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Autore: nettie    10/01/2016    1 recensioni
La lussuria ed il peccato vanno sempre a braccetto: è più che naturale. E’ quando lei lo guarda con gli occhi di chi ha trovato il mondo e lui la guarda come una delle tante, che si fa complicata la cosa.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Hug me ‘till you drug me, honey,

kiss me ‘till I’m in a coma.

 

La lussuria ed il peccato vanno sempre a braccetto: è più che naturale. E’ quando lei lo guarda con gli occhi di chi ha trovato il mondo e lui la guarda come una delle tante, che si fa complicata la cosa.

 

I wanna crush all bones in you,

‘cause I’ve got nothing better to do.

I think the world is too small for both of us.

 

Sono le sue mani forti che la imprigionano facendola sentire quello che è: una comune mortale che è vittima di un Dio con il quale mai avrebbe dovuto avere contatti. L’ha tirata dentro il suo sporco teatrino ed è diventata parte dello scenario, una marionetta in mezzo a tante.

 

L’ennesima volta, l’ennesima notte, ancora una volta lì, a condividere la stessa stanza. Due perfetti estranei che pure conoscono tutto l’uno dell’altro seguendo una logica priva di senso: un paradosso che diventa realtà, ecco cos’era la loro storia d’amore. E nessuno ne sarebbe dovuto venire a conoscenza, semplicemente perché tutto ciò non sarebbe mai dovuto essere iniziato.

Le sue mani grandi e forti che scorrevano lente e desiderose sul suo corpo fremente, e lei, che si lasciava maneggiare convinta di essere il più prezioso dei gioielli. Pensava di essere un diamante quando in realtà non era nient’altro che un comunissimo zircone, uno zircone che pensava di valere un valore mai meritato - mai posseduto!

Lui era bello come il sole ma lei non era certo da meno: la corporatura minuta e le curve generose, gli occhi grandi da cerbiatta, di quel nocciola capace di far innamorare chiunque, la boccuccia piccola e rosea, le labbra come due petali, il volto dai tratti delicati come porcellana. Era tanto bella quanto ingenua, ancora una bambina fra le braccia di un essere che d’umano aveva soltanto le sembianze. Così, prigioniera di quel Dio che pochi mortali ebbero avuto il privilegio di vedere, si sentiva il più fortunato degli animali in gabbia, nonostante allo stesso tempo si sentisse male fino a farsi venire la nausea. Erano sentimenti in forte contrasto, quelli che provava appena le mani dell’uomo si posavano sul suo corpicino. Quell’astio acido che si confondeva in un mare di desiderio offuscato dall’innocenza nella quale, dopotutto, la donna era ancora avvolta. E un senso di nauseabonda impotenza iniziava a pervadere il suo animo in subbuglio; si sentiva inerme e priva di ogni tipo di difesa quando si trovava faccia a faccia con lui. Quella donna che più che una donna era una fanciulla nel fiore dell’età, una ragazza alla quale non era stato ancora mostrato ciò di cui il mondo è capace.

Far arrabbiare il suo Dio era una cosa che mai si sarebbe potuta perdonare: quel rapporto di lussuriosa intesa e complicità era troppo prezioso per venir spezzato. Gli era troppo legata. Due cuori legati da un fine e delicato filo invisibile, l’unica cosa che faceva ancora ardere la piccola fiamma che si celava nel suo petto, e che ardeva con fioca luce nella cassa toracica, illuminando i suoi occhi quasi come se lei stessa fosse una lanterna.

Arrivò, però, una notte come tante che infondo come tante non era.

Era un amore profondamente malato senza capo né coda, destinato a finire in briciole, in cenere. Un amore come una bellissima fenice, sacra al popolo, maestosa e piena di forza. Ma, con la sola differenza, che questo non rinacque mai dalle proprie ceneri dopo la morte.

La triste verità è che cenere era all’inizio, e cenere rimase fino alla fine dei tempi.

Lei si lasciò andare al Dio senza credenti e le forti braccia dell’essere l’avvolsero strette al suo corpo caloroso. Nelle carezze che Lui donava al corpo della giovane donna c’era qualcosa di insano e sospetto, del quale lei non si accorse in tempo. Fu rapido ed indolore, non emise alcun lamento né alcuna preghiera uscì dalle sue rosee labbra. Non se ne accorse, no, né sentì fastidio mentre lentamente si abbandonava in modo definitivo fra le braccia del suo adone. E lui sorrideva, sorrideva e sorrideva mentre la vedeva beata fra le sue braccia; un sorriso insolito e inquietante. C’era una luce sinistra ben visibile nei suoi occhi, ma della quale la giovane ragazza non se ne accorse, perché troppo presa dalle sue labbra piegate in una curva - troppo presa da quel dolce sorriso che aveva catturato tutte le sue attenzioni. Sembrava una notte fra tante, non avrebbe mai immaginato i piani del malefico essere, né come sarebbe andata a finire di lì a pochissimo tempo.

Spirò.

Spirò lentamente e non soffrì: neanche se ne rese conto quando i battiti iniziarono lentamente ad abbandonare il suo corpo. Una morte indolore sicuramente molto gradita. Non c’è un perché; a volte capita e basta, di lasciarsi morire per amore, di annullarsi.

Senza fretta alcuna il calore che prima la pervadeva abbandonò il suo corpo, lasciando spazio solo ad un grande freddo che non venne gradito dal Dio che, per mesi interi l’aveva fatta sognare. Quando non ci fu più traccia di calore in tutto il suo corpo, allora lì sì che si spense veramente, senza alcuna speranza di poter riprendersi - senza alcuna richiesta di pietà.

Il Dio la poggiò in un angolo della sua camera, priva di ogni linfa vitale, ed ammassata su una pila di belle donne che avevano fatto la sua stessa identica fine.

 

Incontrò un’altra donna.

 
   
 
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