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Autore: Sheep01    08/01/2016    3 recensioni
“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi.”
Clint si trovò ad osservarlo ancora una volta con stupore. Non era da Coulson parlare a quella maniera, non usare quel tono afflitto, sconfitto.
“Avete ingaggiato i migliori, Phil… il governo non arriverà certo prima di noi.”
“Magari non questa volta. Ma la prossima volta che succederà? Quando riusciranno a dimostrare quanto siamo superflui, smetteranno di affidarci qualsiasi tipo di lavoro.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che dovremo cominciare a vedere come atterrare senza uno schianto, Barton.”
---
New York, la sua periferia, pioggia sporca che porta afflizione e la tecnologia che lentamente sta prendendo il posto della manodopera umana. Uno scenario dal sapore futuristico. Un'organizzazione da salvare. Pochi superstiti su cui fare affidamento.
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 15

 

Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.

(Neuromante)

 

*

 

“Questo che cazzo significa?”

Clint aveva incoccato una freccia, sebbene affatto sicuro che un dardo avrebbe prodotto l’effetto desiderato su quello strano individuo che gli stava di fronte.

“Non voglio farvi del male.”

“No, però magari ne facciamo noi a te, che dici?”

“Clint, sentiamo che cosa ha da dirci.” Lo redarguì Natasha che aveva già abbassato di poco la guardia.

Dovette serrare le labbra per non esibirsi nel suo miglior repertorio di imprecazioni suburbane.

“Che significa che Barton se n’è andato?” domandò allora, cercando di racimolare tutta la diplomazia di cui era capace… in quel momento.

“Se n’è andato”, riprese il tizio. “Mi ha chiesto di aiutarlo a forzare le porte ed è uscito dai magazzini.”

“P-perché non sei andato con lui?”

“Perché non avevo alcun interesse… a seguirlo. Il mio posto è qui. In attesa del ritorno del signor Stark.”

Clint deglutì a fatica. Barney si era svegliato. Già, ma in quale stato fisico… e mentale?

“Ma stava bene? Voglio dire… come diavolo avete fatto a… svegliarvi?”

“Immagino si sia attivato il sistema di allarme automatico. Il signor Stark lo aveva programmato in caso di pericolo. Jarvis, la sentinella del signor Stark, aveva ordine di distruggere il progetto. Ma deve aver deciso in modo diverso.”

“Deciso?” a Clint sfuggì una risata. “È una macchina! Le macchine non hanno il libero arbitrio.”

“Devo correggerla su questo punto, signor Barton. Jarvis aveva una vasta gamma di opzioni, nel suo database.”

“Aveva?”

L’uomo, la cosa, l’androide, indicò un punto in lontananza: il tubolare robotico che una volta aveva contenuto la pseudo coscienza di Jarvis era disattivato.

“Ha trasferito i suoi dati nella mia memoria centrale.”

Clint cominciò ad essere seriamente confuso.

“Quindi ora tu… sei Jarvis?”

“Non proprio… di fatto ho assorbito la sua coscienza, ma Stark mi ha creato per…”

“Va bene, va bene, non me ne frega un cazzo di chi o cosa sei. Dov’è Barney adesso?”

“Non ho chiari i suoi piani, in questo momento. Faticava a parlare, ma mi sembra di aver compreso che il suo obiettivo fosse la Stark Tower.”

Clint lanciò a Natasha uno sguardo sorpreso.

“Non esiste più la Stark Tower. La società è passata nelle mani della Robotics Inc. che rifornisce il dipartimento di sicurezza…”

“Immagino che per il signor Barton non faccia alcuna differenza.”

Improvvisamente Clint cominciò a sviluppare un dubbio. Un’idea, più che altro: che i ricordi di Barney fossero rimasti congelati al giorno della sua pseudo morte? Che il suo cervello si fosse fossilizzato, in loop, sul compito che l’Hydra gli aveva affidato?

Sabotaggio, distruzione, liberazione di virus.

Improvvisamente il ricordo della strage dell’Expo tornò a colpirlo con una nitidezza sconcertante.

I colori, i rumori, persino gli odori di quel giorno. La fuga di tutte quelle persone, la morte di Coulson, lo scontro con Barney, il braccio di Natasha.

“Merda…” mormorò andando a cercare gli occhi della compagna che, nel frattempo, doveva essere giunta alla stessa conclusione.

“Lo fermeranno ancora prima di entrare dalla porta d’ingresso…” gli disse, cercando di placare la sua agitazione.

“Già, è il come lo fermeranno che mi fa paura. Si è risvegliato dopo tre anni, non voglio nemmeno pensare in che razza di condizioni psicologiche sia…”

“Spera che non si ricordi come maneggiare un computer.”

L’istinto di chiedere a Natasha un paio di cose sul risveglio dopo il trattamento Lazarus erano tante, troppe, ma la priorità stava nell’impedire che Barney facesse qualche sciocchezza e che qualcuno lo ritrovasse, lo catturasse e avesse anche solo la possibilità di comprendere cosa fosse… o cosa fosse diventato.

“Che cazzo facciamo adesso?”

“Dobbiamo avvisare Rogers e Stark. E portare lui con noi”, indicò l’androide che doveva essere Jarvis… ma non era Jarvis.

“Il signor Stark è con voi?” domandò questi, apparentemente ancora legato in modo fastidiosamente morboso al suo creatore.

“Sì, è con noi. E non credo tornerà in questo posto.”

A giudicare da come era stato conciato il laboratorio e il disastro alle porte, all’FBI non ci sarebbe voluto molto per entrare e rendersi conto di quello che stava succedendo. E la cosa peggiore era che avrebbero avuto accesso ai segreti di Stark. O comunque a degli indizi che avrebbero potuto portarli a delle conclusioni.

“Dovremmo distruggere questo posto”, dichiarò con risolutezza.

“Stark non sarà d’accordo.”

“Si è portato via tutti i programmi di cui aveva bisogno. E i macchinari si ricomprano. Non credo sia poi così affezionato a questo tugurio.”

Natasha si mosse nervosa per la stanza.

“E come pensi di farlo?” Allargò le braccia.

“Non lo so. Appiccando un incendio? Un paio di cartacce… un fiammifero e qui prende fuoco tutto. Credo.”

“Se permettete, ho un metodo più veloce…” s’intromise l’androide guardandolo con quei suoi occhi di vetro.

Clint gli fece cenno di procedere.

“Fatevi da parte, prego”, disse solo prima di scansarli e allungare una delle sue eleganti braccia.

Prima che potesse anche solo chiedersi che diavolo stesse facendo, la mano robotica produsse una sfera di luce che andò a schiantarsi contro uno dei gruppi di robot al suolo, generando un incendio di tutto rispetto.

“Porca puttana!” esclamò Clint, che istintivamente si era portato accanto a Natasha per trascinarla via. “Potevi dircelo che cosa avevi intenzione di fare!”

“Pardon”, fu tutto ciò che il pazzoide pseudo robotico disse, “se volete prendere l’uscita, e mettervi al sicuro, credo di avere un po’ di lavoro da fare.”

Clint lo osservò sconvolto, le braccia ancora attorno alle spalle di Natasha.

“Non azzardarti a bruciare pure tu o Stark ci farà un culo come la Stark Tower”’, lo ammonì soltanto, prima di prendere il corridoio e allontanarsi.

Nell’ultima occhiata che lanciò al suo viso, fu quasi convinto di vederlo sorridere.

 

*

 

Clint non se lo ricordava proprio così lungo il corridoio. Il fumo e il crepitio delle piccole esplosioni prodotte dall’androide di Stark li raggiungevano alle spalle, mettendogli addosso una fretta del diavolo.

Avevano guadagnato l’uscita solo una manciata di istanti dopo, ma del furgone della Jones non c’era traccia alcuna.

“Dove cazzo è andata a finire?” Natasha. Che per una volta tanto sembrava agitata quanto lui.

“Provo a chiamarla.” Il cellulare gli sfuggiva da sotto le mani e si trovò a constatare quanto fossero sudate, “non risponde.”

“Prova di nuovo.”

“Non –” il segnale sembrò improvvisamente disturbato e, prima che potesse anche solo pensare a un’alternativa, le sirene dell’intero perimetro cominciarono a suonare all’unisono.

“E adesso che cazzo succede?”

“Devono essere gli allarmi antincendio.” Esalò Natasha; Clint si sentì un perfetto imbecille per non averci pensato subito.

“Pensavo che questo cazzo di posto fosse abbandonato! Che la pagano a fare tutta questa elettricità?”

“Non mi sembra il caso di pensare ai soldi dei contribuenti, in questo momento.”

Al segnale antincendio seguirono in caduta libera le sirene della polizia.

“Ma senti che bel concerto!” tentò di nuovo con il cellulare, ma dalla Jones nessun segno di vita, “Ma dove cazzo è andata a infilarsi!”

“Deve aver avuto dei problemi.”

“Oppure è una cacasotto!”

“Non è una cacasotto. Prova con Stark.”

“Certo e che fa? Ci manda dei missili terra/aria per volare via di qui?”

“Volare?” Non-Jarvis doveva aver concluso la sua opera distruttiva perché ora stava alle loro spalle, con l'aplomb invidiabile di chi non ha fatto altro che leggere giornali e bere tè negli ultimi dieci minuti.

“Volare. Sì. L’unico modo per andarcene di qui, a quanto pare.”

“Non dovrebbero esserci problemi.”

Clint gli rivolse uno sguardo stranito e Natasha non sembrò da meno.

“Se volete favorire, prego.” Lo videro allargare le braccia come a invitarli a stringersi davvero a lui.

“Stai scherzando?”

“Perché dovrei, signor Barton? Il signor Stark mi ha progettato perché fossi provvisto di diversi… optional.”

“Penso di sentirmi male.”

“Muoviamoci.” Esalò Natasha che, sebbene vagamente riluttante si era già allacciata all’androide, davvero pronta a fare chissà che.

“Ma siete seri? Io questa cosa non la…”

“Una stretta vigorosa, mi raccomando.”

“Vigorosa un cazzo. Non esiste!”

“Clint!”

“Signor Barton?”

La luce delle prime sentinelle robotiche in avanscoperta si riversò lungo tutto il piazzale.

“Con permesso.” Decretò Non-Jarvis e Clint non ebbe più il tempo di prendere una decisione: l’androide l’aveva improvvisamente presa per lui. Agganciò un braccio attorno alla vita dell’arciere e si sollevò da terra con la leggerezza di un palloncino gonfiato ad elio.

“Cazzo, cazzo, cazzo!” esclamò Clint che adesso cercava freneticamente di afferrargli almeno il braccio per impedirsi di cadere. Il terreno che si allontanava sotto di loro di almeno un centinaio di metri. Il bunker di Stark ormai un rogo di fuoco guizzante e le sentinelle robotiche che si aggiravano freneticamente attorno all’incidente, cercando il responsabile.

“Non la lascio, non si preoccupi.”

“Non mi preoccupo che mi lasci, mi preoccupo di non farmela addosso!”

“Quella se la risparmi per ciò che verrà dopo”.

“Dopo?”

Non-Jarvis fece solo un microscopico sorriso, prima di partire con la velocità di un falco verso lidi sconosciuti.

Clint gridò qualcosa, ma di sicuro non si lamentò della sua… di stretta vigorosa.

 

*

 

Si passò la mano fra i capelli.

Dovevano essere peggio di quando si svegliava la mattina più strapazzato di un uovo in padella.

Natasha sedeva sul parapetto di uno dei palazzi in costruzione di New York, i capelli non meno scomposti dei suoi e un colorito roseo ad animarle il viso. Non sembrava agitata, non più di quanto avrebbe dovuto esserlo comunque.

Parlava al telefono con Stark, o con Rogers. In attesa di istruzioni.

Per quanto lo riguardava, Clint si trovò  improvvisamente ansioso di andare a riprendersi Barney. Oltre al ricordo del disastro di New York, alla paura di aver liberato un potenziale terrorista psicotico si sommava il fatto che ancora si preoccupava per lui. Che nonostante tutto era il suo stracazzo di fratello, che forse non meritava redenzione, ma un briciolo di riguardo sì.

Per tutte le cose pessime che poteva aver compiuto in vita, un’altra porzione della sua esistenza Barney l’aveva dedicata a fare qualcosa di buono. Una su tutti essersi preso cura di lui, proteggendolo da un padre violento, insegnandogli le prime regole per potersela cavare. Clint gli aveva voluto bene. Probabilmente gliene voleva tutt’ora.

Strana cosa i legami di sangue.

“Stark ha detto di poter localizzare Barney”, le parole di Natasha erano tutto ciò che aveva bisogno di sentire.

“Sul serio?” Le si avvicinò, occhieggiando appena Non-Jarvis che sedeva a terra, poco distante, fissando il cielo, l’universo o solo il dio dei robot sapeva cosa.

“Già… gli ci vorrà un po’. Ma deve avergli impiantato un qualche chip. O qualcosa di simile.”

“Come ha reagito… alla notizia?”

“Quale delle due? Del risveglio dei suoi esperimenti o della distruzione dei suoi laboratori?”

“Tutte e due?”

Natasha si strinse nelle spalle.

“Ha imprecato, più volte, a entrambe. Poi ha cominciato a straparlare. Ho smesso di ascoltarlo.”

Clint sorrise, vagamente divertito, prima di mettersi a sedere di fianco a lei.

“Rogers e Barnes si sono tenuti a disposizione. Sono già alla ricerca, probabilmente hanno sguinzagliato tutti i vigilanti della città.”

“Dovremmo essere là fuori anche noi… invece di starcene su un tetto a rimirare le stelle.”

“Potrebbe essere ovunque… e tu ancora non ti sei ripreso del tutto. Partiremo quando avremo indizi concreti.”

Clint serrò le labbra, ricordando improvvisamente quanto odiasse, a volte, la sua razionalità.

“Che dovremmo fare? Aspettare? Qui?”

“Direi di sì… e poi abbiamo un mezzo di trasporto d’eccezione.”

“Non mi farò più trascinare in giro, svolazzando, da quel coso…” lo indicò Clint. L’idea delle altezze non lo avevano mai spaventato, ma volare senza appigli un qualche problema glielo aveva dato. Più che altro la velocità estrema. Tutto quel vento non aveva fatto granché bene ai suoi circuiti ancora danneggiati.  Da quando si erano fermati, un sibilo sinistro aveva preso a tormentarlo.

“Credo che ce l’abbia un nome”, mormorò Natasha, lo sguardo mesto su quell’ammasso di latta e circuiti.

“Ha detto di non essere Jarvis.”

“No… infatti non credo lo sia.”

Clint le lanciò uno sguardo strano, prima di passarsi di nuovo la mano fra i capelli scombinati.

“È una cosa… nuova, questo… tizio. Non è come voi?” azzardò, andando dritto al punto. L’idea di farsi dare più di una spiegazione da Natasha, affatto abbandonata.

Vide la donna irrigidirsi appena e qualcosa gli disse che avrebbe sperato che la conversazione venisse rimandata all’infinito.

“No… credo che lui sia più… una specie di androide, senziente.”

“Non era un essere umano, prima?”

Natasha scosse la testa.

“Penso che Stark lo abbia creato per sviluppare i primi test del progetto Lazarus”, si voltò a guardarlo, “non voleva sbagliare con Barney.”

Una premura affatto degna di Stark. O forse… Clint lo aveva sempre sottovalutato troppo.

“Qualcosa è andato storto comunque. Barney è sveglio. E se ne va in giro per New York…” e in quali condizioni poi? Probabilmente persino in mutande. O peggio. Una sorta di resurrezione alla Terminator. Nudo e determinato a uccidere.

“Storto non direi. Semmai il contrario. Stark gli aveva già somministrato le prime fiale del siero… il processo non era ancora completo, ma penso che Barney fosse quasi pronto.”

Clint inspirò a fondo, cercando di scacciare quella sensazione di assoluto stordimento.

“Voglio sapere di te. Credi di potermene parlare adesso?”

Natasha non disse niente ma capì dal suo sguardo che nonostante la riluttanza lo avrebbe fatto.

“Okay…” disse solo, come aspettandosi che fosse lui a fare le domande.

La conversazione gli ricordò immensamente quella avuta con lei sulle origini della sua formazione. Una racconto doloroso, ma necessario. Fu quello il giorno in cui il loro rapporto mutò per sempre. Dove il debito di riconoscenza divenne… amicizia.

“Il progetto Lazarus non è nato con Howard Stark e lo SHIELD. Il progetto Lazarus venne sviluppato ai primi anni del Novecento, da una costola speciale dei servizi segreti dell’ex Unione Sovietica.”

“Il luogo dove… sei nata tu?”

La donna annuì appena, stringendosi nelle spalle.

“Fui la prima con cui lo sperimentarono.”

La prima. Significava ancora prima di provarci con Rogers e tutta la sua squadra?

“Di che anno stiamo parlando… ?” decise allora di chiederle. Il punto, comprese ora, stava tutto lì.

“Del 1937.”

L’arciere dovette combattere con se stesso per non mostrarsi troppo stupito… o scioccato dalla notizia.

Questo significava che Natasha… aveva più di un secolo sulle spalle? I suoi capelli, il suo volto giovanile, l’incarnato ancora roseo dopo il volo… appartenevano davvero a una donna di più di cento anni?

“Puoi anche dirlo…”

“C-cosa… ?”

Come li porti bene, Natasha.”

“Non volevo che ti… montassi la testa”, solo l’azzardo di uno scherzo. Non era così certo che volesse spingersi troppo oltre.

“E il progetto Black Widow? La Red Room?”

“Quella storia è rimasta la stessa. Solo che le mie memorie devono essere ricollocate a un’altra epoca. Ti avevo detto di non avere ricordi chiari della mia formazione. Di avere diversi buchi di memoria. Credevo si trattasse di un problema dovuto ai farmaci che mi avevano somministrato da… bambina. Alla fine ho scoperto che non era quello il motivo.”

“Parli della tua…”

“Resurrezione?” la sentì sbuffare una risata amara, “Avvenuta più volte di quante ne ricordi, a quanto pare.”

“Che vuoi dire?”

“Negli anni Trenta facevo parte dei servizi segreti russi. Ho fatto un passo falso. Il primo di molti. E’ stato lì che sono…” prese un profondissimo respiro come se il peso di quelle dichiarazioni fosse ancora troppo per lei, da sopportare, “morta.”

La sensazione che quelle parole produssero su di lui fu raggelante. Ma lottò con tutto se stesso per non darglielo a vedere, per non lasciarsene sopraffare.

“Dovevano avermi selezionata. Tenuta d’occhio, probabilmente dai tempi della Red Room… perché qualche tempo dopo mi sono trovata a rinascere sull'asettico bancone di un laboratorio tedesco. Non ricordavo niente. Nemmeno il mio nome. Il professor Selvig…”

“Selvig?”

“Già… il padre del nostro Selvig, lo avresti mai detto? Uno degli scienziati che hanno sviluppato la formula embrionale del progetto Lazarus.”

“E il nostro Selvig lo sapeva?”

“No… è stata una scoperta per lui tanto quanto lo fu per me. In questi tre anni abbiamo lavorato insieme per arrivare alle origini di questa storia.”

La collaborazione si stava allargando a macchia d’olio. Le trame si stavano infittendo e nonostante tutto diventavano più chiare.

“E poi che è successo?”

“Ho fatto come Rogers”, disse, stringendosi nelle spalle, “sono scappata. Avevo bisogno di cercare una mia identità, di capire a che gioco stessero giocando. Ho vissuto di espedienti, usufruendo di tutte le capacità che mi sembravano innate, ma che in realtà erano solo il frutto degli insegnamenti che avevo ricevuto da bambina. Ho rubato, ucciso, lavorato per gente disgustosa, mi sono inoltrata nelle più torbide fogne della società per cercare informazioni… ma non è servito a nulla. Non a granché almeno. Mi trovarono… una seconda volta.”

In quelle parole capì che era tornata ad essere una vittima, in quello scenario.

“Sono morta e rinata. Ancora… e ancora… più le misure di sicurezza per tenermi legata a loro divenivano serrate, più le mie capacità di sfuggirgli si affinavano e specializzavano. Dirti quante vite ho vissuto… prima che ci conoscessimo… è una cosa che ancora devo scoprire. Ma non sono nemmeno più sicura di volerlo sapere… ormai.”

Vite vissute e dimenticate, una dopo l’altra. Solo coriandoli di memorie, impossibili da ricollocare per ricostruire un’intera esistenza.

“Le mille… vite di Natasha Romanoff…” le disse, cercando di farle capire che, per quanto turbato, non era così scioccato da non poter sostenere la verità.

La vide voltarsi e sorridere appena.

“E dire che ne abbiamo sempre parlato come fosse una metafora.”

“Già…” inspirò a fondo, “pensi di essere al sicuro adesso?”

“Io credo… credo di sì. Non deve essere rimasto più nessuno del progetto originario. E l’Hydra non è la Red Room. Lazarus è stato rinvenuto da Howard Stark in tempi recenti. Il progetto è passato in mano loro per poi essere distrutto, abbandonato per sempre. Fino al giorno in cui Tony l’ha ritrovato e ha deciso di… provare qualcosa di nuovo.”

Clint si passò una mano sul collo. Le informazioni erano tante, ma adesso il quadro cominciava finalmente a prendere forma. In un certo senso invece di assorbirne il peso, se ne sentì liberato.

“Sei entrata allo SHIELD e non sapevi niente di questa cosa: perché non hai approfittato del fatto di poter frugare nei loro archivi per cercare informazioni sulla vita che avevi… dimenticato?”

Natasha sorrise: “Ci ho pensato, i primi tempi. Avevo solo bisogno di crescere nell’organizzazione. Di guadagnarmi la loro fiducia per poi avere accesso a tutte le informazioni top-secret dei loro database…”

“Ma… ?” azzardò, non del tutto sicuro di sapere dove sarebbe andata a parare con quel discorso.

“Ma ad un certo punto… non mi è più sembrato così importante”, disse e si preoccupò di guardarlo, stavolta dritto negli occhi, per poi distoglierli di nuovo come se avesse osato troppo.

“La mia vita… era diventata quella. Non c’era bisogno di capire cosa fossi stata. Andava bene così. Avevo un lavoro. Ero circondata da gente che non mi era… ostile. E poi…” esitò per un istante, “e poi c’eri tu.”

Clint avvertì qualcosa di bollente risalirgli su per il collo e le guance, ma non le rispose.

“Tu che mi dicevi che l’importante era guardare avanti, che mi aiutavi a conoscere una realtà di cui non sapevo niente. Mi piaceva quella Natasha Romanoff. Mi piaceva come mi faceva sentire…  sapere di poter prendere le mie decisioni, di poter diventare tutto ciò che avrei voluto essere. Di lasciarmi il passato alle spalle. In un certo senso… mi piaceva l’idea di essere diventata una persona… migliore.” Scosse la testa.

“E poi è successo il disastro dell’Expo”, proseguì Clint per lei. Senza aggiungere che non voleva prendersi nessun merito per quello che Natasha aveva deciso di essere, ma ben cosciente di essere stato, successivamente, l'inconsapevole responsabile dell’ennesima svolta della sua vita.

La vide annuire una sola volta e l’atmosfera ricadde di nuovo nella nebbia tetra delle ultime ore.

“Tu non ricordavi niente. E Stark si raccomandava di non forzare la tua memoria. Non ho trovato altra soluzione che allontanarti e cercare di risolvere a modo mio la situazione. Le mie ricerche hanno portato a scoperte del tutto diverse da quelle che mi ero attesa. Ho scoperto di Rogers. Di Barnes. Del progetto Lazarus… e di come anche io ne facessi parte.”

“E hai deciso di unirti a loro.”

“Avevo alternative? Mi sentivo… inutile. E…”

Sola…

Clint si sentì opprimere ancora da quel peso al petto e per l’ennesima volta si trovò a fare i conti con quella fetta di senso di colpa che aveva tentato di soffocare con le sue ragioni per… avercela con lei.

“Rogers e Barnes a modo loro mi hanno aiutata a superare lo shock di scoprire cosa fossi. Peggy… Peggy mi è stata vicina più di quanto avrebbe potuto esserlo una sorella, una madre. E dopotutto… lavoravamo tutti dalla stessa parte”, concluse e poi lo sbirciò da sopra una spalla.

Poi si rizzò dritta, impettendosi, forse per darsi coraggio o per scacciare via quell’aria mesta della conversazione.

“Dunque… eccoci. Ora sai tutto.” Esalò, adesso guardandolo in pieno viso, forse per sfidarlo, per dimostrare una sicurezza che – Clint riconobbe – non possedeva per niente. La facciata che di solito era così esperta a erigere, stavolta era incrinata e gli permetteva fin troppo chiaramente di percepire cosa nascondesse.

Vergogna, paura di essere giudicata. Le sue parole non le aveva dimenticate. Né quelle che aveva detto a Barnes dietro la porta di quello stanzino spoglio, né quelle che gli aveva detto all’ombra del nascondiglio sul furgone della Jones.

Uno scherzo della natura.

Aveva paura… no, era terrorizzata che la sua valutazione fosse mutata, per sempre. Che la sua opinione di lei si fosse trasformata in un giudizio orribile e inappellabile.

“Niente peli sulla lingua, Barton. Puoi anche trarre le tue conclusioni”, riprese dunque, e il sarcasmo, il cinismo dietro cui si trincerava cominciò a montarle addosso orgoglioso e nocivo, “non me la prenderò con te se non vorrai avere più a che fare con me. So di essere una specie di…  mostro.”

Mostro.

Quelle parole furono in grado di mettergli addosso una strana e incontenibile furia. Si levò in piedi senza quasi registrarlo. Le mani che gli fremevano di rabbia o frustrazione.

“Finiscila di mettermi in bocca parole che non direi mai”, le disse allora, secco, vedendola levare il capo e di nuovo lasciar trasparire, dietro la maschera, scorci della sua agitazione.

“Non posso certo dire che non sia stata una… sorpresa. Uno shock? Sì, chiamiamolo pure shock. Ma di questi tempi credo di non poter fare troppo lo schizzinoso. Con tutto quello che sto scoprendo in questi ultimi giorni, uno shock è un lusso che non posso permettermi di protrarre troppo a lungo. Q-quindi sì, è stato uno shock!” allargò le braccia come a farle capire quanto… fosse stata sorprendente quella svolta.

Non-Jarvis, da qualche parte, aveva preso a osservarli, ma non si diede la pena di preoccuparsene.

“Ma dire che sei un mostro… sei  l’unica a pensarlo. E non ti permetterò di attribuirmi un’opinione del genere per avallare la tua stupida tesi. Se tu sei un mostro io cosa sono? Ho mezza testa rifatta, i ricordi scombinati, non ci sento dall’età di dodici anni e mi servo di un apparato bionico per poter fingere di essere una persona normale. Se tu sei un mostro lo è Stark con quella sua faccia maciullata, le sue crisi depressive e le sue manie da super genio salvatore della patria. I veri mostri sono… quelli che se ne stanno seduti dietro a delle scrivanie e reggono fra le dita le sorti di questa città corrotta. I veri mostri sono le persone che si permettono di plagiarne altre per mettere in atto i loro piani perversi. I veri mostri non sono qui, fra noi quattro stronzi che tiriamo a campare dalla notte dei tempi, che abbiamo solo avuto la sfortuna di doverci adattare a delle posizioni scomode. Non sono io. Non sei tu… e probabilmente non lo è neppure Non-Jarvis seduto là in fondo che adesso ci sta ascoltando come uno spione di bassa lega.”

Le si inginocchiò di fronte.

“Avrei solo voluto esserti vicino per potertelo dire prima che potessi anche solo sviluppare l’idea. Ma non c’ero. Non ti ho cercata più di quanto tu non abbia fatto con me in questi tre anni… e… m-me ne scuso. Non c’ero quando avevi più bisogno di me. Magari non serve a un cazzo di niente dirtelo adesso, dopo tutto quello che hai dovuto affrontare, ma me ne scuso e me ne v-vergogno.”

Gli occhi di Natasha si erano fatti lucidi, ma solo lui sapeva quanto si sarebbe trattenuta fino a diventare livida pur di non crollare.

In qualche modo sentì che aveva accettato la sua ammissione di colpa.

“Non sei un mostro”, ribadì il concetto, allungando una mano per raccogliere una delle sue e solo allora si rese conto di quanto fossero gelide, come se il sangue avesse smesso di scorrerle nelle vene. “Anzi, vuoi mettere? Adesso posso dire di essermela fatta con una donna matura. Questo mi rende più figo di quanto non sia mai stato in vita mia.”

Smorzare la tensione, sempre e comunque. Si odiò per questo, ma al contrario Natasha sembrò apprezzare il gesto.

“Perdono o meno, attento a come parli, Barton. Sono ancora in grado di staccarti la testa, come da tradizione.”

“Lo so… ma finiscila di farmela pesare, ah?” la prese in giro, accostando una mano al suo viso che, a differenza delle mani, era caldo. Tornò serio solo per un istante, per poterla accarezzare.

Quel volto, quell’espressione. Un mostro… come aveva solo potuto pensarlo?

Si sentì improvvisamente pervadere dalla realizzazione che non avrebbe mai potuto amarla più di quanto non stesse facendo in quel preciso momento.

Il pensiero ebbe il potere di destabilizzarlo e renderlo euforico nello stesso istante.

Provò l’impulso di dirglielo, così, su due piedi. Forse solo la seconda volta che si azzardava a pronunciare una frase simile ad una donna. La prima era stata Bobbi e non era del tutto sicuro di non averglielo detto solo per l'impeto di un amplesso.

Ma stavolta era una sensazione forte, reale, così potente che quasi poté percepirla battergli forte e pulsante nel petto, sotto strati di carne, muscoli e ossa.

Aprì le labbra per parlare, ignaro o meno del fatto che forse avrebbe potuto confonderla ma fu la voce di Natasha a interromperlo. Volontariamente o meno.

“Ora che sai tutto... davvero tutto, Clint... ho una richiesta da farti.”

Richiuse le labbra, la sensazione bloccata, inesplosa a un passo dalla deflagrazione.

Un solo cenno del capo a dirle che poteva proseguire, che se avesse parlato non era certo che la voce non gli sarebbe uscita come un sibilo imbarazzante.

“Non te lo chiederei se non fossi una delle persone di cui... forse l'unica persona di cui mi fidi veramente.”

“Suona un tantino impegnativa questa affermazione.”

La vide sorridere, ma nessun sorriso gli era mai sembrato tanto lontano dall'essere lieto.

“Lo è...” prese fiato, “Ho bisogno che tu mi prometta – che mi giuri. Che mi giuri che se dovesse succedermi qualcosa. Se dovessi... morire... di nuovo...”

Improvvisamente ebbe la sensazione di ritrarsi, di non ascoltarla più.

Lei gli trattenne la mano, con la forza straordinaria che possedeva. Non grazie al suo braccio robotico.

“Clint, ho bisogno che mi giuri che se dovessi morire di nuovo, non mi faranno tornare indietro. C-che nemmeno tu... mi farai tornare indietro.”

“Natasha...”

“No”, ribadì seccamente, non una traccia di indugio negli occhi, “giurami che ti assicurerai di lasciare che sia finita... una volta per tutte. Questa è l'ultima vita che voglio vivere. L'unica che per quanto mi è dato di ricordare – l'unica che sia valsa la pena vivere. Non voglio dimenticare. E non voglio un'altra stupida occasione. V-Voglio essere trattata dignitosamente. Da essere umano.”

Perché quelle parole gli suonarono improvvisamente tanto ostili? Sentì la paura serpeggiargli lungo la schiena alla stregua di un vero addio.

Non sembrò intenzionata a lasciarlo andare finché non si concesse di annuire.

“Va bene. Lo giuro”, cedette e solo allora Natasha gli liberò la mano.

“Questo non significa che non abbia intenzione di godermela ancora per molti anni”, aggiunse poi, apparentemente soddisfatta, sorridendo di nuovo senza distogliere lo sguardo.

“Come se potessi invecchiare...” le rispose.

“Certo che posso invecchiare. Ma sicuramente invecchio meglio di te.”

In tutti quegli anni non si era mai posto il problema, ma di certo l'aveva vista crescere, maturare. Rimasta bloccata per troppo tempo in una sequenza infinita di vite e rigenerazioni costanti. Quegli ultimi dieci anni erano stati la tappa più lunga della sua esistenza senza subire... congelamenti.

“Sai quanti anni ti sarà concesso vivere?”

La vide stringersi nelle spalle.

“E tu lo puoi sapere?” gli ribaltò la domanda, provocandogli il primo vero sorriso della serata.

“Bene...”

“Volevi dirmi qualcos'altro?” indagò lei, come se avesse percepito quell'attimo sospeso di qualche minuto prima.

“Ahm... niente che non possa aspettare.” si rimise in piedi, proprio mentre il cellulare di Natasha riprese a suonare.

L'attimo era arrivato e passato. Avrebbe dovuto aspettare un altro attacco simile prima di concedersi il lusso di dirle quello che significava per lui.

“È Stark”, la donna s'intromise nei suoi pensieri, “... ha localizzato Barney.”

 

*

 

Note:

Ebbene sì, sono ancora viva. E mi scuso immensamente per la latitanza, soprattutto per chi (se è rimasto davvero qualcuno) seguiva la storia costantemente. Ho avuto un po’ di impegni e le feste… non hanno aiutato.

La storia va a rilento, ma va… assicuro senza ombra di ragionevole dubbio che la concluderò. Devo solo trovare il tempo e il momento per farlo. Detto questo, come sempre, ringrazio tutti quanti leggono e commentano, supportando questo angolino delirante. Ringrazio la mia socia e beta Sere, sperando che i nostri impegni si sciolgano come neve al sole, prima o poi.

E che Oscar Isaac, sia con v- volevo dire che la Forza… sia con voi.
Buon anno nuovo!

  
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