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Autore: amimy    12/03/2009    7 recensioni
Niente ha più senso quando si perde la propria unica ragione di vita. Speranze, sogni, progetti, tutto cade in un’improvvisa apatia, un limbo da cui è impossibile uscire. Più di tutti lo sa Bella Swan, o ciò che ne rimane… il giorno in cui ha perso la sua vita rimane ancora chiaro e immutato, anche dopo quarant’anni. Il giorno in cui il suo Edward le fu portato via dal suo destino infido, nascosto sotto le sembianze dei Volturi. Perso prima che potesse essere davvero suo, perso prima che lei potesse ottenere un frammento di eternità con lui, perso prima che lei potesse amarlo definitivamente con tutta se stessa. Eppure, quando non rimane nemmeno la speranza, a cosa ci si può aggrappare? Forse, ad una flebile promessa che risuona ancora chiara nella mente della sua destinataria. Una promessa che recita: “ Ti ho chiesto molte promesse, ma ora tocca a me giurare. Isabella Swan, ti giuro che ti riavrò. “ . E non si può tradire una promessa così. In un modo o nell’altro.
Una nuova shot, ambientata quarant’anni dopo New Moon con un finale alternativo: Edward è stato ucciso dai Volturi, lasciando Bella sola e umana, con come unica compagna una sua promessa. E come tutte le promesse solenni, anche questa riuscirà a trovare il modo di avverarsi.
I hope you like it...
amimy
Fanfiction classificata seconda al contest “amore-morte” indetto da Shnusschen
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Your Promise


Un venticello debole filtrava dalla finestra spalancata e mi accarezzava dolcemente il volto, ridonando un piccolo frammento di vitalità alla mia pelle malata e spenta. Ma tutto ciò che poteva fare era conservare all’apparenza l’aspetto del mio volto. Non era abbastanza da farmi rivivere davvero, nell’anima. Nulla avrebbe potuto farlo.
Sentii i miei capelli fragili, striati di grigio, piegarsi e spezzarsi sotto gli energici colpi di spazzola di Alice, in un vano tentativo di ravviarli in un gesto automatico, meccanico.
Senza rompere il silenzio con parole superflue, lei posò senza preavviso pettine e spazzola, adagiandoli con un rumore secco sul comodino.
Con un movimento deciso e fluido, Alice si voltò per porgermi uno specchietto sottile, incorniciato da pesanti roselline di ferro. La luce debole che filtrava dalla finestra si rifletteva sulla piccola superficie dello specchietto, ferendo con il suo riflesso le retine affaticate dei miei occhi.
Da quanto tempo non osservavo il mio volto in uno specchio? Dopotutto, non ne avevo più avuto bisogno da tempo: che senso aveva conservare l’immagine del mio viso, se non restava nessuno che potesse dipingergli sopra un sorriso acceso dall’amore?
Automaticamente, abbassai lo sguardo per osservare il mio riflesso. L’occhiata mi fu immediatamente restituita da due occhi di un cupo colore castano triste, spento, come se su di essi fosse calato un velo perenne. Rughe premature, compagne della mia malattia, solcavano il viso riflesso donandogli un aspetto sciupato e fragile. Le labbra screpolate e secche disegnavano un’ampia curva verso il basso, non indice di tristezza ma più che altro di rassegnazione.
Ma il mio volto non rifletteva il mio vero stato d’animo: nella mia mente, ancora aleggiava il fantasma della debole illusione che avevo conservato per anni, che era riuscita a sopravvivere immutata per decenni senza mai spegnersi, alimentata dalla necessità e dalla disperazione. Per quarant’anni, precisamente.
Ed era proprio in quel giorno che si ricordava l’anniversario di quel lontano momento, impresso irrimediabilmente nella mia memoria. Non era una festa, una celebrazione. Non era un compleanno, o un giorno di cui mantenere il ricordo: un anniversario di morte, piuttosto. L’anniversario della morte di Edward, e della mia scaturita dalla sua. Perché poco importava che il mio corpo continuasse ad assolvere le funzioni vitali, a restare acceso: non era altro che un involucro vuoto, senza più nessuna scintilla di vita ad animarlo.
All’improvviso, un rantolo prolungato e sofferente riempì il silenzio immobile della stanza, tanto cupo da destare per un istante la mia attenzione. Ad un tratto, sentii una mano fredda e liscia passare sulla mia guancia e poi posarsi delicatamente sulla mia bocca, richiudendola dolcemente. Immediatamente, il lamento s’interruppe.
Solo in quel momento realizzai con stupore e orrore che quel suono straziante proveniva dalla mia bocca asciutta, che da troppo tempo non veniva utilizzata se non per respirare e nutrirsi. Ricordavo cosa significava sprofondare nell’apatia, o almeno così avevo creduto all’inizio. Ma mai prima di allora avevo assaggiato la vera disperazione, quella totale: la disperazione della perdita. E ora, invece, avevo dovuto imparare a convivere con essa per quarant’anni, senza possibilità di resa.
<< Stai tranquilla, Bella. >> sussurrò una voce melodiosa di Alice al mio orecchio, mentre i suoi passi ritmici rimbombavano leggeri nella stanza, fermandosi davanti a me. E per la prima volta dopo mesi, i miei polmoni stanchi riuscirono ad emettere un lungo sospiro liberatorio, mentre i battiti del mio cuore acceleravano impercettibilmente. Il mio cuore. Emisi uno sbuffo indispettito al pensiero di quell’organo che avrebbe dovuto mantenermi in vita, ma che invece mi stava lentamente trascinando verso la fine, consumato dalla malattia…
Per la prima volta, i miei occhi affaticati si posarono sulle pareti bianche e neutre della stanza d’ospedale, le mie orecchie ascoltarono i pigolii dei macchinari che mi tenevano in vita nella mia malattia e i cigolii della rete arrugginita che sosteneva il vecchio letto, la mia pelle tornò sensibile al contatto con le lenzuola dure e ruvide.
<< Quarant’anni, Alice. Sono passati quarant’anni. Lui non tornerà. >> biascicai, sorprendendomi nell’udire quanto fosse diventata roca e debole la mia voce. Come se la mia vita, il mio corpo, le mie sensazioni, tutto fosse stato a pochi passi dalla fine. Alice avvicinò il suo viso minuto e immutato negli anni al mio, con un sorriso triste impresso sulle sue labbra pallide e i capelli corvini che volteggiavano intorno al suo volto, mossi dal vento.
<< Te l’ha promesso, Bella. Lo ritroverai. >> rispose con un sussurro, ostentando una falsa sicurezza. Quasi quelle parole fossero state pronunciate per lei stessa, non per me.
<< Perché? Alice, spiegami perché… perché i Volturi hanno risparmiato me, e non lui? >> singhiozzai, ripetendo la domanda che non mi aveva mai abbandonata negli anni, ormai incapace di trattenere le lacrime represse che mi gonfiavano gli occhi. Avvertii una lunga goccia rotolarmi sulla guancia, lasciando una traccia bagnata sulla mia pelle segnata, posandosi sul lenzuolo a cui avevo intrecciato le dita.
<< Adesso basta. Bella, ho promesso a lui e a me stessa che non ti avrei lasciata in mezzo ai rimpianti,ma non ci riuscirò se tu non mi aiuti. Anzi, aiuta te stessa. >> sbottò lei, le parole in netto contrasto con il suo tono di voce forzatamente allegro. All’istante, avvertii una sensazione familiare, indimenticabile, attraversarmi con un lampo la mente e chiudermi la bocca dello stomaco.
Senso di colpa. Senso di colpa per aver involontariamente costretto Alice, la mia migliore amica, a seguirmi negli anni, per averla costretta a ignorare le sue sofferenze per alleviare le mie, per aver trascurato i legami con le persone che amavo. Legami indeboliti da altre perdite, segnati dal tempo e dalla distanza, ma sempre presenti e indissolubili. Legami che nulla avrebbe potuto annientare, nemmeno la morte, e se non fossi stata tanto egoista l’avrei potuto comprendere fin dall’inizio.
<< Mi dispiace… >> iniziai, ma immediatamente la mano gelida di Alice tornò a posarsi sulle mie labbra, impedendomi di continuare.
<< Cos’avevo detto? Niente rimpianti. >> esclamò con una nota di rimprovero nella voce squillante. Ma c’era anche qualcos’altro nel suo tono che mi colpì: sollievo, soddisfazione, un grammo di serenità.
Quanto avrei desiderato, se solo le mie gambe malferme me lo avessero permesso, da alzarmi dal letto rigido e duro e abbracciarla, per dimostrarle per un’ultima volta la mia gratitudine nei suoi confronti. O almeno, una parte della mia illimitata gratitudine. Gratitudine per non avermi compatita, per non aver finto in mia presenza e essermi rimasta accanto, e per non aver tentato di prendere il suo posto…il posto di Edward…
Pensare il suo nome fu un sollievo incredibile, quasi avessi temuto di dimenticare la carezza di quel nome sulla mia lingua, la dolcezza di quelle lettere che si spargevano nell’aria…e al contempo, fu più doloroso di qualsiasi morbo, di qualsiasi ferita. Era il dolore della perdita eterna.
Ma improvvisamente, inaspettatamente, quasi a volermi dimostrare che nulla va davvero perso, un ricordo iniziò a comparire lentamente davanti ai miei occhi, sfocato, come se lottasse contro la mia memoria per riemergere…e alla fine, vinse.
Intorno a me, il paesaggio tramutò in un istante, mentre sprofondavo nel tepore del ricordo. La stanza venne inondata di luce, i contorni neutri e austeri delle pareti si tramutarono nelle mura irregolari che circondavano il vicolo, separandoci dalla folla. E poi, senza nessun preavviso che mi avesse preparata a quella situazione, ecco arrivare la parte più dolorosa, ma anche più meravigliosa. Il più bel ricordo della mia vita, che precedeva il più brutto. Come avrei potuto non riconoscere quel ricordo? L’odore del vento primaverile, i rumori della folla…e soprattutto, il freddo familiare del torace di Edward appoggiato contro il mio viso, le mie braccia e il mio petto. Come se fossimo stati un’unica creatura, la fusione dei nostri corpi e delle nostre anime. Eravamo a Volterra.
<< Ti amo, Edward. >> sussurrò la mia voce giovane e vitale, colma della gioia che solo l’amore vero sa donare. I miei occhi, non più spenti, erano intrisi di felicità, sollievo, e un immenso disinteresse per il futuro. Senza pensarci, le mie braccia si strinsero più forti al petto di Edward, mentre tutto di me, dalla mia anima al mio corpo, si colmava di lui, della sua essenza, dello splendore della sua presenza.
Il sole brillava minaccioso alle mie spalle, quasi a volermi costringere a ricordare il terribile pericolo che fino a pochi istanti fa gravava su di noi. Eppure, eravamo al sicuro, al riparo da pericoli fisici e dalla paura. Protetti da quella sottile pellicola che ci avvolgeva, chiamata amore.
Ma improvvisamente, un suono lieve interruppe il nostro momento di gioia. Un basso colpo di tosse, eloquente e forzato.
Edward s’irrigidì fra le mie braccia, facendomi scostare dolcemente il mio viso dal suo petto duro.
<< Siamo spiacenti per avervi interrotti, ma dobbiamo sbrigare delle faccende importanti. Ordini di Aro. >> esclamò una voce beffarda, intrisa teatralmente di finta cortesia. Inaspettatamente, ci fu qualcosa in quelle parole che mi provocò un lungo brivido lungo la schiena. Qualcosa di molto diverso dal freddo.
Divincolandomi debolmente dall’abbraccio di Edward, riuscii a voltare il capo, così da poter osservare i due uomini che avevano fatto il loro ingresso nel vicolo. Il primo aveva un aspetto massiccio, una corporatura spaventosa, simile a quella di Emmet. Il volto di una bellezza ultraterrena, ma con un’ombra stranamente minacciosa sul viso . L’altro, il più minuto, aveva un aspetto apparentemente cortese, anonimo, ma al contempo ugualmente inquietante.
Improvvisamente, vidi gli occhi di Edward dilatarsi per la sorpresa. << Demetri, Felix. Buongiorno. Ah, e così Aro ha decido adesso di accontentarmi. Sono desolato, ma temo dovrete riferirgli che ha avuto un pessimo tempismo e che non ho più bisogno dei suoi servigi. >> rispose freddamente Edward, lanciandomi un’occhiata preoccupata che non riuscii a leggere. Cosa poteva aver visto nelle menti dei due vampiri di tanto pericoloso?
<< Mi spiace, ma ora non credo che tu abbia possibilità di scelta. Oggi sei andato molto vicino a mettere a rischio la nostra segretezza, e per questo Aro ha pensato che dovremmo ritenerti, ecco…inaffidabile. >> replicò il vampiro chiamato Demetri, con altrettanta freddezza nella voce.
Improvvisamente, Edward puntò i suoi occhi dorati nei miei, con un’espressione terribilmente seria. << Va via, Bella. >> sussurrò. Gli lanciai un’occhiata stupita. Per quale motivo avrebbe dovuto desiderare che me ne andassi?
Ma ad un tratto, qualcosa nella mia mente si collegò, facendo incastrare tutti i fatti della giornata alla perfezione, come tessere di un semplice puzzle.
<< No. >> mormorai. La voce di Alice, un semplice ricordo, mi rimbombò nelle orecchie. La sentii raccontare che Edward sarebbe andato dai Volturi, implorando la morte. Risentii le parole di Demetri, ora improvvisamente piene di significato, e la rigidità di Edward.
<< No. >> ripetei.
Sentii uno scricchiolio sinistro all’imbocco della via, poi un altro passo e un altro ancora. Improvvisamente, ogni azione dei due vampiri appena arrivati aveva acquistato un nuovo significato. Non era una visita di avvertimento. No, la loro era un’esecuzione.
<< Vattene. >> ordinò di nuovo Edward, scostando le mie braccia dalla sua vita. Senza nemmeno la forza per rifiutare, scossi energicamente la testa. Non l’avrei abbandonato. Non l’avrei mai potuto lasciare in condizioni normali, e in quel momento ero ancor più riluttante: l’avevo ritrovato da pochi istanti, e già rischiavo di perderlo di nuovo. E per sempre.
Ma all’improvviso, sentii due braccia forti afferrarmi la vita da dietro, sollevandomi di qualche centimetro da terra. << Vieni via, Bella. >> bisbigliò la voce sofferente di Alice, comparendo alle mie spalle.
Un urlo roco, straziante, invase il vicolo. Il mio grido. Le braccia di Alice mi diedero uno strattone, sciogliendo la mia presa sul petto marmoreo di Edward. Sentii una lacrima, l’ennesima, rigarmi il viso e ne sentii il sapore umido e salato sulle labbra, quasi a ricordarmi che quello non era un incubo. Era tutto troppo reale. Ed ecco, infatti, l’incubo che mi aveva tormentata per mesi tramutarsi in verità: perdere Edward definitivamente, senza possibilità di vederlo tornare fra le mie braccia…
A quel pensiero, il respiro mi si mozzò, mentre i battiti del mio cuore acceleravano, frenetici. Alice mi trascinò fino all’imbocco del vicolo, superando i due vampiri che non ci rivolsero nemmeno uno sguardo. Il loro obiettivo era un altro…
I contorni degli edifici che s’innalzavano verso il cielo brillante iniziarono all’improvviso a inclinarsi davanti ai miei occhi, contorcendosi e muovendosi, anche sotto i miei piedi stanchi. Una luce lontana iniziò a pulsare ritmicamente al di sopra delle mura della città, riempiendo lentamente il mio campo visivo. Disperatamente, cercai con tutte le mie forze di lottare per rimanere cosciente, di non arrendermi alle tenebre che minacciavano di avvolgermi a momenti.
Non potevo permettermi di sprofondare nell’incoscienza in quell’attimo vitale. Dovevo combattere, essere per una volta io l’eroina, e Edward la persona che sarebbe stata salvata.
<< Edward… >> tentai di urlare, ma non riuscii a udire la mia stessa voce sopra il rombo che aveva iniziato a crescere nelle mie orecchie. Invece, inaspettatamente, vidi il volto di Edward voltarsi, sorpreso, per incollare i suoi occhi ai miei. I due vampiri avevano proseguito lungo il vicolo, circondando con le loro braccia possenti Edward.
<< Credo di potermi permettere un ultimo desiderio, no? >> domandò, impassibile, ai suoi assalitori. Senza attendere risposta, proseguì, rivolgendosi a me. Riuscii appena ad intravedere il suo viso, fra i corpi delle due guardie, ma ancora una volta la sua bellezza mi mozzò il fiato. << Ti ho chiesto di farmi molte promesse, ma io non ho mai rispettato le mie. Perdonami, se puoi. Ma ora tocca a me giurare. Isabella Swan, ti giuro che ti riavrò. Ci rincontreremo. A qualunque costo. E sappi che ti amo. >>
E nel mio ultimo istante di lucidità, appena prima di venire inghiottita dalle tenebre, vidi Felix estrarre dalla tasca un oggetto minuto, che brillò sotto la luce del sole…un accendino…
L’attimo dopo, stelle brillanti riempirono il mio campo visivo, mentre sentivo le mie forze scivolare lentamente fuori dal mio corpo. E la mia mente si chiuse, dispersa fra l’orrore e l’oscurità.
Emersi lentamente dal ricordo, sbattendo freneticamente le palpebre bagnate. Gli occhi erano colmi di lacrime, di un pianto incontenibile…
Il volto di Alice si accostò al mio, mentre con una mano continuava ad accarezzarmi il viso accaldato e umido di pianto.
<< Bella… >> sussurrò Alice scrutando il mio volto, la fronte solcata da una ruga di preoccupazione che stonava sul suo viso perfetto. << Ho visto… >>
Ma improvvisamente, la sua voce divenne lontana, flebile alle mie orecchie. Come nel ricordo di poco prima, ecco le pareti tornare ad assumere angolazioni impossibili, disorientandomi. La stanza iniziò a girare velocemente intorno a me, mentre sentivo le forze che lentamente fluivano fuori dal mio corpo.
Avvertii un dolore lancinante al petto, che si propagò lungo lo sterno e mi trafisse il braccio sinistro. Capii all’istante cosa significassero quei sintomi. E così, dopo essere durato miracolosamente per anni, il io cuore fragile e distrutto aveva deciso di spegnersi… sentii un sottile velo di sudore imperlarmi la fronte e le guance, mentre l’ambiente si oscurava lentamente ai miei occhi. Udii lontana la voce di Alice che urlava, ma le sue parole per me furono incomprensibili, nient’altro che mormorii senza senso.
Avvertii un ultimo pigolio disperato provenire da uno dei macchinari dietro di me appena prima che le mie orecchie perdessero loro capacità. E un attimo dopo,ecco anche gli altri sensi divenire inutili, smettere di funzionare.
Ma stranamente, di fronte alla consapevolezza che la mia morte stava sopraggiungendo rapidamente, mi accorsi di non provare nessun tipo di timore.
L’oscurità che avvolgeva i miei occhi, quella temibile luce nera che risucchiava tutti i colori, iniziò lentamente a tramutare.
Con stupore, vidi una scintilla spuntare dall’orizzonte infinito, tingendo le tenebre di un confortante e invitante celeste. Celeste come il cielo che da anni avevo scordato.
E fu in quell’istante che capii. Il mio cuore si era definitivamente spento. Era quasi paradossale, dopo tutti i pericoli che avevo corsonella mia vita, che a provocare la mia morte fosse un banale, comune infarto. In un certo senso, mi sarei aspettata una fine più…eroica, sovrannaturale. Non di certo così.
Ma non ebbi tempo per perdermi pensieri inutili… La luce celeste mi avvolse, e nonostante i miei occhi avessero smesso di funzionare, io la vedevo. Potevo distinguere le sfumature azzurre, blu, indaco, viola. Era tutto così meraviglioso...
La luce sembrava venirmi velocemente incontro, scorrere accanto a me come le pareti di un tunnel imboccato alla massima velocità. Ma come potevo muovermi, se non possedevo più il mio corpo? Sembrava quasi che la mia mente, la mia coscienza, stesse fluttuando in una galleria infinita.
Ogni cosa sembrava perfetta, ineguagliabile. O almeno così credevo, finché la vera perfezione, quella che conoscevo bene, apparve davanti a me come in un miraggio.
Lentamente, inaspettatamente, un volto iniziò ad emergere dal nulla dipinto di celeste che mi avvolgeva. Era davanti a me, di lato, sopra e sotto. Ovunque. Riempiva con la sua presenza tutto ciò che potevo percepire, come in un incantevole sogno.
Ecco per primi iniziare ad affiorare quei capelli scompigliati, dai riflessi ramati, che tanto avevo atteso negli ultimi quarant’anni. Ma cos’erano, in quel momento, quattro decenni? Nient’altro che un numero, inutile e privo di significato.
Poi, un attimo o un anno dopo, non lo saprei dire con esattezza, apparirono i primi lineamenti del suo volto angelico, poi i suoi due bellissimi occhi. Due occhi verdi. Rimasi stupefatta davanti al colore luccicante di quelle iridi, non più dorate o nere. Ma stranamente, quel verde smeraldo risaltava ancora di più sul suo viso, accentuando la sua bellezza impossibile.
E alla fine, anche il suo corpo prese forma e si definì, mille volte più meraviglioso di quanto avessi mai ricordato. Immediatamente, senza ragionare, fluttuai nella mia nuova forma indefinita verso di lui, riuscendo a riempirmi del suo profumo e dello splendore della sua presenza. Fu in quel momento che mi accorsi di possedere ancora un corpo. Non era la forma chiara e definita del mio corpo com’era quando lo avevo lasciato: sembrava quasi che le mie membra fossero fatte di luce, di spirito. Eppure, nonostante sembrassero inconsistenti, potevo sentire l’aria immobile che sfregava contro la mia pelle mentre fluttuavo, potevo vedere il volto di Edward e udire il rimbombo del suo respiro leggero.
Ero morta, ma ero anche viva. In un posto migliore. E mi resi conto che non era solo un modo di dire: ovunque ci fosse stato Edward, quello sarebbe stato un posto migliore. Il mio paradiso personale.
Avvertii le sue braccia forti stringermi a lui, attirandomi contro il suo petto marmoreo. << Sei qui… >> sussurrai. Fu poco più di un pensiero, ma non ancora una frase pronunciata ad alta voce. Eppure, lui mi sentì. Alzò gli occhi, fissando il suo sguardo incantatore sul mio viso, e assumendo quel sorriso sghembo che mi aveva illuminata negli ultimi anni, seppur fosse stato solo un ricordo.
<< Te l’avevo promesso. Ora non potrai dire che non sono un uomo di parola… >> rispose. Com’era capitato a me, la sua risposta non fu esclamata ad alta voce, ma allo stesso tempo era più di un pensiero. Era come se io potessi avvertire le sue parole sotto forma di scosse nell’anima e riuscire a decifrarle e dargli un senso. Era stupefacente. Eppure, nonostante la strana forma sotto cui si presentava la nostra conversazione, la solita punta ironica nella sua voce era inconfondibile, sempre lì. Una sfumatura indimenticabile, ancora incredibilmente familiare nonostante gli anni passati.
<< Ti amo. >> esclamai, la voce intrisa di sincerità e sorpresa. Ero stupefatta dall’idea di averlo davvero ritrovato: era impossibile. Eppure stava accadendo davvero, stava accadendo a me.
<< Più della mia stessa vita. >> rispose lui.
E non ci fu null’altro da dire o da fare, se non continuare a colmarci l’una della presenza dell’altro, come non facevamo da troppo tempo.

Fine...
Anzi, lieto fine, nonostante tutto. Un lieto fine caratterizzato dall’Amore.

Ho scritto questa one-shot per un contest, e dato che poteva essere già edita ho deciso di pubblicarla per vedere cosa ne pensate… Per favore, recensite in tanti…scrivere anche due parole di commento non vi costa nulla, no?

   
 
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