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Autore: Maruko Stormil    08/01/2016    0 recensioni
Dal prologo: Nel nostro mondo non esiste la magia. Non esistono i maghi. O almeno non esiste quella magia che non sia una serie di trucchetti per fare uno spettacolo e divertire un pubblico, che paga per vedere illusionisti che li ingannano con la velocità delle mani o con botole e scatole con doppi fondi. No, io parlo della vera magia, quella magia che permette di fare cose umanamente impensabili. Nel nostro mondo non esiste questa magia. Ma un ragazzo riuscì a riscoprire un mondo perduto, un mondo dove esiste la vera magia, e sarà proprio questa magia che gli cambierà la vita…
Ok questa è la mia prima fanfiction. Parla di un ragazzo, coi suoi problemi e dilemmi, che viene catapultato nel mondo di Fairy Tail, dove scopre la magia, incontrando i personaggi del manga e vive avventure al di fuori della sua immaginazaione. Non vi dico altro per lasciarvi nel dubbio. Se vi ho incuriosito leggete!!!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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~~VIII
L’artiglio del dolore
L’ex soldato mi pose ancora una volta quella domanda, rimanendo ad una distanza di sicurezza. Beffardo sorrisi, un sorriso amaro per l’imminente sconfitta e stanco per gli sforzi dello scontro. “Eh, eh, se non ti dispiace non credo di voler essere seppellito. Ho ancora tante cose da fare” dissi sornione. Ma alla fine ciò che dissi aveva un fondo di verità: un mese e mezzo passato ad allenarmi come un pazzo, solo per poter uscire il prima possibile da quella grotta e trovare un modo per tornare a casa per poi morire lo stesso giorno in cui mi metto alla ricerca di una soluzione per tornare nella mia dimensione. Safuyu non sembrò venir toccato dalle mie parole, dato che afferrò l’elsa della spada nera con la mano sinistra e la sfoderò lentamente, in un gesto quasi religioso, mostrando al sole la lama dell’arma: un filo di quello che pareva acciaio, sottile e nero, si fondeva con la guardia ovale, anch’essa nera. Un metro e mezzo di pura sete di sangue. Se la morte fosse stata un’arma, sarebbe potuta essere quella katana. Con la spada in pugno il generale si avvicinò cautamente a me, fino ad arrivarmi a circa un metro, fissandomi negli occhi. Lo sguardo gelido non lasciava trasparire nessuna emozione, solo calma ed, allo stesso tempo, concentrazione. Proprio come ci si aspetterebbe da un generale. Con un leggero sorrisetto rispose al mio commento: “Com’è ilare la vita. Ognuno ha tante cose da fare, cose che vorrebbe compiere, ma il tempo che abbiamo è limitato. Oggi vivi, domani potresti morire. Lascia che ti dica una cosa, giovane: non aspettare domani per fare ciò che puoi fare oggi. La vita ti può giocare dei brutti scherzi e non sai mai quando ti potrebbe fare lo sgambetto. Guarda me. Il giorno prima ero un grande capo dell’esercito, il giorno dopo divenni un traditore ed un ricercato. Quindi non aspettare, perché questo potrebbe essere l’ultimo giorno che hai da vivere…e nel tuo caso è così. Quindi che tu lo voglia o no, ti seppellirò qui. E’ stato un piacere incrociare la lama con te...”. Un momento di silenzio, poi Safuyu mi chiese: “Come hai detto che ti chiami?”. Devo essere onesto. Ero ad un passo dalla morte, ma mi scappò da ridere. Un sorriso spuntò sul mio viso, e risposi divertito al generale: “Maruko, Maruko Stormil”.
“Maruko Stormil. Pure di fronte alla morte sorridi. Spero che quel sorriso abbia portato serenità a chi hai conosciuto. Ma tutte le cose belle finiscono. E’ ora di finirla”. Alzò la spada, pronto a decapitarmi. “Ti darò una morte veloce. Addio” e mosse la spada da sinistra verso destra, per tagliarmi il collo. Sentii un urlo. La voce era di Arashi ed un suo ruggito mi avrebbe distrutto i timpani, se il cervello ne avesse avuti. Un urlo di disperazione, di speranza, di…paura. Non so cosa successe, forse fu solo la paura di morire, o l’istinto di sopravvivenza, non saprei come descriverlo, ma alzai la gamba destra, colpendo con un calcio il braccio sinistro del boia. La lama deviò vero l’alto sfiorandomi la testa prima che il generale effettuò un balzo all’indietro, allontanandosi di qualche metro per poi continuare a camminare all’indietro, fermandosi a circa dieci metri. Due catene sbucarono dal terreno e si legarono attorno alle mie caviglie, per poi tirarmele verso il basso, impedendomi di usare anche le gambe. Adesso ero immobilizzato totalmente. Non potevo più muovermi, ad eccezione del collo. Un’ultima goccia di energia pervadeva ancora il mio corpo, una goccia di voglia di vivere, di testardaggine. Con un ghigno alzai lo sguardo verso Safuyu e gli dissi: “Mi spiace per te, ma sono più testardo di quello che appaio. Ho davvero troppe cose da fare per poter arrendermi proprio ora”. Il generale mi fissò con aria prima sorpresa, poi apatica. Dopo un momento replicò: “D’accordo. Allora ti ucciderò da qui”. Alzò la spada in alto, impugnandola come se fosse una lancia, con la punta della lama rivolta contro di me. Pronunciò alcune parole, come se fossero una preghiera, un’invocazione…o un incantesimo: “Graffia il cuore, lacera l’anima”. La lama iniziò a trasformarsi: inizialmente sembrò prendere fuoco, un fuoco nero che poi investì l’intera spada. Ma non era la spada a prendere fuoco. Era la stessa spada che diventò fuoco. Un fuoco che non sembrò scottare la mano del generale, che non sembrava risentire di quel calore. Le fiamme cambiarono forma e contorcendosi ed allungandosi assunsero la forma di una lancia, lunga almeno tre metri e con una punta lunga almeno trenta centimetri, sottile, con due diramazioni uncinate all’attaccatura del bastone. Le fiamme sembrarono come aumentare di densità, finché non divennero quasi palpabili, come una sostanza liquida…come delle ombre.
La voce di Arashi spezzò lo spettacolo a cui stavo assistendo ed esclamò, evidentemente sorpreso: “Quell’arma…non avrei mai creduto di rivederla”. La reazione del grande drago mi stupì non poco. “L’hai già vista prima?” chiesi. Una domanda retorica ed anche un po’ stupida, ma non ero proprio nelle condizioni di potermi permettere di controllare cosa mi uscisse dalla bocca.
“Quella spada, o forse non dovrei chiamarla così dato che assume forme diverse in base a chi la impugna, è stata ricavata da uno degli artigli di mio fratello Ainryuu. Anzi, è stata creata proprio da mio fratello che la donò al suo allievo a cui aveva insegnato la magia del Dragon Slayer. In punto di morte Ainryuu si spezzò un artiglio intriso del suo potere magico e creò quell’arma per permettere al suo allievo di salvarsi la vita…”. Nella sua voce si poteva notare una scaglia di nostalgia, ma non ci feci tanto caso. L’unica cosa che mi venne in mente di chiedere in quel momento fu: “Cosa?! Hai un fratello? Perché non me l’hai mai detto? Chissà cos’altro mi hai nascosto! Bugiardo!”. Lo dissi con tono sorpreso, ma anche abbastanza ironico, forse per sdrammatizzare il fatto che stavo per essere infilzato come un pollo sul girarrosto. Riuscii a strappare ad Arashi una leggera risata: “Ahahah. Anche in momenti come questo non ti smentisci mai, vero? Comunque, ora quell’arma è in uno stato come quello della tua ‘Raika’. E’ composta totalmente da magia. Ma non so nemmeno io perché te lo sto dicendo…Tu sei senza magia, io non posso più materializzarmi per le prossime ventiquattr’ore. Mi dispiace, ti ho messo io in questa situazione. Se solo…”. Stroncai il suo discorso, avevo intuito dove stava per andare a parare, ma non avevo proprio la voglia né il tempo di sentire le sue parole.
“Aspetta, hai detto che è come la ‘Raika’?” chiesi. Una lampadina si accese nella testa. Forse avevamo una via d’uscita. “Sì, come la tua lancia. Perché?”. Sorrisi beffardo, per poi rispondere al drago: “Ho un’idea”.
La reazione di Arashi non tardò ad arrivare ed esclamò immediatamente: “Ed allora muoviti! Ma non esagerare…”. Una nota di speranza risuonava nella sua voce, ma arrivò il momento di doversi concentrare su quella dannata arma. Se avessi anticipato la mia mossa o se l’avessi ritardata anche solo di poco sarebbe stata la fine. Il generale si preparò a scagliare la sua arma e la lanciò, puntando alla mia testa. Inspirai. Ed espirai. La lancia Si avvicinò velocemente. Arrivò a pochi centimetri dalla mia testa. Decisi che era il momento: inspirai profondamente, risucchiando l’aria ed addentando letteralmente la punta della lancia, mangiandola letteralmente, come avevo intenzione di fare con l’aria. Infondo se la lancia era costituita da particelle magiche non vidi il perché non potessi mangiarmela. Sentii la lancia sciogliersi in bocca, trasformandosi in aria, per poi mandarla giù. Sentii immediatamente tornarmi le forze, mi sentii carico di energia quanto non mai. L’espressione sorpresa del generale fu l’unica volta che vidi la sua maschera imperturbabile venire scalfita. Quello fu il momento giusto per finirla: senza neanche liberarmi delle catene concentrai tutto la mia scorta di magia appena ricaricata nei polmoni, per poi espirarla tutta in un’unica volta. “Ruggito del drago dei fulmini!” urlai un attimo prima di espellere quell’ammasso di energia dalla bocca, che prese la forma di un’enorme spira di fulmini del diametro di almeno sei metri che in poco tempo coprì la distanza tra me e Safuyu. Il generale tentò di difendersi dal colpo avvolgendo le sue catene davanti a sé, formando uno scudo di ferro ed acciaio che, purtroppo per lui, non resistette e venne distrutto. L’enorme fulmine colpì in pieno il generale. Non lo sentii nemmeno urlare e lo vidi a terra, supino, coi vestiti bruciacchiati e le braccia aperte che giacevano a terra, dopo che i fulmini si erano diradati per poi sparire nell’aria. Le catene che mi tenevano bloccato, sospeso a qualche centimetro da terra, sparirono come brina al sole, lasciandomi cadere. Appena toccai terra mi avvicinai al generale, rimanendo comunque a circa due metri da lui per sicurezza. I suoi occhi erano aperti e le sue iridi glaciali osservavano il cielo azzurro. “A quanto pare sarò io ad essere sepolto”. La sua voce apparve stanca, un po’ roca. Sembrava davvero senza forze. “Non avrei mai creduto che qualcuno potesse rivaleggiare con quella spada…” disse dopo un attimo di silenzio. I suoi occhi si posarono su di me. Mi fissò per qualche secondo. Io non dissi niente, anche perché non avevo nulla da dire. Poi Safuyu interrompette il silenzio che si era creato: “Devi aver sofferto molto, vero? Te lo leggo negli occhi. Ora capisco perché sei riuscito a battermi…Il dolore provoca odio, e l’odio è la fonte delle vendette e delle guerre, oltre che la fonte del potere. Più odi più sei forte. Più soffri e più riuscirai a superare gli ostacoli futuri…Eh, ma per te queste suoneranno solo come parole vuote. Ora, lasciami morire con dignità. Un unico colpo, dritto al cuore. Fallo, ti prego. Disonorato, cacciato e braccato. Ed ora sono stato sconfitto, quella poca dignità che mi rimaneva è stata sbriciolata. Non ho altro motivo per vivere…”. E chiuse gli occhi, in attesa del colpo di grazia. Che non arrivò. Gli dissi: “Hai ragione, ho sofferto in passato, tanto. E concordo col fatto che l’odio possa essere la fonte di poteri terribili, che causano guerre e sofferenza. Ma, credo anche che non importa d dove provenga quel…potere. Ciò che conta è l’uso che se ne fa…”. Venni interrotto dal generale, che controbatté:
“Ed io ne ho fatto un cattivo uso. Non merito di continuare a…”. Come lui fece con me, io lo interruppi: “…ma tutti meritano una seconda opportunità. E in te credo ci sia ancora del buono. Quindi ora mettiti al servizio degli altri e cerca di redimerti, se ti senti così in colpa”. Quegli occhi gelidi si riaprirono con fatica, prima di tornare a guardarmi. Poi fissarono il cielo, per poi chiudersi di nuovo.
“Mph, dovrebbe essere il vecchio a fare la predica al giovane…In te c’è davvero del potenziale. Usalo. E fai ciò che io non ho fatto”.
“Certo, lo farò”. Ancora adesso non so perché feci quella promessa. Tutto ciò che volevo era tornare a casa, non di certo fare l’eroe. D’accordo che sono anche una persona anche fin troppo buona, ma ero dicerto il tipo che si mette una calzamaglia e va in giro a salvare la gente. Eppure, dentro di me, sentivo che quelle parole erano quelle che volevo dire. Il generale perse i sensi. Il grande cubo viola scomparve e i cittadini tenuti prigionieri, si avvicinarono. Mi sentii sollevato vedendo che non c’era nessuna persona ferita gravemente. Mentre tre uomini presero delle corde e legarono il generale come un salame, il vecchietto a capo del villaggio si avvicinò a me. Sentivo lo stomaco subbugliare, forse tutta l’adrenalina dello scontro stava svanendo e sentivo già i primi dolori, anche dove le catene mi avevano bloccato. Rinen arrivò vicino a me, mentre mi portavo la mano destra sopra lo stomaco. Mi disse: “Grazie. Grazie mille. Ci hai salvato. Come possiamo sdebitarci?”.
“Non serve, veramente. Ho solo fatto quello che andava fat…”. Mi venne un conato di vomito che trattenni a stento, accompagnato da un sonoro “ugh”. Il vecchio Rinen sembrò accorgersi delle mie condizioni e mi chiese: “Sta bene? Vuole riposarsi? Mi sembra un po’ pallido. Venga, la accompagno” e con un gesto della mano mi invitò a seguirlo. “No stia tranquillo, non serve, sto bene” risposi, mentendo ovviamente. La nausea aumentava sempre di più e non riuscii a trattenermi. Vomitai, forse per l’eccessivo sforzo…o forse per qualcos’altro. Ciò che mi uscì dalla bocca fu una sostanza liquida, nera come la pece, che si riversò a terra. Iniziò a girarmi la testa, le forze venivano sempre meno. L’ultima cosa che vidi fu quel liquido nero che mi parve muoversi. Poi persi i sensi e tutto divenne nero.
 
  
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