchina aprendo il suo ombrello rosso. Mi sporsi verso il finestrino poggiando la mano sul sedile dove fino a poco prima sedeva lei–
  – Salutami tuo padre. Digli che passerò presto a salutarlo –
  – Ok. Ciao allora. –
  – Ciao –
Restai a guardare mentre si allontava nello specchietto retrovisore illuminata dalla luce rossastra degli stop. Poi scomparve nel buio. Ingranai e partii.

3.
Ci misi un’eternità a percorrere i pochi metri di vialetto dal cancello alla porta di casa. Avevo acceso una sigaretta scendendo dalla macchina e la spensi esausta prima di arrivare alla porta. Non entravo in quella casa dalla morte di mia madre. Non tornavo al paese dal giorno del suo funerale. Firmai la delega a mio zio la sera stessa perché lui sbrigasse le pratiche dell’eredità per me. Mi versò centomila euro sul conto qualche settimana dopo. I risparmi di mia madre.  Ed ogni mese mi arrivavano 600 euro d'affitto dell’appartamento in città. Di tanto in tanto mi chiedeva qualcosa per fare dei lavori di manutenzione, e gle li versavo. Sapevo che ci faceva la cresta, ma non m’importava. Non volevo di piú.
La casa era esattamente come l’avevo lasciata. Solo che puzzava di varecchina, mia zia era andata a pulirla per il mio arrivo.
Stetti sulla soglia a guardare senza entrare. Arrivava poca luce da fuori attraverso la grossa finestra sulla parete accanto alla porta. Santi e santini appiccicati ovunque sui mobili e alle pareti mi guardavano fisso. Richiusi la porta ed attraversai il salotto senza accendere la luce.
Con lo zaino in spalla, avevo lasciato la valigia in macchina, salii le scale fino al piano superiore dove c’era una stanza e il bagno. Lì era piuttosto buio e dovetti accendere la luce.
Il cassone di legno scuro antico era tirato a lucido, zia Roberta si era impegnata. Pure il vecchio armadio sulla parete di fondo, di legno verniciato bianco, odorava di prodotti per la casa.
Il letto di ferro battuto nero, di fronte all’armadio, era rivestito con una coperta bianca di raso.
Sul cassone un’infinità di cornicette con foto di parenti, quasi tutti morti. Mia nonna, mio nonno, un cugino di mia madre, sua sorella. Poi mia cugina, quella no, non era morta. E anche lì uno stuolo di santi che mi fissavano.
– Questi domani mattina volano via –
Pensai a voce alta.
Lasciai lo zaino a terra e mi tolsi le scarpe. Andai al balcone, che stava sulla parete di fronte al cassone. Aprii le imposte. Mi aspettavo che cigolassero, dopo otto anni stando chiuse. Non lo fecero. Anche zio si era dato da fare per farmi trovare una casa in buone condizioni.
Aveva smesso di piovere e l’aria sapeva di bagnato. Fissai il profilo aguzzo delle montagne di fronte fumando. Uno di questi giorni salgo in cima, pensai con piacere. Magari lo dico a Vera.
Gettai via il mozzicone e richiusi il balcone. L’aria era piuttosto fredda dopo la pioggia.
Mi si stavano gelando i piedi, scalzi sul marmo biancastro. Allungai un passo per raggiungere il tappeto ai piedi del letto, beige a pelo molto folto.
Tolsi anche pantaloni e camicia, gettandoli a terra ai piedi del letto, poi mi chinai a raccogliere il cellulare dalla tasca e lo poggiai sul comodino accanto al letto.
Spensi la luce e mi infilai sotto le lenzuola, fresche e pulite, in mutande. La spia verde sul cellulare indicava dei messaggi persi. Cinque. Tutti di Laya.
– Arrivato? –
– Starai guidando ancora, il cellulare prende. –
– Ormai anche con la pioggia dovresti essere arrivato –
– Guarda che mi fai preoccupare –
– Vabbè, io vado a letto. Fatti vivo. –
Risposi veloce
– Scusami. Non avevo sentito i messagi. Arrivato adesso, tutto ok. Ci sentiamo domani. Notte –
E poggiai di nuovo il cellurare sul comodino. La luce dello schermo illuminò per un po’ la stanza, poi scomparve affievolendosi. Rimasi a fissare il soffitto al buio.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Rocco_Castrogiovanni