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Autore: Arbiter Ex    07/01/2016    1 recensioni
Il regno di Boletaria, governato da Re Allant XII, fa fronte alla più grande crisi che l'umanità abbia mai affrontato. L'Antico si è risvegliato, e una densa Nebbia incolore è scesa sulla terra. Da essa, terribili Demoni emergono, rubando le anime degli uomini, e facendole proprie. Chi perde la propria anima perde il senno, e i folli attaccano i sani, mentre imperversa il caos. Presto o tardi la Nebbia ammanterà ogni terra, e l'umanità è soggetta ad una lenta estinzione. Ma Boletaria ha ancora una speranza: un prode guerriero, che ha attraversato la Nebbia. Nella sua lotta non sarà da solo, e di lui verrà raccontata la sua storia, narrata da chi lo ha seguito nella speranza che portasse la fine della Piaga e ristabilisse l'ordine del mondo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 12
 
Sull’Isola delle Tempeste, una perenne coltre di nubi temporalesche transitava, impedendo che il sole brillasse sulla brulla terra di scogliera che se ne stava in balìa delle onde dell’oceano. La grigia pietra che emergeva dalla superficie dell’acqua rispecchiava il grigiore del cielo, e come un suo prolungamento s’inabissava nel profondo specchio azzurro. Le rocce aguzze si ammassavano una sull’altra in una competizione che le vedeva protendersi verso l’alto, con un fare ambizioso e pieno di speranza. Formavano costruzioni naturali imponenti, in cui erano state scavate stanze, interni, abitazioni. I nubifragi eterni che si scatenavano in quella regione avevano permesso solo alla vegetazione più forte e resistente di crescesse e sopravvivere su quell’isola. Nonostante la vita si fosse guadagnata indomitamente un posto anche dove meno ci si aspetterebbe, solo piante erbacee, di un verde smorto e blando, corredavano il terreno per lo più spoglio e la sua scorza dura, ed i pochi alberi che si potevano vedere erano privi di fronde e avvizziti, se non caduti o sradicati, contorti sui loro rami. I pagani, che vennero ad essere conosciuti come gli “Uomini d’Ombra”, avevano ignorato i pericoli che un luogo così inospitale poteva serbare, e sentendosi estremamente vicini ad una sfera superiore, una sfera spirituale, avevano costruito un immenso tempio per la venerazione di dei fittizi, dei della pioggia e del vento, e per rendere omaggio ai loro morti. Trovando conforto solo nell’adorazione delle mutevoli precipitazioni, allontanandosi dal calore del fuoco solare, i pagani erano noti per la loro carnagione pallida, quasi perlacea, che si diceva si fosse estesa fino alle loro ossa. Infelici di quella loro notorietà, dipingevano la loro pelle di nero, colore estratto da frutti e animali di mare, abbracciando per intero la loro natura ombrosa e familiarità con l’oscurità. Per questi motivi erano stati per lo più evitati dalle altre genti, che li credevano poco più che selvaggi, e venivano lasciati a sé stessi quando avvistati su delle precarie imbarcazioni, intenti ad attraversare i mari in tempesta per raggiungere il loro sito di preghiera più sacro. Il tempio che eressero era un tutt’uno con la pietra dell’isola, e la sua superfice copriva quasi per intero ogni spazio possibile su quel grosso scoglio: più che un singolo edificio, sembrava una piccola città, dove i cammini pavimentati si confondevano con il suolo pianeggiante e duro.
Firion camminava silenzioso, con espressione gelida come l’aria che respirava. Una leggera ma insistente pioggia accoglieva la sua venuta, mentre superava la volta dell’arco in rovina che un tempo doveva essere stato l’ingresso per il centro del tempio, una costruzione per metà all’aperto e per l’altra metà scavata nel profondo della roccia. L’acqua lo inzuppava fino al midollo, raffreddava le sue membra e lo intorpidiva malignamente: gelava il suo respiro, condensato in un vapore evanescente. Lui ignorava il tutto freddamente, sapendo che quelli erano solo sciocchi fastidi, e che le sue condizioni non sarebbero mai state influenzate da inezie simili. Sulla sua schiena riposava un enorme spadone, alto quanto lui e largo poco più della sua vita, avvinghiato al suo corpo grazie ad una cinghia in pelle. Sarebbe stato pesantissimo e quasi impossibile da usare in battaglia per qualunque uomo normale, ma a Firion risultò leggero e versatile. Gli era stato venduto al suo arrivo da un certo Blige, un brav’uomo d’affari la cui unica pecca era di provare un eccessivo interesse negli averi che i morti portavano con loro nelle bare, e che, con la discesa della Nebbia, era stato chiamato dalle promesse di guadagno che sentiva emettere dai sepolti dell’isola. Il predatore di tombe disse di essere stato molto fortunato ad aver trovato un acquirente in quel posto sperduto: stava per andarsene a bordo della piccola barca con cui era arrivato a mani vuote, dopo aver tristemente scoperto che tutti i corpi che aveva controllato erano stati inumati in fosse comuni prive di valore, quando vide il cavaliere avvicinarsi al tempio da cui lui era uscito, e colse immediatamente l’occasione. Il caso voleva che lui si portasse dietro da un po’ di tempo, dopo una sua escursione nelle buie cave di Stonefang, un’enorme lama di ferro che avrebbe sicuramente fatto contenti i guerrieri più fieri, ma che non era riuscito a vendere data la scarsità degli stessi. Quel grosso affare era diventato velocemente un peso insopportabile, ma Blige si rifiutò di lasciarselo indietro, sapendo quanto aveva penato per portarselo appresso ed incapace di ammettere di aver sbagliato a valutare un pezzo come quello. Ad un prezzo di anime demoniache che si poteva dire onesto, per quanto fosse possibile dare un valore ad un’anima, il predatore di feretri si disse disposto a separarsi da quella grossa lastra di ferro, inservibile per lui, ma insuperabile per un potente eroe. Firion non vide motivi validi per rifiutare quella proposta ed accontentò il bizzarro mercante, comprando la sua arma. Blige restò meravigliato dalla facilità con cui Firion s’imbracciò lo spadone, ma venne riportato alla realtà da alcune domande che gli rivolse il Cacciatore, chiedendo informazioni utili sul tempio e sui possibili pericoli che nascondeva. Blige rispose spensieratamente ad ogni domanda, e spiegò a Firion che l’intera area era infestata da demoni: anime dimenticate e vendicative erano tornate per impossessarsi delle ossa che riposavano nel suolo, facendo camminare di nuovo i morti sulla terra dei vivi. Solo strisciando nell’ombra e lontano dalle vecchie abitazioni gli era stato possibile evitare scontri e di essere visto da quei minacciosi scheletri armati di spade e bastoni. Blige spiegò, inoltre, la strada per arrivare all’ingresso delle stanze sotterranee del tempio, ma anche che non si era avventurato oltre quel punto, dopo aver sentito inquietanti voci e minacciose presenze tra le mura umide dei livelli inferiori. Firion ringraziò il mercante per la sua disponibilità e lo salutò, separandosi da lui ed augurandogli una vita serena. Blige, pensando di vedere un folle che si era stancato di vivere in quel mondo a soqquadro e aveva scelto di morire, chiese al cavaliere suicida di dire il suo nome, così che almeno lui se ne sarebbe ricordato quando non sarebbe stato più in giro per raccontarlo. Firion non rispose e continuò ad allontanarsi, senza degnarlo di una parola o di una minima occhiata. Blige rimase un po’ sorpreso dalla scottatura che provò quando venne ignorato a quel modo, ma gli diede poco peso e lasciò stare. Salì sulla sua barcaccia, lasciata sui ciottoli di una piccola cala: si mise in acqua, prese un remo e, pian piano, sparì sempre più tra le onde perennemente agitate dell’oceano, diretto verso una piccola macchia marroncina sullo sfondo del cielo nuvoloso, l’unica terra visibile in lontananza.
Stando alle indicazioni che aveva ricevuto, Firion avrebbe dovuto attraversare il grande cortile centrale prima di poter raggiungere il corpo principale del tempio, che scendeva nelle viscere dell’isola. Arrivato a quel piazzale, avrebbe potuto attraversarlo fino ad un grosso vialone di destra, che lo avrebbe portato direttamente all’ingresso della sezione sotterranea del tempio, oppure prendere una via più lunga e stretta, che si diramava a sinistra tra i campi di sepoltura e alcune delle case dei pagani. Il viale sarebbe stato la via più diretta e semplice, ma era anche quella che contava il maggior numero di demoni. La viuzza opposta, invece, costeggiava per intero le mura seguendo il contorno dell’isola, rendendo la possibilità di celarsi tra le ombre delle abitazioni molto più abbordabile e sicura, ma gli avrebbe anche richiesto molto più tempo, tempo che non era disposto a sprecare. Dopotutto, quello che si richiedeva da lui era di eliminare il maggior numero di aberrazioni possibile, e prendere una strada priva di nemici da abbattere avrebbe vanificato la sua visita sull’isola. Quindi, marciò dritto, deciso ed incurante del pericolo. Uno come lui aveva ben poco di cui aver paura: nel suo stato, quali punte e quali lame erano veramente in grado di ferirlo? Nel suo stato, cosa rimaneva di umano in lui?
La pioggia picchiettante che non cessava di accompagnarlo finì per inglobare ogni suo suono e ogni cosa che lo circondava. In quella pace scrosciante, Firion ripensò agli eventi della sua vita che lo portarono a diventare un Cacciatore di Demoni, e in lui venne rievocata una profonda amarezza. Perché combatteva? Per la sua missione, sterminare tutti i Demoni, continuava a dirsi. Ma quella stessa ragione, da motore della sua risolutezza e dei suoi ideali di compassione, ripetuta continuamente, era diventata una voce ossessiva nella sua testa, che aveva adombrato i sentimenti che vi erano stati alla radice. La verità era che, poco a poco, stava dimenticando il motivo che lo portò ad accettare quella missione: cominciava a dimenticare la rabbia che lo animò quando vide la sua famiglia morire davanti ai suoi occhi, la determinazione nel volere che disgrazie simili non si ripetessero, l’importanza del suo ruolo come difensore degli uomini. Ogni battaglia che affrontava si portava via un pezzo di lui, ed i suoi ricordi stavano svanendo in un turbine di violenza e sangue. Ricordava con fierezza il suo nome, vi rimaneva aggrappato saldamente e non lo avrebbe mollato. Ma lui sapeva che della persona che portava quel nome non era rimasto molto: un’irrefrenabile tensione alla grandezza e al potere stavano progressivamente subentrando nel suo essere, comprimendo tutti i valori che vi erano da sempre stati. Andava avanti, la sua meta diventata un punto indistinguibile sulla vaga linea dell’orizzonte, solo per paura che, se si fosse fermato, non avrebbe più avuto la forza di continuare. Tuttavia, la disperazione non si era ancora totalmente impadronita di lui: una piccola luce risplendeva nella sua mente e nel suo cuore, una promessa di redenzione che non avrebbe lasciato andare, indipendentemente dalla fatica che provava. Lei gli ricordò per cosa valeva la pena di combattere, la sua possibilità di tornare ad essere un uomo. Solo per quello non avrebbe smesso, e solo per quello avrebbe abbattuto ogni ostacolo che avrebbe incontrato con la sua spada.
Salì una scalinata costruita su di un basso pendio che lo portò ai limiti della piazza centrale di cui gli parlò Blige, dove delle brevilinee torri di pietra si affacciavano sull’ampia area circolare con numerosi fori e aperture, probabilmente entrate e finestre di quelle dimore abbozzate. Da dove si trovava lui, era già possibile vedere, in lontananza sulla destra, la facciata laterale del corpo centrale del tempio, che si estendeva in profondità verso la cripta sacra. Si alzò il vento: attraversava gli edifici, emettendo un ululato lamentoso, e gli scompigliava i capelli buttandoglieli sul viso. Fece qualche passo verso la sua destinazione, ma un suono alla sua sinistra lo fece fermare. Un lento calpestio sui ciottoli bagnati e sconquassati dell’antica pavimentazione fece direzionare il suo sguardo verso uno degli antri oscuri di quegli alveari petrosi, ed intuendone già la natura, portò calmo la mano sulla lunga elsa della sua nuova, possente arma. Dalla grotta nera emerse alla grigia luce un corpo scheletrico alto e deforme, dalle ossa spesse, disumane e opalescenti. Nelle orbite vuote, solo uno scintillio opaco rivelava una presenza, ed un sorriso di morte si disegnava sui denti scoperti. L’entità ostile serrava una sciabola rugginosa tra le secche stecche delle dita del braccio languido, ed emise un rantolo conturbante alla vista del Cacciatore. Poi, Firion avvertì altro movimento da ogni direzione davanti a lui, e le forme corrotte si fecero sempre più numerose: nascevano incontrollabili, dalla tenebra che avvolgeva il mondo in rovina. In pochi attimi, la piazza deserta si riempì quasi completamente di macchie perlate sibilanti, tutte armate e tutte fissanti gli occhi eterei sull’unica anima viva presente. Firion passò lo sguardo da un capo all’altro sull’orda immonda con sufficienza, trovando nei pochi secondi che precedettero la terribile battaglia un’ultima occasione per pensare a quant’altro di sé stava per perdere. Estrasse lo spadone e lo posò sulla spalla: improvvisamente le due parti caricarono, l’una contro l’altra, ed una contesa mostruosa ebbe inizio.
Firion fece oscillare prepotentemente l’incredibile spadone frantumando le spoglie demoniache senza sforzo, distruggendo molti nemici in un singolo colpo. Piroettò su sé stesso, portando avanti inesorabilmente la sua offensiva. La sua lama fendeva l’aria con colpi fragorosi che cancellavano l’esistenza dei suoi avversari e crepavano il terreno sotto i suoi piedi, portando devastazione ovunque capitasse. Tutti i demoni alla sua portata vennero polverizzati in pochi secondi, intanto che piccoli crateri si formavano dappertutto e venivano velocemente riempiti di acqua piovana. Ogni volta che Firion roteava lo spadone, interi gruppi di scheletri cadevano in pezzi, ma essi continuavano ad accerchiarlo e a colpirlo alle spalle. Due lame superarono la difesa della corazza ed aprirono degli squarci sulla schiena e sul petto, mentre una picca si piantò nella sua gamba. Firion si vendicò e si libererò dei suoi aggressori con un violento colpo alimentato di rabbia. Si prese un momento per tirare via la punta che aveva conficcata, facendo volare fiotti rossi dalla ferita: la brandì in una mano, perforando i crani dei malevoli che gli si opponevano finché si spezzò, agitando con l’altra la sua lama poderosa. La sua intensa lotta lo vide venir ferito numerose altre volte, ma non ci volle molto perché gli ultimi demoni rimasti cadessero sotto la forza esorbitante che aveva acquisito. Presto, Firion tornò ad essere solo: fracassò il teschio dell’ultimo scheletro rimasto, rinfoderò la sua lama, e tornò ad ascoltare il battere rasserenante della pioggia. Lasciò che le gocce purificatrici lavassero via il sangue che aveva sporcato i suoi indumenti e la sua armatura, mentre i lunghi tagli e lesioni che si era procurato si rimarginavano a vista d’occhio. Era stupefacente e orrendo insieme: cosa rimaneva di umano in lui, se nemmeno il suo corpo poteva più rispondere a quel nome? Restò fermo a farsi consolare dalla pioggia per alcuni interminabili minuti. Poi si convinse che compiangersi non lo avrebbe aiutato, né sarebbe stata una condotta onorevole. Se davvero aveva a cuore il destino delle persone che dipendevano da lui, come tanto aveva affermato di essere, avrebbe dovuto smettere di crogiolarsi nel suo dolore e avrebbe agito per superare il suo smarrimento. Ritrovando parte della decisione che lo aveva sempre ispirato e spronato, si rimise in marcia verso il tempio, in cerca di una preda che potesse accrescere ancora il suo potere.
Il resto del cammino fu sorprendentemente tranquillo. Firion non incontrò altri scheletri vaganti lungo il grande viale che percorreva, ed arrivò senza fretta alle alte colonne, grossolanamente lavorate, che sostenevano la volta del corpo principale del sito sacro. Degli ampi scalini ammettevano i visitatori verso il basso della regione interna, scavata in profondità, ammantata nel buio e nel silenzio. Avanzare senza una fonte di luce sarebbe stato un problema: brancolare nell’oscurità, senza vedere la corretta direzione da seguire in un luogo misterioso e sconosciuto come quello, avrebbe potuto compromettere la sua ricerca e forzarlo a tornare al Nexus, vanificando i suoi sforzi. Stava cercando un modo per poter andare comunque avanti quando ricordò di avere ancora con sé il dono che gli fece Saggio Freke, le strane pietre che il vecchio erudito gli aveva dato quando s’incontrarono alla Torre di Latria. Freke aveva detto che sarebbero state in grado di indicargli la via tra i passaggi ombrosi del penitenziario, quindi forse erano di qualche utilità anche nel tempio. Affondò la mano nel borsello di vecchia pelle usurata che portava alla cinta, dove aveva il brutto vizio di dimenticare gli oggetti che raccoglieva durante le sue esplorazioni. Cercò alcuni attimi, poi estrasse i piccoli oggetti: pietre nere come la pece, dagli angoli levigati e morbidi. Non sapeva quale fosse la loro funzione, né come avrebbe dovuto fare ad usarle. Le prese nel palmo della mano e provò a stringerle insieme. Emise un breve verso di sorpresa e soddisfazione quando le pietruzze s’illuminarono, irradiando luce tutt’intorno. Risolto il suo problema, Firion s’inoltrò nei corridoi umidi della cripta, dove piccole pozze si formavano ai piedi delle lesene lungo le pareti. Tra i passaggi tutti uguali, tra quelli che sembravano perdersi all’infinito in avanti e quelli che portavano alle camere ignote del santuario, Firion scelse quelli che portavano ancor più in profondità nelle viscere dell’isola, sospettando che il cuore della struttura si trovasse tra quelle bassezze cavernose. Percorse diverse rampe di stretti scalini e varchi profondi, finché finì per perdere completamente l’orientamento e la cognizione del tempo. Quando prese l’ennesima svolta in quel labirinto, sentì come se la giornata volgesse già al termine. Nonostante quell’inconveniente non sarebbe bastato a fargli perdere la calma, rimase comunque snervato dalla sua situazione, e si augurò di trovare presto un’uscita da quel luogo opprimente. Attraversò un ultimo arco che lo portò in un ampio stanzone dal soffitto molto alto, sorretto da grossi e rozzi pilastri, dove la pietra emetteva uno strano alone verdognolo, permettendogli di scorgere oltre il raggio della sua luce. La stanza si divideva in tre navate: quella centrale portava ad un altare su di un piano rialzato, accessibile per mezzo dei gradoni ai lati delle altre due. Sotto l’altare, un’apertura lasciava intravedere un altro ambiente, ma il suo antro era completamente buio, e non era possibile capire cosa potesse ospitare. Firion diede una rapida occhiata ai misteriosi muri che lo circondavano, addentrandosi in quella sala per riti dimenticati. Superò l’entrata notata prima e si ritrovò in una nuova oscurità. Con le sue pietre, squadrò la piccola stanza per cercare dettagli importanti o nascosti, finché vide gli sportelli in legno logoro abbassati di una grossa botola. Si avvicinò e sporse cautamente la testa per vedere oltre il bordo del buco nel terreno: sotto la trappola, lo stesso chiarore verde di prima rendeva visibile il fondo basso e la spaventosa caduta, per qualunque uomo normale, che avrebbe permesso di raggiungerlo. In quel momento, Firion avvertì una presenza alle sua spalle, un movimento furtivo che mirava a sorprenderlo. Rimase fermo per non destare sospetti nel suo aggressore nascosto, studiandolo al meglio ed aspettando il momento giusto per sorprendere e colpire. Quando l’assalitore gli fu quasi addosso, all’ultimo secondo, Firion si voltò fulmineo e protese il potente braccio, afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra. La figura in ombra si dimenava per farsi rilasciare dalla rigida morsa che lo costringeva, mentre Firion avvicinò la mano luminosa per capire di chi si trattasse. Ciò che vide lo lasciò spiacevolmente sorpreso.
“Patches! Il fato mi deve avere in odio per aver permesso che le nostre strade s’incrociassero ancora…” esclamò con un sorriso amaro.
“Ciao, Firion” riuscì a dire l’altro con un corto respiro nella morsa del cavaliere.
Patches la Iena, una delle peggiori canaglie che il mondo avesse mai visto nascere e la più grande che Firion avesse mai conosciuto. Lo aveva malauguratamente incontrato tra le cave di Stonefang, dove Patches si spacciò per amichevole aiutante e desideroso di compagnia. Tutta quella messinscena servì solo ad ingannare l’ancora troppo ingenuo Cacciatore, che finì per cadere vittima di una trappola tesa dal viscido furfante per raggiungere un tesoro difeso da un demone pericoloso. Firion rimase solo a combattere l’essere immondo, mentre Patches se ne scappò con il suo trofeo. Fu una delle prime lezioni che Firion imparò su come vanno veramente le cose nel mondo, e non l’avrebbe mai dimenticata.
“Di’ un po’: volevi buttarmi in quella fossa, magari sperando che morissi?”
Firion non accennava a mollare la presa, e anzi si mise a scuotere il corpo che teneva tra le dita.
“Non avrei potuto, la caduta non è abbastanza alta per-”
Uno scossone più forte degli altri fece ingoiare a Patches le parole che voleva dire, e allora prese a dare ogni tipo di giustificazione per farsi lasciare.
“Andiamo, noi siamo amici! Gli amici non si strangolano a vicenda!”
“Questo lo vedremo…”
Firion rilasciò finalmente il furbo brigante, che cadde a terra con un tonfo rumoroso che echeggiò fastidiosamente sulle pareti, e gli gettò vicino una delle pietre che teneva in mano per far luce sui suoi connotati un po’ stagionati. Patches non era più giovanissimo, era completamente pelato e portava sempre un sorriso scaltro che non anticipava niente di buono per chi gli stava attorno, e la sua voce sembrava nascondere una fregatura continua. Dopo essere stato liberato da Firion, Patches tornò velocemente in piedi e si ricompose, massaggiandosi il collo senza badarci troppo.
“Immagino che tu abbia incontrato il mio compare Blige, quel coso che hai sulla schiena era suo. Certo che sei cresciuto, eh, piccolo cavaliere: sei più forte, più grosso, più alto. E quello sguardo! Sei un vero guerriero adesso!”
“Che ci fai qui, Patches?” chiese Firion stancamente, ignorando l'entusiasmo dello strano amico. L’altro rispose con enfasi e gesticolando energicamente, mettendo un braccio invadente sulle spalle del cavaliere con cui lo allontanò dalla botola e lo fece girare via.
“La roba che faccio sempre io, ma cosa importerà mai la roba noiosa che faccio io ora che tu sei-…”
Una richiesta d’aiuto proveniente dal fondo della fossa alle loro spalle interruppe la bugia di Patches e fece voltare entrambi verso la voce. La richiesta venne di nuovo, rivelando la malefatta del farabutto.
“…qui.”
“Patches, che hai fatto stavolta?” chiese Firion ancor più senza speranza di prima.
“E’ stato un incidente! Io non ho nessuna colpa. Quel sedicente Santo si è avvicinato tanto pomposamente, io gli detto che avrebbe trovato delle incredibili ricchezze nella fossa e lui c’è caduto!”
“Mi stai dicendo che quello là sotto è un Santo della Chiesa, che era venuto per cercare dell’oro, e che è ‘scivolato’ laggiù?” disse Firion con sarcasmo scettico.
“Beh, io gli ho dato una mano!”. Patches esplose in una risata incurante e non fece finta di trattenersi. Firion lo superò annoiato tornando alla grossa bocca nel pavimento e gli rivolse uno sguardo severo.
“Sei incorreggibile. Presto o tardi finirai per farti un nemico non gentile come me, hai capito?”
Senza aspettare una risposta, Firion si buttò oltre il bordo della botola, guadagnandosi la sorpresa della canaglia dietro di lui. Patches si sporse immediatamente e, quando vide Firion totalmente illeso sul suolo della camera inferiore, nonostante la notevole caduta, non poté trattenersi di quanto era sbalordito.
“Ma come diavolo hai fatto?”
Firion non badò al predatore di tombe e si concentrò sull’uomo in necessità che era caduto nelle trappola di Patches. Lo individuò subito sulla parete opposta della stanza, seduto a terra e appoggiato al muro. Aveva capelli corti, basette rasate ed una folta barbetta tendente al grigio: non poteva essere più vecchio di Saggio Freke. Portava abiti ordinari, ma un largo mantello bianco gli dava un’aria particolare. Si abbracciava una gamba al petto con espressione dolorante, ma quando vide Firion, ogni sofferenza sembrò svanire.
“Siano ringraziati i Cieli, Dio ha ascoltato le mie preghiere ed un salvatore è accorso in mio aiuto!”
“Il mio nome è Firion. Sono un Cacciatore di Demoni proveniente dal Nexus” disse il giovane inginocchiandosi davanti all’uomo.
“Io sono Sant’Urbain. Sul mio nome, io ti prometto che ti sarò eternamente grato per questo tuo generoso atto di altruismo.”
“Un momento: lei è davvero un Santo della Chiesa? Cosa ci fa lei qui?”
“Dopo la caduta di Boletaria, la Cattedrale è diventata inaccessibile. Sono andato in cerca di un luogo appropriato per ascoltare la voce di Dio, e questo è quello che più è stato vicino alla sfera dello spirito prima della nascita della Chiesa. Sono venuto qui in cerca d’ispirazione e di una guida, ma, ahimè, sono invece caduto vittima di quel piccolo demonio sotto mentite spoglie.”
“E’ ferito? Riesce a muoversi?”
“No: la gamba sinistra è rotta, la destra mi duole oltre ogni sopportazione.”
“Allora la porterò direttamente al Nexus. Se posso chiedere, perché non ha eseguito un Miracolo per guarire? Conosco dei devoti come lei che lo hanno fatto più volte.”
“Allora la fede e la fermezza di quei tuoi amici deve essere davvero incrollabile. Per potersi fare tramite del potere divino, un corpo di carne e sangue non può semplicemente essere attraversato da una tale energia: le condizioni fisiche e psichiche devono essere perfette, poiché una parte del fedele viene consumata durante l’esecuzione. E’ un enorme sforzo che mette alla prova la mente ed il fisico, quindi richiedono molta energia e pratica.”
“Fortunatamente, i miei amici hanno tutta l’esperienza che serve. Prenda il mio braccio e non lo lasci per un istante.”
Urbain fece come gli era stato detto e Firion avvicinò le dita al Marchio che portava al polso. Curioso, Patches guardò e si chiese cosa avrebbe escogitato per uscire da quella trappola senza uscita: i muri erano troppo alti e ripidi per essere scalati, la pietra troppo spessa per essere abbattuta, e non c’erano indizi di altri passaggi che permettessero l’accesso a qualche altra stanza. Patches continuava a farsi domande quando vide i due uomini a terra del piano inferiore semplicemente sparire in un alone azzurro. Sbatté rapidamente le palpebre per accertarsi che non stesse sognando ad occhi aperti e rimase immobile, senza parole, a pensare per qualche momento a quello che aveva visto. Poi fece una faccia impressionata e si disse che il ragazzo avrebbe dovuto insegnare quel trucco anche a lui. Recuperò una sacca piena di preziosi oggetti depredati dalle tombe lasciata nell’ombra in un angolo della stanza: se la mise in spalla e tornò al suo lavoro, lieto di essersi liberato sia dello stolto Blige che del Cacciatore ficcanaso.
 
“…Per quanto mi dispiaccia pensare che l’attacco al mio villaggio abbia segnato la fine, non della vita che avrei voluto condurre, ma di una vita tranquilla che avrei voluto per mia sorella, lentamente mi sto abituando e affezionando alle persone che mi hanno accolto in questo eremo oltre il tempo e lo spazio chiamato Nexus. Nessuno è mai stato in grado di spiegarmi cosa sia o dove si trovi esattamente. Tutto ciò che so è che, in qualche modo, il Nexus vincolava l’Antico, e che qui si riuniscono coloro che sono stati marchiati come Cacciatori di Demoni, le loro anime per sempre incatenate a questi muri finché porteranno la fine della Piaga e stermineranno tutti i demoni fino all’ultimo. I Cacciatori ricevono la loro missione dal Monumentale, un’entità di cui conosco solo il nome, ma che mi è stato detto abita anch’esso il Nexus, e vengono confortati e curati da una donna vestita di nero, di cui non so niente se non che gli occhi le sono stati coperti di cera per ragioni che non riesco ad intuire. Non sono mai stata una persona religiosa, né ho mai dato veramente retta alle pratiche delle Arti dell’Anima che si diceva venissero praticate a corte, e mai avrei pensato che la prospettiva che avevo del mondo potesse essere sconvolta così tanto. Ciò che mi capita attorno sembra derivare da una fantasia incontrollabile, dove magie e miracoli e anime sono tutte cose tangibili e visibili. A volte, faccio ancora fatica a crederci.
Durante la crisi che ha colpito il nostro regno, il regno di Re Allant, mi è stato detto che molti sono stati i Cacciatori scelti per far fronte alla minaccia demoniaca, ma solo due adesso rimangono. Il primo afferma di aver abbandonato la sua missione: non essendo più in grado di affrontare gli orrori del mondo esterno, aspetta silenzioso la fine, non so se sua o della Piaga. Il secondo è il primo uomo in tutta la mia vita, dopo mio padre, che sono arrivata ad ammirare e rispettare dal mio più profondo. Il suo nome è Firion, e a lui devo tutto. Firion è mosso da principi e virtù che ho sentito solo nelle vecchie storie degli antichi eroi che si diceva vagassero per il mondo in cerca del male per estinguerlo. Affronta ogni sfida che gli viene contro con forza, coraggio e volontà ineguagliabili; non ha paura di niente e tiene solo al benessere di chi è con lui; è sempre pronto al sacrificio, e dimostra un altruismo estraneo a chiunque abbia avuto modo di conoscere; ha una personalità splendida, ed ogni sua parola è un fuoco che porta un po’ di calore e di luce in questo mondo freddo e buio.
Tuttavia, temo che anche questo stia cambiando. La anime demoniache corrompono quella del Cacciatore che le assorbe, tramutandola in quella di un Demone. Se è davvero questa la verità, ad ogni nemico sconfitto, Firion si avvicina sempre più a diventare uno di quei mostri, ed il processo ha serie ripercussioni sul suo fisico e sul suo spirito. Anche se non dice niente, io ho capito che lui avverte il cambiamento, e nonostante questo non si ferma, sapendo che deve distruggere ogni singolo Demone. Cosa succederà quando avrà concluso la sua missione? Sarà rimasto sé stesso anche allora? Non posso sopportare l’idea che possa diventare uno di quegli esseri orrendi. Non voglio. Non lo permetterò…”
Claire sollevò la penna macchiata d’inchiostro dal foglio su cui scriveva e si prese un secondo per pensare e guadarsi intorno. Se per un momento era riuscita a sentirsi a casa vicino alle persone che erano confinate con lei, dopo l’aggressione di Logan tutti persero il coraggio di sorridere, ed un silenzio fatto di paura calò sulle loro teste. Lei stava al suo posto vicino Serah, che non per un istante lasciava la presa sul bambino che aveva portato con sé. Gli altri, allo stesso modo, restavano isolati e distanti, tutti con sguardi persi nel vuoto o guardinghi e costantemente in allerta. I chierici erano tornati nel profondo dell’ala sinistra, Freke all’ombra dei pilastri sulla destra. Yuria si era rannicchiata ai piedi di una colonna opposta a Claire, mentre Ostrava era appoggiato ad uno dei monoliti al centro. Thomas e Boldwin non proferivano parola, e la Fanciulla in Nero sedeva sulle scale per il piano superiore, dove probabilmente si era perso lo Spettro del Guerriero Avvilito. Da quando Firion aveva raggiunto il Nexus, lui aveva fatto di tutto per far interagire e conoscere quelle persone, che altrimenti sarebbero rimaste degli sconosciuti, e questo permise ad un ambiente famigliare di sbocciare tra i cuori assopiti di quegli individui diffidenti. Solo nel momento in cui quel tepore spensierato venne a mancare Claire capì a quale estensione Firion voleva far arrivare il suo operato: lui non combatteva i Demoni solo perché gli era stato detto. Lui li combatteva per far tornare quei legami che gli uomini avevano dimenticato di saper creare. Era bastato l’odio di uno solo affinché la fiducia che costruì con la sua lotta venisse spazzata via dall’angoscia, e lei non poté fare niente per evitarlo.
“Non posso più restare.”
Il Discepolo si alzò dal posto che aveva in mezzo ai suoi due confratelli e si mise in spalla una sacca da viaggio, un bagaglio leggero con non più che qualche provvista ed utensile, ma tanta speranza in compenso. Gli altri due lo imitarono e subito fecero sentire il proprio disaccordo.
“Vorresti uscire?! Come puoi dire una cosa simile?! Lo sai cosa rischi se metti piede fuori di qui?!” esclamò l’Accolito.
“Non lasciarci soli! Dopo quello che è successo, non avrei la forza di resistere senza di te!” seguì l’Adoratrice. Il Discepolo posò le mani sulle spalle di entrambi ed offrì lo stesso sorriso che un padre amorevole avrebbe potuto dare a dei figli piangenti.
“Devo andare per cercare una guida più luminosa di quella che abbiamo ora. Prima della discesa della Nebbia, i Santi del nostro ordine erano in pellegrinaggio in diverse regioni di Boletaria. Sono sicuro che anime così pure stiano ancora vagando in cerca di fedeli da poter aiutare e proteggere. Andrò nella Valle di Corruzione, dove chiederò loro di concedere parte dello splendore della loro fede anche a noi. Non fallirò. Voi non sarete da soli: io mi fido di Firion. Quel ragazzo tiene a voi con la stessa intensità che provo io.”
Li lasciò increduli e spaventati e si allontano verso i pilastri al centro del salone. Attirò l’attenzione di Claire, che si liberò velocemente di libro e raschietto e lo raggiunse frettolosamente.
“Ehi! Aspetta! Che intendi fare?”
“La mia permanenza qui è terminata. Tornerò solo con coloro che potranno darci delle risposte in questi tempi di dolore.”
“Vuoi andartene?! Non puoi! Non così! Non pensi a Firion? A tutto quello che ha fatto per te?”
“E’ l’unico modo che ho per ripagarlo…” rispose con un sussurro l’altro. Claire non seppe dire altro e lo guardò stupita.
“Saggio Freke!” gridò il Discepolo. Dopo pochi istanti, quell’ombra, estensione della cupa magia di cui si faceva portatore, si mostrò alla vista. Si portò avanti finché fu a pochi centimetri da colui che lo aveva evocato. Entrambi si fissavano con uno sguardo impietoso che in un momento palesava l’odiosa disputa che avevano le loro diverse prospettive del divino. Ad un tratto, quello del Discepolo si ammorbidì. Estese il braccio e protese la mano.
“Abbi cura di queste anime desiderose di vita.”
Fu una richiesta priva di rancore, un’azione sincera nata dal cuore. Freke squadrò l’uomo davanti a sé: un vero saggio, nel cui spirito albergavano solo bontà e rettitudine. Invidiò ed ammirò quell’uomo virtuoso, sapendo che non avrebbe mai raggiunto il suo livello di comprensione delle cose. Una profonda tristezza lo pervase: per una ragione a lui ignota, avvertiva che non lo avrebbe più rivisto, ed il pensiero che il mondo avrebbe perso una tale personalità in un modo così ignobile abbatté il suo morale. Strinse la mano con sicurezza, un segno di rispetto, e la promessa di continuare il suo viaggio verso la verità.
“Come fossero figli miei, fratello.”
Il Discepolo diede un cenno riconoscente e sciolse la stretta. Con un ultimo saluto, si congedò dai suoi compagni e dai suoi amici. Sfiorò la gemma di uno dei pilastri e svanì.

Claire non seppe quanto tempo passò. Senza riferimenti di alcun tipo, potevano essere passate intere ore o pochi minuti. Stava per cedere davanti alla spiazzante monotonia del Nexus, quando un’esplosione di luce divampò al centro del salone, da cui emersero le figure di Firion e di un uomo ferito con un mantello bianco. Il Cacciatore attirò subito l’attenzione di tutti per l’enorme spadone che sfoggiava sul dorso, ed i chierici vennero chiamati per portare aiuto all’uomo in difficoltà. Quando si accorsero di chi si trattava, una lode acuta si levò dalle loro voci.
“Sia lode al Grandissimo! Sant’Urbain è in mezzo a noi!”
Sia Claire che Serah alzarono il capo incuriosite da quel canto gioioso. Urbain, rimasto a terra, fece calmare i due devoti e diede uno sguardo riconoscente a Firion.
“La fede di questi miei giovani fratelli è grande, lo vedo nei loro occhi. Loro mi guariranno velocemente. Non ho niente da darti per simboleggiare la mia gratitudine, se non questo…”
Urbain si sfilò il mantello candido come neve e lo porse all’Adoratrice perché lo consegnasse a Firion, che lo accettò di buon grado e se lo mise sulle spalle. Dopo di ché, i due membri della Chiesa più giovani trasportarono attentamente con loro Urbain per medicarlo al meglio delle loro possibilità. Quando ebbe il tempo di guardarsi intorno, Firion sembrò finalmente percepire il cambio di atmosfera avvenuto mentre era via. Passò lo sguardo su ogni volto presente e capì che qualcosa non andava. Si avvicinò alle due sorelle appoggiate al muro di sinistra e le salutò con un cenno discreto. S’inginocchiò davanti a Claire e parlò a bassa voce.
“Claire, che accade? Cosa sono quelle espressioni?”
“E’…successa una cosa, mentre tu non c’eri…”
Claire spiegò della furia omicida che dimostrò Logan e della partenza del Discepolo. Non fu una storia lunga, ma Firion sembrò faticare a comprendere quegli avvenimenti così improvvisi ed inspiegabili.
“Almeno…almeno state tutti bene. Tu non sei stata ferita, vero?” disse prendendo la sua mano.
“No, ma per quanto ancora, Firion? Queste persone sono stanche. Non so per quanto resisteremo…”
“Allora non ho tempo da perdere qui.”
Firion cambiò repentinamente espressione, nonostante si perse lunghi momenti negli occhi celesti di Claire. Tornò in piedi e si allontanò verso il centro della sala, ma Thomas e Boldwin lo pregarono di trattenersi qualche minuto.
“Spero che adesso le cose ti siano un po’ più chiare, o semplicemente ti piace ignorarle?”
Claire si girò confusa verso Serah, che vide con un’espressione severa che accrebbe il suo smarrimento.
“Di che parli?”
“Di Firion, ovviamente!”
“Ancora questa storia? Se devi dirmi qualcosa, dilla e basta!”
“Va bene! Lui è innamorato di te, stupida!”
“C-Cosa? N-Non sai di che parli…” disse Claire scuotendo la testa.
“Hai mai notato come ti guarda? Come ti parla? Sei proprio insensibile, lo sai?”
“Beh, cosa dovrei fare, allora?” chiese lei dopo alcuni attimi di silenzio.
“Accompagnalo fuori e chiediglielo. Avrete tutta l’intimità che potresti volere. Se non fosse vero, io mi rimangerò tutto e tu ti sarai tolta un pensiero.”
“Come se ti potesse chiedere a qualcuno se si è in amore così apertamente…” pensò Claire dubbiosa.
“Va bene, ma quando mi avrai fatto fare una pessima figura mi aspetto che mi ripaghi adeguatamente” disse Claire alzandosi.
“Qualcosa mi dice che mi darai ragione…”
Claire le diede un’ultima occhiata incerta prima di voltarsi e raggiungere il Cacciatore. Boldwin lo stava intrattenendo in una discussione riguardante la sua nuova arma. Entrambi si accorsero di lei ed aspettarono cosa volesse dire.
“Voglio tornare fuori per aiutarti: non posso permettere che tu combatta da solo mentre io me ne sto qua con le mani in mano. E prima che tu possa obiettare: sappi che Serah è d’accordo, quindi non mi farai cambiare idea.”
Firion incrociò le braccia e sospirò pazientemente. Rifletté in silenzio sulla richiesta della ragazza e, dopo un po’, pensò che non sarebbe servito provare a convincerla di restare.
“Sei proprio testarda, tu. Sarà pericoloso…”
“Non lo è stato fino ad ora?”
Firion non poté fare a meno di sorridere davanti alla temerarietà di Claire e gli fu impossibile negarle il suo desiderio.
“Molto bene. Partiremo subito.”
“Verrò anch’io.”
Tutti loro si voltarono verso la voce proveniente dai gradoni delle scale, rivelando la figura del fantasma del Nexus. Si avvicinò senza emettere un suono: guardò in modo deciso prima Claire e poi Firion.
“Non resterò più a guardare.”
“Oh? Finalmente un po’ di carattere? Era ora!” commentò Boldwin. Poteva sembrare uno scherno, ma dietro si poteva avvertire la soddisfazione nel vedere un’anima che aveva riscoperto quanto poteva essere combattiva. Claire e Firion diedero un cenno affermativo e di convinzione: non era il momento di chiedere le motivazioni che lo portarono ad agire dopo così tanto tempo. Firion diede ai suoi due compagni il tempo di equipaggiarsi adeguatamente. Poi, tutti e tre sfiorarono la gemma dell’Isola delle Tempeste, dissolvendosi nel nulla.
   
 
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