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Autore: LaBabi    13/03/2009    2 recensioni
Una ragazza, una storia difficile. Incontri, occasioni e una serata. Una serata che le cambierà la vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Miseriaccia! Sono le cinque del mattino e non sono ancora riuscita ad addormentarmi, invece la mia compagna di stanza dorme alla grande.
Mi alzo, mi infilo una giacchetta e, attraversando il salotto raggiungo la terrazza e mi appoggio con i gomiti alla ringhiera.
Adoro quella parte di casa, è il mio posto di relax, tutte le volte che ho un problema vengo qui a pensare, infatti è la cosa che mi ha attirato di più dell’appartamento. La terrazza è molto spaziosa e si gode un magnifico panorama.
All’improvviso qualcuno mi abbraccia alle spalle.
“Che fai fuori a quest’ora?” chiede una voce maschile, sensuale che riconosco subito.
“Penso. Tu invece?”
“Sono appena tornato dall’appuntamento con Sonia” dice lui staccandosi da me.
“Non si chiamava Marika?”
“No, lei era ieri sera. La ragazza di stasera si chiama Sonia” risponde orgoglioso.
Mi giro e gli lancio un’occhiataccia a cui lui risponde con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Comunque non è un bene che tu stia sveglio tutta la notte per uscire con delle ragazze che nemmeno ti interessano, poi proprio oggi! Lo sai che per domani, anzi per stasera, devi essere riposato!” ero serissima.
“Senti chi parla! Allora perché tu non sei a letto?”
Caspita, ero stata fregata.
“Non sono riuscita a dormire.”
“Sei agitata per stasera?” mi chiede dolcemente.
“No, assolutamente. Ma che vai a pensare!” sentivo il mio viso avvampare e la risata del mio interlocutore mi dava pienamente ragione.
“Babi, ci conosciamo da cinque anni, capisco subito quando menti.”
Sbuffai e lui puntò i suoi occhi verdi nei miei.
“Ho paura, Torn; ho paura da morire” sento i miei occhi bruciare, brutto segno: sto per piangere e io odio farmi vedere mentre piango, ma lui lo sa e così mi stringe a sé, in un forte abbraccio. Io scoppio in lacrime.
“Sfogati, sono qui per questo” dice lui gentilmente. Queste parole le avevo sentite tante volte, tutte le volte che mi aveva consolato da quando ci conoscevamo. Ricordo come se fosse ora la prima volta che lo incontrai. Ero appena scesa dal treno che mi aveva portato a Milano ed ero in lacrime seduta su una panchina da sola. Improvvisamente si era messo a piovere ed io ero bagnata fradicia, ma poi all’improvviso la pioggia non mi colpiva più. Così mi asciugai gli occhi e guardai in alto. Un ragazzo moro, dai profondi occhi verdi, stupendo, mi stava sorridendo.
“Ti serve aiuto?” la prima persona gentile in quella città sconosciuta.
“No” e riscoppiai a piangere. Lui allora si sedette accanto a me e mi disse quelle cinque parole che me lo aveva reso tanto caro: “Sfogati, sono qui per questo”, io allora sprofondai nella sua spalla e rimasi così per molto tempo. Quando mi fui calmata lo ringraziai, guardai in alto e aveva smesso di piovere. Mi stavo allontanando quando sentii che mi stava parlando:
“Hai un posto dove andare?”
“No, ma lo troverò” risposi.
“I tuoi genitori?”
Mi bloccai, strinsi i pugni tanto da far diventare le nocche bianche.
“Morti” mormorai a denti stretti.
“Mi dispiace. Comunque se ti va potresti rimanere da me, non ho secondi fini” disse serio.
Non bisogna fidarsi degli sconosciuti, lo sapevo bene; ma lui era diverso, me lo sentivo.
“D’accordo, ci sto. Comunque mi chiamo Barbara, ma chiamami Babi. Molto piacere” dissi convinta come non mai.
“Il mio nome è Ettore, ma tutti mi chiamano Torn. Il piacere è tutto mio. Dammi alcune delle tue valigie.”

Questo fu l’inizio di una grande amicizia, perché sì, lui è il mio migliore amico. Non so come avrei fatto senza di lui.

“Tesoro, abbiamo tutti paura per stasera” cerca di calmarmi lui, risvegliandomi dai miei ricordi.

“Davvero? Non mi pare. Tu come al solito esci con le tue ragazze, Ben sta russando talmente forte che si sente da qui e Didi dorme alla grande. Mi sembra che l’unica che stia impazzendo qui sono io!” Lui mi stringe più forte.
“Tranquilla, andrà tutto bene. Fidati del tuo migliore amico.” Anche queste parole le avevo sentite molte volte.
Faccio un respiro profondo e lui allenta la presa. Mi dà un bacio sulla fronte e mi lascia.
“Forza, rientriamo o ti prenderai una polmonite!” Mi guardo e mi accorgo che sto indossando solo la camicia da notte che arriva a metà coscia e la giacchetta, e siamo a metà febbraio.
Mi siedo nel divano ed Ettore mi raggiunge sedendosi accanto a me.
Mi appoggio alla sua spalla e chiudo gli occhi, finisco nel mondo dei sogni ancora prima di rendermene conto.

“Sveglia belli addormentati!” Un urlo mi sveglia e apro gli occhi lentamente. Io e Torn ci eravamo addormentati e dormivamo abbracciati, la cosa succedeva spesso.
“Didi, che ore sono?” chiedo con la gola secca.
“Sono le nove. Fra quindici minuti Luca verrà a prenderci per andare a fare le prove generali.”
“Accidenti! Non potevi svegliarci prima?!” strillo correndo in bagno. “Ma eravate così carini!” Non risposi nemmeno.
Mi infilai sotto la doccia dalla quale uscii cinque minuti dopo, sentendo un altro urlo della mia amica che mi ricordava che mancava poco tempo:
“Dieci minuti!”
“Sì, grazie!” dissi ironicamente. Era colpa sua se ora mi toccava fare tutto di fretta.
Corro in camera coperta solo da un asciugamano che in realtà non copre più di tanto, apro l’armadio e prendo un paio di jeans e una maglietta semplice. Indosso prima la biancheria, poi gli abiti e infine gli stivali. Ricorro in bagno, mi pettino e mi lavo i denti. “Cinque minuti!”
Tornata in camera afferro la borsa e ci infilo il portafoglio, il palmare, il cellulare e le chiavi. Di corsa raggiungo il salotto, dove gli altri mi aspettano.
“Eccomi!” dico con il fiatone.
In quel momento suonano alla porta. Torn apre la porta ed ecco entrare Luca, il nostro manager con appeso al braccio una sporta, in una mano la penna, nell’altra l’agenda e all’orecchio l’auricolare del cellulare.
“Ok, saranno puntuali!” disse all’interlocutore del telefono. Poi ci guardò e iniziò a parlare.
“Allora, ora andiamo a fare le prove generali, poi le ragazze avranno molto da fare: shopping, estetista e parrucchiere. I ragazzi invece andranno a fare shopping poi hanno la giornata libera fino alle 18.00. A quell’ora dovrete essere tutti allo stadio, che nessuno faccia tardi. Sono stato chiaro?” ci spiega con voce autoritaria.
“Agli ordini!” rispondiamo noi in coro.
“Perfetto. Ora indossate questi e non toglieteli mentre siete per strada.” dice lanciando un cappello a testa. Lo indossiamo, scendiamo ed entriamo in auto.

“Babi, hai cantato divinamente!” si complimenta Ben.
“Grazie, ma senza di voi non riuscirei nemmeno a cantare “Nella vecchia fattoria”!” dico sorridendo e tutti iniziano a ridere.
“Se stasera canterai così faremo un figurone!”
Io mi irrigidisco.
“Non sarà solo colpa o merito suo, se stasera faremo un concerto strepitoso o orrendo; sarà colpa o merito di tutti!” interviene Ben.
“Sì, certo, ma se lei stona o sbaglia se ne accorgono tutti, mentre se uno di noi sbaglia non se accorge nessuno” si giustifica Didi.
Sia Ben che Torn la guardano con sguardo assassino. “Didi, non dire assurdità!” la attacca Torn.
Le dice qualcos’altro ma non capisco cosa, non riesco a sentire, perché ad un tratto diventa tutto sfuocato e i suoni sono inesistenti.

Apro faticosamente gli occhi e mi metto seduta. Ero distesa nel divano, ma non ricordo come ho fatto ad arrivarci.
“Che ci faccio qui?” chiedo a Ben che mi fissa sorridente.
“Sei svenuta” dice tornando serio “Ci hai fatto morire di paura, non lo fare mai più!”
“Scusami Ben. Dove sono gli altri?”
“Non lo so, ma hanno detto che tornano subito” dice accarezzandomi la fronte “Ora come ti senti?”
“Benissimo, grazie” guardo l’orologio appeso alla parete e mi metto in piedi con un balzo “E’ tardissimo! A quest’ora io e Didi saremmo dovute essere dall’estetista!”
“Stai calma, Luca ha spostato tutto di un’ora, ce la farete, vedrai. Comunque non hai bisogno di andare dall’estetista, sei perfetta così.”
Mi sta guardando negli occhi e io non riesco a sostenere il suo sguardo, così abbasso gli occhi e arrossisco.
Osservo il ragazzo che mi sta davanti e vedo un giovane di venticinque anni, dai capelli neri e gli occhi blu intenso; è alto e magro. Tutte le ragazze lo trovano carino e anche io, dal primo momento in cui l’ ho visto.

Io e Torn stavamo per andarcene dalla sala prove; avevamo sentito tantissimi aspiranti musicisti che avevano risposto al nostro volantino per un bassista. Ci eravamo rassegnati; nessuno era di nostro gradimento, nessuno era idoneo a far parte del nostro gruppo.
“Excuse me, it’s here the audition?” disse una voce calda e sensuale. Io alzai lo sguardo e lo vidi, il ragazzo più bello su cui i miei occhi si fossero mai posati.
Torn mi guardò con sguardo interrogativo e io lo ricambiai. “Per me si può sentire anche questo, poi per oggi basta, non ne posso più” dice Torn tornando a sedersi.
“Excuse me, it’s here the audition?” ripeté il ragazzo meraviglioso impugnando il basso.
Io e il mio amico, seduto al mio fianco, annuimmo e la musica iniziò; era una canzone che né io né Torn avevamo mai sentito, ma nonostante ciò era stupenda, piena di emozioni.
“Sei nella band!” esclamammo in coro io e il mio amico “Come ti chiami?”
“Benjamin Bailey” rispose sorridendo.
“Molto piacere, io sono Torn e lei invece si chiama Babi. Dimmi Benjamin, sei di origine inglese?”
“Chiamatemi Ben. Comunque sono americano, di Boston.”
“D’accordo. Dove alloggi?” chiese sempre Ettore.
“Da nessuna parte, sono arrivato da circa un paio d’ore qui in Italia e ho trovato un vostro volantino e sono venuto subito qui.”
Io non riuscivo a smettere di guardarlo, mi piaceva tanto, tantissimo.
“Torn, pensi che..” chiesi al mio amico ma lui stesso mi interruppe finendo la mia frase.
“Certo. Ben, da questo momento abiterai a casa mia!”


Da quel giorno erano passati ben quattro anni. Ripenso a ciò che Ben mi ha appena detto, che io sono carina sempre. Mi fa molto piacere sentirmelo dire da lui, il ragazzo che mi piace, ma sono convinta che lui lo dica solo per gentilezza; perché, secondo me, mi vede come una sorella minore, in fondo io ho ventitré anni e lui venticinque.
Alzo lo sguardo e lui mi sta ancora guardando, mi vergogno un sacco. Dove accidenti sono gli altri?! Come sempre, quando sono nervosa mi mordo il labbro inferiore.
“Babi!” urla Didi saltandomi al collo.
“Le fai male così!” la sgrida Torn. Lui sì che è come un fratello maggiore per me, se non fosse stato per lui a quest’ora chissà dove sarei.
“Oh, sorry!” si scusa Didi.
“Di niente” dico mentre sistemo dietro un orecchio un ciuffo ribelle “Forza, raggiungiamo Luca o gli verrà un esaurimento!”
E tutti giù a ridere. Mi piacciono molto quei momenti dove solo noi quattro scherziamo e ci divertiamo insieme, senza curarci del resto.

“Ah finalmente! Babi, tutto bene? Sì, mi sembri in forma. Bene Ettore e Ben su quell’auto, mentre tu e Lidia su quest’altra” dice tutto d’un fiato.
“Quante volte di ho detto di non chiamarmi Lidia?! Voglio essere chiamata Didi!!” si arrabbia la mia amica. Tutte le volte la stessa storia, quando viene chiamata con il suo nome di battesimo perde le staffe.
“Sì, scusami. Ero distratto” si scusa il nostro manager. Luca è un uomo di circa quarant’anni, alto e un po’ robusto; dai capelli castani e gli occhi chiari. Indossa sempre completi eleganti: giacca e cravatta; e ogni dieci minuti deve mettersi a posto gli occhiali che gli scendono sul naso.
Mi ricorda mio padre. Lui che, insieme a mia madre mi avevano ripudiata.

“Non te lo permetto! Sono tuo padre dopotutto!” urlò mio padre.
“Ho diciotto anni, ho il diritto di fare ciò che credo sia meglio per me” dissi con calma.
“Ricordati che se te ne vai ora tu in questa casa non ci metterai più piede!” strillò mia madre.
“Ma, mamma!” iniziai a piangere, odiavo farmi vedere in lacrime da chiunque, anche se si trattava dei miei genitori.
“Ma mamma un corno! Tu di qui non ti muovi chiaro?!” mio padre era testardo.
Ma io lo ero di più, molto di più.
“Ve l’ ho sempre detto che finite le superiori me ne sarei andata via di qui, da questo schifoso paesino e da questa casa!” non mi avrebbero mai convinto a rimanere.
“E dove pensi di andare, sentiamo!” disse mio padre in tono ironico.
“A Milano, voglio studiare. Sapete quali sono i miei sogni, ve l’ ho sempre detto cosa desidero fare, ma voi eravate troppo impegnati a litigare fra di voi per ascoltare me!” iniziai ad urlare anche io.
“A Milano. L’ hai sentita tua figlia? Vuole andare a Milano.”
“E’ anche figlia tua. E sì, l’ ho sentita” disse mia madre rispondendo a mio padre “E dove pensi di vivere? Lo sai che noi non sganceremo un centesimo! Al massimo ti pagheremo gli studi, ma all’università più vicina a questo paese!”
“No! Mai! Ho detto che me sarei andata ed è ciò che farò” imbracciai le valigie e mi diressi verso la porta.
“Azzardati ad attraversare quella soglia e non ti rivolgerò mai più la parola!” strillò più forte mia madre.
“Se tu esci da quella porta non vi entrerai mai più, ricordatelo” disse furioso mio padre.
Io sospirai, aprii la porta ed uscii da casa. Aprii la porta dell’ascensore, che stava per chiudersi quando sentii le parole di mio padre, le parole che mi avevano fatto più male nella mia vita: “Nostra figlia è morta. Tu per noi sei semplicemente una sconosciuta.”

Scaccio quei ricordi e salgo in auto.

“Non è rilassante?” mi chiede ad un certo punto Didi, mentre Svetlana e Pamela, le nostre estetiste ci stanno facendo la manicure. “Sì, tantissimo” rispondo sorridendole.
“Dovremmo venirci più spesso” dice chiudendo gli occhi.
“Hai ragione, ma con l’università e le prove è praticamente impossibile avere un po’ di tempo libero” le ricordo.
“Che palle l’università!” dice sbuffando “Non facciamo altro che studiare, non la reggo più!”
Non sopporta più il luogo dove ci siamo incontrate. Sì, fu proprio lì che facemmo amicizia e scoprimmo di amare la stessa cosa: la musica.

‘Miseriaccia! Mi sono persa, e ora? Non resta altra scelta che chiedere aiuto a qualcuno. ’
“Ehm, scusami” dissi timidamente ad una ragazza che veniva dalla parte opposta alla mia.
“Sì?” chiese distrattamente.
“Sapresti indicarmi l’aula di fisica?”
“Certamente! Devo andare in quella parte anche io, ti accompagno” rispose sorridendo la ragazza minuta, alta circa un metro e sessantacinque, dai capelli color rame raccolti in una coda.
“Eccoci” disse dopo un po’ che camminavamo.
“Grazie mille, sei stata molto gentile.”
“Di niente, arrivederci!” disse mentre si allontanava.
“Arrivederci!” la salutai, poi sospirai ed entrai in aula. Era la mia prima lezione all’università.

“Oh, scusami!” dissi rialzandomi dal pavimento. Come al solito ero distratta, e stavolta ero andata addosso a qualcuno. Questo qualcuno sbuffò, poi mi guardò con i suoi grandi occhi nocciola e scoppiò a ridere.
“E’ proprio destino che io e te ci dobbiamo incontrare!” disse la ragazza.
La riconobbi subito, era la ragazza che una settimana prima mi aveva accompagnato alla lezione di fisica.
“Ciao. Scusami, ero distratta. Ti sei fatta male?” le chiesi aiutandola a rialzarsi.
“No, sto benissimo. Non fa niente, tranquilla.”
“Ah ok, meglio” dissi facendo un sospiro di sollievo.
“Io mi chiamo Didi, tu?” chiese gentilmente la ragazza.
“Barbara, ma tutti mi chiamano Babi”
“Babi, mi piace! Comunque il mio nome intero è Lidia, ma Didi è così..così dolce!” era euforica.
“Oh, aspetta. Ti sono caduti dei fogli, aspetta che te li raccolgo” dissi cortesemente e mi chinai a raccogliere le pagine a terra. Notai subito cosa c’era scritto: “Ma tu suoni?"
“Sì, la batteria. Anche tu suoni?” chiese mentre le restituivo i fogli.
“Sì, la chitarra, ma non sono molto brava. Io canto” le spiegai “Hai una band?”
“No, ci siamo sciolti da poco. Perché?”
Mi si illuminarono gli occhi.
“Io e due miei amici abbiamo una band, ma siamo senza batterista.”
Anche i suoi occhi si illuminarono.
“Oggi pomeriggio, se volete, vi faccio sentire qualcosa” disse entusiasta.
“Anche ora, se non hai da fare. Vengono loro a prendermi, potremmo andare direttamente in sala prove” proposi.
“D’accordo, sono pronta” disse estraendo dallo zaino le bacchette della batteria.

La sua audizione andò benissimo e si integrò subito nel gruppo.
Finita la manicure, Svetlana e Pamela proseguono con la pedicure, la ceretta e le sopracciglia; insomma servizio completo. Quando hanno terminato siamo portate di corsa dal parrucchiere.
“Ciaò mon amour! Oggi è una giornata importante!” ci dice salutandoci Jean-Paul, il proprietario del salone.
“Ciao Jean, l’ hai detto, oggi è una giornata speciale, quindi vogliamo che ci fai diventare due principesse!” dico scherzando.
“Detto fatto!” risponde lui, chiamando due ragazze che iniziano a lavarci i capelli.
Didi inizia a parlare con Jean, mentre io chiudo gli occhi e ripasso mentalmente i testi delle canzoni, ho troppa paura e sono sicura che quella sera me li sarei dimenticati.

Dopo un tempo interminabile Didi mi scuote le spalle e io riapro gli occhi.
“Dormivi?”
“No, stavo pensando. Quanto ci vorrà ancora?”
“Veramente hanno appena finito. Come sto?” chiede facendo una piroetta su sé stessa.
I suoi lunghi capelli rame sono raccolti in due codini scompigliati con delle ciocche nere e rosse, sta benissimo.
“Didi, sei stupenda!”
Lei sorride.
“Grazie cara, ma tu ti sei vista? Stasera farai strage di cuori!” mi dice puntando il mio riflesso allo specchio. Lo osservo e sorrido compiaciuta.
“Jean, sei un genio!” esclamo abbracciandolo.
“Ma no, alla fine non ho fatto nulla. Semplicemente ti ho tinto i capelli di un biondo più intenso e li ho asciugati.” Sorride anche lui.
“Non è vero, sono molto più ricci del solito!” osservo indicando la mia pettinatura.
“Sul serio, sono al naturale!” mi giura lui.
“D’accordo, grazie mille” lo ringrazio.
Salutiamo tutti, che ci augurano buona fortuna e ci dirigiamo allo stadio.

“Siamo in anticipo di un paio d’ore!” urla Didi.
“Meglio arrivare prima che in ritardo” concludo io.
“Sì, ma ora che facciamo mentre aspettiamo gli altri?” chiede lei, sempre urlando. E’ questo il suo brutto vizio.
“Te l’avevo detto che era lei” dice Ben a Torn, che ci sbucano alle spalle.
“Che ci fate qui?” chiedo io confusa.
“Non sapevamo che fare, così siamo venuti prima. Voi?” chiede il ragazzo dei miei sogni.
“Idem” rispondo io ammirandolo in tutto il suo splendore. Didi e Ben si mettono a parlare, mentre io e Torn ci allontaniamo.
“Devi dirglielo” dice lui serio.
“Cosa?” Davvero non capisco di cosa stia parlando.
“Devi dire a Ben che ti piace.”
“Non è vero!” ribatto arrossendo. Torn mi fissa. “Ok, è vero! Ma per lui sono semplicemente un’amica!”
“Te l’ ha detto lui?” chiede il mio amico.
“No, ma me lo sento.” Lui sospira e lascia perdere il discorso.
“Babi, vieni! I truccatori sono già arrivati!” urla Didi.
“Eccomi!” Prima di andare dalla ragazza, schiocco un bacio sulla guancia al mio migliore amico e gli sussurro che gli voglio bene. Lui sorride.

Mi avvicino e sgrano gli occhi. Non può essere, è impossibile.
Guardo con più attenzione la figura alta e slanciata. I suoi capelli sono di un riccio selvaggio, i suoi occhi azzurri fanno contrasto con l’ombretto rosso inteso e il tratto pesante di matita nera. Indossa un vestito a quadri nero e rosso che le arriva a metà coscia, di quelli con l’elastico sotto il seno; calze a rete rotte e pesanti anfibi neri. Osservo di nuovo quel riflesso e mi convinco sempre di più che non posso essere io.
“Basta guardarti allo specchio!” mi sgrida simpaticamente Didi. “Io invece come sto?”
Sposto il mio sguardo sulla ragazza che ha appena parlato. Lei indossa una minigonna a quadri rossa e nera, panta nere, stivali neri con zeppe e una maglia dei Ramones dello stesso colore strappata.
“Non ho parole. Stai benissimo!” dico sinceramente.
“Grazie!” Improvvisamente sentiamo bussare alla porta del camerino. Didi apre la porta ed ecco che nella stanza entrano Torn e Ben.
Entrambi indossano pantaloni a quadri rossi e neri con catene, all stars nere dai lacci rossi rovinate, il primo indossa una maglia nera dei Clash, mentre il secondo una dei Sex Pistols. Rimango a bocca aperta, sono stupendi.
“Ragazze, wow!” ecco il commento di Torn, l’altro invece non fiata. “Guardate che ho portato” dico avvicinandomi alla mia borsa, estraggo quattro polsini neri identici, a parte che su ognuno c’è scritto in rosso il nome di ogni membro della band.
“I nostri portafortuna!” esclama Didi, prendendo il suo dalle mie mani, e così fanno anche gli altri. Iniziamo a rivedere la scaletta per lo spettacolo, tutti e tre vogliono iniziare con la canzone che ha scritto Ben, io non protesto, dopotutto è la canzone del ragazzo che amo. Finita la revisione io mi siedo sullo sgabello e inizio a scaldare la voce, mentre gli altri continuano a parlare fra di loro.

“Ragazzi, cinque minuti” dice uno dello staff. Manca pochissimo. Silenzio di tomba, nessuno di noi fiata. Io scendo dallo sgabello e mi avvicino ai miei tre compagni e ci abbracciamo. Abbraccio di gruppo, nostro solito rituale prima di una cosa importante.
“Facciamogli vedere chi siamo, facciamo sentire a tutti che musica facciamo!” urliamo insieme, anche questo fa parte del rituale.
Rimaniamo così abbracciati fino a che non sentiamo:
“E’ ora di entrare in scena!”
Usciamo dal camerino, Torn in testa, seguito da Didi, me e infine Ben. Camminiamo lenti, ma poi eccolo, l’ingresso al palco, dista solo pochi metri.
Torn è il primo ad uscire e dal backstage si sentono le urla del pubblico, poi tocca a Didi ed ecco i fan che urlano il suo nome. Faccio un respiro profondo, sono pronta a salire sul palco? No, ma sto per muovermi quando vengo trattenuta. E’ Ben che mi ha afferrato il braccio, mi tira verso di sé e mi bacia con passione. Quando si stacca da me io lo guardo stupita, non riesco a capire.
“Ti amo, non avevo il coraggio di dirtelo, ma ora ho trovato la forza” dice e poi sale sul palco.
Ora manco solo io, ma ecco che le gambe iniziano a tremarmi, il cervello non riesce a pensare. Sono in panico e mi giro, dando le spalle al palco, voglio fuggire.
“Che fai, scappi?! Non bisogna mai scappare! Di fronte a nulla!" sento queste parole nella mia testa. Mi torna in mente quando me le disse mio fratello, quando in lacrime lo salutai e me ne andai dalla mia città natale, per non fare più ritorno. Aveva ragione, stavo fuggendo, ma in quel momento non me ne ero resa conto. L’avevo deluso. No, non voglio più deludere nessuno, soprattutto le persone a cui voglio più bene. Sento i fan che urlano il mio nome e improvvisamente trovo il coraggio. I miei amici iniziano a suonare, il mio cuore per un secondo si ferma e riprende a battere a ritmo della musica. Non me ne rendo nemmeno conto, afferro il microfono e inizio a cantare.

“You, you don’t know..
no, you don’t k now..
you don’t know, I love you!”


I fan strillano ed ecco che salgo sul palco. Guardo i miei compagni e loro stanno sorridendo.
Continuo a cantare quella stupenda canzone, che solo in quel momento capisco essere stata scritta per me dal mio amato Ben.
Mi muovo a ritmo, non come se fosse il mio primo concerto, ma come se fosse una cosa che faccio tutti i giorni, come se fosse una cosa naturale.
Non riesco a capire come riesco a comportarmi così, d’altronde un minuto prima volevo abbandonare i miei amici, ma poi comprendo che alcune cose mi hanno trattenuto: il ricordo delle parole di mio fratello, l’amore per i miei compagni e soprattutto, l’adrenalina che riesco a sentire scorrermi nelle vene.
  
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