Anime & Manga > Lupin III
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Autore: kakashina93    13/03/2009    4 recensioni
Una serata come tante e improvvisamente Lupin decide di cambiare locale. Così i tre ragazzi si trovano catapultati al "Moonlight Shadow" un pub di periferia gestito dalla cantante Yume, una ragazza affascinante vittima di un passato triste e costretta contro la sua volontà a darsi da fare per ridare vita al suo locale. Un incontro casuale che segnerà una svolta nella vita di Yume e in quella di un membro della banda di Lupin.
attenzione, titolo modificato da: "Sulle note di un sogno" a "Crystal Gun" per esigenze di copione
Genere: Romantico, Malinconico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 – Verità troppo scomode

___

 

Jigen Daisuke non era un tipo impacciato, dolce, premuroso, affettuoso, tenero, impaziente, docile, remissivo.

Jigen Daisuke al contrario sapeva cosa significasse essere freddo, scostante, calcolatore, freddo, cinico, violento, paziente, intrattabile, freddo, scorbutico, furbo, scaltro, freddo, freddo, freddo…

Jigen Daisuke era così.

Jigen Daisuke aveva rischiato la vita talmente tante volte che la morte ormai non lo spaventava quasi più.

Ma c’era anche qualcosa che non andava in tutto quel quadro di perfetta armonia, se così la si vuol chiamare.

 

Un uomo non è un uomo se non ha vicino una persona su cui poter contare in ogni situazione, a cui rivolgere un pensiero fisso almeno dieci volte al giorno.

Jigen Daisuke aveva Arsenio Lupin e Goemon Ishikawa. Aveva Kuichi Zenigata a cui dar tormento e Fujiko Mine a cui rimproverare ogni cosa.

 

Jigen Daisuke aveva avuto tantissime donne, ognuna diversa per età, peso, altezza, bellezza… ma tutte con lo stesso identico ‘problema’. Avevano tutte paura della solitudine, perché un po’, anche se non lo avrebbe mai ammesso, si sentiva solo anche lui.

Aveva bisogno di proteggerle, di occupare i tempi di quell’agonia silenziosa assecondando quell’istinto di cura e difesa che gli premeva nello stomaco fino a fargli venire la nausea.

 

Eppure…

 

Eppure scappavano. Andavano via, partivano, scomparivano, morivano. E lui, lui non poteva farci niente.

Sperava sarebbe stato diverso… sperava e con scarsi risultati.

 

L’uomo che lo fece accomodare nell’obitorio doveva avere su per giù cinquanta anni, e il colore della sua pelle tendeva al grigiastro, segno di intere giornate passate lì dentro a marcire con quei corpi. Il realtà quell’uomo era già morto e non se n’era reso conto. Jigen avrebbe voluto tirare fuori la pistola e puntargliela alla tempia, per porre fine alle sue sofferenze, ma si sentì colpevole di superbia e ritrasse quell’impulso omicida che gli faceva prudere le mani.

 

“Lei è venuto per riconoscere il cadavere 19?” gli chiese camminando verso quella che sapeva essere già una risposta positiva. Jigen lo seguì lentamente. Chiamare un essere umano con un numero seriale… sentì il prurito alle mani aumentare ferocemente ma resistette ancora. Il medico si avvicinò ad uno dei fornetti, il 19 appunto, e tirò fuori il corpo coperto dal lenzuolo.

“La avverto- recitò il dottore in quella solita frase formale- che potrebbe essere molto duro come colpo e potrebbe turbarla molto.”

Jigen lo fissò negli occhi acquosi e sorrise amaro.

“Non ha la minima idea di cosa possa davvero turbarmi, lei.”

Il medico tolse la leggera stoffa bianca  dal corpo e Jigen strinse gli occhi sotto il cappello, per rendere quell’immagine meno nitida. Sospirò rassegnato.

“Sì.-disse voltandosi- è il nome giusto quello scritto sulla sua cartellina.” Camminò fino alla porta della sala, giusto il tempo per rigirarsi e vedere il medico che ricopriva il corpo per poi rinfilarlo nel fornetto.

“Lì all’ingresso- gli disse quello in una specie di sussurro- ci sono le carte che deve firmare.”

 

Jigen si abbassò il capello sulla testa e sospirò.

 

“Ora no, tornerò più tardi.- Gli indicò il braccio fasciato e l’occhio nero. -Devo fare un salto ai piani alti…”

Si girò definitivamente e prese le scale che lo avrebbero portato fino al giardino.

 

Il medico lo vide scomparire al di là della porta e scosse la testa. Sapeva che quell’uomo non sarebbe più tornato lì sotto, come tanti prima di lui.

 

***

Yume sbatté gli occhi diverse volte prima di abituarsi all’oscurità di quella stanza. Una fitta alla testa la fece sussultare violentemente e si portò le mani verso il cranio gemendo per il dolore. In quel momento la porta del piccolo ambiente dove era rinchiusa si aprì sbattendo contro il muro. La ragazza guardò l’uomo che era venuta a prenderla. Doveva essere quell’Harlock, lo stesso che gli aveva causato la ferita alla testa e lo maledisse mentalmente per quello. L’uomo la issò sulle braccia e se la caricò in spalla, attento a non farle ciondolare troppo la testa, c’era il rischio di un trauma cranico e allora la situazione sarebbe stata irreversibile.

 

“Do… dove sono?” balbettò Yume articolando quelle poche parole con estrema difficoltà.

“Sei nel covo del grande capo. E ti sto portando da lui.- Rispose semplicemente quello, come se fosse la cosa più naturale del mondo. -Ma prima ti medicheremo la ferita.”

“I… io non ca… pisco.” Fece lei gemendo per il dolore. Chiuse gli occhi e provò a concentrarsi. Non ricordava nulla, non le veniva in mente neanche chi fosse e la testa le faceva un male cane. Poi un improvviso ricordo, doloroso e pulsante le si presentò inaspettatamente. C’era un parcheggio, e il mare, e due voci che gridavano un nome. Un nome che lei conosceva bene.

 

“Y… Yume” balbettò lei mentre Harlock la fissava confuso. L’uomo aprì la porta dell’infermeria con un poderoso calcio e immediatamente tre paia di mani si allungarono verso il corpo di Yume che venne sdraiata su un lungo tavolo di metallo freddo. Sentiva quegli artigli che la toccavano, che la sistemavano correttamente sull’asse. Poi sentì qualcosa di freddo alla testa che la fece gemere di dolore, poi sospirare per il sollievo che le dava. Qualcuno le stava toccando con insistenza la botta che aveva ricevuto e sembrava farlo in modo esperto e cosciente, ma lei ci capiva poco di quelle cose. Chiuse gli occhi mentre una lacrima involontaria le bagnava il volto.

 

“Do… dove sono?” chiese ancora lei. Nessuno si prese la briga di darle una risposta e si sentì sola e spaesata come non mai.

 

***

“Y… Yume.” Riuscì solo a dire. Il fumogeno si era diradato e l’aria salmastra del mare aveva ricominciato a pizzicare alle narici con ferocia. Il rumore dei motoscafi che si allontanavano in fretta fece destare Jigen da quegli stupidi pensieri e fissò Lupin, lì al suo fianco. Provare a raggiungere a nuoto le imbarcazioni sarebbe stato inutile, e ancora più inutile sarebbe stato l’andare a prendere un motoscafo e inseguirli. Fujiko rinfoderò la pistola e sospirò.

 

“Troppo tardi…” disse abbassando lo sguardo. Jigen la fulminò e lo stesso fecero Lupin e Goemon.

“Mai arrendersi per una sciocchezza del genere.” Ringhiò Arsenio guardando l’orologio sul polso. Yume aveva ancora attivato il GPS nella collana, sarebbe stata rintracciabile in qualsiasi punto del mondo. Bisognava sbrigarsi ad agire, prima che qualcuno si fosse accorto del dispositivo nel girocollo e lo avesse lanciato da qualche parte. Jigen guardò lo zippo e la lucetta intermittente che segnalava il punto dove si trovava la ragazza.

“TNM… Lupin devo dirti una cosa.” Fece lui tirando fuori una sigaretta e montando in macchina seguito dagli altri. “Yume- accese il motore - mi ha detto che quegli affari che ci hanno tirato addosso li costruiva Nobuo. Sai cosa può significare questo?”

“I morti non resuscitano Jigen” constatò Fujiko giocherellando con una ciocca di capelli.

“E se non fosse morto davvero? Ci avete pensato? Insomma, ha ucciso per molto meno!” ringhiò quello sterzando con forza e passando con il rosso.

“Sai meglio di me che quelle sono solo ipotesi!” strillò Lupin per sovrastare i clacson che gli suonavano contro inferociti.

 

“Quindi l’idea che avete avuto voi può sembrare più che plausibile adesso.” Constatò Goemon allungando il collo verso i ragazzi che annuirono convinti.

“Cioè?” si intromise l’unica presenza femminile aggrappandosi alla maniglia della portiera per non essere sbalzata da una parte all’altra della vettura.

“Cioè che Nobuo ha ucciso il padre di Yume per impossessarsi dei suoi progetti.” Abbaiò Jigen frenando di colpo davanti al covo.

“Potrebbe averlo fatto. – rispose Lupin catapultandosi nella casupola seguito dagli altri – però non lo sappiamo nemmeno se ancora è vivo.” Gli rispose Lupin afferrando degli oggetti sparsi nella stanza tra cui qualche munizione, un PC e le chiavi del suo motoscafo.

 

Corsero tutti al molo, per prendere la piccola imbarcazione, e Jigen non poté fare a meno di rivolgere ogni singolo pensiero a Yume e all’idea assurda che Nobuo fosse ancora vivo e vegeto. Decise di guidare lui al posto di Lupin e strappò dalle mani dell’amico il mazzo di chiavi elettronico infilandole con forza nel quadro.

 

“Jigen calmati!” gli urlò da dietro Fujiko fissandolo fredda e lui la fulminò con lo sguardo mentre Goemon gli posava una mano sulla spalla e lo distoglieva dagli istinti omicidi che gli frullavano per la testa. Daisuke lanciò le chiavi a Lupin e si sedette vicino al posto dell’autista, sbuffando sonoramente.

 

***

“Credo che i punti di sutura tengano così. Non è una ferita profonda ma deve averla indotta in un forte stato confusionale. Non sai proprio andarci piano tu eh?” sogghignò il medico del covo guardando di sottecchi Harlock che si stava facendo curare una ferita alla gamba infertagli da qualche proiettile vagante poco prima.

“E tu non sai mai farti i cazzi tuoi ve’?” sbottò quello alzandosi per fare qualche passo e testare la resistenza della fasciatura.

“No, purtroppo.- Sorrise quello mettendosi seduto su una sedia.

“Mh… beh, non rompere. – ordinò Harlock asciutto – Hai tirato fuori il vestito per la ragazza?” chiese poi verso uno degli assistenti del medico.

“Sì signore. È nella stanza attigua a questa.” Rispose il giovane ragazzo mettendosi sull’attenti.

“Portatela di là allora. Cosa state aspettando?” Urlò quello irritato.

“Signor sì signore!”

 

Alcuni ragazzi presero Yume e la portarono in una delle stanze vicine dove venne adagiata su un letto. Lei aprì gli occhi di scatto e si guardò intorno spaesata. La prima cosa che vide furono tutti quegli uomini e il primo istinto fu quello di gridare e cercare di scappare ma il dolore alla testa era insopportabile.

 

“Andatevene!” disse lei con il tuono più minaccioso che riuscì ad ottenere.

“Ora verranno a darle una mano ad indossare il suo vestito signorina. Non si opponga o provvederò ad allargarle la ferita alla testa e non mi farò scrupoli a farlo sembrare un incidente.” Disse Harlock spuntando all’improvviso e lei gli puntò gli occhi addosso. Si sentiva nuda davanti a quello sguardo.

“Dove sono?” Disse lei mettendosi seduta sul letto, fissando il pavimento e i disegni geometrici che disegnavano le mattonelle.

“Basta domande. Non sono io quello che le deve rispondere.” Concluse lui sbattendo la porta.

 

Yume sentì le chiavi dell’uomo girare nella toppa e riuscì a percepire un leggero movimento fuori dalla stanza. Di sicuro avevano piazzato delle sentinelle. La prima intuizione fu quella di avvicinarsi alla finestra ma vide subito che era sigillata con una spessa grata di metallo. La ragazza si sedette sul letto e si guardò intorno spaesata. SI trovava all’aperto, la luce che filtrava dalla finestra non era artificiale, ed era in una camera da letto, su un letto a baldacchino. Davanti aveva uno specchio enorme e un armadio.

Andò ad aprire l’anta del mobile e immediatamente un abito di frusciante seta bianca le riempì la vista.

 

-E questo cos’è?- pensò lei tirandolo fuori. Lo mise sul letto e, con spavento, si rese conto che era un abito da sposa. Sentì i punti sulla testa tirarle fastidiosamente e realizzò le parole di Harlock, fino a poco prima un incognita.

 

-Le daranno una mano ad indossare il vestito- possibile che tutto quello che stava pensando fosse vero?

Yume sentì ancora una volta le chiavi girare nella toppa e fissò l’asse aprirsi lentamente verso l’interno. Un attimo dopo pensò che quello fosse solo un brutto incubo e la persona materializzatasi davanti agli occhi era solo un brutto scherzo della sua fantasia. L’uomo che la osservava con un sorriso divertito dove avere circa trentacinque anni, capelli blu tendenti al viola tenuti abbastanza lunghi e occhi blu oltremare, profondi ed espressivi. Aveva lineamenti delicati ma la sua espressione aveva un non so che di deciso, come se avesse sul volto una maschera di pietra. Teneva tra le mani un paio di occhiali da sole e guardava la ragazza con un espressione indecifrabile.

 

Yume indietreggiò involontariamente e cadde seduta sul letto mentre grosse lacrime lucide le scendevano sul viso. L’uomo allargò le braccia e scoppiò in una grassa risata, che conteneva in se qualcosa di folle.

 

“Ciao tesoro! Come stai?” le disse guardandola negli occhi mentre si avvicinava al bordo del letto.

“N… Nobuo” disse lei singhiozzando e lui fece un inchino di riverenza, mantenendo quel piglio divertito.

 “In carne ed ossa.”

“No… - Disse lei scuotendo la testa violentemente - Tu sei morto in quell’incidente.”

“Ti sbagli- urlò lui facendo scomparire il ghigno che gli dipingeva il volto. Si avvicinò al viso delle ragazza e le bloccò i polsi sul letto. - Non so morto in quell’incidente. Io sono morto nello stesso momento in cui ho capito che mi odiavi, quando mi hai sbattuto la porta in faccia a casa nostra, sono morto quando ho visto il tuo sguardo mentre mi facevo quella ragazza, sono morto quando mi hai detto che non credevi più che io ti amassi. – Ridusse gli occhi a due fessure – Sono morto quando ho scoperto che te la fai con Jigen Daisuke.”

 

Yume sgranò gli occhi. Jigen… si era scordata tutto. Ecco di chi erano quelle voci nella sua testa. Jigen, Lupin, Goemon… Tutto quadrava. Guardò Nobuo, vicinissimo al suo viso.

 

“Ma noi possiamo rimediare a tutti i tuoi errori Yume, ti posso ancora perdonare.” Disse lui baciandole il collo.

“Vattene. Vattene.” Provò a dire lei mentre tentava di scansarsi, ma le mani di Nobuo la inchiodavano al letto.

“Possiamo ancora perdonarti… Sposami Yume. Sposami. Sposami e saremo di nuovo felici. E avremo tutti ai nostri piedi, comanderemo il mondo. Avremo dalla nostra parte le nostre intelligenze e il mio esercito. La Crystal Gun e tutto ciò che ne consegue.”

“La Crys… cosa centra adesso la mia pistola? Dove è la mia pistola?”

“Sposami Yume – spostò le labbra sulle guance della ragazza – Sposami.” La baciò e Yume tentò di divincolarsi mentre lacrime ghiacciate continuavano ad uscire dai suoi occhi brillanti. Sentì la superficie fredda del ciondolo con il gps sul collo e sentì un briciolo di speranza nel petto.

 

-Jigen sbrigati ti prego…-

____

è melodrammatico e poi Nobuo mi fa così schifo… e poi nobuo è vivo ed è viscido come non mai! Scusate non ce la faccio a rispondere alle recensioni ma vi adoro. SI allega foto del porco!

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